Responsabilità di un datore di lavoro per la morte di un dipendente intento a manovrare una pressa idraulica con pompa a mano a seguito della fuoriuscita dell'ammortizzatore - L'addebito di colpa generica e specifica veniva ravvisata a carico del prevenuto per avere consentito l'utilizzo improprio della pressa.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.


"Va ricordato in proposito che tra i compiti di prevenzione che fanno capo al datore di lavoro vi e' anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari del tutto sicuri (cfr., ora, Decreto Legge 9 aprile 2008, n. 81, articoli 69 e segg.), dovendo egli in proposito ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza."

"In altri termini, al principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non e' in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio (giacche' al datore di lavoro, che e' "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, e' imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela: cfr. Decreto Legge 9 aprile 2008, n. 81, articolo 18, comma 1, lettera f)), si fa (rectius, si potrebbe fare) eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso causale (articolo 41 c.p., comma 2), solo in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore: in tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell'evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile (e come tale inevitabile) del lavoratore, finirebbe con l'essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento dannoso (l'infortunio), che, per l'effetto, sarebbe addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore".


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIZZO Aldo Sebastian - Presidente

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da:

1) CA. FE. LU. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 1602/2005 CORTE APPELLO di TORINO, del 26/03/2007;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PICCIALLI Patrizia;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore avv. RUGGIERI, in sostituzione dell'avv. PASSARO del Foro di Roma.

FattoDiritto


CA. FE. LU. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole, nella qualita' di datore di lavoro, del reato di omicidio colposo aggravato in relazione al decesso di SC. SA., lavoratore dipendente della srl Ra. BO., di cui era amministratore unico.

L'infortunio si era verificato mentre lo SC. era intento a manovrare una pressa idraulica con pompa a mano, a seguito della fuoriuscita dell'ammortizzatore.

L'addebito di colpa generica e specifica veniva ravvisata a carico del prevenuto per avere consentito l'utilizzo improprio della pressa, che le stesse istruzioni della ditta costruttrice escludevano potesse essere adibita alle lavorazioni su ammortizzatoli e cio', quale che fosse stata l'eziologia dell'incidente, in relazione alla quale gli accertamenti dei tecnici della ASL avevano fornito una triplice opzione di ipotesi (manovra manuale dell'addetto, fuoriuscita di pressione, parziale cedimento di un'astina): tutte queste opzioni trovavano la loro ragion d'essere nell'impropria messa a disposizione dello strumento.

Del resto, osservava il giudice di appello, a conferma delle argomentazioni gia' sviluppate dal giudice di primo grado, lo stesso imputato aveva dichiarato di non essersi mai occupato della pressa che pure aveva messo a disposizioni del lavoratore, con cio' contravvenendo all'obbligo impostogli ex lege, quale datore di lavoro, di fornire ai dipendenti uno strumentario lavorativo adeguato e sicuro.

Si articolano due ampi motivi di ricorso, che possono essere cosi' sintetizzati.

Con il primo, si censura la sentenza nella parte in cui avrebbe sottovalutato il profilo dell'impraticabilita' di un effettivo controllo del datore di lavoro sul lavoratore, riproponendo gli argomenti gia' prospettati con l'appello: il lavoratore, che aveva le chiavi dell'azienda, si era ivi trattenuto in ora notturna, senza avere avuto un esplicito incarico dall'azienda.

Con il secondo, si censura la sentenza nella parte in cui a fronte delle plurime cause alternative dell'incidente, come ricostruite dalla ASL, e' stata comunque ravvisata la colpa del datore in lavoro sul presupposto della ritenuta inidoneita' della pressa per le lavorazioni cui era stata adibita: circostanza che viene contestata.

Il ricorso non merita accoglimento, a fronte di una sentenza che appare corretta nella ricostruzione dell'incidente e dei profili di colpa addebitati al datore di lavoro, al quale ne e' stata ricondotta la responsabilita'.

Le censure pur ampiamente sviluppate sono evidentemente di mero fatto e implicano una rilettura del compendio probatorio (di cui si offre una lettura alternativa) che non puo' trovare ingresso in sede di legittimita', non competendo alla Corte di cassazione rivalutare l'apprezzamento del quadro probatorio quando questo - come nel caso de qua - e' assistito da esaustiva motivazione.

Va ricordato in proposito che tra i compiti di prevenzione che fanno capo al datore di lavoro vi e' anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinali del tutto sicuri (cfr., ora, Decreto Legge 9 aprile 2008, n. 81, articoli 69 e segg.), dovendo egli in proposito ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza.

Pertanto, volendo trarre le conseguenze da questo principio, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilita' il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e piu' sofisticati presidi per rendere la stessa sempre piu' sicura.

Nella stessa prospettiva, sarebbe parimenti configurabile la responsabilita' del datore di lavoro il quale introduca nell'azienda e metta a disposizione del lavoratore una macchina - che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone - senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l'eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneita' all'uso, non valendo ad escludere la propria responsabilita' la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (cfr. di recente, Sezione 4, 11 dicembre 2007, Mantelli ed altro).

A fortori, la responsabilita' dovrebbe affermarsi in una vicenda, quale quella di interesse, dove si e' accertata l'inidoneita' tout court della attrezzatura all'incombente cui era adibita. In proposito, tale ricostruzione in fatto non puo' essere rimessa qui in discussione.

E non puo' essere rimessa in discussione neppure evocando il profilo dell'impraticabilita' del controllo del datore sul lavoratore, che si sostiene avrebbe lavorato in orario non consentitogli.

Sul punto, vi e' divergenza tra quanto sostenuto in sentenza e gli argomenti prospettati dal ricorso.

Ma tale divergenza non sposta i termini della questione, ove si consideri che, per assunto pacifico, il datore di lavoro e' comunque tenuto a controllare il lavoratore e a preservarlo dai rischi anche a fronte di eventuali negligenze o inosservanze comportamentali. Con l'unica eccezione dell'abnormita' del comportamento del lavoratore.

In altri termini, al principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'addebito di responsabilita' formulabile a carico del datore di lavoro non e' in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio (giacche' al datore di lavoro, che e' "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, e' imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela: cfr. Decreto Legge 9 aprile 2008, n. 81, articolo 18, comma 1, lettera f)), si fa (rectius, si potrebbe fare) eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso causale (articolo 41 c.p., comma 2), solo in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore: in tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell'evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile (e come tale inevitabile) del lavoratore, finirebbe con l'essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento dannoso (l'infortunio), che, per l'effetto, sarebbe addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore (tra le tante, Sezione 4, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; nonche', Sezione 4, 29 febbraio 2008, Radrizzani).

Cio' pero' puo' verificarsi in presenza (solo) di comportamenti "abnormi" del lavoratore, come tali non suscettibili di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro.

In questa prospettiva, in linea con quanto osservato nella sentenza qui riportata, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell'abnormita' il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali e' addetto, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Sezione 4, 5 giugno 2008, Stefanacci ed altri).

E' quanto puo' ritenersi nel caso di specie, laddove nessun comportamento abnorme puo' individuarsi nell'agire del lavoratore, la cui disponibilita' delle chiavi dell'azienda all'evidenza, secondo quanto ricostruito in sede di merito, consentiva (e di questo il datore di lavoro non poteva essere edotto e, comunque, di questo avrebbe dovuto tenerne conto) l'accesso all'impianto per svolgere la propria attivita'.

Che poi tale accesso non sia stato eccezionale ed imprevedibile e' del resto attestato dalle modalita' del ritrovamento dell'infortunato, da parte di altri lavoratori, in ora ampiamente notturna, che si trovavano in azienda evidentemente per ragioni lavorative (cio' e' incontroverso e contraddice, in fatto, gli argomenti prospettati in ricorso, circa un orario lavorativo confinato per tutti entro il massimo le 18,30).

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.