Cassazione Penale, Sez. 4, 12 marzo 2021, n. 9825 - Proprietario seppellito dal crollo del terreno durante i lavori di scavo. Mancanza delle necessarie armature di sostegno


 

 

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 09/12/2020
 

 

Fatto


1. Con sentenza del 23 settembre 2019 la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari, con cui L.B. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589 cod. pen., perché, nella sua qualità di titolare dell'impresa incaricata di lavori di scavo e posa di tubature nell'appezzamento di proprietà di S.L., per colpa, consistita nella violazione dell'art. 119, comma 1 d.lgs. 81/2008, cagionava la morte del medesimo, il quale si era calato nel fossato risultante dallo scavo effettuato, venendo travolto e seppellito dal materiale derivante dal crollo del terreno.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari propone ricorso L.B., a mezzo del suo difensore, affidandolo a cinque distinti motivi.
3. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett. e) cod. proc. pen. il vizio di motivazione sotto il profilo dell'omessa pronuncia. Rileva che la Corte territoriale ha omesso di esaminare il primo motivo di appello, con il quale l'imputato aveva sottolineato che la volontaria esposizione a rischio da parte della persona offesa, la quale si era calata in uno scavo di trincea, destinato alla collocazione di tubature, nonostante i ripetuti avvisi dell'imputato sulla pericolosità del luogo, doveva essere inquadrata come concausa qualificata e sufficiente a determinare l'evento, ai sensi dell'art. 41 comma 2 cod. pen.. Invero, la persona offesa, pur ammonita da L.B. -che si stava allontanando dai luoghi- affinché non si introducesse nello scavo, vi era discesa ed aveva rimosso un pannello di legno ivi piazzato per trattenere la terra, proprio dalla parete sopra la quale stazionava A.C., cognato della vittima. Lamenta che la sentenza abbia eluso la doglianza, non provvedendo alla ricognizione della condotta della persona offesa ed alla sua rilevanza causale. Osserva che l'unico cenno che le sentenze di merito dedicano alla questione posta riguarda la 'non imprevedibilità del comportamento tenuto da S.L., che viene affermata senza affrontare la sufficienza causale della causa sopravvenuta -consistita nel comportamento della persona offesa, a conoscenza della pericolosità dei luoghi­ nella produzione dell'evento.
4. Con il secondo motivo, lamenta la violazione della legge penale con riferimento agli artt. 41, comma 2, 43 e 45 cod. pen. ed il vizio di motivazione. Deduce che la sentenza impugnata, confermando il giudizio di colpevolezza, ha illogicamente individuato nell'omessa apposizione della recinzione e dei cartelli interdittivi all'ingresso di terzi, ad indicare la pericolosità dei luoghi, senza avvedersi che siffatti presidi non avrebbero impedito la morte della persona offesa, la quale ha scelto, nonostante gli ammonimenti dell'imputato, di calarsi nello scavo e rimuovere un pannello, così provocando la frana. Dunque, l'installazione della recinzione o dei cartelli non avrebbe impedito la morte di S.L., postosi volontariamente in una situazione di pericolo. Sicché le omissioni ascritte all'imputato non assumono alcuna rilevanza causale rispetto all'evento.
5. Con il terzo motivo, denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, senza affrontare la questione -pur sottoposta alla Corte territoriale- dell'inesistenza dell'obbligo del C.S.E. di effettuare un'indagine geologica o geotecnica dell'area di cantiere, non essendo ciò previsto dall'art . 119 d.lgs. 81/2008, si limita ad affermare che la friabilità del terreno appariva ictu oculi, e che, pertanto, L.B. non poteva, anche essendo un imprenditore del settore scavi, non prevedere la pericolosità del sito. Una simile motivazione, nondimeno, elude la doglianza proposta, tanto più che il giudice di appello dichiaratamente tralascia la contestazione dell'omessa indagine geologica, così contravvenendo al disposto dell'art. 125, comma 3 cod. proc. pen. e dell'art 546, comma 1) lett. e), n. 1) cod. proc. pen., incorrendo nel vizio contestato. Evidenzia, altresì, che la motivazione è gravemente viziata nella parte in cui sostiene esservi in atti la prova 'logica' del fatto che lo scavo avesse una profondità superiore a rn. 1, 5, circostanza che avrebbe imposto a L.B. di adottare specifiche armature di sostegno ai sensi dell'art. 119 d.lgs. 81/2008. Il ragionamento della Corte dimostra la sua fallacia laddove presuppone che un uomo travolto da una frana resti in posizione eretta, da ciò traendo l'assunto dell'altezza dello scavo. Infine, sottolinea che la normativa prevista dal d.lgs 81/2008 è rivolta alla tutela dei lavoratori e non a quella del committente o del terzo presente in cantiere, sicché la sua estensione non è consentita.
6. Con il quarto motivo, si duole della contraddittorietà della motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Sostiene che la sentenza impugnata ripete l'errore compiuto dal primo giudice, contestato con il gravame. Da un lato, infatti, il G.U.P. aveva riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata, valorizzando il comportamento imprudente della persona offesa . Dall'altro, aveva neutralizzato il giudizio di bilanciamento applicando una pena base a due anni di reclusione, con uno scostamento significativo dal minimo edittale, e ciò facendo riferimento all'asserita 'esecrabile disinvoltura dimostrata' dall'imputato 'nel condurre e sorvegliare l'andamento dei lavori dallo stesso realizzati all'interno del cantiere' da cui sarebbe derivata la morte di S.L.. Osserva che porre l'accento, per un verso, sulla condotta dell'infortunato, al fine di mitigare il trattamento sanzionatorio, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti, e per altro verso, sulla condotta dell'imputato, ritenuta gravemente disinvolta, per determinare la pena base, rappresenta la grave contraddittorietà della motivazione, in relazione alla determinazione della pena.

7. Con l'ultimo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata, in relazione alle statuizioni civili, facendo valere l'erronea applicazione dell'art. 1227 cod. civ.. Rileva che la norma introduce un meccanismo di modulazione del risarcimento del danno sulla base del concorso causale determinato dalla condotta della persona offesa. Ciò impedisce, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale -che, in sostanza, formula un'interpretazione abrogatrice della norma- di porre a carico del danneggiante l'integrale risarcimento del danno.
8. Con requisitoria scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8 d.l. 137/2020 il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
9. Con memoria ritualmente depositata la parte civile C.A., anche quale esercente la potestà genitoriale su A.L., a mezzo del suo difensore, ha chiesto rigettarsi il ricorso, allegando nota spese.
10. Con memoria ritualmente depositata P.E., a mezzo del suo difensore, ha chiesto il rigetto del ricorso, allegando nota spese.
11. Con memoria ritualmente depositata G.L. Giuseppina e L.MA.hanno chiesto il rigetto del ricorso, allegando nota spese.
12. Con memoria del 2 dicembre 2020 L.B. Luigi, a mezzo del suo difensore, ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
 



Diritto


1. Il ricorso deve essere rigettato. Le doglianze formulate vanno trattate nel loro ordine logico.
2. Il primo motivo da esaminare è quello esposto con la terza censura, inerente alla sussistenza della condotta colposa ascritta all'imputato, per violazione del disposto di cui all'art. 119 d.lgs. 81/2008. La norma con il primo comma prevede che "Nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, alla applicazione delle necessarie armature di sostegno", precisando al secondo comma che "Le tavole di rivestimento delle pareti devono sporgere dai bordi degli scavi di almeno 30 centimetri".
3. Dalla semplice lettura del testo dell'art. 119, comma 1^, dunque, emerge l'assenza dell'obbligo della previa esecuzione di una perizia geologica per verificare la necessità di mettere in sicurezza uno scavo con altezza superiore a m. 1, 50. La disposizione, invero, introduce una regola molto ampia, non collegata unicamente alla composizione (geologica) del terreno, ma alla sua stabilità concreta, che deve essere valutata dall'appaltatore volta per volta, in relazione alle condizioni del lavoro da svolgere ed alla pendenza delle pareti di scavo, essendo il medesimo certamente più pericoloso quanto più profondo e verticale rispetto alla sua base. Tanto è vero che il legislatore indica la massima altezza consentita m. 1,50 al di sotto della quale l'apposizione del sostegno­ armatura non è obbligatorio.
4. Correttamente, dunque, la Corte esclude la rilevanza dell'assenza dell'accertamento geologico, pur contestata, concentrandosi sulla 'friabilità del terreno' sul quale lo scavo era stato effettuato. Circostanza quest'ultima neppure efficacemente posta in dubbio dal ricorrente, che genericamente si duole del vizio di motivazione per avere il giudice di seconda cura fatto rifermento ad un'evidenza ictu oculi della natura del terreno, senza che ciò risulti dalla sua analisi tecnica.
Una simile censura, nondimeno, si rivela un velleitario tentativo di indebolire la motivazione facendo riferimento alla necessità dì conoscere la composizione del suolo e del sottosuolo su cui venivano effettuate le opere, per affermare l'obbligo in capo all'imputato di provvedere all'armatura dello scavo, laddove, al contrario, stante la previsione generale di cui all'art. 119 d.lgs. 81/2008, è possibile l'esonero dalla predisposizione della cautela solo ove il terreno presenti garanzia di stabilità. Cioè quando, proprio come sottolinea la Corte territoriale, il terreno sia di natura rocciosa e comunque così coeso, da presentare una compattezza e consistenza non scalfìbile, se non attraverso l'azione meccanica.
5. Questa preliminare precisazione consente di dare risposta anche all'ulteriore profilo esposto con la terza doglianza, riguardante l'altezza dello scavo. Il ricorrente, infatti, sostiene che sul punto la sentenza impugnata abbia fatto ricorso ad una motivazione di tipo 'intuitivo', ricavando la profondità dello scavo dalla circostanza che se questo avesse avuto un'altezza inferiore a m. 1,5 il crollo non avrebbe potuto sovrastare la persona offesa, che, invece, era rimasta sepolta, senza tenere in considerazione che chi viene travolto da un crollo non resta in posizione eretta.
La suggestione introdotta, pur nella correttezza dell'assunto, dimentica la premessa del ragionamento del giudice di seconda cura, che pur concludendo - in modo certamente semplicistico- con l'affermazione riportata dal ricorrente, nondimeno, premette che l'altezza dello scavo è ricavabile non solo dai rilevi fotografici compiuti nell'immediatezza dei fatti, che consentono un raffronto visivo ancorché manchi una precisa misurazione della profondità, ma dalla conferma desumibile dalla perizia tecnica disposta dal giudice di prima cura. Sicché la deduzione logica esposta dalla Corte territoriale -secondo cui lo scavo aveva altezza certamente superiore a m. 1,50 posto che altrimenti il crollo della terra non avrebbe coperto la persona offesa- è considerazione ultronea e certamente anche scorretta, ma la motivazione regge alla prova di resistenza. E' la Corte stessa, peraltro, a richiamarla solo quale 'avvallo' delle prove - perizia e rilievo fotografico- su cui fonda la decisione.
6. La motivazione in ordine all'altezza dello scavo, dunque, è scevra da vizi logici, e costituendo un accertamento di merito esula dal sindacato di questa Corte di legittimità. Come di recente ribadito, infatti, "Anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito" (ex multis: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018 - dep. 10/08/2018, Ndoja, Rv. 273911).

7. Il terzo profilo, introdotto con la doglianza inerente alla sussistenza della condotta colposa, pertiene all'applicabilità delle norme cautelari previste dal d.lgs. 81/2008 per il caso in cui la vittima del sinistro non sia un lavoratore, ma un terzo. Si sostiene, infatti, che il ricorso alle regole previste dal testo unico sulla salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro non possa estendersi a rapporti di natura diversa da quello che lega il datore di lavoro ed il lavoratore, non essendo il primo tenuto ad evitare danni a terzi ed in particolare al committente.
8. Si tratta di un'eccezione largamente smentita dalla giurisprudenza di questa Sezione. L'estensione a soggetti diversi dal lavoratore delle cautele imposte nei luoghi di lavoro deriva dal contatto con il rischio che l'imprenditore ha l'obbligo di gestire, e ciò in quanto la sfera di competenza del soggetto titolare è definita "su base eminentemente oggettiva, ovvero in relazione alla fonte di pericolo" (Sez. 4, n. 43168 del 17/06/2014, Cinque).
L'esistenza del dovere protettivo si estende, dunque, all'area del pericolo, sicché l'estraneità alle lavorazioni non incide sull'obbligo prevenzionale, quando l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata (Cfr. anche Sez. 4, n. 38200 del 12/05/2016, Marane, Rv. 267606; Sez. 4, Sentenza n. 44142 del 19/07/2019, Rv. 277691; Sez. 4, Sentenza n. 32178 del 16/09/2020, Rv. 280070; in precedenza: Sez. 4, n. 14175 del 08/11/2005 - dep. 21/04/2006, Zucchiati, Rv. 233949).
9. Ora, non può esservi dubbio sul fatto che la norma cautelare di cui all'art. 119 d.lgs. 81/2008, regolando il rischio di crollo di uno scavo, miri alla prevenzione degli eventi dannosi che da quello possano derivare, definendo l'obbligo prevenzionale in relazione alla fonte del pericolo e non alla qualità del soggetto esposto.
10. Il secondo motivo, che si sofferma sul passo motivazionale con cui si censura della mancata adozione all'interno del cantiere di recinzioni e di cartelli interdittivi, contestata con l'imputazione, è manifestamente infondato. La doglianza, invero, sopravvaluta il brevissimo passaggio motivazionale in ordine all'assenza dei presidi di avvertimento e di chiusura dell'area, perché entrambe le decisioni ascrivono l'evento alla mancata adozione dell'armatura dello scavo.
11. Va, a questo punto, affrontato il primo motivo proposto dal ricorrente relativo all'elusiva risposta del giudice del gravame in ordine alla valenza interruttiva del nesso causale dell'abnorme comportamento della parte offesa, la quale, nonostante l'ammonimento dell'imputato, immediatamente precedente, si era calata nello scavo ed aveva rimosso il pannello di legno ivi piazzato per trattenere la terra. Si assume, invero, che la mancata valutazione della sufficienza causale della causa sopravvenuta, e cioè del comportamento tenuto da S.L., non possa essere superata dalla mera valutazione della non imprevedibilità del suo comportamento.
12. Per affrontare la questione deve, preliminarmente, ricordare che in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare. Sono le Sezioni unite a chiarire che "un comportamento è «interruttivo» (...) della sequenza causale non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al «rischio» che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità rende magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento" (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espehnahn­ in motivazione).
13. Sulla configurabilità come 'nuovo' del rischio dipendente dalla condotta di chi venga a contatto con il pericolo che il garante è chiamato a governare, la giurisprudenza di legittimità abbandonando il criterio dell'imprevedibilità del comportamento nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento ha sostenuto che affinché "la possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (cfr. sulla base del principi enunciati da Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espehnahn, da ultimo: Sez. 4, Sentenza n. 22691 del 25/02/2020, Rv. 279513; Sez. 4, Sentenza n. 20270 del 06/03/2019, Rv. 276238; Sez. 4, Sentenza n. 123 del 11/12/2018, Rv. 274829; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016 Rv. 269603, in motivazione).

14. Orbene, nell'affrontare il tema deve, invero, riconoscersi - e la Corte lo fa, seppure sinteticamente- che la condotta posta in essere dalla parte offesa rappresenta proprio quella che la norma cautelare mira a proteggere. Non è dubbio, dunque, che la pacifica violazione sia stata causa dell'evento, ciò che si concretizza, infatti, è il pericolo paventato e cioè il seppellimento di colui che si trovi all'interno dello scavo.
15. D'altro canto, l'art. 119 stabilisce l'obbligo di provvedere all'armatura 'man mano che lo scavo procede' e ciò per evitare che uno scollamento temporale fra l'attività e la protezione dai suoi possibili effetti, quali, appunto, il crollo della parete di trincea.
16. A fronte di ciò, nondimeno, l'essersi la persona offesa, disubbidendo al divieto appena impartito dall'imputato, calata all'interno dello scavo e l'avere rimosso il pannello di legno apposto per trattenere la terra, seppure costituisce - e la Corte territoriale lo riconosce- evidente concausa del sinistro, non interrompe il nesso di causalità fra la condotta colposa dell'imputato e l'evento, posto che l'armatura dello scavo, correttamente eseguita avrebbe evitato il rovinoso epilogo. Mentre la condotta, anch'essa indubbiamente colposa della persona offesa, non avrebbe inevitabilmente prodotto l'evento, in presenza dell'osservanza scrupolosa delle regole dì cautela destinate ad evitarlo.
17. Il quarto motivo è infondato. Mal si coglie, invero, la contraddittorietà lamentata dal ricorrente in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio. La pena base, infatti, viene correttamente determinata, da entrambi i giudici del merito, avuto riguardo alla gravità della colpa -per essere l'evento ampiamente prevedibile- ed alla gravità del danno cagionato dalla condotta, in piena coerenza con i parametri descritti dall'art. 133 cod. pen., mentre la diminuente di cui all'art. 62 bis cod. pen., concessa dal primo giudice,
la cui funzione è quella di introdurre una mitigazione della pena tenendo in
considerazione circostanze non contemplate in modo specifico dal legislatore, è stata ancorata alla piccola dimensione dell'impresa ed al concorso dì colpa della persona offesa, che non diminuisce, nel caso dì specie, il grado della colpa del reo e quindi non influisce sulla determinazione della pena.
18. L'ultimo motivo è parimenti infondato. E' pur vero che la sentenza di
secondo grado omette di dare risposta al motivo di appello circa la determinazione della diminuzione della somma riconosciuta in via provvisionale a titolo di risarcimento del danno per il fatto colposo della persona offesa, ai sensi dell'art. 1227, comma l" cod. civ.. E, tuttavia, va ricordato che secondo la giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte di legittimità "Nel giudizio civile risarcitorio il giudicato penale di condanna spiega effetto vincolante ai sensi dell'art. 651 c.p.p. in ordine all'accertamento del nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica e delle circostanze di tempo, luogo e modo di svolgimento di esso, ma non preclude al giudice civile l'accertamento dell'apporto causale del danneggiato - il quale, se di regola è inidoneo ad escludere la responsabilità penale, può ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell'art. 1227, comma 1, cod. civ.- ove non sia stato considerato dal giudice penale ai fini dell'accertamento a lui demandato" (da ultimo, ex multis Sez. 3, Sentenza n. 15392 del 13/06/2018, Rv. 649308). Sicché l'eventuale valutazione, stante la natura meramente provvisionale delle somme riconosciute in favore delle parti civili, potrà essere svolta in sede civile.
19. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili C.A. e L. A. che liquida in complessivi euro 3,600,00, oltre accessori di legge; alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili L. M. e L.G. che liquida in complessivi euro 3.600, oltre accessori di legge; inoltre alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile P.E., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Cagliari con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 9/12/2020