Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2021, n. 12137 - Contatto con materiale tagliente dell'addetta alle pulizie. Principio di esigibilità e assoluzione della Responsabile area delegata alla sicurezza 


 

 

 

Nella sentenza impugnata si contesta alla ricorrente di non avere, nella sua qualità di responsabile dell'area e delegata di primo livello anche in materia antinfortunistica, «disposto, preteso e controllato, anche effettuando la dovuta ed adeguata vigilanza, che i lavoratori utilizzassero in modo corretto i dispositivi di protezione presenti nello stabilimento». Il riferimento è ai guanti anti-taglio, che pur presenti in azienda, non erano stati consegnati alla dipendente per precisa scelta organizzativa aziendale, essendo state date diposizioni di non toccare gli oggetti taglienti con le mani ma di operare con altre, più sicure, modalità. Al riguardo, il Collegio osserva che non è priva di significatività, ai fini dell'esclusione della responsabilità dell'odierna ricorrente, la circostanza che il rischio di cui si tratta fosse stato preso in considerazione nel documento di valutazione rischi ove si era esclusa la necessità di impiego di guanti anti­ taglio per l'espletamento dell'attività svolta dalla lavoratrice. I guanti anti­ taglio, infatti, erano stati acquistati ed impiegati per altre lavorazioni, in una prospettiva di eliminazione del rischio alla fonte. Finalità, questa, come afferma il ricorrente, perseguita dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e attuata mediante la specifica previsione che i lavoratori, a fronte dell'evenienza in cui operò la persona offesa, non dovessero in alcun modo manipolare oggetti dotati di superfici taglienti, dovendo, invece, utilizzare altri strumenti (paletta e secchiello) per rimuoverli per successivamente inserirli in un recipiente rigido. Non si vede, pertanto, quale regola cautelare l'imputata avrebbe violato, né è dato rinvenire, nella sentenza impugnata, l'accertamento di alcun nesso di causalità tra la condotta alla stessa ascritta e l'evento occorso alla lavoratrice la quale ha disatteso le precise istruzioni ricevute, sulla cui osservanza il datore di lavoro o chi lo rappresenta ha ragionevolmente diritto di fare affidamento.


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 03/12/2020
 

 

Fatto
 



1. La Corte di appello di Ancona, parzialmente riformando la sentenza emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di B.E. limitatamente alla pena, l'ha confermata nel resto.
2. La B.E. è stata chiamata a rispondere di lesioni personali aggravate perché, in qualità di Responsabile Area, delegata dal legale rappresentante della Manutencoop Facility Management S.P.A., per colpa consistita nella violazione dell'art. 18, comma 1, lett. d), d.lgs. 81/08, omettendo di fornire alla dipendente P.A., addetta al servizio di pulizia e sanificazione, gli idonei dispositivi di protezione individuale (guanti anti-taglio), cagionava l'infortunio della predetta, la quale, mentre stava effettuando le pulizie all'interno del supermercato Ipercoop Città delle Stelle, dopo aver raccolto, con scopa e paletta, dei pezzi di vetro, durante la fase di chiusura di un sacco per la raccolta indifferenziata, al cui interno li aveva riposti, si tagliava, subendo lesioni personali (lesione tendine estensore del 2° dito dx), da cui derivava una malattia di durata superiore a 40 giorni.
3. Il giudice di primo grado aveva ritenuto, in base alle risultanze dell'istruttoria dibattimentale (dichiarazioni della persona offesa, dei funzionari dell'ASUR e egli altri testi esaminati, della documentazione acquisita), che l'infortunio subito dalla lavoratrice, a causa della mancata dotazione di guanti idonei a proteggerla dall'eventuale contatto con il materiale tagliente, costituisse un profilo di colpa ascrivibile all'imputata, legale rappresentante della società, che, in quanto tale era tenuta, anche in caso di valida delega delle funzioni a terzi, a vigilare e controllare che il delegato usasse la delega in conformità alle prescrizioni di legge.
4. Avverso la prefata sentenza di appello propone ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore. Solleva due motivi:
4.1. Erronea applicazione della legge penale. A fronte di specifica doglianza con riguardo all'abnormità della condotta della persona offesa, la Corte del merito avrebbe offerto un'interpretazione del quadro normativo non conforme alla giurisprudenza di legittimità sul punto, per aver acriticamente fatto propria l'interpretazione del giudice di primo grado. Non avrebbe, in particolare, tenuto conto che alla lavoratrice erano state impartite precise istruzioni operative cui attenersi nell'espletamento dell'attività cui era stata destinata e del fatto che la stessa era stata informata dei relativi rischi. Il rischio, che si è poi concretizzato nella vicenda in esame, era comunque stato preso in considerazione nel D.V.R. La ritenuta prevedibilità del comportamento della persona offesa non ha nulla a che spartire con il distinto tema dell'abnormità della condotta della P.A., evidenziata nell'atto di appello. Le risultanze istruttorie avrebbero dovuto essere diversamente apprezzate, tenuto conto delle pregnanti ragioni sottese alla decisione adottata dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale di non prevedere l'impiego di guanti anti - taglio per l'espletamento dell'attività svolta dalla lavoratrice. I guanti anti-taglio, infatti, erano stati acquistati ed impiegati per altre lavorazioni, in una prospettiva di eliminazione del rischio alla fonte: finalità, questa, perseguita dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e attuata mediante la specifica previsione che i lavoratori, a fronte dell'evenienza in cui operò la persona offesa, non dovessero in alcun modo manipolare oggetti dotati di superfici taglienti, dovendo, invece, utilizzare altri strumenti (paletta e secchiello) per rimuoverli, in modo da elidere in radice il rischio. La questione, posta dal caso in esame, attiene all'esigibilità o meno di una vigilanza continuativa del lavoratore da parte del datore di lavoro e di soggetti a lui equiparati.
4.2. Erronea applicazione della legge di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale (art. 16 d.lgs. 81/08), nonché mancanza di motivazione sul punto. La difesa aveva invocato l'applicazione dell'art. 16 d.lgs. 81/08, in considerazione del fatto che l'imputata, già delegata in materia antinfortunistica, aveva, a sua volta, delegato la materia ad un altro soggetto (A.S.). La Corte di appello - la quale ha affermato che la mancata dotazione di guanti anti-taglio era frutto "di una precisa scelta di carattere strutturale e, come tale, riconducibile alla B.E." - non ha peraltro giustificato questo assunto, così integrando il vizio di mancanza di motivazione.
5. Con memoria difensiva del 25/11/2020, in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, il difensore dell'imputata ha ribadito le argomentazioni sviluppate a sostegno del ricorso.

 

Diritto



1. Il ricorso è fondato.
2. Con riguardo al primo motivo, laddove si imputa alla lavoratrice un comportamento abnorme, si osserva preliminarmente che l'agire imprudente del lavoratore può rilevare nell'ottica dell'elemento oggettivo del reato, sotto il profilo dell'interruzione del nesso causale, oppure nell'ottica dell'elemento soggettivo, sotto il profilo dell'esclusione della colpa del datore di lavoro. Nel caso di specie, correttamente la Corte del merito ha affermato che la condotta della lavoratrice non può ritenersi abnorme. Il comportamento del lavoratore può, infatti, essere reputato abnorme - e, dunque, tale da interrompere il nesso di condizionamento - allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell'esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603). È, pertanto, abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non può dirsi, invece, il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli o che abbia espletato un incombente che, pur se inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate, nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313). Nel caso in esame, l'operazione effettuata dalla persona offesa, pur con modalità diverse da quelle prescritte dall'azienda, rientrava tra le mansioni di pulizia alle quali la stessa era addetta, di talché la conclusione sul punto cui è pervenuto il giudice a quo é del tutto conforme al menzionato, consolidato, orientamento della giurisprudenza di legittimità.
3. Quanto al quesito se la condotta imprudente della lavoratrice sia stata tale da incidere sulla ravvisabilità della colpa in capo all'imputata si osserva quanto segue. Si contesta alla ricorrente, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, di non avere, nella sua qualità di responsabile dell'area e delegata di primo livello anche in materia antinfortunistica, «disposto, preteso e controllato, anche effettuando la dovuta ed adeguata vigilanza, che i lavoratori utilizzassero in modo corretto i dispositivi di protezione presenti nello stabilimento». Il riferimento è ai guanti anti-taglio, che pur presenti in azienda, non erano stati consegnati alla dipendente per precisa scelta organizzativa aziendale, essendo state date diposizioni di non toccare gli oggetti taglienti con le mani ma di operare con altre, più sicure, modalità. Al riguardo, il Collegio osserva che non è priva di significatività, ai fini dell'esclusione della responsabilità dell'odierna ricorrente, la circostanza che il rischio di cui si tratta fosse stato preso in considerazione nel documento di valutazione rischi ove si era esclusa la necessità di impiego di guanti anti­ taglio per l'espletamento dell'attività svolta dalla lavoratrice. I guanti anti­ taglio, infatti, erano stati acquistati ed impiegati per altre lavorazioni, in una prospettiva di eliminazione del rischio alla fonte. Finalità, questa, come afferma il ricorrente, perseguita dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale e attuata mediante la specifica previsione che i lavoratori, a fronte dell'evenienza in cui operò la persona offesa, non dovessero in alcun modo manipolare oggetti dotati di superfici taglienti, dovendo, invece, utilizzare altri strumenti (paletta e secchiello) per rimuoverli per successivamente inserirli in un recipiente rigido. Non si vede, pertanto, quale regola cautelare l'imputata avrebbe violato, né è dato rinvenire, nella sentenza impugnata, l'accertamento di alcun nesso di causalità tra la condotta alla stessa ascritta e l'evento occorso alla lavoratrice la quale ha disatteso le precise istruzioni ricevute, sulla cui osservanza il datore di lavoro o chi lo rappresenta ha ragionevolmente diritto di fare affidamento.
4. Nel caso di specie, afferente ad un'impresa di grandi dimensioni, viene, altresì, in rilievo il cosiddetto principio di esigibilità. La colpa ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell'agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altro). Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell'agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l'osservanza della regola stessa: in sostanza, nell'esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che si colloca nell'ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all'agente. A questo profilo della responsabilità colposa la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell'agente attraverso l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano Anna Antonia, Rv. 276797; Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, P.G. in proc. Barberi ed altri; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, pc in proc. Bordogna e altri).
5. Da queste considerazioni deriva che la qualità dell'imputata, di Responsabile Area, delegata dal legale rappresentante della Manutencoop Facility Management S.P.A., non costituisce di per sé prova della conoscenza o della conoscibilità, da parte della stessa, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. Ciò significa che un'eventuale condotta omissiva al riguardo non può esserle ascritta laddove non si abbia la certezza che fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l'avesse colposamente ignorata. Invero, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte di questi di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro, Rv. 273568; Sez. 4, n. 24462 del 6/5/2015, Ruocco, Rv. 264128; Sez. 4, n. 5404 del 8/1/2015, Corso e altri, Rv. 262033).
6. Il secondo motivo resta assorbito.
7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

 

P.Q.M.
 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.
Così deciso il 3 dicembre 2020