Cassazione Penale, Sez. 3, 11 gennaio 2021, n. 652 - Scoppio del forno durante la cottura di biscotti contenenti sostanze infiammabili. Violazione dell'obbligo di vigilanza e dell'obbligo di informazione e formazione




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia - Presidente -

Dott. GALTIERO D. - Consigliere -

Dott. CERRONI Claudio - Consigliere -

Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere -

Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.G., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 18/09/2019 della Corte d'appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Seccia Domenico, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per la parte civile Inail l'avv. Letizia Crippa, che ha concluso depositando conclusioni scritte e nota spese;

udito per l'imputata l'avv. Giuseppe Amato, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
 

Fatto


1. Con sentenza in data 18 settembre 2019, la Corte d'appello di Palermo, giudicando in sede di rinvio a seguito di sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione n. 17392/2018, ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo con la quale A.G. era stata condannata, alla pena di mesi sei di reclusione, perchè ritenuta responsabile del reato di lesioni personali colpose, ai sensi dell'art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, nella qualità di datore di lavoro, quale titolare della ditta Dolceforno srl, per avere cagionato lesioni personali gravi al lavoratore D.P. conseguenti all'esplosione di un forno rotativo modello Quasar a gas gpl, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, e segnatamente per avere consentito che il suddetto forno venisse utilizzato abitualmente dai suoi dipendenti per preparare dolci la cui ricetta prevedeva l'impiego di alcool, nonostante l'espresso divieto, contenuto in una targhetta esposta sul forno, di uso del medesimo con l'impiego di siffatta sostanza, in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71 commi 1, 2 e 4 e così cagionando le lesioni al dipendente in conseguenza dello scoppio del forno.

Con la medesima sentenza il Tribunale di Palermo aveva condannato l'imputata al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile D.P., da liquidarsi in separata sede, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.

2. Nel ripercorrere brevemente la vicenda processuale, deve darsi atto che il Tribunale di Palermo, con sentenza in data 23 dicembre 2015, aveva condannato A.G. in ordine ai reati di lesioni personali aggravate ai danni di D.P. e di violazioni della normativa antifortunistica e, nello specifico la violazione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71 commi 1, 2 e 4.

Secondo quanto ricostruito in sede di merito, il lavoratore D., il (OMISSIS), dopo avere infornato una notevole quantità di biscotti nel forno del laboratorio di pasticceria, di cui l'imputata era titolare, tra i cui ingredienti vi era anche il liquore, veniva investito dall'esplosione di questo, riportando lesioni personali gravi.

La responsabilità di tale evento, non contestato nella sua dinamica, era attribuita all'imputata, datrice di lavoro, perchè non aveva istruito il dipendente sulle modalità di uso del forno e in particolare perchè non l'aveva informato che non dovevano essere cotti alimenti contenenti sostanze infiammabili.

La Corte d'appello di Palermo, con sentenza in data 3 febbraio 2017, previa dichiarazione di estinzione per prescrizione della violazione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71 commi 1, 2 e 4 aveva ridotto la pena inflitta a mesi tre di reclusione, confermando la pronuncia di condanna per il reato di lesioni personali aggravate, con condanna alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili D.P. e Inail.

In particolare, la sentenza - rispondendo ai motivi di appello - aveva dato particolare risalto alla circostanza che gli ingredienti dei prodotti dovessero essere necessariamente noti alla A., stante l'obbligo di analitica etichettatura di quanto contenuto nelle preparazioni dolciarie e la consapevolezza degli acquisti di liquori, ed ha escluso una condotta imprevedibilmente imprudente del lavoratore nel servirsi del forno "Quasar", nonostante la visibile etichetta gialla di allerta e la disponibilità di altro forno, attribuendo a deficienze organizzative aziendali il fatto che quel forno venisse abitualmente utilizzato in contrasto con la normativa di sicurezza.

3. La sentenza della Corte d'appello è stata oggetto di annullamento da parte della Corte di cassazione.

Nel ricordare, la Corte di cassazione, che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto, passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, sicchè il datore di lavoro, dopo aver fornito al lavoratore i dispositivi di sicurezza ed avere adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (Sez. 4, n. 8883 del 10/2/2016, Rv. 266073), ha rilevato che la Corte palermitana non si era adeguatamente soffermata, nella motivazione della sentenza impugnata, nè sull'adempimento da parte dell' A. degli obblighi derivanti dalla sua posizione di datore di lavoro, nè sulla circostanza che la medesima fosse a conoscenza dell'uso abituale, da parte del lavoratore, del forno Quasar per la cottura di alimenti contenenti sostanze alcoliche, nè, sotto altro versante, sulla condotta imprudente del lavoratore, esperto pasticcere ed assunto da tre anni dalla Dolce Forno S.r.l.

3.1. Accertato e non contestato che sul vetro esterno del forno in oggetto fosse apposta una ben visibile targhetta gialla che avvisava della pericolosità di introdurre prodotti contenenti soluzioni alcoliche o sostanze volatili con rischi di scoppio e che nel laboratorio di pasticceria vi fosse a disposizione un altro forno, nel quale non vigeva tale divieto e poteva dunque servire alla cottura di alimenti con qualsiasi ingrediente, la sentenza rescindente ha censurato l'Iter logico argomentativo della sentenza di appello che aveva genericamente richiamato la motivazione della sentenza di primo grado secondo cui l'apposizione della targhetta in parola non poteva essere invocata per escludere la responsabilità della datrice di lavoro, perchè il D. non era stato formato ed informato sulle modalità di utilizzo del forno, e non era significativa la firma apposta sul verbale di informazione annuale datato 16.11.2010, in cui il dipendente aveva sottoscritto di aver ricevuto informazioni sui macchinari in uso e ciò perchè il pasticcere aveva dichiarato di non aver fatto caso alla targhetta situata sulla porta del forno e di aver firmato il verbale senza leggerlo. Oltre tutto l' A., che aveva assunto un lavoratore esperto a cui aveva messo a disposizione anche un altro forno senza precauzioni per l'utilizzo, era a conoscenza che per la cottura dei prodotti contenenti alcolici fosse abitualmente usato il forno "Quasar" ed aveva tollerato per anni questo utilizzo, vietato dalla normativa di sicurezza.

4. La Corte d'appello di Palermo, all'esito del giudizio di rinvio, ha ritenuto dimostrato, sulla scorta del compendio probatorio, il mancato svolgimento da parte dell'imputata, in favore di D.P., di un'adeguata attività informativa e di formazione sul rischio che correva quest'ultimo nell'introdurre prodotti contenente sostanze infiammabili nel forno esploso il (OMISSIS), che a monito di tale rischio vi era la targhetta gialla apposta sul forno contenente l'avvertimento di non introdurre prodotti contenenti alcol, che i moduli sottoscritti dal lavoratore non contenevano alcuna indicazione in ordine alla specifica informazione sull'utilizzo dell'apparecchiatura in argomento risultando attestata la generica avvenuta formazione sull'utilizzo delle apparecchiature a disposizione del lavoratore. Di poi, era fatto notorio che il forno in questione venisse utilizzato sia da D. che da altri dipendenti, sicchè era prevenibile il suo utilizzo anche il giorno dell'infortunio.

Alla luce di ciò la sentenza impugnata ha ritenuto che l'imputata non avesse compiutamente adempiuto agli obblighi informativi e formativi nei confronti del lavoratore e che l'apposizione della targhetta gialla costituisse l'unica forma di cautela al fine di ricordare, ogni volta in cui il forno veniva utilizzato, il divieto di introdurre prodotti contenenti alcol.

Pur riconosciuto il dovere di collaborazione che grava sul lavoratore che avrebbe dovuto fare attenzione alle indicazioni riportate sul forno, che avrebbe dovuto soffermarsi sui moduli per la sicurezza che aveva, invece, firmato senza leggere, tuttavia secondo la sentenza impugnata, rilevava il profilo di colpa individuata nella mancata osservanza dell'obbligo di vigilanza che ricade in capo al datore di lavoro. Dovere di vigilanza che se correttamente assolto avrebbe permesso di accertare che il lavoratore si avvaleva costantemente, così come gli altri dipendenti, per la preparazione di dolci a base di alcol, del forno poi esploso.

Secondo la sentenza impugnata, la condotta puramente negligente del lavoratore non era eccezionale, imprevedibile, non era qualificabile quale condotta dal carattere esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute dal datore di lavoro, in presenza della quale il datore di lavoro è esentato dalla responsabilità. La prevedibilità dell'uso del macchinario da parte della persona offesa e di altri lavoratori, nelle condizioni di rischio per avere inserito sostanze vietate in molteplici occasioni, dimostrava che l'incidente si era verificato perchè non era stato assicurato il corretto funzionamento del forno per la violazione delle norme cautelari che rientrano nell'area di rischio del datore di lavoro, il quale doveva assicurarsi che le macchine operassero in condizioni di sicurezza a garanzia di tutti mediante il dovere di informazione e di vigilanza del corretto utilizzo del macchinario.

Alla conferma dell'affermazione della responsabilità penale per il reato di lesioni personali, non conseguiva, secondo la motivazione della sentenza, la conferma della condanna poichè il reato era estinto per prescrizione, mentre era confermata la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile D.P. e al pagamento delle spese sostenute nel grado e nel giudizio di cassazione.

5. Avverso la sentenza l'imputata ha presentato ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

5.1. Con un primo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche con travisamento delle prove. Violazione del principio di diritto fissato nella sentenza di annullamento.

La Corte d'appello, pur richiamando in premessa, il principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente in relazione al mutato e consolidato orientamento secondo cui dal modello iperprotettivo si è passati ad un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti anche con i lavoratori, sarebbe pervenuta alla conferma della condanna con motivazione avulsa dalle risultanze processuali e segnatamente le dichiarazioni del teste V. sull'obbligo di informazione, avrebbe argomentato il difetto di vigilanza non considerando, come osservato dalla difesa, che l'imputata non poteva interferire sugli ingredienti usati dal pasticcere e sapere che venivano impiegati prodotti alcolici. Si sarebbe in presenza di un comportamento abnorme del D., pasticcere impiegato da oltre tre anni nel laboratorio dell'imputata, che agiva in piena autonomia nella preparazione dei prodotti da forno i cui ingredienti non erano conosciuti dall'imputata. Vi era poi la targhetta con l'avvertimento e la circostanza che nel laboratorio vi fosse a disposizione un altro forno nel quale i prodotti, con impiego di sostanze alcoliche, potevano essere cotti. La scelta del lavoratore di usare il forno nel quale vi era divieto di impiego di sostanze alcoliche e di non utilizzo di quello nel quale ciò era possibile, costituirebbe un comportamento abnorme idoneo ad escludere la responsabilità del datore di lavoro. Del resto, il teste V., funzionario dell'Asl, aveva dichiarato "sicuramente c'era una responsabilità del lavoratore" e la targhetta era ben visibile, cosicchè il forno sarebbe esploso per la condotta imprudente del D. che, pur potendo usare un altro forno e in presenza di uno specifico divieto di impiego, ha utilizzato il forno poi esploso nel quale ha inserito le sostanze vietate.

5.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) contraddittorietà della motivazione con il dispositivo, omessa pronuncia sulla rinuncia alla prescrizione. Mancata esclusione della parte civile Inail.

Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che il difensore munito di procura speciale aveva rinunciato, in data 18/09/2019, alla prescrizione del reato e ciò nonostante la motivazione della sentenza rileva la prescrizione del reato, mentre il dispositivo contiene la conferma della condanna del Tribunale di Palermo.

Sotto il secondo profilo, nel procedimento penale avrebbe partecipato la parte civile Inail, che aveva rassegnato conclusioni, pur essendo già stata esclusa nei precedenti gradi di giudizio, stante l'assenza di pronuncia in suo favore nel giudizio di primo grado e l'assenza di impugnazione sul punto. La Corte d'appello avrebbe dovuto escludere definitivamente la parte civile Inail, risultando le conclusioni rassegnate inammissibili in quanto soggetto non appellante.

6. La parte civile Inail ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.

7. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, che il ricorso sia rigettato.

 

Diritto


1. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza e va, pertanto, rigettato.

2. Quanto al primo motivo, la sentenza impugnata, contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente, ha fatto corretta applicazione delle norme di riferimento e dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in relazione al caso concreto sottoposto al suo esame.

La decisione poggia su una ratio decidendi adeguatamente motivata e corretta in diritto.

La sentenza impugnata, richiamato in premessa l'orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, a questo si è attenuta nella valutazione del caso concreto, e con motivazione congrua ha confermato l'affermazione di responsabilità dell'imputata per avere cagionato per colpa, come contestata, lesioni personale gravi al lavoratore.

3. La decisione impugnata ha congruamente risposto ai profili devoluti al suo esame dalla sentenza rescindente.

Muovendo dalla non contestata ricostruzione dei fatti secondo cui il giorno dell'infortunio, il D., aveva infornato una notevole quantità di biscotti, tra i cui ingredienti figurava anche il liquore, ed era stato investito dall'esplosione del forno, riportando lesioni personali gravi, la corte territoriale ha ritenuto che non fosse stata svolta una adeguata attività di informazione-formazione sul rischio che correva il lavoratore nell'introdurre nel forno, successivamente esploso, prodotti contenenti sostanze alcoliche, non ritenendo idoneo l'assolvimento di detto obbligo informativo dalla mera apposizione della targhetta contenente l'avvertimento di non introdurre prodotti a base alcoliche. Anche i moduli sottoscritti dal lavoratore non contenevano alcuna indicazione in ordine al corretto utilizzo del forno in questione ed attestavano la generica formazione sull'utilizzo delle apparecchiature a disposizione del lavoratore. Ma non solo, la sentenza impugnata ha messo in evidenza come il datore di lavoro, per sua stessa ammissione, non si recasse mai nel laboratorio, cosicchè era venuta meno al dovere di vigilanza sul rispetto delle norme antinfortunistiche, dovere di vigilanza che se correttamente espletato avrebbe impedito l'evento. Di fatti, era fatto notorio l'uso di detto forno anche per la preparazione di prodotti a base di sostanze alcoliche da parte dell'imputata. Secondo la testimonianza T. risultava, infatti, che egli aveva utilizzato il forno in questione anche per la preparazione di dolci contenenti alcool e che non era mai stato ripreso sulla pericolosità della condotta (cfr. pag. 10). La circostanza che il forno era utilizzato da più lavoratori, anche per la cottura di prodotti contenenti sostanze vietate e la notorietà di tale circostanza erano elementi, secondo la sentenza impugnata, che conducevano a ritenere che il comportamento del D., il giorno del fatto, fosse prevedibile, posto che tale condotta era stata tenuto da lui come da altri dipendenti in molteplici occasioni e che, dunque, la condotta del lavoratore non poteva dirsi abnorme o esorbitante (cfr. pag. 10).

4. Ora la censura della ricorrente non coglie nel segno laddove rileva che il lavoratore agiva in piena autonomia nella scelta degli ingredienti, sicchè il datore di lavoro non era a conoscenza dell'impiego di sostanze alcoliche, non essendo, all'evidenza, la circostanza rilevante. Non è, infatti, questione di conoscenza o meno dell'impiego di detta sostanza, ma di conoscenza, da parte del datore di lavoro, del non corretto utilizzo del forno che vietava l'utilizzo di dette sostanze, da cui discende, per un verso, la violazione dell'obbligo di vigilanza in capo al questi e, per altro verso, la valutazione del comportamento abnorme ed esorbitante del lavoratore che esonera la responsabilità del datore di lavoro.

Sotto questo profilo, la sentenza impugnata, ha ritenuto dimostrata la violazione dell'obbligo di vigilanza (e prima ancora dell'obbligo di informazione e formazione) sul rilievo che abitualmente, come accadde il giorno dell'incidente, il D. e gli altri lavoratori, utilizzavano il forno in questione per la cottura di prodotti contenenti la sostanza vietata (pag. 9), situazione che era fatto notorio.

Neppure rileva, ai fini dell'esclusione della responsabilità, la circostanza che vi fosse nel laboratorio un altro forno nel quale non vi era il divieto in questione, in quanto il profilo di colpa attribuito al datore di lavoro, pur nella ripartizione del rischio, era incentrato sulla mancanza di formazione e informazione e sul difetto di vigilanza in un contesto nel quale, abitualmente, si ripete, il forno in questione era utilizzato dai lavoratori del laboratorio anche per infornare prodotti espressamente vietati dalla targhetta ivi installata.

In tale contesto la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che la mancata vigilanza sul corretto funzionamento del forno era imputabile al datore di lavoro in quanto rientrante nel rischio che grava sulla sua posizione di garanzia e che il comportamento negligente del lavoratore non era imprevedibile, proprio perchè era notorio l'utilizzo di detto forno da parte dei lavoratori, sicchè non vi era stato un comportamento di carattere esorbitante ed abnorme del D. che il giorno del fatto aveva utilizzato il forno Quasar per la cottura di alimenti che non potevano essere introdotti.

Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, Musso, Rv. 275017 - 01; Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222 - 01).

5. Ciò che è stato accertato e imputato al datore di lavoro è di non avere informato il lavoratore sul rischio concreto del forno (pag. 8) e di non avere vigilato (pag. 9) visto che tutti usavano (fatto notorio) il forno nel quale era fatto divieto di impiegare nella cottura sostanze alcoliche. La sentenza impugnata con motivazione esente da profili di illogicità manifesta, risponde pienamente a quanto devoluto nella sentenza rescindente e, tenuto conto del principio di diritto, a cui doveva uniformarsi, secondo cui il datore di lavoro, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivante da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016 - Santini e altro, Rv. 266073-01), ha escluso un comportamento esorbitante del lavoratore, in presenza del quale, il datore di lavoro è esente da responsabilità.

La corte di merito ha ritenuto sussistente in capo al datore di lavoro una condotta colposa eziologicamente collegata all'evento sul duplice rilievo del mancato adempimento delle obbligazioni proprie della posizione di garanzia, segnatamente la vigilanza sul corretto utilizzo del forno da parte di tutti i lavoratori che abitualmente lo impiegavano per la cottura di sostanze vietate, e l'assenza di condotta esorbitante del lavoratore dal momento che la condotta di costui era largamente prevedibile in ragione della notorietà dell'impiego di detto forno da parte di tutti i lavoratori. Notorietà dell'utilizzo del macchinario rispetto alla quale il ricorrente non si confronta nei motivi di ricorso.

La ratio decidendi è articolata, congrua ed esente da rilievi di illogicità manifesta. La ricorrente sposta il fulcro delle censure e finisce per non confrontarsi compiutamente.

6. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato sulla base delle seguenti considerazioni.

6.1. Quanto al primo profilo di censura di contraddittorietà tra dispositivo e motivazione e alla omessa pronuncia sulla rinuncia alla prescrizione, osserva, il Collegio, che il dispositivo della sentenza impugnata, con motivazione non contestuale, conferma la sentenza di condanna del Tribunale di Palermo, in data 23/12/2015 appellata dall'imputata che condanna al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile D.P..

Nella motivazione della sentenza si legge che "all'accertata responsabilità dell' A. non può seguire, tuttavia, la condanna stante l'avvenuto decorso del termine di prescrizione per il reato per il quale si procede, mentre per il reato di cui al capo B) (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, commi 1, 2 e 4) l'originaria imputazione è già stata dichiarata prescritta dalla Corte d'appello", con la sentenza poi annullata dalla Corte di cassazione.

Risulta, peraltro, che il difensore dell'imputata, munito di procura speciale, all'udienza del 18/09/2019, aveva rinunciato alla prescrizione già maturata, al 2/06/2018, prima della rinuncia (Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017, Comat srl, Rv. 271292 - 01).

Tutto ciò premesso, è noto che, il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo (Sez. 6, n. 7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375 - 01), pur se, in motivazione, la Corte ha precisato che tale prevalenza non è automatica, bensì dipende dalle specificità del caso posto all'attenzione del giudice di legittimità. Ed allora, quanto al caso in esame, proprio in ragione dell'intervenuta rinuncia alla prescrizione, e, dunque, della richiesta di giudizio nel merito che da questa consegue, il dispositivo deve prevalere sulla motivazione che apertamente non ha valutato la rinuncia alla prescrizione. Per altro, la diversa conclusione avrebbe l'effetto di confermare la declaratoria di prescrizione in presenza di una rinuncia.

Rileva, tuttavia, il Collegio che la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, in data 23/1272015, in punto pena che era già stata in parte riformata, nella misura della pena, dalla sentenza della Corte d'appello, in data 03/02/2017, che aveva dichiarato non doversi procedere per prescrizione in relazione alla contravvenzione di cui al capo B, (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, commi 1, 2 e 4), sicchè la sentenza impugnata, che non ha tenuto conto della già intervenuta pronuncia di estinzione del reato, va annullata senza rinvio in relazione al trattamento sanzionatorio che ridetermina in mesi tre di reclusione, ovvero la misura della pena inflitta dal Tribunale di Palermo per il capo A).

6.2. Anche il secondo profilo di censura non è fondato.

Deve, anzitutto, darsi atto che la parte civile Inail era costituita parte civile nel giudizio di primo grado avanti al Tribunale di Palermo, nel quale ha formulato le conclusioni scritte e depositato nota spese all'udienza di discussione; era presente nel giudizio di appello, conclusosi con la pronuncia del 2017, giudizio nel quale erano state liquidate le spese; era presente nel giudizio di cassazione e nell'odierno giudizio di rinvio ha concluso depositando conclusioni scritte e nota spese.

Ora deve essere rammentato che nel nostro ordinamento vige il principio di "immanenza", normativamente previsto dall'art. 76 c.p.p., comma 2, secondo cui "la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo". Dall'enunciato principio discende che la parte civile, una volta costituita, deve ritenersi presente nel processo anche se non compaia, che deve essere citata nei successivi gradi di giudizio (anche straordinari, come ad esempio nel giudizio di revisione) anche se non impugnante e che non occorre, per ogni grado di giudizio, un nuovo atto di costituzione.

Si è chiarito che la parte civile costituita, che non partecipa al giudizio di appello personalmente, deve ritenersi comunque presente nel processo e le sue conclusioni, pur rassegnate in primo grado, restano valide in ogni stato e grado in virtù del principio di immanenza previsto dall'art. 76 c.p.p. (Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, Capasso, Rv. 273338 - 01) e una volta costituita deve ritenersi presente nel processo, anche se non compaia, e deve essere citata nei successivi gradi di giudizio ancorchè non impugnante sicchè l'immanenza viene meno solo nel caso di revoca espressa ovvero nei casi di revoca implicita che non possono essere estesi al di là di quelli tassativamente previsti dall'art. 82 c.p.p., comma 2, (Sez. 5, n. 39471 del 04/06/2013, Deiullis, Rv. 257199 - 01).

Nel caso di specie, si deve rilevare che la parte civile Inail ha partecipato a tutti i gradi di giudizio, ha presentato conclusioni scritte nel giudizio di primo grado avanti al Tribunale di Palermo e nel giudizio di appello nel quale alla medesima sono state liquidate le spese sostenute ed ha partecipato al giudizio di cassazione, e - sebbene non abbia impugnato la sentenza del Tribunale che non le liquidava le spese sostenute - non può ritenersi sussistente una ipotesi di revoca tacita o presunta della costituzione.

La disposizione di cui all'art. 82 c.p.p., comma 2, trova applicazione solo per il processo di primo grado (Sez. 1, n. 19380 del 25/11/2016, Rv. 270260) quando, in mancanza di conclusioni, non si forma il petitum sul quale il Giudice possa pronunciarsi, mentre le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato e grado del processo ed obbligano il giudice a pronunziare condanna anche in merito alle spese del giudizio. Non può pertanto configurarsi una situazione di revoca implicita, nè di presupposti per la revoca d'ufficio della parte civile.

7. Conclusivamente, il ricorso va rigettato, ma la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in mesi tre di reclusione. L'imputata deve, altresì, essere condannata alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile Inail che si liquidano in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in mesi tre di reclusione. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese della parte civile Inail, che liquida in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021