Tribunale di Roma, 15 luglio 2009, n. 16320 - Violazione degli obblighi contrattuali ex art. 2087 c.c. per la mancata adozione delle misure di sicurezza a garanzia dell’integrità psicofisica del personale militare impegnato in zone in cui siano noti i rischi 



 

 

 

FattoDiritto

 

Rilevato che con atto di citazione ritualmente notificato, S.G., Caporal Maggiore dell’esercito italiano ora in congedo, conveniva in giudizio il Ministero della Difesa, lo Stato Maggiore della Difesa, lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano e il Ministro della Economia e Finanze, al fine di « accertare e dichiarare la responsabilità a mente del combinato disposto degli artt. 32 Cost., 2087 e 2043 c.c. degli odierni convenuti per la patologia tumorale ‘‘carcinoma del retto’’ da cui è affetto l’attore, per aver omesso di adottare le misure di prevenzione, precauzione e sicurezza così permettendo l’insorgenza della malattia tumorale nel medesimo e, per l’effetto, condannare gli odierni convenuti al risarcimento in favore dell’attore dei danni tutti, patrimoniali, biologici morali ed esistenziali ... », ovvero di accertare e dichiarare la responsabilità dei convenuti a mente degli artt. 32 Cost., 2043 c.c. e 40 c.p. per le omissioni produttive del danno come sopra specificate; ovvero di dichiarare la responsabilità dei convenuti a mente dell’art. 2050 c.c. per aver permesso la insorgenza della malattia tumorale sulla persona dell’attore nello svolgimento di una attività pericolosa, rilevato che a sostegno della domanda, l’attore esponeva:
— di aver prestato servizio nell’Esercito Italiano dal marzo 1999 al marzo 2001;
— che in particolare dall’8 marzo 2000 al 13 luglio 2000 aveva preso parte per conto dell’esercito italiano alla missione internazionale di pace in Kosovo;
— che tre mesi dopo l’inizio di tale missione aveva avuto disturbi fisici con perdite ematiche dalle gengive e un diffuso stato di malessere a causa del quale aveva richiesto di essere congedato nel marzo 2001;
— che nel corso dell’anno 2002 aveva accertato di essere affetto da carcinoma del retto, per cui aveva dovuto subire interventi chirurgici e terapie mediche;
— che la insorgenza della patologia tumorale trovava causa « nell’ambiente malsano in cui il medesimo era stato costretto ad operare » ed in particolare nelle « contaminazioni tossiche provocate dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti causate dall’impatto ed esplosione delle munizioni anche all’uranio impoverito sui bersagli, sulle superfici dure, sulle fabbriche chimiche presenti in loco, sui siti ove permaneva (l’attore) durante il servizio di vigilanza e che at traversava durante il sevizio di scorta »;
— che il rischio di contaminazione per gli essere viventi dalle esalazioni tossiche, chimiche e radioattive, dovute alla presenza di micro e nano particelle aeree di metalli pesanti polverizzatisi nelle esplosioni, era noto o doveva esserlo ai convenuti alla luce delle conoscenze scientifiche già all’epoca acquisite alla letteratura e alle ricerche internazionali nonchè agli studi specifici del settore effettuati da Commissioni governative;
— che la Pubblica Amministrazione — datrice di lavoro — aveva quindi colposamente omesso di adottare le cautele anche suggerite e indicate dalla direttiva del Ministero della Difesa del 26 novembre 1999, e in particolare di provvedere a dotare i propri militari di « tutto il materiale adatto e sufficiente ad impedire la inalazione e la ingestione di polveri cancerogene nonchè la contaminazione da tutti gli altri fattori di rischio presenti nei luoghi »; e di garantire « sufficienti livelli di igiene e sicurezza richiesti da quelle particolari circostanze, e dispositivi di protezione individuali », quali « maschere antipolvere, tute monopezzo a perdere » ecc.;
— che il nesso di causalità tra l’esposizione alle sostanze citate e la insorgenza della patologia tumorale doveva ritenersi accertato all’esito degli studi della commissione di indagine istituita con decreto del Ministero della Difesa del 22 dicembre 2000 e degli studi medici effettuati su di versi militari reduci dalla citata missione internazionale di pace nei territori Ba., ed altresì dalle conclusioni della Commissione Ospedaliera presso il Centro Militare di medicina legale di Roma, che ha espresso parere favorevole al riconoscimento della causa di servizio di un militare che ha sviluppato una patologia tumorale a seguito della medesima missione;
— che la responsabilità dei convenuti è fondata sugli artt. 32 Cost., 2043, 2087 e 2050 c.c., e che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in quanto il fatto commissivo e/o emissivo si pone in aperto contrasto con il principio del neminem laedere oltre che con i doveri dell’imprenditore di adottare nell’esercizio della impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, esperienza e tecnica sono necessarie a tutelare la integrità fisica e personalità morale dei prestatori di lavoro;
— rilevato che i convenuti Ministero della Difesa, Stato Maggiore della Difesa, e Stato Maggiore dell’Esercito Italiano si costituivano, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, ed inoltre il difetto di legittimazione passiva dello Stato Maggiore della difesa e dello Stato Maggiore dell’Esercito, in quanto privi di personalità giuridica;
— rilevato che il Ministero delle Finanze non si costituiva;
— rilevato preliminarmente, sul difetto di giurisdizione eccepito dai convenuti costituiti, che l’art. 3, d.lgs. n. 165/2001 (« Personale in regime di diritto pubblico ») statuisce che « in deroga al l’art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare ... »; e che l’art. 63, d.lgs. cit., statuisce che « restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonchè, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’art. 3 ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi »;
— rilevato quindi che nelle controversie concernenti il personale rimasto in regime di diritto pubblico (tra cui il personale militare) la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, la quale comprende ex art. 63, comma 4, dello stesso d.lgs., anche i di ritti patrimoniali connessi, con ciò includendo tutte le controversie inerenti al rapporto, ivi comprese quelle risarcitorie (cfr. tra le varie, Cass. n. 20751/2008);
— rilevato che peraltro il pubblico dipendente può proporre la domanda di risarcimento danni per la lesione alla propria integrità psicofisica sia deducendo la responsabilità contrattuale del datore di lavoro sia la responsabilità extracontrattuale dello stesso e quindi la illiceità del fatto per violazione del principio del neminem laedere (prospettazione quest’ultima addotta dall’attore nella causa in oggetto, al fine di fondare la giurisdizione del giudice ordinario), e che nel primo caso sussiste in linea di principio la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di controversia relativa al rapporto di lavoro, e nel secondo caso del giudice ordinario, trattandosi di controversia fondata sulla generica responsabilità da fatto illecito, a prescindere dai contenuti delle obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro;
— rilevato che più specificamente però, la giurisprudenza della Suprema Corte ha statuito che, al fine dell’accertamento della natura della responsabilità dedotta in giudizio, « non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell’azione nè la semplice prospettazione della inosservanza dell’art. 2087 c.c. nè la lamentata violazione di piu` specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, allorchè il richiamo all’uno o alle altre sia compiuto in funzione esclusivamente strumentale alla dimostrazione dell’elemento psicologico del reato di lesioni colpose e/o della configurabilità dell’illecito », e che « una siffatta irrilevanza di detto richiamo dipende da tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito, ossia da una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso; mentre, ove la condotta dell’amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poichè l’ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge » (Cass. n. 2507/2006; Cass. n. 12137/2004);
— ritenuto che in base a tali principi, si deve affermare che la cognizione della controversia spetta al giudice amministrativo, considerato che ai fini del riparto della giurisdizione rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione richiesta al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti indicati a sostegno della pretesa avanzata in giudizio (cfr. Cass. n. 2507/2006 cit.);
— rilevato che nel caso di specie l’attore ha fatto valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, indicando a sostegno della propria domanda elementi oggettivi riferibili ad una condotta dannosa che non presenta un nesso meramente occasionale con il rapporto di impiego, ma costituisce la diretta conseguenza della dedotta violazione dell’obbligo contrattuale di garantire, in relazione allo specifico ambiente lavorativo, la sicurezza dei dipendenti, avendo in parti colare l’attore dedotto la violazione delle cautele e delle misure di sicurezza necessarie a garantire la integrità psicofisica del personale militare impegnato in zone in cui era noto il rischio di contaminazione e delle conseguenti patologie, attività (omissiva e/o commissiva) che evidente mente poteva esplicarsi solo nel rapporto tra la Pubblica Amministrazione convenuta e il suo personale militare impegnato nelle zone a rischio, e non poteva « esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini »;
— rilevato che da tali principi non si discosta la sentenza della Suprema Corte n. 5785/2008, richiamata dall’attore, in cui è stata ritenuta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto il ricorrente (militare in regime di diritto pubblico ai sensi del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 80, art. 2, ora d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 3, comma 1) aveva in quel giudizio appunto fon dato la propria domanda « su atti di gestione del rapporto, posti in essere dall’amministrazione datrice di lavoro, integranti la violazione di obblighi contrattuali », come nel caso in oggetto, in cui è dedotta sostanzialmente la mancata protezione del personale militare, nell’espletamento delle sue funzioni;
— ritenuto quindi che la fattispecie di responsabilità va ricondotta alla violazione degli obblighi contrattuali stabiliti dall’art. 2087 c.c., indipendentemente dalla natura dei danni subiti dei quali si chiede il ristoro e dai riflessi su situazioni soggettive (quale il diritto alla salute) che trovano la loro tutela specifica nell’ambito del rapporto obbligatorio (cfr. Cass. n. 8438/2004; Cass. n. 2507/2006), e pertanto va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo (Omissis).