Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 1, 02 dicembre 2020, n. 34245 - Prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere


 

Presidente: IASILLO ADRIANO
Relatore: SIANI VINCENZO Data Udienza: 22/09/2020
 

FattoDiritto

 


1. Il Tribunale di Cassino, con la sentenza in epigrafe, resa il 19 settembre 2018, ha giudicato A.DC. dichiarandolo responsabile: del reato di cui all'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006 perché, in qualità di titolare dell'attività commerciale "Hotel Serapo di DC.S. & C. Sas", sito alla via OMISSIS, ometteva di dotare la struttura di adeguata segnalazione certificata antincendio (SCIA) e risultava carente delle misure per l'ammissione al piano programmato per l'attività alberghiera (capo A); del reato di cui all'art. 46, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 perché, nella qualità indicata al capo A), ometteva di adottare misure atte a prevenire gli incendi e a tutelare l'incolumità delle persone, essendo la struttura alberghiera priva di compartimentazioni, variazione e distribuzione d'uso di alcuni locali ed altro (capo B); del reato di cui all'art. 63, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008, perché nella qualità indicata al capo A), ometteva di dotare la struttura alberghiera di impianti di protezione dagli incendi completi, quali idranti e impianti di rilevazione (capo C); fatti accertati in Gaeta, il 30 ottobre 2013. Per l'effetto, avvinti i reati in continuazione, negate le circostanze attenuanti di cui all'art. 62-bis cod. pen., ha condannato A.DC. alla pena di euro 1.600,00 di ammenda e al pagamento delle spese processuali, con la sospensione condizionale della pena.
1.1. Il procedimento era originato da un'ispezione effettuata il 30 ottobre 2013 presso l'Hotel Serapo, gestito dalla società suddetta di cui l'imputato era legale rappresentante, finalizzata alla verifica delle ragioni dell'incompletezza e dell'inidoneità della documentazione prodotta dalla società quando, il 31 ottobre 2012, aveva chiesto l'ammissione al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi del d.m. 16 marzo 2012.
La responsabilità di A.DC. è stata accertata sulla base dei documenti prodotti e dalle dichiarazioni dei testimoni S.G. e F.M., indicati rispettivamente dal P.m. e dalla difesa.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di A.DC., chiedendone l'annullamento sulla scorta di tre motivi.
1.2.1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità dell'imputato.
Con riferimento al reato sub A), si denuncia l'errata applicazione della normativa UNI 9597 del 2013, anziché della normativa vigente al momento della realizzazione dell'adeguamento, ossia della UNI 9597 del 2010: la struttura alberghiera in questione, ha dedotto la difesa, aveva ottenuto il parere di adeguamento alle misure di prevenzione incendi in data 31/08/2000 e, successivamente, la società che la gestiva aveva iniziato i lavori relativi all'impianto di rilevazione dei fumi, come risulta dalla dichiarazione di conformità rilasciata dalla ditta installatrice; l'intervento di adeguamento era, quindi, avvenuto in conformità alla normativa vigente all'epoca, ossia la UNI 9795 del 2010; invece, i Vigili del Fuoco avrebbero verificato, erroneamente, l'ammissibilità al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi, confrontando gli adeguamenti del sistema di rilevazione dei fumi rispetto alla normativa UNI 9795 del 2013; poi, la mancata ammissione della struttura al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi non aveva consentito il completamento delle misure antincendio, propedeutico alla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività ai fini della sicurezza antincendio.
Con riguardo al reato di cui al capo B), si evidenzia come la richiesta di accesso al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi di cui al d.m. del 16 marzo 2012 sia di gran lunga antecedente rispetto all'ispezione del 30 novembre 2013.
Con riferimento al reato sub C), la difesa, dopo aver sostenuto che si tratta in realtà di addebito assorbito, ex art. 15 cod. pen., dal reato contestato di cui al capo B), afferma che il completamento dell'impianto di rilevazione dei fumi è avvenuto nell'anno 2000 e che anche l'impianto idrico antincendio è stato adeguato nel 2006, come da dichiarazione di conformità della ditta istallatrice.
1.2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell'art . 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento al dolo ritenuto alla base delle condotte contravvenzionali e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: il Tribunale non avrebbe minimamente argomentato in ordine all'individuazione del dolo ritenuto quale elemento soggettivo dei reati, senza esporre, di conseguenza, le ragioni del superamento della mera colpa; poi, in relazione alle circostanze attenuanti generiche, gli elementi emergenti dagli atti processuali e i modesti precedenti di natura contravvenzionale avrebbero dovuto indurre al loro riconoscimento.
1.2.3. In subordine, si è prospettata l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, trattandosi di contravvenzioni commesse il 30 ottobre 2013.
1.3. Nel corso della discussione, il Procuratore generale ha chiesto annullarsi senza rinvio della sentenza essendosi i reati estinti per prescrizione.

2. L'impugnazione è inammissibile, i motivi che la connotano risultando in parte orientati alla rivisitazione del fatto o in parte manifestatamente infondati.
2.1. Il Tribunale ha, con motivazione congrua e coerente, accertato lo stato di fatto posto alla base dei corollari logico-giuridici dallo stesso desunti. In particolare, S.G., in servizio presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Latina, ha riferito che, all'esito dell'ispezione, erano state riscontrate varie difformità rispetto al progetto approvato nel 2000 dal suddetto Comando Provinciale, in specie violazioni strutturali: la struttura risultava carente delle misure per l'ammissione al piano programmato per l'attività alberghiera, in quanto A.DC. non aveva provveduto a dotarsi dell'adeguata segnalazione certificata antincendio (SCIA) e delle misure atte a prevenire gli incendi, né a tutelare l'incolumità delle persone con sistemi di rilevazione di fumi, compartimentazioni e idranti, assenti in tutte le aree dell'albergo. Quanto a F.M., architetto, teste indicato dalla difesa, egli ha riferito che la struttura alberghiera era, invece, dotata dei requisiti di ammissione al piano programmatico avendo nel 2000 conseguito il parere favorevole da parte del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, avendo iniziato a partire dal 2006 i lavori di adeguamento alle norme di prevenzione antincendio e nel 2017 conseguito il certificato di prevenzione incendi con decorrenza dal 18 novembre 2014, e ha osservato che i Vigili del Fuoco avrebbero fatto riferimento alla normativa UNI 9795 del 201.3 non considerando l'epoca di realizzazione dell'impianto.
Analizzati questi elementi, ma anche la nota del 12 novembre 2013 del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Latina, da cui risultava che "lo stato dei luoghi è difforme rispetto al progetto approvato con nota n. 6979 del 4 settembre 2000", il giudice di merito ha tratto il convincimento, oltre ogni ragionevole dubbio, del fatto - dirimente - che la struttura all'atto dell'ispezione non era adeguata, non solo alle norme UNI 9795 del 2013, ma neppure alle disposizioni antincendio previste dalle normative previgenti, con la conseguenza della ritenuta integrazione delle fattispecie contravvenzionali contestate.
2.2. Alla stregua di queste chiare conclusioni si profilano la genericità e la manifesta infondatezza delle censure insita nel primo motivo.
2.2.1. Quella, riferita al reato sub A), si basa sulla deduzione secondo cui gli operanti avrebbero errato nell'adottare quale metro di valutazione la normativa UNI in vigore nel 2013 (al momento dell'ispezione) anziché di quella in vigore nel 2010 (al momento della realizzazione dell'adeguamento): e, però, così argomentando, il ricorrente ha omesso di confrontarsi con la motivazione nella parte in cui si evidenzia che la struttura era risultata non adeguata, non solo alle norme UNI in vigore nel 2013, ma anche alle disposizioni di prevenzione degli incendi previste dalle normative precedenti, essendo conseguente che il Tribunale non ha fondato la responsabilità sul solo mancato rispetto della normativa del 2013, ma anche sul mancato rispetto della normativa in vigore precedentemente, lo stato dei luoghi non essendo risultato conforme nemmeno al progetto approvato il 4 settembre 2000.
2.2.2. In ordine alla censura svolta, sempre nel primo motivo, con riferimento al reato di cui al capo B), al di là della - non deducibile in questa sede - questione di merito ad essa sottesa, la medesima risulta aspecifica, non chiara e, comunque, adeguatamente contrastata dall'accertamento sopra richiamato: invero, l'affermazione secondo cui la richiesta di accesso al piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione degli incendi di cui al d.m. del 30 novembre 2012 fosse di gran lunga antecedente rispetto alla data dell'ispezione non elide la constatazione che - in fatto - al momento dell'ispezione, al di là del parere favorevole risalente al 31 agosto 2000, la struttura alberghiera era risultata priva delle opere inerenti alle misure per prevenire gli incendi e tutelare l'incolumità delle persone che vi accedevano, quali la compartimentazione e la variazione di distribuzione d'uso afferenti ad alcuni locali, con violazione dell'art. 46, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008.
2.2.3. Quanto alla censura, pure introdotta nell'ambito del primo motivo, volta a contestare la sussistenza del reato sub C), è, all'evidenza, insussistente la violazione dell'art. 15 cod. pen. adombrata dal ricorrente sull'assunto che l'infrazione di cui all'art. 63, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008 sia assorbita da quella sub B) di cui all'art. 46, comma 2, d.lgs. cit.: il rapporto di specialità tra le disposizioni viene solo prospettato e certo non corroborato dal riferimento al fatto che era avvenuto il completamento dell'impianto di rilevazione dei fumi nel 2000, al pari dell'impianto idrico antincendio nel 2006.
Non si rileva, per vero, il rapporto di genere a specie fra i suindicati precetti, perché l'art. 46 cit., nell'ambito della disciplina della gestione delle emergenze di impresa, tutela l'interesse allo specifico ambito dell'adeguata prevenzione degli incendi, mentre l'art. 63 cit., con riferimento alla disciplina inerente ai luoghi di lavoro, attiene alla complessiva tutela dell'interesse al rispetto dei requisiti di salute e di sicurezza proprio all'interno degli ambienti di lavoro. In corrispondenza di ciò, le condotte oggetto di contestazione e poi di accertamento - con rispettivo riferimento alle due imputazioni - nemmeno coincidono: nel reato sub B) si è presa in esame l'omessa adozione di misure di prevenzione antincendio strutturali, quali le compartimentazioni e la variazione di distribuzione d'uso di alcuni locali; nel reato sub C) si è considerata l'omessa dotazione della struttura alberghiera di tutti gli impianti antincendio regolamentari al fine di rendere sicuro il lavoro nel suo ambito, in particolare gli idranti e gli impianti di rilevazione.
Né può dubitarsi della qualificazione di luogo di lavoro annessa alla complessiva struttura considerata dal giudice del merito, dovendo ribadirsi che, nella nozione di luogo di lavoro, rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa (Sez. F, n. 45316 del 27/08/2019, Giorni, Rv. 277292 - 01).
2.3. Generico è senza dubbio il secondo motivo.
2.3.1. Il Tribunale ha spiegato specificamente la ragione per la quale ha ritenuto che le contravvenzioni accertate sono state commesse dall'imputato con condotta sorretta, non semplicemente da colpa, bensì da dolo, risultando A.DC., in relazione fra l'altro al notevole tempo in cui si sono perpetuate le relative azioni, essersi occupato personalmente delle misure per l'adeguamento della struttura, in particolare di quelle antincendio, per cui l'avere obliterato i precetti in materia di sicurezza strutturale, tutela del lavoro e prevenzione degli incendi è stato ritenuto, in· modo congruo, l'esito di una sua attività consapevole e volontaria.
Certo, le contravvenzioni sono punibili anche a titolo di colpa, ai sensi dell'art. 42, ultimo comma, cod. pen., ma è del pari acclarato che il Tribunale ha scrutinato il tema e ha considerato sussistente il dolo in modo motivato, facendone peraltro scaturire l'ulteriore (e non scontata) conseguenza della sussistenza dell'unitarietà del disegno criminoso, così ponendo i tre reati in continuazione fra loro (obiettivo raggiunto in favor dell'imputato, atteso che soltanto i reati dolosi possono concepire la suddetta unitarietà del disegno criminoso: Sez. 1, n. 435 del 10/07/2018, dep. 2019, Rho, Rv. 274663 - 01).
2.3.2. Eguale aspecificità attinge la censura, sempre inserita nel secondo motivo, inerente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non apparendo argomento idoneo a contrastare la sufficiente motivazione resa dal Tribunale l'affermazione del ricorrente relativa al grado modesto della gravità dei suoi precedenti, che egli indica come contravvenzionali, ma "salvo errore", al pari della segnalazione dell'apporto fornito durante il procedimento dal proprio consulente tecnico, che è inidonea a confutare la rilevata assenza di elementi legittimanti il riconoscimento delle suddette attenuanti: il tutto, senza che il ricorrente abbia considerato il principio di diritto, da riaffermarsi, secondo cui, in materia di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., reputati preponderanti ai fini del riconoscimento o dell'esclusione delle stessa (Sez. 1, n.26754 del 06/07/2020, Verde, n. m.; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01).

2.4. Manifestamente infondata è infine la questione di prescrizione del reato. Il termine prescrizionale massimo per le contravvenzioni, qui ritenute, è (ex art. 161 cod. pen.) di anni cinque, sicché - fissata la data dei commessi reati al 30 ottobre 2013 - detto termine si è consunto non prima del 30 ottobre 2018, ossia dopo l'emissione della sentenza impugnata e la maturazione del termine prescrizionale in tempo successivo alla sentenza impugnata non rileva quando, come nel caso in esame, le restanti doglianze siano inammissibili, in quanto la rilevata inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463); né potrebbe ritenersi che l'unico motivo, ammissibile e fondato, sia proprio quello relativo alla maturazione del termine prescrizionale, in quanto deve ribadirsi che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata, pur se prima della sua presentazione, che sia privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto esso viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell'art. 581, lett. e), cod. proc. pen. ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell'art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
2.5. Consegue l'inammissibilità del mezzo che determina, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), di una somma alla cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si stima equo fissare in euro tremila.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22 settembre 2020