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Responsabilità per il reato di cui all'art. 572 c.p. commesso nell'esercizio delle funzioni di Sindaco in danno di due dipendenti comunali: in particolare il Sindaco era accusato di aver reiteratamente ed abitualmente sottoposto le dipendenti a sofferenze morali attraverso mortificazioni, umiliazioni e vessazioni di varia natura, talvolta in presenza di più persone.
Tutto ciò aveva indotto a disturbi psichici accertati attraverso consulenti tecnici.

Ricorre in Cassazione l'imputato - Accolto.

La Corte afferma che: "Perchè sia configurabile il reato di cui all'art. 572 c.p., occorre un rapporto tra soggetto agente e soggetti passivi caratterizzato da un potere autoritativo esercitato, di fatto o di diritto, dal primo sui secondi, i quali, specularmente, versano in una condizione di soggezione; situazione tradizionalmente confinata nell'ambito familiare".

"Con particolare riferimento ai rapporti di lavoro, occorre che il soggetto agente versi, appunto, in una posizione di supremazia, che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo (v. Cass., sez. 3, 5 giugno 2008, Di Venti; Cass., sez. 6, 22 gennaio 2001, Erba).
Al di fuori di queste particolari situazioni di fatto o di diritto, nell'ambito di rapporti di natura professionale o di lavoro non è configurabile il reato in esame, tanto che da più tempo, per l'avvertita esigenza di dare una risposta penale a condotte persecutorie in tale ambito (c.d. mobbing), sono state avviate iniziative legislative, non giunte però ancora a definizione."


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola - Presidente -
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere -
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere -
Dott. FAZIO Anna Maria - Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.M., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 22 settembre 2008 della Corte di appello di Torino;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giovanni Conti;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Salvi Giovanni, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito per le parti civili l'avv. Macchia Roberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per il ricorrente l'avv. Santoni De Sio Fernando, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

FattoDiritto

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza in data 15 dicembre 2006 del Tribunale di Torino, appellata da T.M., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al risarcimento dei danni sofferti dalle parti civili, per il reato di cui all'art. 572 c.p. commesso nell'esercizio delle sue funzioni di Sindaco di Trofarello in danno delle dipendenti comunali T. A., responsabile dell'Ufficio Ragioneria, e V.M., responsabile dell'Ufficio Attività economiche, attraverso varie offese lesive del loro onore e decoro, mortificazioni, umiliazioni e vessazioni di varia natura, talvolta in presenza di più persone (in (OMISSIS)).

Secondo la ricostruzione dei fatti dei giudici di merito, non contestata dall'imputato, quest'ultimo aveva reiteratamente e abitualmente sottoposto la T. e la V., con insulti, umiliazioni, minacce, dileggi, comportamenti volgari o prevaricatori, a sofferenze morali, che avevano indotto disturbi psichici accertati attraverso consulenze tecniche.
 
Ricorre per Cassazione l'imputato, a mezzo del difensore avv. Santoni De Sio Fernando, il quale denuncia sotto vari profili la violazione dell'art. 572 c.p..
 
1. In primo luogo, la fattispecie penale in questione non attiene ai rapporti tra il sindaco e i dipendenti comunali, che non si inscrivono in quelli definiti dall'art. 572 c.p., implicanti un esercizio di un potere autoritativo basato o su rapporti familiari o su rapporti di affidamento di varia natura implicanti comunque una stringente subordinazione del soggetto passivo verso il soggetto rivestito di tale potere; rapporto che comunque non potrebbe caratterizzare quello tra il sindaco e i dipendenti comunali, data la chiara distinzione operata dalla legislazione in materia di enti pubblici territoriali tra gli organi di governo politico, titolari di un potere di indirizzo, quale il sindaco, e gli organi gestionali, quali i dirigenti dell'amministrazione comunale.
 
2. La sentenza impugnata ha inoltre arbitrariamente valutato unitariamente i vari fatti elencati nella imputazione, non esaminando partitamente le angherie addebitate all'imputato con riferimento alla T. e alla V., risolvendosi esse, quanto alla prima, in soli tre episodi, e, quanto alla seconda, in quattro, nell'arco circa di un anno, con ciò difettando l'estremo della abitualità della condotta sopraffattrice considerata dalla norma come elemento costitutivo del reato di maltrattamenti.

3. Manca anche una esauriente dimostrazione dell'elemento soggettivo del reato, posto che i dati processuali indicano univocamente che i comportamenti antigiuridici posti in essere dall'imputato erano espressione di una sua componente caratteriale, e quindi frutto occasionale di un dolo d'impeto e non di una volontà unitariamente e costantemente finalizzata a vessare i soggetti passivi.

4. L'aggravante della causazione di una malattia consistita in disturbi psichici e depressivi a carico delle due dipendenti è stata basata esclusivamente sulle conclusioni dei consulenti del p.m., senza alcuna considerazione delle diverse valutazioni del consulente di parte prof. Z., che aveva messo in luce le carenze metodologiche e la mancanza di approfondimenti anche di natura familiare caratterizzanti le consulenze di accusa, tali da rendere incerto il nesso causale tra le ravvisate patologie e la condotta dell'imputato.

Il ricorso, nella parte in cui contesta l'affermazione di responsabilità penale per il delitto di maltrattamenti, appare fondato.

Perchè sia configurabile il reato di cui all'art. 572 c.p., occorre un rapporto tra soggetto agente e soggetti passivi caratterizzato da un potere autoritativo esercitato, di fatto o di diritto, dal primo sui secondi, i quali, specularmente, versano in una condizione di soggezione; situazione tradizionalmente confinata nell'ambito familiare, specie in relazione alla posizione preminente del marito rispetto alla moglie o dei genitori rispetto ai figli (art. 391 c.p. del 1889), e successivamente estesa, dal vigente codice, a rapporti educativi, di istruzione, di cura, di vigilanza, di custodia o a quelli che si instaurano nell'ambito di un rapporto di lavoro.
Con particolare riferimento ai rapporti di lavoro, occorre che il soggetto agente versi, appunto, in una posizione di supremazia, che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo (v. Cass., sez. 3, 5 giugno 2008, Di Venti; Cass., sez. 6, 22 gennaio 2001, Erba).
Al di fuori di queste particolari situazioni di fatto o di diritto, nell'ambito di rapporti di natura professionale o di lavoro non è configurabile il reato in esame, tanto che da più tempo, per l'avvertita esigenza di dare una risposta penale a condotte persecutorie in tale ambito (c.d. mobbing), sono state avviate iniziative legislative, non giunte però ancora a definizione.
Nella situazione in esame, relativa ai rapporti tra il sindaco, capo dell'amministrazione comunale, e i funzionari comunali, che non sono certamente qualificabili in termini di lavoro subordinato, non ricorre un nesso di supremazia-soggezione che esponga il soggetto più debole a situazioni assimilabili a quelle familiari, come invece potrebbe dirsi nei rapporti tra il collaboratore domestico e le persone della famiglia presso la quale presta attività lavorativa o in quelli intercorrenti tra il maestro d'arte e l'apprendista.
Peraltro, essendo ipotizzabili a carico dell'imputato fattispecie di reato di per sè assorbite nel paradigma dell'art. 572 c.p., la sentenza impugnata va annullata con rinvio, dovendo altra sezione della Corte di appello di Torino, esclusa la configurabilità del reato di maltrattamenti, verificare se residuino condotte penalmente rilevanti.
Restano in questa statuizione assorbite le ulteriori censure dedotte in ricorso.

P.Q.M.
 
Annulla al sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2009