Cassazione Penale, Sez. 4, 25 gennaio 2021, n. 2848  - Infortunio con la macchina pellettatrice durante le operazioni di pulizia: mancanza di un temporizzatore. Responsabilità amministrativa dell'ente


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 21/10/2020
 

Fatto


1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Modena nei confronti di P.P. e S.E. ritenuti responsabili di avere, nelle rispettive qualità di legale rappresentante di Alba srl e di direttore dello stabilimento di Finale Emilia, omesso di munire degli opportuni presidi antinfortunistici, atti ad ostacolarne l'accesso all'interno con gli organi in movimento, una macchina pellettatrice, non impedendo così che il lavoratore E.HH., intento ad operazioni di pulitura , dopo aver aperto il coperchio della macchina, vi infilasse una mano mentre la pala rotante era ancora in moto per inerzia, riportandone un trauma da schiacciamento con subamputazione di quattro dita della mano destra ed indebolimento permanente dell'organo della prensione. La società Alba è stata ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo ascrittole (art. 25-septies, comma 3, d. lgs. 231/01).
2. Il convincimento dei giudici di merito traeva origine dalle testimonianze della persona offesa, costituitasi parte civile, la quale aveva affermato di essere intenta ad un'operazione di pulizia dell'interno della macchina, perché il prodotto stava uscendo "polveroso e non ben compresso" e di aver inserito la mano dopo avere spento al macchina, confidando che gli organi interni si fossero fermati; del collega della persona offesa, E.M.; del tecnico della Ausl A. che aveva riscontrato come tra lo spegnimento della macchina e l'arresto dei meccanismi interni intercorresse un tempo compreso tra 1 e 3 minuti, nel difetto di strumenti che impedissero l'apertura dell'impianto mentre i meccanismi interni erano ancora in movimento.
4. Avverso la prefata sentenza di appello gli imputati e Alba srl, a mezzo dei rispettivi difensori, propongono, con un unico atto, ricorso per cassazione, fondandolo su sei motivi con cui deducono:
4.1. Violazione degli art t . 76, 82 e 620 cod. proc. pen., in relazione alla revoca della costituzione della parte civile, avvenuta successivamente alla sentenza di primo grado, con atto del 09/05/2019, sulla quale la Corte territoriale nulla ha osservato, risultandone in conseguenza erroneamente confermate le statuizioni civili.
4.2. Violazione degli artt. 40, 41 e 42 cod. pen. e dell'art. 70, comma 2 alinea V, parte 1, punto 6, d.lgs. 81/08, nonché vizio di motivazione per avere, la sentenza impugnata, formulato un giudizio di prevedibilità del tutto astratto, omettendo altresì di verificare l'evitabilità dell'evento. Così come non avrebbe verificato il carattere esorbitante della condotta della persona offesa, essendosi limitata ad un'analisi meramente obiettiva della dinamica fattuale senza riferirsi a quanto in proposito prescritto dal DVR. L'evento, così come peraltro accertato dalla Corte di appello, sarebbe riconducibile ad una condotta di volontaria esposizione al pericolo da parte di un lavoratore fornito di tutte le conoscenze necessarie per percepirlo in quanto tale. La decisione ricorsa avrebbe dovuto spiegare perché l'assenza nel passato di eventi analoghi debba considerarsi irrilevante ai fini di escludere la prevedibilità in concreto dell'evento e perché possa dirsi ex ante prevedibile la decisione volontaria e consapevole di un lavoratore esperto e formato, qual è l'infortunato, di inserire la mano in una macchina che non aveva ancora esaurito la forza di rotazione per mera inerzia. La Corte del merito non avrebbe risposto alla specifica doglianza in ordine al rilievo che, al fine del giudizio di prevedibilità, rivestono gli esiti della valutazione del rischio avente proprio ad oggetto l'impiego della macchina pellettatrice ed i conseguenti dettami prevenzionistici formalizzati nel relativo documento. Risulterebbe, infatti, documentalmente provato che il P.P., nella sua veste di datore di lavoro, abbia predisposto un analitico documento di valutazione del rischio e un dettagliato piano di sicurezza. Le cautele ivi previste sarebbero poi completate nel protocollo di prevenzione specificamente dettato per la minimizzazione dei rischi lavorativi connessi agli "impianti per la produzione di foraggi disidratati". Quanto al giudizio di evitabilità dell'evento, risulterebbe omesso l'accertamento in merito all'effettività salvifica del comportamento alternativo lecito. Il giudice di appello si sarebbe limitato ad accertare che la macchina in questione era priva di un temporizzatore atto a consentirne l'apertura solo dopo un tempo compreso tra 1 e 3 minuti successivo allo spegnimento (tempo reputato necessario alla cessazione del moto inerziale degli organi lavoratori interni). Nulla però sarebbe detto in merito all'effettiva idoneità cautelare di tale temporizzatore qualora installato. Sul punto, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in adeguato conto la consulenza tecnica della difesa.
4.3. Violazione dell'art. 43 cod. pen. e dell'art. 70, comma 2 alinea V, parte 1, punto 6, d.lgs. 81/08, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Travisamento della prova e travisamento del fatto con riguardo all'avvenuta segregazione degli organi in movimento della macchina, laddove, in particolare, la Corte territoriale ha affermato che la pellettatrice non era segregata. È la stessa sentenza impugnata a ricordare che il sistema di chiusura del portellone, che racchiudeva gli organi lavoratori, doveva essere in taluni casi aperto; che la macchina era dotata « di un sistema di chiusura che aveva sia un microinterruttore che nel momento in cui fosse stato aperto staccava la corrente» e «di un sistema di chiusura del portellone, che era un sistema con una vite che si svitava a mano, nel giro di pochi secondi» . Quanto basta per ritenere contraddittorio, se non infondato, l'assunto secondo cui il datore di lavoro avrebbe consentito che il lavoratore svolgesse la sua mansione con una macchina insicura. Con riferimento agli obblighi cautelari "elastici" - quale quello contemplato dall'art. 70, comma 2 alinea V, parte 1, punto 6, d.lgs. 81/08 - gli obblighi, i protocolli ed ogni altro strumento di "auto-organizzazione" della minimizzazione dei rischi concorrono, a pieno titolo, ad integrare l'obbligo cautelare di fronte a pericoli non neutralizzabili per il tramite di sole misure tecniche. La mancata considerazione di questo profilo si convertirebbe, secondo la difesa, in un'erronea interpretazione della legge penale.
4.4. Erronea interpretazione della norma penale in relazione all'efficacia esimente del comportamento tenuto dalla persona offesa. Come chiarito dalla stessa e confermato dal collega, l'infortunato intendeva effettuare una "regolazione dei rulli": in relazione a questa operazione dovrà essere giudicata l'abnormità o l'esuberanza della condotta tenuta, non potendosi prescindere da un preliminare accertamento volto a stabilire se l'operazione di pulizia della trafila fosse o meno un intervento necessario allo svolgimento dell'operazione richiamata: verifica che, nel caso di specie, è del tutto mancata.
4.5. Erronea interpretazione dell'art. 5 d. lgs. 231/01 con riguardo al requisito dell'interesse in capo alla società. Il solo parametro per valutare la sussistenza dell'interesse richiesto dalla norma citata è dato dal risibile costo (euro 66,85), resosi necessario per adeguare il macchinario alle prescrizioni formulate dagli UPG: fondandosi, quindi, la responsabilità dell'ente su un risparmio bagatellare la sentenza impugnata fornisce un'interpretazione dell'art. 5 d.lgs. 231/01 del tutto scollegata dalle esigenze di garanzia sottese all'anzidetto decreto.
4.6. Erronea interpretazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per non aver tenuto in considerazione l'avvenuto risarcimento integrale del danno, nonché erronea interpretazione dell'art. 133 cod. pen. Quanto al precedente specifico di cui sarebbe gravato il P.P., esso risale al 1997; il relativo reato, peraltro, è stato dichiarato estinto con provvedimento del Tribunale di Pesaro del 30/08/2011.
 

Diritto


1. In via preliminare, il Collegio rileva la prescrizione del reato intervenuta il 24/7/2019, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello. Invero, il fatto è stato commesso in data 24/01/2012, con la conseguenza che, trattandosi di delitto, il termine massimo di prescrizione deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi, in forza del combinato disposto degli artt. 157, 160, comma 3, e 161, comma 2, cod. pen.
Non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in considerazione delle congrue, corrette in diritto e non illogiche valutazioni rese dalla Corte di appello nella sentenza impugnata: non emergendo, dunque, all'evidenza circostanze tali da imporre, quale mera "constatazione" cioè presa d'atto, la necessità di assoluzione (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv.244274), discende la pronunzia di annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione.
2. Occorre, tuttavia, procedere ugualmente alla disamina dei motivi prospettati nei ricorsi, giacché la dichiarazione di prescrizione del reato presupposto non incide sulla perseguibilità dell'illecito amministrativo già contestato alla società Alba. L'art. 60 d.Igs. 8 giugno 2001, n.231 è, infatti, chiaro nel suo contenuto normativo e comporta che l'estinzione per prescrizione del reato presupposto impedisca unicamente all'accusa di procedere alla contestazione dell'illecito amministrativo ma non impedisca di portare avanti il procedimento già incardinato. Trovano, peraltro, applicazione all'illecito amministrativo le cause interruttive della prescrizione previste dal codice civile e, pertanto, la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento (artt. 2943-2945 cod. civ.). Peraltro, la condanna per la responsabilità amministrativa, ancorché autonoma processualmente dalla condanna per la responsabilità penale, presuppone la commissione di un reato, perfetto in tutti i suoi elementi. Le ipotesi previste dall'art.8 d.lgs. n.231/2001, che esprimono il principio di autonomia delle condanne, consentono, infatti, di affermare la responsabilità dell'ente nei casi nei quali l'autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile, ovvero il reato si sia estinto per una causa diversa dall'amnistia; dal tenore della previsione si desume, pertanto, che il giudizio di responsabilità amministrativa non possa prescindere dall'accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato (Sez. 4, n. 31641 del 04/05/2018, Società Tecna Group S.r.l. e altro, Rv. 273085; Sez. 4, n. 22468 del 18/04/2018, Eurocos S.n.c., Rv. 273399).
3. Ciò detto, in accoglimento del primo motivo dei ricorsi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con riferimento alle statuizioni civili che vanno revocate, in ragione dell'intervenuta revoca della costituzione di parte civile in epoca successiva alla sentenza di primo grado e della quale, in data 07/05/2019, la stessa Corte territoriale dava atto a verbale.
Prima di procedere alla valutazione dei restanti motivi, occorre ricordare che la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella di primo grado per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito, come nel caso in esame, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (ex multis, Sez. 2 , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, in motivazione).
Va altresì ribadito che compito del giudice di legittimità, nel sindacato sui vizi della motivazione, non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
4. Nel caso di specie, entrambe le sentenze di merito hanno fornito motivazioni corrette in diritto, esaustive ed immuni dalle sollevate censure.
Esse hanno, in primo luogo, motivatamente disatteso l'assunto difensivo secondo il quale l'operazione per la cui esecuzione la persona offesa aveva inserito la mano destra nella macchina riguardava la mera regolazione dei rulli per la quale non era necessario aprire la macchina. Dalle dichiarazioni dell'infortunato era, infatti, risultato che l'intervento sulla macchina pellettatrice trovava ragione nella necessità di pulirla, perché il prodotto era polveroso e non ben compresso e si rendeva necessario liberare la trafila dal prodotto residuo, per poi avvicinarvi i rulli. Il giudice di appello ha affermato che la ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dalla persona offesa, oltre ad essere stata riscontrata dal collega di lavoro, E.M., «appare intrinsecamente logica e lineare, non essendo altrimenti logicamente giustificabile l'inserimento della mano all'interno del meccanismo, oltretutto da parte di un lavoratore esperto, da anni deputato a tale mansione».
Sul punto, il primo giudice evidenzia che, diversamente dall'operazione di regolazione dei rulli, quella di pulitura, operazione necessaria allorché si verifichino imperfezioni nella produzione, richiedeva inevitabilmente l'introduzione delle mani del lavoratore all'interno della macchina la quale è risultata priva dei presidi di sicurezza che avrebbero consentito di procedere all'operazione con gli organi lavoratori fermi. In particolare, difettava, a detta dei giudici di merito, l'installazione di un temporizzatore. Sull'effettiva idoneità cautelare di tale temporizzatore, la pronuncia di primo grado ricorda che, in adempimento alla prescrizione, rivolta dalla Ausl alla società, di munire la macchina di un temporizzatore, Alba srl ebbe ad installarlo su altre due macchine identiche, essendo stata dismessa quella di cui all'odierno procedimento perché vetusta.
Si è inoltre evidenziato che la mancanza, da circa un mese, di uno dei due dadi (quello più lontano dal microinterruttore) che chiudevano il portellone, non ripristinato in quanto non necessario per il funzionamento della macchina, rendeva agevole l'introduzione delle mani prima che la macchina fosse ferma, atteso che dallo spegnimento della macchina passava un tempo variabile (a seconda del tipo di prodotto) da uno a tre minuti prima che gli organi lavoratori cessassero di ruotare. È stata, pertanto, mantenuta in azienda, affermano le sentenze di merito, una macchina, che consentiva ai lavoratori di introdurre le mani mentre gli organi lavoratori erano ancora in moto.
Il caso di specie, peraltro, sostengono i giudici di merito, non ha rappresentato l'unica occasione in cui è stata effettuata l'anzidetta operazione di pulizia, in carenza di sicurezza, come si desume dall'affermazione della persona offesa secondo cui poteva accadere, anche in presenza dei due dadi che, all'apertura del portellone, la macchina fosse ancora in movimento.
4.1. Del tutto infondata appare anche la questione del preteso comportamento abnorme del lavoratore. Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro.
Ora, le sentenze di merito hanno ben evidenziato come la condotta posta in essere dall'infortunato non possedesse affatto queste caratteristiche, collocandosi, invece, nell'ambito dell'attività che l'operaio doveva esplicare, e, dunque, costituendo un comportamento pienamente prevedibile, attesa la tendenza dei lavoratori ad accelerare i tempi del loro lavoro nonché la sottovalutazione dei rischi e delle difficoltà di quelle operazioni che si è soliti compiere in modo ripetitivo.
La Corte di cassazione, peraltro, ha da tempo chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l'evento sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni.
Deve perciò rilevarsi che le considerazioni svolte in sede di merito si collocano appieno nell'alveo dell'orientamento espresso ripetutamente dalla Corte di legittimità, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia. Questa Suprema Corte, infatti, ha affermato che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sui garanti risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. La giurisprudenza di legittimità ha così, più volte, sottolineato che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica; e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il comportamento del lavoratore - come è avvenuto nel caso di specie - rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007, Masi e altro, Rv. 236109).
4.2. Parimenti infondata la doglianza in ordine al fatto che i giudici della cognizione avrebbero appuntato la propria attenzione sulla dinamica meramente fattuale dell'infortunio senza tener conto di quanto in proposito prescritto dal DVR. Evidenzia il primo giudice sul punto che «non era sufficiente l'individuazione del rischio di schiacciamento e di trascinamento nei macchinari», individuato nell'anzidetto documento, se poi ad esso non aveva fatto seguito l'adozione delle misure necessarie per neutralizzare il ravvisato rischio, consistenti nell'installazione di semplici dispositivi di sicurezza sulla macchina e nella rigorosa vigilanza da parte degli addetti.
Deve pertanto conclusivamente rilevarsi sul punto che le conformi valutazioni effettuate dai giudici di merito, in ordine alla riferibilità causale dell'evento lesivo agli imputati, sono del tutto immuni dalle sollevate censure.
4.3. Va, altresì, disatteso il motivo secondo cui non si sarebbe tenuta in adeguato conto la consulenza tecnica della difesa, atteso che, sullo specifico punto, la pronuncia di primo grado ha reputato destituite di fondamento le argomentazioni del consulente della difesa, ing. Antonio Santese, per non avere questi esaminato la macchina su cui si è verificato l'infortunio, né alcuna delle altre, identiche, macchine presenti nello stabilimento; né mai egli si è recato nello stabilimento di Finale Emilia. Sostiene il Tribunale che la mancata corrispondenza tra la macchina visionata dal consulente e quella oggetto del processo non ha consentito di ritenere pertinenti le sue osservazioni. Evidenzia, in secondo luogo, che le argomentazioni del consulente muovevano dal presupposto che l'operazione che il lavoratore doveva svolgere fosse quella di regolazione dei rulli, la quale non richiedeva l'introduzione della mano, trascurando, invece, di considerare che il sinistro si era verificato nell'operazione prodromica di pulizia della trafila.
5. Manifestamente infondato è poi il terzo motivo. Non sussiste alcun vizio di motivazione né alcun travisamento della prova. Il funzionario della Ausl di Modena, A., aveva sì riferito, come si legge in motivazione, che la macchina pellettatrice era dotata di un sistema di chiusura dotato di un microinterruttore che, nel momento in cui si fosse aperta, staccava la corrente, ma aveva più volte precisato che il problema stava notevole inerzia della massa che continuava a ruotare per un tempo che variava da uno a tre minuti, mentre il sistema di chiusura del portellone, con una vite e un dado svitabile a mano, si poteva aprire nel giro di venti secondi.
6. Il motivo sulle attenuanti generiche ( sesto motivo) resta assorbito dalla decisione di prescrizione del reato.
7. Il quinto motivo è infondato.
Con riguardo all'imputazione oggettiva della responsabilità all'ente, l'art. 5 d.lgs. n. 231/2001 ne individua i criteri nel fatto che i reati presupposti (in questo caso, un reato colposo di evento) siano commessi nell'interesse o nel vantaggio, anche non esclusivi, dell'ente, da persone che rivestano funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o gestione (anche di fatto) oppure da dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza di uno di tali soggetti, non rispondendo l'ente qualora le persone predette abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. Le Sezioni Unite (sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv 261112-261113-261114-261115), soffermatesi sulla natura del nuovo sistema sanzionatorio e sui profili di legittimità costituzionale dello stesso, hanno affermato, richiamandosi anche alla Relazione governativa al decreto legislativo, che i due criteri d'imputazione dell'interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come confermato dalla congiunzione disgiuntiva "o" presente nel testo della disposizione, dovendosi, tali concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d'evento, intendersi riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico, essendo questa l'unica interpretazione che non svuoti di contenuto la previsione normativa e che risponda alla ratio dell'inserimento dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose nell'elenco dei reati fondanti la responsabilità dell'ente, in ottemperanza ai principi contenuti nella legge delega: così è indubbio che la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazioni di normative antinfortunistiche non rispondano all'interesse della società o non procurino alla stessa un vantaggio, palesandosi invece indubbio che un vantaggio per l'ente possa essere ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l'infortunio sul lavoro. I termini "interesse" e "vantaggio", dunque, esprimono concetti giuridicamente diversi e possono essere alternativi. Questa alternatività emerge - oltre che, come si è detto sopra, dall'uso della congiunzione "o" da parte del legislatore nella formulazione della norma in questione - da un punto di vista sistematico, dalla norma di cui all'art. 12, comma 1 lett. a), che prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l'autore abbia commesso il reato nell'interesse proprio o di terzi e l'ente non ne abbia ricavato vantaggio o ne abbia ricavato un vantaggio minimo, il che implica astrattamente che il reato possa essere commesso nell'interesse dell'ente, ma non procurargli in concreto alcun vantaggio. Ne consegue che (Sez. 2, sent. n. 3615 del 20/12/2005, dep. 2006, Rv. 232957) il concetto di "interesse" attiene ad una valutazione antecedente la commissione del reato presupposto, mentre il concetto di "vantaggio" implica l'effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del reato (afferendo, pertanto, ad una valutazione ex post).
Parimenti, costituisce principio ormai consolidato quello secondo cui, in materia di responsabilità amministrativa con riguardo all'art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001, l'interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell'ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all'aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale (sempre sul punto, Sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn ed altri). In altri termini, nei reati colposi, l'interesse e/o vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l'ente dovrebbe sostenere per l'adozione delle misure precauzionali ovvero nell'agevolazione dell'aumento di produttività che può derivare, per l'ente, dallo sveltimento dell'attività lavorativa, "favorita" dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, ne avrebbe "rallentato" i tempi.
7.1. Inquadrata in questi termini la questione, la motivazione della condanna della società Alba regge al vaglio di legittimità, ove si consideri quanto sopra ricordato in merito all'utilizzo e al mantenimento in azienda di una macchina pellettatrice che, anche per la sua vetustà, è risultata priva di dispositivi di sicurezza i quali, se presenti, avrebbero evitato l'infortunio occorso a E.HH.. Al riguardo, la sentenza di primo grado esplicita compiutamente le ragioni dell'addebito all'ente consistenti proprio nel mantenimento, nel ciclo produttivo, di un macchinario vecchio e non aggiornato in conformità alla normativa di prevenzione e neppure ripristinato nelle sue originarie condizioni di efficienza (si pensi al secondo dado non funzionante al momento del sinistro). Il delitto di di lesioni colpose può, pertanto, ben dirsi commesso nell'interesse dell'ente «in quanto la condotta omissiva del legale rappresentante, da cui deriva causalmente l'evento lesivo, ha consentito alla società un risparmio di spesa (non è stato acquistato un macchinario nuovo; quello vetusto non è stato modificato così da consentire ai lavoratori di operarvi in sicurezza...».
Infine, occorre ricordare che la responsabilità dell'ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose, commesse da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, può essere esclusa soltanto dimostrando l'adozione e l'efficace attuazione di modelli organizzativi (art. 30 del d.lgs. n. 81/2008) e l'attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l'aggiornamento e l'osservanza dei modelli adottati. Sennonché, nel caso di specie, non risulta che l'ente abbia provato la sussistenza delle circostanze che avrebbero potuto escluderne la responsabilità ai sensi dell'art. 6 d. lgs. n. 231/2001.
8. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con riferimento alle statuizioni civili, che vanno revocate; deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Il ricorso va, invece, rigettato con riferimento alla statuizione sulla responsabilità dell'ente.

 

P.Q.M.
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alle statuizioni civili, che revoca. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso con riferimento alla statuizione sulla responsabilità dell'ente.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020
Così deciso il 21 ottobre 2020