Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 febbraio 2021, n. 3262 - Risarcimento del danno da infortunio del dipendente della Banca Nazionale del Lavoro


 

Presidente: RAIMONDI GUIDO
Relatore: LEO GIUSEPPINA Data pubblicazione: 10/02/2021
 

 

Fatto



La Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1319/2015, pubblicata il 31.12.2015, in parziale accoglimento del gravame interposto da S.D., nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Cosenza resa il 23 ottobre 2009, ha condannato la datrice di lavoro a corrispondere al dipendente la somma di Euro 2. 777,40 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'infortunio sul lavoro verificatosi il 9.2.1998, oltre accessori, come per legge, confermando la sentenza di primo grado relativamente alle statuizioni di rigetto concernenti la richiesta di risarcimento del danno biologico permanente.
La Corte di merito, per quanto ancora di interesse in questa sede, < <nell'ottica dei principi tracciati dalla giurisprudenza consolidata della S.C. > > relativamente all'accertamento della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., ha reputato che <<le prove raccolte siano sufficienti a dimostrare che l'infortunio lamentato dal lavoratore si è verificato in orario di servizio, in luogo di lavoro nocivo, ossia scala non munita di corrimano, e che il danno patito è causalmente ricollegabile all'evento antinfortunistico. In tal senso depongono innanzitutto le dichiarazioni dei colleghi di lavoro intervenuti nell'immediatezza del fatto, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare.... . Le risultanze della prova testimoniale, inoltre, sono supportate dal referto rilasciato dal pronto soccorso dell'ospedale di Cosenza, nel quale si attesta che il S.D., giunto all'osservazione dei sanitari alle ore 9.06 del 9.2.1998, presentava contusione cranica e cervicale e contusione lombosacrale....>>; ed altresì che < <A fronte di tali emergenze istruttorie, il datore di lavoro non ha invece provato di avere regolarmente osservato gli obblighi che l'art. 2087 e.e. pone a suo carico, ossia di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure necessarie e idonee ad evitare il danno. .... Pertanto, il danno biologico da inabilità temporanea, secondo il valore unitario del danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute, indicato dalle tabelle del Tribunale di Milano, ricomprendendo io esso le componenti del danno biologico e di quello morale ... è quantificabile nella somma di Euro 2. 777,40 (Inabilità temporanea totale 694,35; itp 50% 1388,70; itp al 25% 694,35) >>.
Per la cassazione della sentenza S.D. ha proposto ricorso affidato ad un motivo.
La Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. ha resistito con controricorso ed ha comunicato memorie ai sensi dell'art. 378 del codice di rito.

 

Diritto
 


1. Con l'unico motivo di ricorso si denunzia testualmente:
< <violazione dell'art. 360 c.p.c.. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia>> e si deduce che <<In ordine all'an della pretesa nessuna censura si può muovere all'operato della Corte d'appello adita>>, mentre da censurare è <<l'errore motivazionale consistente nel recepimento totale acritico della ctu redatta dal dott. Caiazza>> - dalla quale emerge che, dall'evento traumatico, <<non sono residuati postumi permanenti>> -, senza considerare che, da numerosi certificati medici successivi al detto evento (rispettivamente, in data: 5.5.1998; 9.6.1998; 25.6.1998; 13.7.1998; 16.9.1998; 1.12.1998), si evince che il S.D. non fosse clinicamente guarito, essendo emersa a carico del medesimo < <una severa condizione artrodiscopatica> >, sulla quale, però, < <immotivatamente, il CTU ha asserito che nessuna influenza ha potuto avere il trauma sofferto, stante il breve ambito cronologico intercorso tra l'evento del 9.2.1998 ·· e l'esame radiologico del 4.9.1998>> dal quale sono state evidenziate le predette patologie.
1.1. Il motivo - peraltro articolato con generico riferimento all'art. 360 c.p.c., senza altra specificazione - è inammissibile. Al riguardo, vanno ribaditi gli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene - ed ai quali, ai sensi dell'art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 18358/2017; 3881/2006; 3519/2001) -, alla stregua dei quale, ove il giudice di merito < <condivida i risultati della consulenza tecnica di ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze>> della. stessa < <implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l'accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità. In tal caso, l'obbligo della motivazione è .assolto con l'indicazione della fonte dell'apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese>>. Ciò premesso, la parte ricorrente lamenta che nella c.t.u., immotivatamente, venga asserito che nessuna influenza ha potuto avere il trauma sofferto sulla < <severa condizione artrodiscopatica>> attestata in numerosi certificati medici successivi all'infortunio sul lavoro di cui si tratta (rispettivamente, in data: 5.5.1998; 9.6.1998; 25.6.1998; 13.7.1998; 16.9.1998; 1.12.1998), stante il breve lasso di tempo intercorso tra l'evento del 9.2.1998 e l'esame radiologico del 4.9.1998, dal quale sono state evidenziate le predette patologie. Ebbene, va ancora ribadito che < <il vizio denunciabile in sede di legittimità della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre, al di fuori di tale ambito, la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice>> (cfr., ex multis, Cass. nn. 18358/2017, cit.; 4124/2017; 27378/2014; 1652/2012). Al proposito, va, altresì, sottolineato che il S.D. ha riportato nel ricorso soltanto poche frasi della c.t.u. di cui si tratta, omettendo di produrre per intero si.a quest'ultima, sia i certificati medici cui fa riferimento,· e ciò, in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte (ai sensi del disposto dell'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. ) , che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (v., tra le molte, Cass. n. 14541/2014 ). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013).
Le considerazioni che precedono rendono superfluo soffermarsi sul fatto che la censura è altresì inammissibile per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte al n. 5 del primo comma dell'art. 360 c.p.c. dall'art. 54, comma 1, lett. b), del D.I. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012, applicabile, ratione temporis, al caso di specie poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 31.12.2015.
Per tutto quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Le spese, liquidate come· in dispositivo, seguono la soccombenza.
3. Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo



P.Q.M.
 



La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, 11 febbraio 2020