Cassazione Penale, Sez. 3, 19 ottobre 2020, n. 28837 - Violenza sessuale del direttore di un supermercato ai danni della segretaria. Abuso di autorità



 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente -

Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere -

Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere -

Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere -

Dott. MENGONI Enrico - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

C.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/06/2019 della Corte d'appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Baldi Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per la parte civile l'avv. Marco Beccia che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;

udito l'avv. M.A. Cestra che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.



Fatto


1. Con sentenza del 12 giugno 2019, la Corte d'appello di Roma, decidendo a seguito dell'appello del Procuratore generale e della parte civile avverso la sentenza del Tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., con la quale era stata dichiarata l'improcedibilità per difetto di querela, previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 604 c.p.p., comma 6, ha ritenuto C.M. colpevole del reato di cui all'art. 609 bis c.p., per avere, quale direttore del supermercato Panorama, con violenza e minaccia, costretto la dipendente S.V. a subire atti sessuali, segnatamente toccamenti del seno e avvicinamento della mano della vittima ai suoi genitali, e con il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione.

Con la medesima sentenza ha condannato l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile con liquidazione di una provvisionale di Euro 10.000,00 e ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale.

1.1. Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 20 gennaio 2016, alla prima udienza dibattimentale a seguito di mutamento del collegio giudicante, alla presenza delle parti, con espresso diniego di rinnovazione degli atti istruttori mediante lettura espresso dal difensore dell'imputato, su richiesta del medesimo, in presenza di opposizione del Pubblico Ministero e della parte civile, pronunciava sentenza, ex art. 129 c.p.p., per difetto della condizione di procedibilità.

Investita dell'impugnazione del Procuratore generale e della parte civile, la Corte d'appello di Roma, respinta l'eccezione di inammissibilità dell'appello avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 129 c.p.p. da qualificarsi, secondo la difesa del ricorrente, come resa ai sensi dell'art. 469 c.p.p. e, dunque, impugnabile solo con il ricorso per cassazione; respinta l'ulteriore eccezione di improcedibilità per difetto di querela, all'esito della rinnovata istruttoria dibattimentale, ha ritenuto provati i fatti, come descritti nel capo di imputazione, sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dipendente dell'esercizio commerciale Panorama, segretaria dell'imputato.

Secondo il narrato della persona offesa, che ha trovato riscontri in altri fonti testimoniali, l'imputato dopo la pausa pranzo si era avvicinato alla postazione lavorativa della stessa e postosi alle sue spalle, da tergo, le aveva appoggiato una mano sulla spalla per poi scendere e palpeggiare il seno, in seguito le aveva preso la mano per posarla sui suoi genitali accompagnando l'azione con la frase sussurrata all'orecchio "non lo dire a nessuno". La persona offesa aveva raccontato nell'immediatezza l'accaduto, al telefono, al responsabile della sicurezza e successivamente al responsabile del personale che avevano confermato il racconto. La versione difensiva dell'imputato (reciproche effusioni) era disattesa in quanto ritenuta inverosimile a fronte delle contrarie risultanze processuali.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 120 c.p., artt. 336 e 529 c.p.p..

La Corte d'appello avrebbe erroneamente respinto l'eccezione di improcebilità per difetto di querela. La persona offesa si era presentata alla Stazione dei Carabinieri di Roma Settecamini in data 19/10/2011 e, in quella sede, si era limitata ed esporre i fatti in assenza di una esplicita o implicita manifestazione di un intento punitivo, sicchè l'atto doveva essere qualificato quale "denuncia". A sostegno della qualificazione dell'atto quale denuncia vi sarebbe anche la circostanza che successivamente, la persona offesa si era recata, ad integrare la denuncia in data 26 ottobre 2011, esponendo ulteriori fatti senza manifestare alcuna esplicita o implicita volontà di perseguire l'autore del reato. La persona offesa non avrebbe mai manifestato alcun intento punitivo nei confronti dell'imputato e gli operanti di p.g. avrebbero ratificato semplicemente quanto contenuto nel relativo atto di denuncia e a raccogliere il racconto dei fatti. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la manifestazione di volontà può essere ritenuta esistente dal giudice del merito con accertamento sottratto al sindacato di legittimità se rispondente a regole della logica e del diritto indipendentemente dalla qualifica assegnata alla dichiarazione orale dalla polizia giudiziaria. La Corte d'appello avrebbe ritenuto sussistente la procedibilità dando rilievo al verbale di ratifica in applicazione di un orientamento giurisprudenziale superato e contrario con il generale principio in dubio pro reo. Neppure con l'atto di costituzione di parte civile sarebbe rinvenibile la manifestazione di volontà di perseguire l'imputato. Nè potrebbe attribuirsi alcun effetto sanante alla risposta data dalla persona offesa alla domanda del Procuratore generale a lei rivolta circa la volontà di chiedere la punizione dell'imputato nel momento in cui aveva presentato la denuncia.

2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 469, 129 e 570 c.p.p., art. 591 c.p.p., comma 4 e art. 593 c.p.p..

La Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto la sentenza, emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., appellabile, laddove la stessa sarebbe da qualificarsi quale sentenza predibattimentale emessa ai sensi dell'art. 469 c.p.p. impugnabile solo con il ricorso per cassazione. Il Tribunale avrebbe pronunciato la sentenza ex art. 129 c.p.p. emessa nella sede degli atti introduttivi conseguente al mancato consenso alla rinnovazione degli atti mediante lettura per modifica del collegio giudicante. Tale sentenza dovrebbe qualificarsi ai sensi dell'art. 469 c.p.p. e sarebbe inappellabile per espressa previsione, non rientrando nei casi di appello ex art. 593 c.p.p. prima della riforma ai sensi del D.Lgs. n. 11 del 2018, con decorrenza 06/03/2018.

2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'art. 192 c.p.p. e violazione del canone di valutazione della prova testimoniale. La Corte d'appello non avrebbe esercitato il necessario controllo di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa tenuto conto della circostanza che la stessa si era costituita parte civile.

2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'art. 192 c.p.p. travisamento della prova. La Corte d'appello non avrebbe ricercato un valido riscontro alle dichiarazioni della persona offesa limitandosi ad accogliere passivamente le dichiarazioni di costei stravolgendo le dichiarazioni rese dagli altri testimoni B., R. e G.. Con motivazione apodittica e preconcetta la corte territoriale avrebbe disatteso la versione resa dell'imputato.

2.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'erronea applicazione dell'art. 609 bis c.p. la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la fattispecie di violenza sessuale che presuppone quale elemento costitutivo una condotta di costrizione mediante violenza, minaccio o abuso di autorità intesa, quest'ultima quale posizione autoritativa di tipo formale pubblicistico non sussistente nel caso concreto.

2.6. Con il sesto motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p..

3. Il difensore dell'imputato ha depositato motivi aggiunti con cui ha insistito nell'accoglimento del ricorso.

4. La difesa di parte civile ha depositato memoria con cui, in replica ai motivi di ricorso dell'imputato, ha chiesto il rigetto di questo.

5. In data 4 settembre 2020, il difensore dell'imputato ha depositato memoria, ex art. 121 c.p.p., con cui ha insistito nell'accoglimento del ricorso ribadendo le argomentazioni già svolte nel ricorso principale e nei motivi aggiunti.

6. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, il rigetto del ricorso.

 

Diritto


1. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza.

Seguendo l'ordine logico dei motivi va dapprima scrutinato il secondo motivo di ricorso (e collegato motivo aggiunto) con cui si deduce l'inammissibilità dell'atto di appello sul presupposto che la sentenza del Tribunale di Roma, che ha pronunciato, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'improcedibilità per difetto di querela, sarebbe stata emessa ai sensi dell'art. 469 c.p.p. e come tale era inappellabile.

La corte territoriale, dato atto che a seguito di mutamento del collegio giudicante il processo era regredito alla fase di apertura del dibattimento davanti ad un diverso collegio (quello che ha pronunciato la sentenza poi appellata), ha ritenuto che la sentenza del tribunale di Roma doveva essere qualificata quale sentenza dibattimentale, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., e come tale appellabile secondo il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità per il quale la sentenza che dichiara l'improcedibilità dell'azione penale o l'estinzione del reato, se pronunciata in pubblica udienza dopo la costituzione delle parti, va comunque considerata come sentenza dibattimentale ed è, pertanto, soggetta all'appello, qualunque sia il "nomen iuris" attribuitole dal giudice (Sez. 5, n. 14690 del 21/02/2020, Gloria, Rv. 279077 - 01; Sez. 4, n. 48310 del 28/11/2008, Rv. 242394 - 01). Inoltre, continua la sentenza, non ricorrevano i presupposti di cui all'art. 469 c.p.p. in quanto il Pubblico Ministero aveva chiesto il rigetto della richiesta di declaratoria di improcedibilità, sicchè mancava il presupposto normativo della mancata opposizione delle parti.

Giustamente la sentenza impugnata ha qualificato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, quale sentenza dibattimentale.

E' dirimente rilevare che all'udienza dibattimentale del 20 gennaio 2016, il Tribunale, sentite le parti e dato atto che la difesa non prestava consenso alla lettura degli atti, "rinnova la dichiarazione di apertura del dibattimento..." (cfr. aff. 116). Dunque, come ritenuto dalla decisione impugnata, la sentenza del Tribunale di Roma era una sentenza dibattimentale e come tale appellabile. Le argomentazioni difensive che si appuntano sulla necessità o meno dell'apertura del dibattimento perdono, nel caso concreto, rilevanza. Allo stesso modo non è invocabile il dictum delle S.U. 3027/2001 che hanno affermato l'inammissibilità dell'impugnazione della parte civile avverso la sentenza emessa ex art. 469 c.p.p. non essendo, quella in esame, una sentenza predibattimentale.

La sentenza è stata, quindi, appellata dal Pubblico Ministero, dal Procuratore generale e dalla parte civile.

2. Anche il primo motivo di ricorso (e collegato motivo aggiunto) non è fondato.

Con riguardo a tale motivo deve osservarsi come la giurisprudenza di questa Corte sia unanime nel ritenere che, ai fini della validità della querela, non sono richieste formule sacramentali, essendo sufficiente la inequivoca manifestazione di volontà di perseguire penalmente il soggetto indicato. Si è chiarito, in particolare, che assume rilievo decisivo il significato tecnico dell'espressione adoperata (Sez. 5, n. 42994 del 14/09/2016, Rv. 268201 - 01), ed ancora, di recente, che ai fini della validità della querela, la manifestazione della volontà di perseguire l'autore del reato, è univocamente desumibile dall'espressa qualificazione dell'atto, formato dalla polizia giudiziaria, come "verbale di denuncia querela", qualora l'atto rechi la dichiarazione, sottoscritta dalla persona offesa "previa lettura e conferma", di sporgere "la presente denuncia - querela" (Sez. 4, n. 3733 del 07/11/2019, Scalise, Rv. 278034 - 01).

Si è altresì specificato che la verifica circa la volontà di querelarsi o meno costituisce giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, semprechè l'interpretazione di tale volontà, in tutti i suoi elementi, sia compiuta in conformità ai canoni logico-giuridici di ermeneutica (Sez. 3, n. 10254 del 12/02/2014, Q., Rv. 258384 - 01; Sez. 5 n. 8034, 18/06/1999; Sez. 3 n. 14035, 13/12/1986).

Facendo riferimento alle norme che specificamente riguardano la formalità della querela, l'art. 337 c.p.p., nel richiamare il precedente art. 333 c.p.p., dispone che la querela può essere presentata oralmente o per iscritto, personalmente o per mezzo di procuratore speciale. In caso di presentazione orale è prevista la redazione di un verbale, che deve essere sottoscritto dal querelante; mentre, con evidente riferimento all'ipotesi della querela per atto scritto, il comma 4 dispone che l'autorità che riceve la querela provvede all'attestazione della data e del luogo della presentazione, all'identificazione della persona che la propone ed alla trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero. Nella prassi, a siffatti incombenti si provvede con la redazione di verbale di ratifica o convalida.

Ciò posto, deve evidenziarsi che la corte territoriale ha rilevato che la "denuncia" era stata predisposta personalmente dalla parte e che il verbale di ratifica di "querela" era stato personalmente sottoscritto dalla parte lesa (si legge: "ratifica la querela nei confronti di C.M. per molestie sessuali e per quant'altro ravvisabile dall'A.G.") e dal significato letterale del verbale di ratifica di "querela" personalmente sottoscritto dalla parte lesa (accertamento di fatto non contestato dal ricorrente), ha ritenuto inequivoca la volontà di procedere nei confronti del C..

Le argomentazioni sviluppate sul punto dalla Corte d'appello appaiono pienamente condivisibili in quanto giuridicamente corrette e perfettamente allineate ai principi dianzi richiamati. Del resto, una risalente e mai smentita decisione di questa Corte di legittimità ha ritenuto che la volontà di chiedere la punizione del colpevole non è sottoposta a particolari formalità e può ricavarsi dall'esame dello stesso atto di querela: a tal fine è quindi sufficiente che la denuncia di un fatto costituente reato, alla P.G., venga successivamente ratificata, dovendosi dedurre da tale comportamento la implicita volontà di perseguire penalmente l'autore dei fatti denunciati (Sez. 5, n. 11726 del 16/10/1997, Orlando, Rv. 209272 - 01).

3. Venendo ai motivi di merito, essi sono parimenti infondati ed anche in parte inammissibili laddove sollecitano questioni di merito, di rivalutazione del fatto non consentite in questa sede e in parte non sorretti dalla necessaria critica censoria alla sentenza impugnata.

4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per genericità.

Sotto il primo profilo attinente al giudizio di attendibilità della persona offesa, come ripetutamente osservato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, l'attendibilità della persona offesa è un giudizio di fatto rispetto alla quale non può prospettarsi la violazione della legge processuale, essendo riconducibile la stessa nell'alveo del vizio di motivazione, e pertanto la valutazione dell'attendibilità delle persona offesa può essere esaminata, in sede di legittimità entro i limiti dell'illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575). Non è altrimenti deducibile, come invoca il ricorrente, la violazione dell'art. 192 c.p.p..

Allo stesso modo è pacifica affermazione, nella giurisprudenza, soprattutto allorquando la testimonianza della persona offesa sia la principale - se non esclusiva - fonte del convincimento del giudice, che il giudizio di attendibilità, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, allorquando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli, Rv. 235578). In definitiva, l'attendibilità di un teste è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni, illogicità o carenze argomentative, che con riguardo al caso concreto non si rinvengono. Neppure il ricorrente, che nel corpo del motivo denuncia il mancato esercizio del controllo dell'attendibilità della dichiarante, non contiene una critica specifica ai punti della motivazione sull'attendibilità in cui, questa, risulterebbe carente.

Nè può ritenersi, come argomenta la difensa, la necessità di riscontri alle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile. Da cui la manifesta infondatezza del quarto motivo di ricorso laddove denuncia il vizio di motivazione e il travisamento probatorio con riguardo alla valutazione (travisata) delle dichiarazioni testimoniali Fantini e B. la cui deposizione è anche riportata nel corpo del ricorso e della quale si sollecita una diversa valutazione.

In materia il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità sul valore probatorio delle dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, che possono, da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015,Manzini,Rv. 265104; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; S.U. n. 41461 del 19/07/2012, Rv.253214). Anche nei reati in materia sessuale è stato ripetutamente e condivisibilmente affermato il principio secondo cui "... le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva", posto che non esistono nel sistema processuale preclusioni o limiti generali alla capacità del minore di rendere testimonianza (Sez. 3, n. 27742 del 06/05/2008, Z., Rv. 240695). Dunque, le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e in presenza di controllo pià penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Peraltro, come si evince dalla motivazione della richiamata pronuncia delle Sezioni unite (Cass. sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214), la circostanza che l'offeso si sia costituito parte civile non attenua il valore probatorio delle dichiarazioni rendendo la testimonianza omogenea a quella del dichiarante "coinvolto nel fatto", che non soggiace alla regola di valutazione indicata dall'art. 192 c.p.p., comma 3, ma richiede solo un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell'interesse patrimoniale vantato.

5. Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata contiene una congrua ed esaustiva motivazione sul positivo giudizio di attendibilità della persona offesa S.V. le cui dichiarazioni hanno trovato conferma nel testimoniale, in particolare in coloro i quali avevano raccolto, nell'immediatezza dei fatti, il racconto della persona offesa tra cui assume rilievo la deposizione del teste B. il quale aveva anche ricordato la situazione emotiva della donna ("era scossa e piangeva" cfr. pag. 4), motivazione rispetto la quale il ricorso non contiene alcuna critica specifica. Infine, la versione alternativa, sollecitata nel quarto motivo di ricorso, non può avere ingresso in questa sede.

6. Il quinto motivo di ricorso non coglie nel segno.

Nella fattispecie in esame, non si pone la questione sollevata se l'abuso di autorità di cui all'art. 609 bis c.p., comma 1, presupponga nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o se, invece, si riferisca anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali, questione risolta positivamente dalle Sezioni Unite all'udienza del 16 luglio 2020 (inf. prov. 17/2020), poichè al C. era stata contestata e ritenuta in sentenza la condotta di avere commesso atti sessuali con violenza consistita nel gesto repentino, sicchè la questione dedotta è irrilevante.

7. Infine, manifestamente infondato è il sesto motivo di ricorso con cui si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La sentenza impugnata ha escluso il riconoscimento delle menzionate attenuanti sul rilievo dell'assenza di elementi positivi per concederle, evidenziando, anche, il contegno processuale fortemente denigratorio della persona offesa quale elemento negativo. Come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicchè il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900). Il riconoscimento o meno di tale circostanza è un giudizio di fatto che compente alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, in presenza di congrua motivazione. Peraltro, nel menzionato giudizio il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione del reato può essere sufficiente a riconoscerle ovvero ad escluderle (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).

Sulla scorta di tali principi, si appalesano all'evidenza prive di base solida le doglianze mosse dal ricorrente laddove la Corte territoriale, in risposta ai motivi d'appello, ha evidenziato - seppure in modo sintetico ma congruo - l'insussistenza di elementi di segno positivo suscettibili di giustificare la reclamata mitigazione sanzionatoria e, al contempo, il comportamento processuale fortemente denigratorio, motivazione rispetto alla quale il ricorrente non si confronta compiutamente, cosicchè il motivo è connotato da genericità.

8. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

L'imputato deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che si liquidano in complessive Euro 3.510,00, oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte