T.A.R. Emilia Romagna - Parma, Sez. 1, 11 ottobre 2016, n. 284 - Somministrazione di vaccini ed esposizione ad agenti tossici tipici delle aree interessate da eventi bellici: domanda di dipendenza da causa di servizio per infermità 


R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima)



N. 00284/2016 REG.PROV.COLL. N. 00097/2016 REG.RIC.

ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 97 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Pierpaolo De Vizio e Angelo Fiore Tartaglia con domicilio eletto presso l’Avv. Valentina Gastaldo, in Parma, borgo Antini n. 3;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Bologna, via Guido Reni n. 4;
Ministero dell'Economia e delle Finanze e Comitato di Verifica per le Cause di Servizio in Persona del Presidente non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
dl decreto del Ministero della Difesa – direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva – II Reparto – 7^ Divisione – 1^ Sezione, n. 491/N dell’8 febbraio 2016;
del parere n. 26456/2015 del 18 gennaio 2016 del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio reso nell’Adunanza n. 11/2016;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2016 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FattoDiritto


In data 15 dicembre 2014, il ricorrente, graduato dell’Esercito Italiano più volte impiegato in missione di pace in territorio estero già teatro di operazioni belliche, chiedeva il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della “-OMISSIS--OMISSIS-recidivante remittente” della quale era stato riscontrato affetto nel luglio del 2012.
In data 18 settembre 2015 il ricorrente veniva sottoposto a visita presso la Commissione Medica Ospedaliera (CMO) di Milano che con verbale n. 1879 confermava il precedente esito diagnostico.
Il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in data 18 gennaio 2016, dopo aver valutato i precedenti di servizio dell’interessato e la tipologia di impiego del medesimo, perveniva alla conclusione che la patologia in questione non potesse essere riconosciuta come dipendente da causa di servizio.
Il Ministero della Difesa, recependo il richiamato parere, con proprio decreto respingeva l’istanza di riconoscimento presentata dal ricorrente denegando, altresì, la liquidazione dell’equo indennizzo rilevando la tardività di tale ultima istanza per violazione dei termini di cui all’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 461/2001.
Il ricorrente impugnava il provvedimento ministeriale da ultimo citato unitamente al presupposto parere espresso dal Comitato di Verifica deducendo una pluralità di profili di illegittimità.
L’Amministrazione si costituiva in giudizio con sola memoria formale chiedendo la reiezione del ricorso. All’esito della pubblica udienza del 28 settembre 2016 la causa veniva decisa.
Preliminarmente il Collegio procede allo scrutinio del profilo di tardività evidenziato dall’Amministrazione resistente nel diniego impugnato affermando che “la domanda di dipendenza da causa di servizio per l’infermità “…” è intempestiva in quanto è stata presentata in data 15.12.2014 mentre il richiedente aveva acquisito la piena conoscenza della natura del male da cui era affetto in data 04.12.2013” come emergerebbe dal verbale della CMO di Milano del 18 settembre 2015.
Il ricorrente sostiene invece la tempestività della propria istanza poiché avrebbe appreso che l’insorgenza della patologia era da ricondurre alla somministrazione di vaccini e all’esposizione agli agenti tossici tipici delle aree interessate da eventi bellici solo in data 9 dicembre 2014.
La domanda è tempestiva.
L’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 461/2001 dispone che “il dipendente che abbia subito lesioni o contratto infermità o subito aggravamenti di infermità o lesioni preesistenti, ovvero l'avente diritto in caso di morte del dipendente, per fare accertare l'eventuale dipendenza da causa di servizio, presenta domanda scritta all'ufficio o comando presso il quale presta servizio, indicando specificamente la natura dell'infermità o lesione, i fatti di servizio che vi hanno concorso e, ove possibile, le conseguenze sull'integrità fisica, psichica o sensoriale e sull'idoneità al servizio, allegando ogni documento utile. Fatto salvo il trattamento pensionistico di privilegio, la domanda, ai fini della concessione dei benefici previsti da disposizioni vigenti, deve essere presentata dal dipendente entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l'evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell'infermità o della lesione o dell'aggravamento”.
La giurisprudenza, sebbene pressoché unanime nel riconoscere la natura perentoria del richiamato termine, con riferimento all’evento che ne determina la decorrenza ha precisato che “il termine decadenziale di sei mesi previsto dalla legge (art. 36, D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, art. 3
D.P.R. 20 aprile 1994 n. 349, attuale art. 2 comma 1, D.P.R. n. 461 del 2001) per la presentazione della domanda di riconoscimento della dipendenza di una infermità da causa di servizio non decorre dalla mera conoscenza della infermità, ma dal momento dell'esatta percezione della natura e della gravità dell'infermità e del suo nesso causale con un fatto di servizio (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 28.03.2008 n. 1298 e 19.05.2009 n 3075)” (TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 6 maggio 2014, n. 1156).
Ciò premesso deve evidenziarsi che contrariamente a quanto affermato nel provvedimento ministeriale impugnato il verbale della CMO invocato dall’Amministrazione (Quadro A) non afferma che il dipendente abbia avuto sicura conoscenza della natura e gravità della malattia e del suo nesso causale con eventi riconducibili al servizio prestato sin dal 4 dicembre 2014 ma in detto atto la Commissione si limitava a precisare che la malattia era solo conoscibile da detta data.
In assenza di elementi atti a comprovare la piena conoscenza della patologia da parte del ricorrente (nei sensi di cui alla giurisprudenza richiamata) ad una data precedente a quella dal medesimo allegata, deve riconoscersi la tempestività della domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo.
Quanto al merito del ricorso, con il primo motivo il ricorrente censura le conclusioni cui è pervenuta l’Amministrazione circa la negazione della dipendenza da cause di servizio della propria patologia evidenziando la lacunosità e superficialità dell’istruttoria effettuata ed il difetto di motivazione.
In primis il ricorrente censura il parere espresso dal Comitato di Verifica laddove avrebbe apoditticamente affermato che dall’esame dei precedenti di servizio dell’interessato non sarebbero rilevabili fattori specifici di rischio in relazione alla patologia contratta.
A confutazione di tale affermazione il ricorrente evidenzia di aver partecipato alla missione militare di pace in Kosovo dal 22 novembre 2005 al 30 maggio 2006 e dal 13 febbraio 2009 al 14 aprile 2009 venendo impiegato come operatore di mezzi stradali del Genio per l’esecuzione di attività di movimento terra nell’ambito dei lavori di ricostruzione e ripristino di opere viarie e acquedotti in aree oggetto di bombardamento e non bonificate: mansioni svolte senza essere dotato di idonei mezzi di protezione individuale (tute, mascherine, guanti) nonostante l’esposizione ad ambienti fortemente inquinati in quanto interessati da operazioni belliche condotte utilizzando ordigni di vario tipo compreso il munizionamenti a base di uranio impoverito (il ricorrente ha operato anche in patria in ambienti contaminati da uranio impoverito avendo prestato servizio presso il poligono di tiro di Perdasdefogu).
La presenza nell’ambiente operativo di impiego di residui tossici da combustione od ossidazione di metalli pesanti in sospensione nell’aria, nelle falde acquifere e nei terreni coltivati, avrebbe esposto il ricorrente (che viveva in detto ambiente nutrendosi di alimenti prodotti in loco) a fattori chimici e radioattivi idonei sotto il profilo causale a determinare l’insorgere della malattia.
Sempre sotto il profilo causale avrebbe inciso ulteriormente l’elevato livello di stress cui il ricorrente sarebbe stato sottoposto: sotto un primo profilo in ragione dei rischi alla propria incolumità fisica propri di un impiego in un territorio di recente interessato da operazioni di guerra e politicamente instabile; sotto altro profilo derivante dalle precarie condizioni alloggiative e dall’esposizione a fattori climatici avversi.
Tale situazione di stress avrebbe contribuito ad abbassare le difese immunitarie, peraltro già fortemente compromesse dalla massiccia somministrazione di vaccini cui sono sottoposti i militari impiegati in missioni di pace (fra i quali quello per l’epatite B ritenuto essere – sulla base di studi scientifici non contestati che il ricorrente allega - incidente sul rischio di -OMISSIS-del -OMISSIS-).
A sostegno di quanto affermato in ricorso il ricorrente allega una pluralità di studi e rapporti che comproverebbero sotto il profilo scientifico la concretezza dei rischi connessi all’esposizione in ambienti contaminati da uranio impoverito e l’incidenza negativa della somministrazione ravvicinata di vaccini in dosi massicce sulla tenuta delle difese immunitarie (fra i tanti, Rapporto del US Army Mobility Equipement Research and Development Command; Conferenza di Bagnoli – luglio 1998), nonché, atti normativi e di indirizzo che tale rischio presuppongono (D. Lgs.
N. 230/1995; Direttiva del Ministero della Difesa 26 novembre 21999). Il motivo è fondato.
Quanto al merito della questione oggetto del presente giudizio, il Collegio rileva che la pericolosità dell’esposizione in ambienti contaminati da uranio impoverito quale elemento causale o concausale di malattie tumorali costituisce un elemento non controverso sul piano scientifico tanto da costituire presupposto per l’ammissione alle speciali misure di cui alla L. n. 466/1980 recante “Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche”.
Dispone infatti l’art. 1079, comma 1, del d.P.R. n. 90/2010 che “ai soggetti di cui all'articolo 603 del codice è corrisposta l'elargizione di cui agli articoli 6 della legge 13 agosto 1980, n. 466, l e 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, l della legge 23 novembre 1998, n. 407, e 5, commi 1, 2 e 5, della legge 3 agosto 2004, n. 206, quando le condizioni di cui all'articolo 1078, comma l, lettere d) ed e), ivi comprese l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico, hanno costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle infermità o patologie tumorali permanentemente invalidanti o da cui è conseguito il decesso”.
Il successivo comma 2 prevede che fra i beneficiari di dette misure rientri “a) il personale militare e civile italiano impiegato nelle missioni di qualunque natura”.
Ciò premesso, non è confutato nell’odierno giudizio che il ricorrente sia stato impiegato in patria (presso il poligono di tiro di Perdasdefogu) e all’estero in ambienti fortemente inquinati per essere stati oggetto di esplosioni e bombardamenti, nonché, di combattimenti con impiego di proiettili a base di uranio impoverito.
Del pari non è confutato che il medesimo non sia stato dotato di adeguati dispositivi di protezione personale idonei a neutralizzare lo specifico rischio.
Nonostante il descritto contesto di fatto, l’Amministrazione ha negato al ricorrente il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della grave patologia riscontratagli in sede di visita medico legale limitandosi a negare apoditticamente ogni possibile connessione con il servizio prestato, anche sotto il profilo concausale, con una motivazione stereotipata e assolutamente inidonea a consentire la comprensione delle ragioni sulla base delle quali, pur in presenza di una oggettiva esposizione a fattori di rischio (come tali pacificamente riconosciuti), potesse ragionevolmente escludersi il nesso di causalità con eventi di servizio.
Il Comitato di Verifica, infatti, esprimendo la posizione richiamata e fatta propria dall’Autorità ministeriale con il conclusivo provvedimento di diniego, negava il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio “CONSIDERATO: - che l’infermità -OMISSIS-” NON PUO’ RICONOSCERSI DIPENDENTE DA FATTI DI SERVIZIO trattandosi di malattia cronica progressiva del -OMISSIS-, caratterizzata da zone di -OMISSIS- disseminate nella  -OMISSIS- e/o del -OMISSIS-, sulla cui insorgenza ed evoluzione il servizio prestato non ha potuto influire neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti”.
Una simile motivazione, a fronte della allegata e non contestata esistenza dei sopra descritti fattori di rischio, non può ritenersi sufficiente a considerare assolto l’onere di motivazione trattandosi di espressioni di stile frequentemente utilizzate dall’Amministrazione e in merito alle quali la giurisprudenza più recente, con posizione ormai consolidata, si è espressa ritenendole “non in grado di consentire la ricostruzione dell'iter logico-giuridico che ha indotto il Comitato medesimo ad escludere il nesso di causalità tra attività espletata e patologia insorta” atteso che “il parere in questione non tiene, invero, in alcun conto il potenziale effetto patogeno dei fattori di rischio menzionati dall'interessato, in particolare dell'essere stato esposto a polveri di uranio impoverito e sottoposto a numerose vaccinazioni in occasione della partecipazione a missioni in teatro operativo” poiché “una siffatta motivazione, assolutamente generica e astratta, non soddisfa l'onere motivazionale, incombente sull'Amministrazione, che risulta, nelle particolari condizioni ambientali in questione, particolarmente rafforzato: come ribadito dal consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, incombe sull'Amministrazione l'onere di provare che l'esposizione del militare all'inquinante in parola ed alle vaccinazioni di rito non abbiano determinato l'insorgere della patologia e che essa dipenda invece da altri fattori (esogeni) dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica, e determinanti per l'insorgere dell'infermità (vedi, tra tante, T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 10-10-2013, n. 2034; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 10-02-2012, n. 321; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 04-03-2014, n. 649)” (TAR Friuli Venezia Giulia, 1 dicembre 2015, n. 530).
La incongruità del descritto supporto motivazionale si palesa in tutta evidenza ove si consideri che già da tempo la giurisprudenza è constante nel ritenere che "l'esposizione all'uranio impoverito e ad altre sostanze nocive, nel corso della missione di pace in Kosovo, fondata su di una condotta dell'amministrazione che non presenta un nesso meramente occasionale con il rapporto di impiego, ma si pone come diretta conseguenza dell'impegno del militare in quel "teatro operativo" senza fornirgli le necessarie dotazioni di sicurezza e senza averlo informato dei rischi connessi all'esposizione, fonda la domanda per il risarcimento dei danni alla salute subiti da parte del militare" (Cass SSUU civili 6\5\2014 n. 9666)” (TAR Liguria, Sez. II, 8 gennaio 2015, n. 15).
Fondato è, altresì, il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta l’omissione del preavviso di diniego ex art. 10 bis della L. n. 241/1990 a norma del quale “nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda”.
La norma in questione, come pacifico in giurisprudenza, “costituisce norma di garanzia partecipativa, che ha la finalità, anche nei procedimenti ad istanza di parte, di permettere gli apporti collaborativi degli interessati, allo scopo di consentire a questi di chiarire, già nella fase procedimentale (con un'evidente finalità di deflazione del contenzioso) tutte le circostanze ritenute utili alla definizione della vicenda” (TAR Veneto, Sez. I, 18 aprile 2016, n. 403)
Chiarita nei suesposti sensi la portata precettiva della disposizione , deve rilevarsi che nel caso di specie l’Amministrazione era chiamata ad adottare un atto di carattere discrezionale, quindi, non vincolato, in relazione al quale non è invocabile il disposto di cui all’art. 21 octies, comma 2, (“non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”) atteso che non sono evincibili dal provvedimento impugnato (né sono ricavabili dalle difese dell’Amministrazione che si è costituita solo formalmente) le ragioni per le quali l’esito in questa sede contestato non potesse essere diverso.
Per quanto precede il ricorso deve essere accolto con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati..
Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 2.000,00 oltre IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2016 con l'intervento dei magistrati: Sergio Conti, Presidente
Anna Maria Verlengia, Consigliere Marco Poppi, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marco Poppi Sergio Conti


IL SEGRETARIO