T.A.R. Lazio, Sez. 1 bis, 21 luglio 2014, n. 7777 - Esposizione ad uranio impoverito e insorgenza di un linfoma


 


N. 07777/2014 REG.PROV.COLL.
N. 04763/2012 REG.RIC.

 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 4763 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giuseppe Tripoli, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Fiore Tartaglia, con domicilio eletto presso Angelo Fiore Tartaglia in Roma, viale delle Medaglie D'Oro, 266;
contro
Ministero della Difesa, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, in persona dei rispettivi Ministri p.t.,rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione dei benefici previsti dall'art. 1079 co. 1 d.p.r. 90/10.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2014 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 

Fatto

 

Il Caporal Maggiore dell’Esercito Italiano ricorrente premette: di essersi arruolato nel gennaio 1999, di essere stato impiegato in poligoni di tiro nonché adibito alla pulitura di munizioni ed automezzi rientranti dalle operazioni militari nei Teatri Operativi all’estero ove era utilizzato l’uranio impoverito; di essere stato collocato in congedo a decorrere dal 25.11.2000 in quanto giudicato “permanente non idoneo al servizio militare incondizionato” in quanto affetto da Malattia di Hodgkin (varietà sclerosi nodulare in stadio clinico II A); di aver presentato nell’aprile 2002 la domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e di equo indennizzo; di aver impugnato con ricorso iscritto al ruolo n. rgr 6167/2009, tutt’ora pendente, il decreto del 14.1.2009 con cui la predetta istanza era stata respinta sulla base del parere espresso in data 8.2.2005 dal Comitato di verifica per le cause di servizio.
Quest’ultimo aveva escluso il nesso causale ritenendo che trattavasi di “linfoadenopatia iperoplastica primitiva sistemica, di natura idiopatica, pertanto, non sussistendo nel servizio prestato specifiche noxae potenzialmente idonee ad assurgere a fattori causali o concausali efficienti e determinanti".
Con il ricorso in esame egli impugna il Decreto del 19.3.2012 con cui l’Amministrazione ha respinto anche l’istanza presentata in data 15.10.2009 per ottenere per la predetta infermità l'indennità di cui all'art. 2 del D.P.R. n. 37 del 2009 (ora 1079 comma 1 del D.P.R. n. 90 del 2010). I motivi ostativi all’accoglimento della predetta istanza erano stati preannunciati con nota del 14.12.2001, ai sensi all’art. 10 bis della legge n. 241/90, con cui si comunicava il parere negativo espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio in data 29.11.2011; nota riscontrata dal ricorrente formulando specifiche osservazioni in merito alle particolari condizioni di impiego che l’avevano esposto a polveri contenenti nanonoparticelle di uranio documentate dei Rapporti Informativi redatti dai superiori gerarchici in data 8.4.2011 e 19.10.2011 e sulla base delle Relazioni Tecniche di Consulenti esterni consultati. Ciononostante in data 29.2.2012 il Comitato di verifica per le cause di servizio, a conclusione del riesame, confermava il proprio parere negativo.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di censura: Violazione dell’art. 1079 co. 1 del DPR 90/2010 e dell’art. 603 del d.lvo. 66/2010. Eccesso di potere per erronea interpretazione e/o travisamento della situazione di fatto, errore sui presupposti, irrazionalità, incongruità, inattendibilità, contraddittorietà, apoditticità, insufficienza della motivazione; difetto di istruttoria.
Con motivi aggiunti egli ha impugnato altresì la nota del 9.7.2013 con cui è stata respinta l’istanza di concessione dei benefici previsti D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 per le vittime del dovere nonché il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio espresso in data 18.6.2013 nel senso di confermare il parere negativo già reso in data 8.2.2005.
Le censure dedotte avverso il provvedimento di reiezione dell’istanza di cui all’art. 1079 del DPR 90/2010 sono riconducili alla violazione della normativa in materia ed all’eccesso di potere in tutte le sue forme, oltre che disparità di trattamento e violazione dell’art. 3 Cost. ed incentrate, in particolare, sul difetto di motivazione e di istruttoria, con conseguente travisamento ed errore sui presupposti di fatto, anche alla luce di quanto affermato nella relazione del Dott. Causo del 30.5.2013.
Infine con secondi motivi aggiunti il ricorrente, che in data 8.8.2013 aveva presentato istanza di riesame dell’atto di diniego del 9.7.2013, impugna la nota del 2.10.2013 con cui l’Amministrazione rifiuta di rivedere, in autotutela il proprio operato.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio ed ha prodotto memoria difensiva a difesa del proprio operato, sostenendo di aver svolto un’attività istruttoria particolarmente approfondita ed asserendo che non vi è prova certa del nesso di causalità tra la patologia in contestazione ed il servizio prestato dal ricorrente dato che i rapporti di servizio contengono solo “affermazioni in termini di verosomiglianza e di ipotetica possibilità di circostanze ed accadimenti”.
Con memoria di replica il ricorrente ha articolatamente controdedotto alle deduzioni difensive della resistente richiamando gli argomenti già introdotti con il ricorso ed i motivi aggiunti.
All’udienza pubblica del 19.3.2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
La controversia sottoposta all’esame del Collegio concerne il riconoscimento al ricorrente dell'indennità di cui all'art. 2 del D.P.R. n. 37 del 2009 (ora 1079 comma 1 del D.P.R. n. 90 del 2010) prevista per le infermità contratte nelle particolari condizioni di impiego di cui all'articolo 1078, comma 1, lettere d) ed e), ivi comprese l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico che hanno costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle infermità o patologie tumorali permanentemente invalidanti o da cui è conseguito il decesso.
Come precisato nella parte in fatto il ricorrente è affetto da linfoma di Hodgkin, varietà sclerosi nodulare in stadio clinico II A - che rientra tra le patologia sopraindicate – però l’Amministrazione disconosce il collegamento di tale infermità con il servizio dallo stesso prestato e quindi ha negato all’interessato qualsiasi beneficio di legge, escludendo sia la possibilità di riconoscimento dell’equo indennizzo – questione oggetto di contenzioso tutt’ora pendente - sia il beneficio specificamente previsto per i militari esposti all’inquinante sopra richiamato, che costituisce oggetto della controversia in esame.
In via preliminare il Collegio ritiene che, nonostante la possibilità di disporre la riunione per connessione delle cause in parola, sia opportuno decidere immediatamente nel merito la causa in esame - che rientra tra quelle attribuite alla giurisdizione di questo Tribunale, come ribadito dalla recente ordinanza della Cassazione n. 9667/2014 - senza ulteriori dilazioni vista l’urgenza economica prospettata dal ricorrente.
Sempre in via preliminare va inoltre, dichiarata l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso introduttivo, con cui si impugna il primo atto di diniego del beneficio in questione del 19.3.2012. Detto provvedimento era stato disposto sulla base del parere espresso dal Comitato di verifica per le cause di servizio del 29.11.2011 così motivato: “la patologia non può ritenersi riconducibile condizioni ambientali ed operative di missione così come risultanti e descritti in atti, ovvero a particolari fattori di rischio quali quelli previsti dagli artt. 603 e 1907 del d.lvo. 66/2010…tenuto altresì conto che, nel caso di specie, è stato espresso parere negativo anche ai sensi del D.P.R. n. 461/2001” e del successivo parere – espresso a seguito di riesame sollecitato dal ricorrente – reso in data 29.2.2012 che si esprimeva ugualmente in senso negativo.
Sull’istanza in questione infatti l’Amministrazione si è ulteriormente ripronunciata su sollecitazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta sull’uranio impoverito adottando, a seguito di rinnovata attività istruttoria e sulla base di nuova motivazione, un ulteriore provvedimento di rifiuto in data 9.7.2013, che è stato impugnato con il primo ricorso per motivi aggiunti, nonché un ultimo atto di diniego, di contenuto sostanzialmente confermativo del predetto, impugnato coi secondi motivi aggiunti. Ne consegue che il ricorso avverso il provvedimento del 19.3.2012 è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, essendo l’atto di diniego originariamente gravato interamente sostituito dal nuovo atto di diniego, sul quale si è ormai trasferito l’interesse a ricorrere dell’interessato.
Il complesso procedimento di revisione della pratica del ricorrente, avviato nel novembre del 2012, ha implicato il riesame della contestata relazione causale tra la patologia del ricorrente e le specifiche modalità del servizio prestato, alla luce sia delle circostanze rappresentate nei Rapporti Informativi redatti dai superiori gerarchici in data 8.4.2011 e 19.10.2011 (pag. 4 e 5 sul maneggio di munizioni e contatto con automezzi verosimilmente provenienti da teatri operativi esposti a polveri di uranio impoverito) sia delle considerazioni tecniche contenute nella Relazione Medico legale del 7.11.2008 del Dott. Filonzi (che si era espresso nel senso dell’efficacia quantomeno concausale dell’attività lavorativa svolta), nel Rapporto della Dott.ssa Gatti del 16.2.2010 (che nelle conclusioni a pag. 21 riferiva la presenza nei frammenti bioptici del ricorrente di nanoparticelle di origine esogena non biocompatibili; alla figura 12 rilevava la presenza di detriti di alluminio, ferro, titanio, cromo etc) integrata dalle Osservazioni della Prof. Celli del 18.6.2011 (che precisava la natura cancerogena dei nanoparticolati esogeni di natura metallica rinvenuti nei tessuti del ricorrente e presenti negli ambienti in cui egli ha lavorato ed in tale senso depone il tempo, annuale, intercorso tra l’esposizione ai predetti fattori e l’insorgere della patologia).
In sostanza il supplemento di istruttoria disposto in sede di riesame era volto ad acquisire, dagli stessi Ufficiali che avevano già redatto i precedenti rapporti informativi sopracitati, la conferma che il ricorrente fosse stato adibito a compiti di bonifica di mezzi coinvolti in operazioni comportanti l’impiego di materiale impoverito. Al riguardo, il Maggiore Pasquale Barriera nel rapporto informativo del 18.12.2012 confermava che il ricorrente era stato adibito a compiti di bonifica di automezzi che “presumibilmente” erano stati impiegati in teatro balcanico.
Sulla base della documentazione esaminata il Comitato di Verifica in data 26.3.2013 si esprimeva nuovamente in senso negativo ritenendo che “nelle osservazioni ripresentate dall’interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso” e che le decisioni di accoglimento di analoghi ricorsi non fossero pertinenti in quanto riguardanti patologie diverse.
A seguito di un ulteriore riesame, sollecitato dal ricorrente, in data 18.6.2013 il predetto Comitato si ripronunciava nuovamente in senso negativo, però seguendo un iter logico più articolato.
Nella motivazione dell’atto in questione le ragioni del diniego sono riconducibili a considerazioni di ordine generale e considerazioni attinenti lo specifico caso in esame.
Innanzitutto, il Comitato di Verifica esclude, in linea generale e teorica, il collegamento causale tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgenza del linfoma sulla base dei risultati di una risalente indagine statistico-epidemiologia che non riporterebbe alcun aumento di incidenza dei linfomi nei militari reduci da missioni fuori area (al riguardo cita uno studio non meglio identificato della Regione Veneto da cui risulterebbe che in Kosovo su 400.000 persone residenti e ricoverate nell’ospedale civile Peha l’incidenza sarebbe addirittura inferiore a quelle di un ospedale italiano di riferimento) sulla base dei dati dell’Osservatorio epistemologico della Difesa (in cui sono registrati dal 1995 i militari impiegati all’estero) ed asserisce che nella letteratura scientifica dal 1999 ad oggi non risulterebbe dimostrato che l’uranio impoverito possa determinare l’insorgenza di tumori.

Per quanto invece concerne lo specifico caso del ricorrente, il Comitato di Verifica ribadiva l’esclusione del nesso di causalità già sancita nei precedenti pareri espressi, in quanto il ricorrente non è mai stato fuori area in missione operativa (circostanza, tuttavia, del tutto pacifica) e comunque esclude che il contatto con i mezzi che provenivano da zone belliche possa aver avuto alcun effetto patogeno in quanto “l’armamento bellico di rientro dai Teatri Operativi all’estero risulta, in adempimento della direttiva del Comando Generale, essere stato bonificato prima del rientro in Patria” e comunque “l’elemento contaminante, sia uranio impoverito o altra sostanza potenzialmente oncogena, non presenta azione lesiva quando depositato su una data superficie, ma solo se, sotto forma di aereosol, viene sprigionato dal contatto esclusivo del munizionamento bellico su mezzi blindati o simili, in particolare ad altissime temperature”.
Orbene, tale essendo l’iter logico-giuridico che ha condotto l’Amministrazione a negare al ricorrente i benefici richiesti, appare evidente che esso risulta affetto dal difetto di motivazione denunciato con i primi ed i secondi motivi aggiunti e si pone in stridente contrasto con la documentazione versata in atti.
Innanzitutto per quanto concerne la contestata correlazione tra alcune patologie tumorali, ed in particolare il linfoma di Hodgin, e l’esposizione a polveri di uranio impoverito va ricordato che la questione ha costituito oggetto di diverse indagini e studi svolti da organismi internazionali - sulla base dei quali sono state adottate specifiche misure di protezione dal Governo degli Stati Uniti, l'ONU e la NATO - conosciuti dallo Stato Italiano sin dal 1992 (relazione di Eglin relativa alla Ricerca condotta nel 1977-78; rapporto US Army Mobility Equipmente Research and Development Command del 1979; Conferenza di Bagnoli del 1995) che hanno indotto l’ONU a vietare l’utilizzo di armi contenenti uranio impoverito (risoluzione n. 1996/16) e diversi Paesi ad adottare misure di protezione e precauzione a favore dei militari impiegati nelle operazioni NATO (Ministero della Difesa direttiva del 26.11.99).
Anche in Italia sono stati condotti studi epidemiologici che hanno riscontrato tra i militari impiegati nelle missioni all’estero con esposizione a polveri di uranio impoverito la patologia in questione (Rapporto del 2001 della cd. Commissione Mandelli) con un tasso di correlazione statisticamente significativo (il numero dei casi di Linfoma di Hodgkin osservati era triplo rispetto a quelli attesi). Quindi è stata avviata ex lege n. 27 del 2001 una campagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei militari impiegati nei territori in questione (decreto del 2 ottobre del 2002 del Ministero della Salute, direttiva del Ministero della Difesa - Direzione Generale della sanità Militare del 23 luglio 2004) i cui risultati sono riportati nella relazione della "Commissione Parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, nonché le popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico" istituita con deliberazione del Senato dell’11 ottobre 2006.
Nelle relazioni delle Commissioni parlamentari di inchiesta approvate nelle sedute del 12 gennaio 2008 e del 9 gennaio 2013 sono richiamati i risultati dei diversi studi che hanno evidenziato gli effetti nocivi derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito nonché i dati dell'Osservatorio epidemiologico della Difesa nonché dell'Istituto Superiore della Sanità che confermano le conseguenze patogene dell'esposizione a tale sostanza nonché l’abbassamento delle difese immunitarie indotto dai vaccini cui vengono sottoposti i militari destinati all’estero (in particolare, l’ingente numero di militari malati, ammontanti 70.000 casi, anche tra quelli mai inviati all’estero, ha inoltre indotto ad ipotizzare la possibile azione concasuale dei vaccini a questi somministrati per via dell’effetto immunodeprimente). Quest’ultima circostanza ha indotto ad estendere gli studi in parola anche all’effetto di tali inquinanti nei poligoni di tiro (Commissione Parlamentare di inchiesta istituita con deliberazione del Senato del 16.3.2010, nella relazione del 9.1.2013). Appare perciò evidente, vista la documentazione scientifica richiamata, esaminata nel corso di audizione di autorevoli esperti, che il parere espresso dal Comitato di Verifica, nella parte in cui esclude recisamente qualunque collegamento tra l’insorgere della patologia tumorale in questione e l’esposizione all’inquinante in contestazione, si pone in contrasto con quanto sostenuto dalla Comunità Scientifica e recepito dalle Istituzioni Politiche, che ha indotto lo stesso legislatore a riconoscere l'esistenza del rischio specifico correlato all’impiego nei Teatri Operativi e di conseguenza a prevedere la concessione di appositi benefici economici in favore del personale che abbia contratto patologie tumorali a causa dell'esposizione all'uranio impoverito e alla dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico (art. 1079 comma 1 del D.P.R. n. 90 del 2010 - e già con l'abrogato art. 2 D.P.R. n. 37 del 2009 emanato in attuazione dell'art. 2, commi 78 e 79 della L. n. 244 del 2007) e le controversie relative all’applicazione di tale normativa sono state ripetutamente affrontate in sede giudiziaria e risolte a favore degli interessati (Cons. Stato, IV, 4 settembre 2013, n. 4440 che richiama il documento pubblicato sul sito istituzionale dell'Istituto Superiore di Sanità; TAR Lazio Sez. I bis, Sent., 16-08-2012, n. 7363; TAR Salerno Sez. I, Sent., 10-10- 2013, n. 2034; cfr. n. 5817 del 26 giugno 2012). Tutti elementi, questi, che non sono stati adeguatamente considerati nel parere in contestazione.
Anche per quanto riguarda specificamente la pronuncia relativa allo caso del ricorrente il parere del Comitato di verifica risulta affetto dalla denunciata carenza motivazionale.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla resistente, il riconoscimento dell’indennità in questione non richiede quel grado di certezza di dimostrazione del nesso causale da essa preteso: come chiarito dalla richiamata giurisprudenza è proprio per l'impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto, e per il riconoscimento del concorso di altri fattori collegati ai contesti fortemente degradati ed inquinati dei teatri operativi che il legislatore non richiede la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico- statistici, come indicato nella Relazione della Commissione Parlamentare di Inchiesta approvata nella seduta del 12 febbraio 2008, allegati n. 33, pagg. 6 e 7 e di quella approvata nella seduta del
9 gennaio 2013, pagg. 33 e 34) che ha sostituito il criterio di probabilità al nesso di causalità (T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 10-10-2013, n. 2034). In tale prospettiva è stato ritenuto che “il verificarsi dell'evento costituisca di per sé elemento sufficiente (criterio di probabilità) a determinare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al ricorso agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in tutti quei casi in cui l'Amministrazione militare non sia in grado di escludere un nesso di causalità. Quindi la normativa in materia prevede un’inversione dell’onere della prova per cui una volta accertata l'esposizione del militare all’inquinante in parola è la PA che deve dimostrare che questi non abbiano determinato l’insorgere della patologia e che essa dipenda invece da altri fattori (esogeni) dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica, e determinanti per l'insorgere dell'infermità (T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 10-02-2012, n. 321; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 04-03-2014, n. 649).
Sotto quest’ultimo aspetto in particolare va osservato che il Comitato di verifica non menziona e non tiene conto di tutto quel complesso insieme di fattori causali e/o concausali (impiego in poligoni di tiro, sottoposizione a vaccinazioni etc.) ripetutamente segnalati dalla Comunità scientifica - rappresentati davanti alla Commissione Bicamerale e da questa recepiti- né degli ulteriori fattori di rischio sopra evidenziati comunque sempre riconducibili all’esposizione di inquinanti in ambito lavorativo (in particolare l’esposizione ad agenti inquinanti e cancerogeni nell’attività di pulizia degli armamenti e durante lo svolgimento di attività di addestramento in aree “sospette” su cui l’Amministrazione ha negato al ricorrente l’accesso ad ulteriori informazioni invocando il segreto militare). E proprio quest’ulteriore aspetto della problematica avrebbe dovuto indurre il Comitato di verifica ad indicare congrue ragioni per escludere che le particolari condizioni di impiego del ricorrente potessero aver influito sull’insorgere della grave patologia di cui è affetto il ricorrente. Questi è stato ascoltato nel corso del 2012, insieme ad altri militari affetti da patologia tumorale, davanti alla Commissione Parlamentare che ha sentito in varie audizioni sia le Autorità militari interessate (tra cui il Generale Marmo -capo Ufficio Militare della Sanità Militare) sia consulenti esterni e, a conclusione dei lavori, ha invitato l’Amministrazione a riesaminare i pareri negativi espressi, compreso quello relativo al ricorrente.
Tuttavia, in sede di riesame, la documentazione scientifica in quella sede prodotta e le considerazioni svolte dai tecnici non sono stati oggetto di particolare attenzione da parte del Comitato di verifica. Nel ribadire il parere negativo precedentemente espresso il predetto Comitato non tiene conto, come invece avrebbe dovuto, di quanto rappresentato nelle Note di Accompagnamento all’audizione della Prof. Celli del 26.5.2012, la quale, escluso che la patologia da cui egli è affetto fosse riconducibile a predisposizione genetica, precisava che la presenza di particelle micrometriche nel tessuto bioptico d’origine esogena doveva essere ricondotta alla polverizzazione dell’uranio impoverito - che raggiunte temperature di 3000° gradi centigradi– inalata dal ricorrente incaricato di “pulire a fondo” mezzi provenienti dai teatri operativi (nella stessa relazione si fa anche riferimento all’esposizione ai medesimi inquinanti nella frequentazione da marzo a giugno 1999 dei Poligoni di Tiro di san Michele, Fontana Fusa e Aquino in cui egli aveva impiegato e pulito armi Nato calibro 7,62 e munizionamento 5,56 su cui l’Amministrazione militare invocava la sottrazione dall’accesso per un periodo di 50 anni (pag. 4 e ss). Si tratta di considerazioni la cui attendibilità di tali rilievi è stata confermata dal Consulente esterno incaricato dalla Commissione Parlamentare (Dott. Bruno Causo) che nella propria relazione del 30.5.2013 evidenzia come il contatto con mezzi e materiali provenienti da zone di conflitto (rapporto informativo del 24.11.2012) e l’attività di bonifica di mezzi verosimilmente provenienti da tali aree (rapporto Maggiore Barriera del 18.12.2012) costituiscono “rischio generico aggravato” e quindi “almeno concause efficienti e determinanti, se non delle vere e proprie cause di insorgenza” della patologia tumorale di cui è affetto il ricorrente (pagg. 8 e seg.).
A fronte di tali significativi elementi di valutazione il Comitato di Verifica si è limitato ad asserire genericamente l’innocuità delle polveri dell’inquinante depositato su mezzi e munizioni, rappresentando che “l’elemento contaminante, sia uranio impoverito o altra sostanza potenzialmente oncogena, non presenta azione lesiva quando depositato su una data superficie, ma solo se, sotto forma di aereosol, viene sprigionato dal contatto esclusivo del munizionamento bellico su mezzi blindati o simili, in particolare ad altissime temperature”. Quindi si limita a pronunciarsi in senso opposto a quanto ritenuto dai consulenti della Commissione, senza tuttavia addurre specifici argomenti volti a contestare le specifiche ricostruzioni relative alla modalità di incorporazione nell’organismo del ricorrente delle sostanze in questione. Il Comitato infatti non fornisce alcuna spiegazione in merito alla rinvenuta presenza di nanoparticelle dei metalli pesanti in questione nei tessuti bioptici del ricorrente, non contesta che si tratti di elementi d’origine esogena, e non replica adeguatamente (limitandosi ad asserire l’innocuità del deposito polveroso) in merito alla loro riconducibilità alla polverizzazione da esplosione di uranio impoverito. Si tratta di chiarimenti essenziali al fine di escludere il nesso causale dato che, secondo quanto affermato nella perizia delle Dott.sse Celli e Gatti, la presenza di tali radionuclidi all’interno dell’organismo del ricorrente non si spiega altrimenti che con l’inalazione di polveri di armi o automezzi impiegati in aree in cui è stato utilizzato l’uranio impoverito (l’unica spiegazione alternativa, che il ricorrente sia stato impiegato in altoforno, non è stata ovviamente neppure ventilata dalla resistente). E tale circostanza meritava invece di essere adeguatamente approfondita visto che la questione dei numerosi casi di militari ammalatasi anche senza essere stati inviati nelle aree interessate da conflitto bellico costituiva oggetto di attenzione da parte della Commissione.
Né vale ad escludere la possibilità di contaminazione quanto genericamente affermato dal Generale Mora davanti alla Commissione Parlamentare di Inchiesta dei mezzi provenienti dall’estero (che comunque già di per se vale come ammissione dell’influenza nociva della polvere depositata sugli stessi mezzi): al riguardo è appena il caso di rilevare che la mera esistenza di una direttiva del Comando Generale che prescriva che i mezzi impiegati nei TT.OO siano bonificati prima del rientro in Patria non vale a dimostrare che tali operazioni siano state effettivamente espletate (peraltro lo stesso Generale ha precisato che l’attività di decontaminazione veniva svolta “soprattutto con riferimento all’afta epizootica”). E proprio quest’ultima circostanza assume valore decisivo dato che il ricorrente fonda la sua pretesa proprio sull’omesso apprestamento delle doverose misure di precauzione – che è stata posta a fondamento di numerose sentenze di accoglimento azioni risarcitorie fondate violazione degli obblighi "datoriali" di cui all'art. 2087 cod. civ. (cfr. Trib. civ. Roma, sez. XII, nr 19437/2010 e n.10413/2009) e di riconoscimento della pensione privilegiata ordinaria da parte del Giudice contabile (Corte dei Conti Lazio sent. 369/13, cfr. Corte Conti, Veneto, n. 736/2010, Abruzzo n. 290/2012) - tant’è che il ricorrente insiste nella richiesta istruttoria di prova per testi della mancata bonifica dei mezzi in questione (indicando come testimone il Sig. F.).
In conclusione, va ribadito che l’Amministrazione non ha addotto ragioni sufficienti ad escludere l’esposizione del ricorrente alle polveri di uranio impoverito ed altri inquinanti carcinogenici nel corso dei diversi impieghi ai quali era stato adibito e che hanno comportato occasione di contatto con oggetti contaminati da sostanze la cui presenza è stata effettivamente riscontrata nei prelievi bioptici. Occasioni che invece sono state accuramente rappresentate dal ricorrente che ha riferito specifiche circostanze di svolgimento di prestazioni che l’hanno esposto all’azione nociva di tali sostanze: tre mesi di servizio presso il 57 Battaglione Abruzzi di Sulmona nei quali è stato applicato come vedetta nei poligoni di tiro ed esposto alle polveri di materiale esplodente; periodo di addestramento presso l’80 Reggimento di Roma Cassino che implicava la permanenza in buche e trincee realizzate mediante esplosioni nonchè operazioni di pulizia e smontaggio/rimontaggio di armi con benzene senza le necessarie attrezzature protettive; addestramenti nell’uso di esplosivo sospetto “che al denotare sprigionava polvere giallastra tipica del tritolo” in località non meglio precisata della Jugoslavia -operazioni sulle quali l’Amministrazione rifiutava di fornire informazioni, respingendo le relative richieste di accesso formulate dal ricorrente invocando il segreto militare -; servizio prestato al 9° Reggimento Paracadusti “Col. Moschin” di Livorno per 13 mesi, dal giugno 1999 al luglio 2000 dove ha partecipato ad attività di addestramento con armi e materiali esplosivi, ha effettuato stoccaggio di materiale bellico nella polveriara della Brigata Folgore di Cesina e nel Magazzino delle Casermette (deposito di Bibbona) che asserisce inquinato da uranio impoverito; soprattutto l’attività di pulitura e bonifica di munizioni ed automezzi blindati e cingolati rientranti dalle operazioni militari nei Teatri Operativi all’estero ove era utilizzato l’uranio impoverito (Kosovo) ordinate dal Maresciallo Emanuele Terzi nonchè delle operazioni di scarico di materiale bellico inscatolato in casse di metallo sigillate asseritamente recanti il simbolo di materiale radioattivo. Nemmeno è stato dall’Amministrazione confutato l’effetto patogeno, derivato dalla soppressione delle difese immunitarie, riconducibile alle numerose vaccinazioni (registrate nel libretto sanitario) a cui è stato sottoposto il ricorrente (peraltro asseritamente senza previo consenso informato).
Alla luce delle considerazioni sopra svolte i motivi aggiunti risultano fondati sicchè vanno accolti con conseguente annullamento, per l’effetto, degli atti impugnati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) dichiara improcedibile il ricorso introduttivo, accoglie i motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, gli atti impugnati.
Condanna il Ministero della Difesa ed il Ministero dell'Economia, in solido fra loro, al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00) oltre I.V.A. e C.P.A. e rimborso del contributo unificato, ove corrisposto. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati: Silvio Ignazio Silvestri, Presidente Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 21/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)