Cassazione Penale, Sez. 4, 03 febbraio 2021, n. 4072 - Lavoro in quota di rimozione delle plafoniere: mezzi totalmente inadeguati e mancanza di formazione e informazione


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 11/12/2020
 

 

Fatto



1. La Corte d'appello di Torino, con sentenza emessa in data 25 giugno 2019, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Torino, ha ridotto la pena inflitta a B.C., in quella di euro 250,00 di multa, revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso all'imputato in primo grado. Ha altresì revocato ogni statuizione civile.
All'imputato era addebitato il reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per avere, nella qualità di amministratore della "Metaltemple Italia s.p.a.", datore di lavoro di R.M., cagionato al suddetto dipendente lesioni personali gravi.
Si legge nel capo d'incolpazione che l'imputato aveva, per colpa generica ed in violazione degli artt. 71, comma 7, e 28, comma 2, d.lgs. n. 81/2008 disposto o consentito che il dipendente R.M. effettuasse l'operazione di rimozione di plafoniere all'interno dello stabilimento industriale dell'azienda, ricadente in Bruzolo, mediante suo posizionamento su un trabattello - il cui tavolato era posto all'altezza di m. 4,36 dal suolo - con l'ausilio di un collega di lavoro, L.A., che conduceva, nelle immediate adiacenze del trabattello, un carrello elevatore munito di forche e di cassone, all'interno del quale venivano raccolte le plafoniere rimosse. Il L.A., che non aveva ricevuto alcuna formazione sulla guida del mezzo, durante l'operazione, agganciava la struttura metallica del trabattello con le forche, facendo ribaltare e cadere al suolo R.M..
I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, ritenevano dimostrata la responsabilità dell'imputato, sostenendo che il datore di lavoro, il quale aveva impartito l'ordine di rimozione delle plafoniere, non si fosse curato della valutazione dei rischi correlati alla necessità di effettuare tale lavoro in quota; non avesse previsto misure atte a prevenire i rischi correlati a detta attività, tanto più che i lavoratori avevano a disposizione attrezzatura inadeguata, consentendo che l'operazione di rimozione avvenisse mediante utilizzo del muletto, modalità altamente pericolosa.
2. Avverso la sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato a mezzo del difensore, il quale articola i seguenti motivi di ricorso (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
I) Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, ex art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.; violazione degli artt. 516, 521 e 604 cod. proc. pen.; indeterminatezza del capo di imputazione e difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. nullità della sentenza ex art. 522 cod. proc. pen.
La sentenza oggetto di gravame, secondo la difesa, dovrebbe ritenersi nulla ai sensi dell'art. 522 cod. proc. pen., in quanto emessa in violazione delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di cui al combinato disposto degli artt. 516, 521 e 604 cod. proc. pen., in considerazione dell'assoluta indeterminatezza del capo di imputazione e, in ogni caso, per difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. Come già dedotto nei motivi d'appello, assume la difesa, il capo di imputazione formulato dal Pubblico Ministero risulterebbe affetto da assoluta genericità ed indeterminatezza, ponendo a carico dell'imputato la contestazione di condotte "alternative", tra loro palesemente differenti, con conseguente violazione del diritto di difesa.
II) Mancata assunzione di una prova decisiva in violazione degli artt. 507 e 603 cod. proc. pen.; omessa motivazione sul punto nella sentenza impugnata.
La Corte di merito ha fatto riferimento, ai fini di escludere l'assoluta necessità di un'integrazione istruttoria, alla sola perizia avente ad oggetto la dinamica dell'incidente occorso ai dipendenti, omettendo qualsivoglia riferimento all'ulteriore istanza istruttoria (già rigettata dal Tribunale e reiterata nei motivi di appello) concernente l'escussione del teste S. Massimiliano. Con riferimento a tale prova testimoniale, mancando in sentenza ogni riferimento, non è dato conoscere se la Corte territoriale abbia preso in considerazione la richiesta istruttoria e quale valutazione abbia guidato i giudici nel non prendere in considerazione la richiesta.
Tale omissione costituirebbe, con ogni evidenza, violazione dell'onere di motivazione
III) Violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen.; mancanza di motivazione in relazione alla determinazione della pena.
IV) Inosservanza della legge penale in relazione all'art. 69 cod. pen., mancanza di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020) il P.G. e la difesa dell'imputato.
Il P.G. ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.
La difesa si è riportata ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento. In subordine, ha chiesto la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

 

Diritto
 



1. I motivi di doglianza risultano manifestamente infondati, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Quanto alla prima deduzione, secondo consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una condotta dell'imputato tale da richiedere un approfondimento dell'attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, è legittima la contestazione di imputazioni alternative, sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi, in quanto tale metodo risponde ad un'esigenza della difesa, posto che l'imputato è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale (così Sez. 1, n. 2112 del 22/11/2007, dep. 15/01/2008, Laurelli, Rv. 238636 - 01; conforme Sez. 5, n. 51252 del 11/11/2014, Saccomani e altro,Rv. 262121 - 01).
Peraltro, proprio in materia di reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o una mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere [cfr. Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 04/05/2005, Rv. 232427 - 01; conforme Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro e altro, Rv. 260161 - 01, così massimata: "In tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali E , come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori)"; Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, P.C. in proc. Di Landa, Rv. 273265 - 01: "Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice. (Nella fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione)"].
Deve anche aggiungersi comi , ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., è del tutto consolidato l'orientamento in base al quale debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo che sia assicurato all'imputato di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (ex multis Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Rv. 257278 - 01).
Alla luce di tali principi non si rinvengono in atti i lamentati profili di inosservanza delle norme processuali richiamate nel ricorso: la formulazione in un'unica imputazione di condotte alternative non si traduce nell'asserita indeterminatezza del capo di imputazione e non si risolve nella reclamata lesione del diritto di difesa, peraltro solo genericamente prospettata nell'atto di ricorso. Deve aggiungersi che l'impiego della disgiuntiva tra i due verbi che descrivono la condotta del ricorrente e delineano l'ambito del thema probandum del giudizio ("disporre" o "consentire"), non è suscettibile di ingenerare alcun equivoco sugli argomenti da affrontare nell'attività difensiva.
I giudici di merito, dal canto loro, hanno chiarito in motivazione che il ricorrente ha dato disposizione di smontare le plafoniere, disinteressandosi dell'adozione di ogni forma di misura diretta alla salvaguardia della salute dei lavoratori, con conseguente violazione delle norme indicate in imputazione.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.
La Corte di merito ha offerto congrua risposta alle doglianze difensive, pervenendo, dopo attenta analisi, ad una compiuta ricostruzione della vicenda, del tutto logica ed aderente alle risultanze processuali rappresentate in sentenza, nonché, ad una corretta individuazione dei profili di responsabilità esistenti a carico dell'imputato. Si legge in motivazione che il B.C., dopo avere dato incarico al dipendente R.M. di smontare le plafoniere installate sul soffitto del magazzino, attività che implicava un lavoro da effettuarsi in quota, non si curò in alcun modo di valutare e prevenire i rischi collegati a tale attività, consentendo che l'operazione venisse compiuta con mezzi totalmente inadeguati e senza alcuna formazione e informazione.
La difesa si duole della incompletezza e della mancanza di esaustività del tessuto argomentativo della sentenza, affermando che non sarebbe stata assunta una prova decisiva, rappresentata dalla testimonianza di S.Massimiliano, all'epoca dei fatti dipendente della società, con qualifica di responsabile del personale. Il primo giudice, lamenta il difensore, aveva rigettato la richiesta di integrazione probatoria e la Corte di appello, investita della doglianza e sollecitata a provvedervi, ai sensi dell'art. 603 cod. proc.pen., non ha fornito alcuna risposta.
Ebbene, occorre rilevare come, nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sia istituto di carattere eccezionale, vigendo, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al giudice di primo grado.
L'articolo 603, comma 1, cod. proc. pen. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, ma subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (cfr. Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv. 266820 - 01, così massimata: "La rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti").
Nell'alveo dell'orientamento interpretativo richiamato, la Suprema Corte ha anche ribadito che l'esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto in caso di ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi - per il caso di mancata rinnovazione - l'esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità [cfr. Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, Messina e altro, Rv. 245009: "Il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fondi su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità"; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, Rv. 259893 - 01: "Il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo. (Fattispecie in cui la Corte d'appello aveva disatteso una richiesta di acquisizione di tabulati telefonici, ed aveva condannato l'imputato valorizzando le sue dichiarazioni confessorie)].
Ebbene, il diniego dell'assunzione della prova richiesta si desume, per implicito, dal complessivo tessuto argomentativo della motivazione, avendo il giudice dato conto, in modo esaustivo, delle ragioni in forza delle quali ha ritenuto di poter decidere senza ulteriori approfondimenti istruttori. Il fatto che la Corte di merito, nel passaggio motivazionale citato nel ricorso, abbia fatto riferimento alla sola richiesta di integrazione probatoria riguardante la perizia, non introduce elementi di distonia nella motivazione: sebbene si faccia riferimento per esplicito alla sola perizia, la Corte di merito, conclude affermando, in senso più generale, che la vicenda "appare evidente in tutte le sue implicazioni".
4. Manifestamente infondate si appalesano le doglianze in punto di trattamento sanzionatorio (motivi quarto e quinto del ricorso) . La Corte di merito ha ritenuto equo rideterminare la pena inflitta all'imputato in quella di euro 250 di multa, correggendo l'errore in cui era incorso il giudice di primo grado, il quale, nel concedere le circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, aveva determinato la pena in euro mille di multa, ritenendo, erroneamente, che la cornice edittale di riferimento fosse quella di cui all'art. 590, comma 2, cod. pen.
E' evidente come i giudici di appello abbiano lasciato intatto il giudizio di bilanciamento operato in primo grado (come risulta dal seguente passaggio motivazionale: "per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la forbice edittale da prendere in considerazione per l'irrogazione della pena pecuniaria è quella del I comma dell'art. 590 c.p.")
Il complesso della motivazione espressa in sentenza, in cui si colgono precisi riferimenti al grado della colpa del ricorrente ed alla pericolosità della situazione venuta in essere, è certamente idoneo a giustificare il trattamento sanzionatorio applicato, non corrispondente al minimo edittale ma, neppure, al massimo della pena pecuniaria prevista in alternativa a quella detentiva. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, la specifica e dettagliata motivazione, in ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il mero richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596). Va aggiunto che, in tema di reati puniti alternativamente con la pena detentiva o pecuniaria, la scelta del giudice di applicare la meno grave sanzione pecuniaria, neppure nel massimo edittale, deve ritenersi sufficientemente giustificata dalla qualificazione di essa come "equa" o "congrua" e dal mero richiamo delle circostanze indicate nell'art. 133 c.p., ove tali circostanze e la loro rilevanza, sul piano della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo, risultino già desumibili dal complesso della motivazione (così Sez. 1, n. 8560 del 18/11/2014, Merenda, Rv. 262552 - 01: «In tema di reati puniti alternativamente con la pena detentiva o pecuniaria, la scelta del giudice di applicare la meno grave sanzione pecuniaria, anche se in misura superiore a quella media tra il minimo e il massimo edittale, deve ritenersi sufficientemente giustificata dalla qualificazione di essa come "congrua" o "equa" e dal mero richiamo alle circostanze indicate all'art. 133 cod.pen., ove la rilevanza di queste, in relazione alla gravità del reato ed alla capacità a delinquere del reo, risultino già desumibili dal complesso della motivazione»).
Quanto alla richiesta di riconoscere le circostanze attenuanti generiche in rapporto di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti, è sufficiente richiamare gli orientamenti consolidati di questa Corte, in base ai quali, poiché il giudizio di comparazione tra opposte circostanze implica una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, esso sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da adeguata motivazione, tale dovendo ritenersi anche quella che, per giustificare la soluzione dell'equivalenza, si sia limitata a ritenerla più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto, con il richiamo a formule di equità, congruità et similia (Sez. Un., n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell 18/6/2017; Pennelli, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007,. Montanine Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
5. La inammissibilità del ricorso esclude che possa farsi luogo alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 - 01: "L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.").
6. Consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso in data 11 dicembre 2020