Categoria: Giurisprudenza amministrativa (CdS, TAR)
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T.A.R. Molise, Sez. 1, 04 giugno 2018, n. 328 - Esposizione ad inquinamento da uranio impoverito durante due missioni all'estero


 

 

N. 00328/ 2018 REG.PROV.COLL.
N. 00261/2013 REG.RIC.

  

 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale proposto da
, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Fiore Tartaglia, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv.
contro
Ministero della Difesa in persona del Ministro pro tempore, Stato Maggiore dell'Esercito, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, 124;
per l'annullamento
del decreto n. del Ministero della Difesa
notificato al ricorrente in data con il quale l'infermità " e " non è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio, e la richiesta di concessione dell'equo indennizzo è stata respinta, nonchè del parere n. espresso dal Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comitato di Verifica cause di servizio nell'adunanza n. con il quale si è stabilito che la predetta infermità non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio e quello di riesame n. reso nell'adunanza n. che conferma il precedente parere negativo, nonchè il preavviso di rigetto emesso in data
da parte del Ministero della Difesa nonchè di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, dello Stato Maggiore dell'Esercito del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno il dott. Luca Monteferrante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FattoDiritto

 

Con ricorso notificato in data il ricorrente, Caporal Maggiore Capo dell'Esercito Italiano arruolato nel ed in servizio presso il Comando Militare Esercito ha adìto il TAR Molise per chiedere l'annullamento del decreto n. del Ministero della Difesa - Direzione Generale della previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati, di rigetto dell’istanza di riconoscimento della causa di servizio e della relativa concessione dell'equo indennizzo per la patologia “ ----- ”. La domanda veniva presentata in data ... motivata per esposizione ad inquinamento da uranio impoverito durante due missioni all'estero
La C.M.O. di Roma, con verbale in data  giudicava la citata infermità ascrivibile alla tabella A, categoria 61.
Con parere n. il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio riteneva la suddetta infermità "non dipendente" da fatti di servizio.
L'Amministrazione, con nota , richiedeva al dipendente ulteriore documentazione.
Con nuovo parere n. il Comitato di Verifica confermava la propria precedente valutazione anche in relazione alla esposizione continuata al benzene in ragione delle mansioni di addetto al rifornimento carburanti, successivamente allegata mediante esibizione di documentazione integrativa.
Pertanto, con decreto n. , qui gravato, l'Amministrazione della Difesa, conformandosi al parere espresso dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, respingeva l'istanza di equo indennizzo per mancato riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
A fondamento del ricorso ha dedotto: eccesso di potere per erronea interpretazione e/o travisamento della situazione di fatto, errore sui presupposti, manifesta illogicità, irrazionalità, incongruità, inattendibilità, apoditticità ed insufficienza della motivazione, sviamento dell'azione amministrativa. Illegittimità e/o eccesso di potere per violazione dei D.P.R., n. e n. e del rischio ivi tipizzato.
Nel costituirsi in giudizio, il Ministero della Difesa ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del comitato di verifica, la tardività della domanda per decorso del termine semestrale di legge e, in ogni caso, la infondatezza della domanda non sussistendo i presupposti di legge per la concessione del beneficio richiesto anche in ragione del carattere riservato dell’accertamento medico legale – rimesso al giudizio del comitato di verifica per le cause di servizio e non surrogabile mediante CTU - su cui la richiesta si fonda.
Alla udienza pubblica del la causa è stata trattenuta in decisione. L’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del comitato di verifica per le cause di servizio è fondata.
La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato al riguardo che il Ministero dell'Economia e delle Finanze, cui fa capo il Comitato di verifica per le cause di servizio è privo di legittimazione passiva nella controversia avente ad oggetto il diniego di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità o lesione sofferta da un pubblico dipendente e/o di liquidazione dell'equo indennizzo atteso che il parere da esso reso è un mero atto endoprocedimentale privo, in quanto tale, di autonoma capacità lesiva, la quale discende direttamente dall'atto dell'organo di amministrazione attiva che lo ha recepito, facendolo proprio (T.A.R. Campobasso, sez. I, 04 maggio 2015 n. 187; Consiglio di Stato, sez. IV, 06 maggio 2008, n. 2028).
Infondata è anche l’eccezione di decadenza della domanda, articolata ai sensi dell’art. 2 D.P.R. 461/01 a mente del quale "la domanda, ai fini della concessione dei benefici previsti da disposizioni vigenti, deve essere presentata dal dipendente entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l'evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell'infermità o della lesione o dell'aggravamento".
L’eccezione è stata infatti proposta in via del tutto generica senza ricostruire in fatto il decorso della malattia e senza indicare in quale data il ricorrente ne avrebbe avuto piena consapevolezza, anche in ordine alla sua ascrivibilità a causa di servizio.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che l’onere della prova sulla tardività della domanda incombe sulla amministrazione che invoca la decadenza, in applicazione dei principi generali sull’onere della prova; in particolare secondo T.A.R. Roma (Lazio), sez. I, 22 ottobre 2015 n. 12126 “Ai sensi dell'art. 2 comma 1, d.P.R. n. 461 del 2001 (e già prima dell'art. 36, d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 e dell'art. 3, d.P.R. 20 aprile 1994 n. 349), l'istanza di riconoscimento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio deve essere proposta dall'interessato entro il termine perentorio di sei mesi decorrente non dalla mera conoscenza dell'infermità, ma dal momento dell'esatta percezione della natura e della gravità e del suo nesso causale con un fatto di servizio. Il rispetto del detto termine di sei mesi può essere di agevole determinazione quando l'infermità è conseguenza di un evento dannoso istantaneo, in quanto tale oggettivamente collocabile nel tempo, nel mentre, allorquando l'infermità deriva, come nella fattispecie, da cause che incidono progressivamente sull'integrità psico - fisica del dipendente, non può con assoluta precisione essere identificato il dies a quo di decorrenza del predetto termine semestrale. In questa seconda ipotesi, in mancanza di criteri normativamente precostituiti, si è fatto riferimento al principio di ragionevolezza secondo il quale la tempestività della domanda va valutata in relazione al momento
in cui si manifesta la chiara consapevolezza del dipendente di avere contratto la malattia in modo permanente e quale conseguenza della prestazione del servizio. Spetta, piuttosto all'Amministrazione, che invoca l'applicazione del meccanismo decadenziale, fornire la prova certa della pregressa conoscenza dell'insorgenza dell'infermità, della sua gravità e della sua correlazione al servizio”.
L’eccezione è comunque infondata nel merito. Solo in data il Policlinico Militare "Celio" diagnosticava al ricorrente la patologia: " ... " sicchè la domanda presentata in data deve ritenersi tempestiva perché inoltrata entro il termine decadenziale semestrale.
Quanto al merito della domanda la difesa erariale si limita ad esporre una serie di principi in diritto elaborati in materia di equo indennizzo dalla giurisprudenza amministrativa operando un mero generico ed astratto rinvio alle conclusioni della commissione parlamentare sui casi di morte e gravi patologie in relazione all'esposizione all'uranio impoverito, le quali concluderebbero, a suo dire, nel senso di negare, a tale esposizione, valore di fattore causale unico nella genesi di neoplasie ematologiche.
Omette tuttavia qualsiasi contestazione in fatto alle rilevanti circostanze allegate dal ricorrente e che giustificano, a parere del collegio, un giudizio di manifesta illogicità ed inattendibilità della valutazione medico legale espressa dalla comitato di verifica, censurabile per eccesso di potere in quanto manifestamente irrazionale e soprattutto perché inficiata dalla omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale.
In punto di diritto occorre rammentare che ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a. “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite”.
I fatti allegati dal ricorrente e non specificamente contestati dal Ministero della Difesa sono i seguenti:
1. dal 1 partecipava alla missione internazionale di pace in Bosnia Herzegovina nella città di Sarajevo (notoriamente bombardata in modo pesantissimo con aerei A 10 che utilizzano solo armi ad uranio impoverito, per come risulta anche dalle mappe dei siti bombardati allegati al ricorso), svolgendo incarichi di Ufficio di Compagnia in qualità di furiere;
2. dal il ricorrente partecipava alla missione internazionale di pace in Kosovo alloggiando nella località di , anch'essa massicciamente bombardata con armi ad uranio impoverito per come risulta evidente dalle mappe dei siti bombardati diffusi dall 'UNEP e dalla NATA ed allegati al ricorso;
3. durante le due missioni internazionali il ricorrente ha stazionato continuamente in siti devastati da bombardamenti (con spostamenti a bordo di camionette aperte) senza essere munito di alcun mezzo di protezione (tute, mascherine e guanti) in relazione all'ambiente altamente inquinato da esalazioni e residui tossici, chimici e radioattivi, derivanti dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti causate dall'impatto e dall'esplosione delle munizioni utilizzate per le operazioni belliche, fra le quali si annoverano quelle con utilizzo di uranio impoverito per i bersagli corazzati e, in genere, quelli molto protetti come le fabbriche di prodotti chimici.
4. Vi è stata esposizione anche alle esalazioni di gas di scarico degli automezzi bellici e dei solventi utilizzati per la pulizia e manutenzione delle armi (alla quale ogni militare era tenuto), quest'ultima da svolgersi quasi esclusivamente in ambienti chiusi e quindi non areati;
5. la continua somministrazione di vaccini e lo stress dovuto al particolare contesto ambientale ed operativo hanno concorso ad una significativa riduzione della risposta immunitaria;
6. durante tali missioni in teatro operativo, il ricorrente è stato costretto a nutrirsi di cibo reperito in loco, fortemente inquinato, e a lavarsi, nonché a bere acqua proveniente da sorgenti del posto, anch'esse altamente inquinate; è stato pertanto costretto ad ingerire ed inalare micro e nano particelle di metalli pesanti che a causa delle esplosioni erano rimaste sospese in aria o si erano depositate sul terreno;
7. dopo il rientro in Italia, nell'anno il militare è stato impiegato presso il Deposito Carburanti dell' con compiti di controllo dei livelli delle cisterne e di rifornimento degli automezzi che comportava il contatto quotidiano e costante con sostanze altamente tossiche tra le quali il benzene;
In via generale circa i limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazione tecniche del comitato per le cause di servizio deve rammentarsi che “L'assoluta preminenza delineata dalla legge del parere espresso dal Comitato per
le pensioni privilegiate ordinarie (Cppo), ai fini della liquidazione dell'equo indennizzo, non rende tuttavia insindacabile detto parere, essendo una simile evenienza assolutamente inammissibile rispetto al principio sancito dall'art. 113 cost.: deve, pertanto, ammettersi che il giudizio medico legale espresso dal c.p.p.o, pur se caratterizzato da un'amplissima discrezionalità tecnica, non si sottrae al sindacato di legittimità quando esso sia irragionevole, palesemente incongruo, ovvero quando si basi su di un evidente travisamento dei fatti; deve, altresì, ammettersi, in particolarissime situazioni, un obbligo, sia pur molto limitato, di motivazione, allorquando esso si discosti dall'articolato e puntuale parere della Commissione medico legale, comunque sussista” (Consiglio di Stato sez. IV 22 settembre 2005 n. 4950).
Circa l’ampiezza di un tale sindacato a partire dalla fondamentale sentenza Cons. Stato, sez. IV, 09 aprile 1999 n. 601, in linea con la migliore dottrina, è stato affermato che “Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. si svolge in base alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo” con la conseguenza che “l'applicazione di un criterio tecnico inadeguato o il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti, comportano un vizio di legittimità dell'atto amministrativo”.
L’applicazione di un criterio medico legale inadeguato secondo la miglior scienza ed esperienza è dunque sindacabile da parte del giudice amministrativo e lo è altrettanto la omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale: a tale ultimo riguardo una risalente e non superata giurisprudenza ha infatti affermato che “Il giudizio medico legale circa la dipendenza di infermità da cause o concause di servizio si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale che, in quanto tali, sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi i casi in cui si ravvisi un'irragionevolezza manifesta o un palese travisamento dei fatti, ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale” (Consiglio di Stato sez. VI 13 febbraio 2013 n. 885; nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1532; Consiglio di Stato sez. IV 22 settembre 2005 n. 4991; Consiglio di Stato sez. IV 22 settembre 2005 n. 4958; Consiglio di Stato sez. IV 22 settembre 2005 n. 4997).
Più di recente la giurisprudenza formatasi in materia ha ulteriormente precisato che:
- il giudizio del Comitato di Verifica costituisce espressione di discrezionalità tecnica, censurabile sotto il profilo dell'eccesso di potere solo quando sia del tutto stata omessa la motivazione, ovvero se la stessa sia manifestamente infondata per mancata considerazione di circostanze di fatto di assoluta rilevanza sul piano medico legale (cfr., ex multis: TAR Campania, sez. VI, 12 dicembre 2014, n. 6576), senza che sia consentito al Giudice amministrativo di «sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo tecnico» (cfr.: TAR Campania, sez. VI, 7 maggio 2014, n. 2494);
- nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio da considerarsi fattore generativo della malattia possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro «con esclusione quindi delle circostanze e condizioni generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla vita militare» (cfr.: TAR Campania, sez. VI, 5 novembre 2014, n. 5663; TAR Lazio, Roma, sezione I, 13 gennaio 2010, n. 192);
- per inficiare la coerenza logica e tecnica delle conclusioni del Comitato di Verifica non possono valere meri richiami alle modalità dei servizi prestati, genericamente definite stressanti, in ambienti difficili, spesso con orari variabili, prolungati e notturni et similia, che, in quanto tipiche dell’ordinario servizio, non assolvono a quell’onere probatorio, che, in assenza di un nesso di rischio specifico tra l'attività lavorativa svolta e l'infermità dedotta, spetta al ricorrente (cfr.: TAR Lombardia, Milano, sez. III, 2 agosto 2013, n. 2057; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 11 aprile 2014; TAR Campania, Salerno, sez. I , 10 ottobre 2013, n. 2034).
Nel caso di specie, dal ricorso introduttivo emergono specifiche e non contestate circostanze di fatto idonee a giustificare la possibile riconducibilità dell’infermità diagnosticata a causa di servizio trattandosi di modalità operative che esulano dall’ordinaria prestazione lavorativa, tipicamente resa dai militari in servizio e che giustificano l’insorgenza di un rischio specifico nella genesi dell'infermità dedotta, tale da configurare nell'attività lavorativa svolta quanto meno una concausa efficiente e determinante.
Deve infatti essere nuovamente evidenziato che il ricorrente ha partecipato a missioni internazionali in contesto di guerra caratterizzato dall'utilizzo di munizionamento ad uranio impoverito che ne ha comportato la prolungata esposizione, in assenza di strumenti di protezione, a residui tossici, chimici e radioattivi. L'ampia letteratura scientifica richiamata in ricorso e non contestata dal Ministero resistente attesta la sussistenza di un nesso di causalità, altamente probabile, tra le patologie tumorali analoghe a quella sofferta dal ricorrente e l'esposizione ai residui tossici, chimici e radioattivi liberati nell'ambiente dal munizionamento ad uranio impoverito, nesso nel caso di specie aggravato dalla esposizione ad altro principio fortemente tossico - il benzene - causata dalle mansioni attribuite al ricorrente dopo il suo rientro in Italia.
Tali rilevanti circostanze di fatto, sebbene siano tali da poter incidere sulla valutazione medica finale, non risultano affatto valutate dalla commissione medica che pertanto è incorsa in un grave difetto di motivazione.
In linea con T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 4 giugno 2015, n. 519; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 6 marzo 2015, n. 429; id., 17 aprile 2015, n. 659/2015 anche questo Collegio condivide le argomentazioni svolte dal TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II 2 ottobre 2014, n. 1568 che ha approfonditamente esaminato la possibile correlazione tra alcune patologie tumorali e l'attività militare svolta in determinati ambienti, contaminati da uranio impoverito.
Si afferma nella predetta sentenza che "sono state svolte diverse indagini e studi da parte di organismi internazionali - sulla base dei quali sono state adottate specifiche misure di protezione dal Governo degli Stati Uniti, l'ONU e la NATO, conosciute dallo Stato Italiano sin dal 1992 (relazione di Eglin relativa alla Ricerca condotta nel 1977-78; rapporto US Army Mobility Equipmente Research and Development Command del 1979; Conferenza di Bagnoli del 1995), che hanno indotto l'ONU a vietare l'utilizzo di armi contenenti uranio impoverito (risoluzione n. 1996/16) e diversi Paesi hanno assunto misure di protezione e precauzione a  favore dei militari impiegati nelle operazioni NATO (in particolare, Direttiva del Ministero della Difesa del 26.11.99).
In Italia, sono stati condotti studi epidemiologici che hanno riscontrato, tra i militari impiegati nelle missioni all'estero con esposizione a polveri di uranio impoverito, l'insorgenza del linfoma (Rapporto del 2001 della cd. Commissione Mandelli), con un tasso di correlazione statisticamente significativo, particolarmente per quanto concerne i casi di "Linfoma di Hodgkin", che hanno evidenziato numeri triplicati, rispetto a quelli attesi.
A seguito dell'entrata in vigore della Legge 28.2.2001 n. 27 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 393, recante proroga della partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace, nonché dei programmi delle Forze di polizia italiane in Albania"), è stata avviata, con Decreto del 2.10. 2002 del Ministero della Salute e con la Direttiva del Ministero della Difesa - Direzione Generale della sanità Militare del 23 luglio 2004, una campagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei militari impiegati nei territori interessati, i cui risultati sono riportati nella relazione della "Commissione Parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché le popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico", istituita con deliberazione del Senato dell'11 ottobre 2006.
Nelle relazioni delle Commissioni Parlamentari di inchiesta, approvate nelle sedute del 12.1.2008 e del 9.1.2013, vengono richiamati i risultati dei diversi studi che hanno evidenziato gli effetti nocivi derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito, i dati dell'Osservatorio Epidemiologico della Difesa nonché i dati dell'Istituto Superiore della Sanità, che hanno confermato le conseguenze patogene dell'esposizione a tale sostanza, l'abbassamento delle difese immunitarie indotto dai vaccini cui vengono sottoposti i militari destinati all'estero (in particolare, l'ingente numero di militari malati, ammontanti 70.000 casi, anche tra quelli mai inviati all'estero), per cui è stata ipotizzata la possibile azione concausale dei vaccini a questi somministrati, per via dell'effetto immunodeprimente.
Conseguentemente, la Commissione Parlamentare di inchiesta istituita con Deliberazione del Senato del 16.3.2010, nella relazione del 9.1.2013, ha ritenuto che gli studi in questione vadano estesi anche all'effetto di tali inquinanti nei poligoni di tiro
" (nello stesso senso cfr. T.A.R. Milano, (Lombardia), sez. III, 09/02/2018, n. 383; T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 20/12/2017, n. 12540; T.A.R. Firenze, (Toscana), sez. I, 18/04/2017, n. 564; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22/03/2013, n. 384).
I pareri impugnati, nell'escludere il nesso eziologico tra l'infermità del ricorrente ed il servizio dallo stesso prestato, non solo non hanno fatto alcun cenno ai dati e alle indagini epidemiologiche sopra citate, richiamati anche nel ricorso e non contestati dalla difesa erariale ma, ben più a monte:
a. hanno espressamente riconosciuto (il parere in particolare) che “taluni studi epidemiologici hanno identificato alcuni fattori di rischio: esposizioni a radiazioni ionizzanti o ad agenti tossici, quali benzene” e cioè proprio la sostanza che il ricorrente ha potuto costantemente inalare nel periodo di servizio successivo al suo rientro in Italia: quindi dapprima si riconosce che il benzene rappresenta un fattore di rischio nella genesi della patologia tumorale e poi contraddittoriamente non se ne tiene alcun conto dopo che il ricorrente ne ha documentato l’esposizione;
b. hanno ritenuto che “poiché nella fattispecie, le caratteristiche inerenti al tipo di attività e di ambiente di lavoro non sono tali, per natura ed entità, da costituire elementi di rischio causali o concausali efficienti e determinanti, il processo proliferativo è da attribuire a fattori estranei al servizio stesso”; così facendo però il comitato di verifica in modo del tutto tautologico ha completamente obliterato di valutare le caratteristiche dell’ambiente di lavoro in cui il ricorrente si è trovato ad operare, pervenendo ad escludere l’esistenza di un rischio specifico senza nemmeno menzionare la decisiva circostanza della costante e prolungata esposizione del ricorrente in ambiente contaminato dall’uso di armamenti trattati con uranio impoverito, in assenza di specifiche protezioni.
Inoltre l’analisi dell’incidenza di tali fattori di rischio specifico (esposizione in ambiente contaminato da uranio impoverito e al benzene) nella insorgenza della patologia doveva (e dovrà in sede di rinnovazione del giudizio medico legale) essere condotta con accuratezza e rigore non potendosi “giustificare la generica (e stereotipa) affermazione di avere "esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti"” (cfr. in termini Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22/03/2013, n. 384).
Ne discende che il criterio medico legale applicato risulta contraddittorio oltre che inattendibile in quanto disancorato da tali rilevanti circostanze di fatto, come peraltro ampiamente confermato dai numerosissimi precedenti (depositati in giudizio dal ricorrente a cui si rinvia) di tutte le giurisdizioni – anche civile e contabile - chiamate a pronunciarsi sul tema che hanno sistematicamente accertato la sussistenza del nesso di causalità tra l’insorgenza di patologie tumorali e l’esposizione prolungata a residui tossici, chimici e radioattivi generati dall’utilizzo di munizionamento bellico con uranio impoverito oltre che dall’esposizione prolungata al benzene.
Ne discende che il ricorso dev’essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Segue l’obbligo per l’amministrazione di rideterminarsi nel termine di 45 giorni dalla comunicazione della presente sentenza nel rispetto dei criteri direttivi indicati
in motivazione e con obbligo di motivare specificatamente in relazione alle modalità concrete di svolgimento del servizio come richiamate in motivazione, tenuto conto della letteratura scientifica sul nesso di causalità in caso di esposizione al benzene ed ad ambienti contaminati da uranio impoverito, considerati altresì gli orientamenti della giurisprudenza civile, amministrativa e contabile, formatisi in tema.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato ed i pareri presupposti indicati in epigrafe.
Condanna il Ministero della Difesa alla rifusione in favore del ricorrente delle spese di lite che si liquidano complessivamente in euro 3000,00 oltre IVA, CAP e spese generali e con diritto alla restituzione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, D. lgs. n. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno con l'intervento dei magistrati:
Orazio Ciliberti, Presidente
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore Domenico De Falco, Primo Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Monteferrante Orazio Ciliberti




IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.