Corte di Appello di Brescia, Sez. Lav., 01 aprile 2021, n. 248 - Illegittimità del contratto di somministrazione di lavoro per omessa predisposizione del DVR da parte dell’utilizzatore


 





 

R E P U B B L I C A  I T A L I A N A

I N  N O M E  D E L  P O P O L O  I T A L I A N O


La Corte d’Appello di Brescia, Sezione Lavoro, composta dai Sigg.:
Dott. Antonio MATANO Presidente Dott.ssa Giuseppina FINAZZI Consigliere rel.
Dott. Sergio CASSIA Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
 


nella causa civile promossa in grado d’appello con ricorso depositato in Cancelleria il giorno 16/03/20, iscritta al n. 66/20 R.G. Sezione Lavoro e posta in discussione all’udienza collegiale del 10/12/2020.

d a

E. SRL, in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentata e difesa dall’Avv.to Roberto TRUSSARDI e Alberto ALIVERTI di Bergamo, domiciliatari giusta delega in calce ricorso in appello
RICORRENTE APPELLANTE

c o n t r o

G. , rappresentato e difeso dall’Avv.to Andrea STERLI di Brescia e dall’Avv.to Andrea PESENTI di Bergamo, quest’ultimo domiciliatario giusta delega in atti.
RESISTENTE APPELLATO

M. SRL, in persona del Responsabile Affari Legali


OGGETTO: Lavoro interinale rappresentata e difesa dall’Avv.to Raffaele DE LUCA TAMAJO di Napoli, Avv.to Federica PATERNO’ di Roma e dall’Avv.to Giacomo DE FAZIO di Bergamo, quest’ultimo domiciliatario giusta delega in calce alla memoria difensiva.
RESISTENTE APPELLATA

In punto: appello a sentenza n. 108/20 del 20/02/20 del Tribunale di Bergamo.
 

Conclusioni:

Della ricorrente appellante:

Come da ricorso

Dei resistenti appellati:

Come da memoria



Fatto


Con sentenza n.108/2020, pubblicata in data 20 febbraio 2020, il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, ha accolto il ricorso proposto da G e ha dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il ricorrente e la E s.r.l., sin dall’1 settembre 2017, con inquadramento al livello H categoria C del CCNL Gomma Plastica; ha condannato la E s.r.l. all’immediata riammissione in servizio del ricorrente ed al pagamento nei suoi confronti di un’indennità omnicomprensiva pari a n.12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, per l’importo di € 20.755,92, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo;
ha condannato la E s.r.l. al rimborso delle spese di lite in favore del ricorrente ed ha dichiarato interamente compensate le spese di lite tra il ricorrente e la M s.r.l..
Il giudice, dopo aver dato atto che il ricorrente aveva lavorato presso la E s.r.l. in virtù di vari contratti di somministrazione conclusi con la M s.r.l., ha rilevato che il terzo contratto di somministrazione, riguardante il periodo 3 settembre/29 settembre 2018, era stato stipulato tra il 2 ed il 10 agosto 2018, con la conseguenza che restava regolato dalla disciplina anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. 87/2018, conv. nella l. 96/2018, disciplina quest’ultima che trovava applicazione soltanto per i contratti, i rinnovi e le proroghe successivi al 31 ottobre 2018.
Ha quindi respinto l’eccezione di illegittimità del contratto per la mancata indicazione delle ragioni giustificatrici del termine, sollevata dal lavoratore ai sensi dell’art.34, comma 2, del d.lgs.81/2015, come novellato dall’art.2 del suddetto d.l. 87/2018.
Ha poi osservato che la terza proroga del terzo contratto, sottoscritta il 30 novembre 2018 e relativa al periodo 1/22 dicembre 2018, non richiedeva alcuna giustificazione, essendo intervenuta nei primi 12 mesi dalla data di stipula del contratto “rinnovato”, che nella specie era quella di agosto 2018, per cui sotto questo profilo l’eccezione di illegittimità della proroga era infondata.
Ha tuttavia ritenuto che siccome la causale della proroga era stata indicata nel contratto, la stessa poteva essere contestata dal ricorrente, con correlato onere delle parti convenute, e in particolare della E s.r.l., quale utilizzatrice, di fornirne la prova.
Nella specie questa prova non era stata raggiunta con tutte le connesse ripercussioni in capo all’utilizzatore.
Ed ancora, ha rilevato che tutti i contratti di somministrazione erano irregolari, per violazioni riconducibili alle previsioni degli artt.31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lett.a),b),c) e d) del d.lgs.81/2015.
Sotto un primo profilo, ha osservato che la previsione dell’art.31, comma 1, del d.lgs. 81/2015, in materia di superamento della percentuale del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza all’utilizzatore, non trovava applicazione nel caso del ricorrente, essendo stata introdotta dalla l.96/2018, entrata in vigore il 12 agosto 2018, quando la somministrazione del ricorrente era già in corso.
Ha però affermato che la convenuta E s.r.l. non aveva preso posizione sul punto e sul fatto che, in ogni caso, l’art.31, comma 2, del d.lgs.81/2015, nella versione ante novella, prevedeva che la somministrazione potesse avvenire entro i limiti quantitativi indicati nei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore.
Sotto diverso profilo, ha accertato che la E non aveva preso posizione, nulla deducendo e nulla provando, neppure sul fatto dedotto dal ricorrente, relativo alla mancata effettuazione di idonea valutazione dei rischi, con conseguente violazione dell’art.32, comma 1, lett.d) del d.lgs.81/2015, secondo cui il contratto di somministrazione era vietato da parte dei datori di lavoro che non avessero effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Ha esposto che la violazione di questa previsione per espressa disposizione dell’art.38, comma 2, d.lgs. 81/2015, determinava la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione.
Ha quindi affermato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il ricorrente e la E , sin dall’1 settembre 2017, data di stipulazione del primo contratto di somministrazione, con tutte le correlate statuizioni di cui sopra.
Contro la sentenza, con atto depositato il giorno 16 marzo 2020, la E s.r.l. ha proposto appello, articolando n.7 motivi di impugnazione.
Ha chiesto l’integrale riforma della decisione, con rigetto di tutte le domande proposte dal lavoratore, e, in via subordinata, ha insistito nelle domande di manleva spiegate nei confronti della M s.r.l..
G si è costituito tempestivamente in giudizio ed ha resistito all’impugnazione, chiedendone il rigetto; in via subordinata, ha proposto a sua volta appello incidentale condizionato.
Anche la M s.r.l. si è costituita in giudizio ed ha resistito ad entrambi gli appelli, insistendo per il loro rigetto.
L’udienza si è svolta con collegamento da remoto, ai sensi dell’art.221, comma 6, del d.l. 34/2020, conv. nella l.77/2020, in materia di emergenza epidemiologica da COVID- 19, e all’esito della camera di consiglio, la causa è stata decisa con sentenza, del cui dispositivo è stata data pubblica lettura e successiva comunicazione telematica alle parti, avendo queste rinunciato a presenziare alla lettura del dispositivo.
 

Diritto


L’appello merita accoglimento nei ristretti termini di cui sotto, in materia di quantificazione dell’indennità risarcitoria da riconoscere al lavoratore, e per il resto va respinto.
Occorre premettere che l’appellante nell’arco temporale compreso tra l’1 settembre 2017 e il 22 dicembre 2018, ha lavorato in somministrazione, in virtù di tre contratti stipulati con la M , più volte prorogati.
Il G , in esecuzione di questi contratti, ha sempre prestato la propria attività lavorativa presso l’utilizzatrice E , che opera nel settore della lavorazione di guarnizioni industriali in gomma, e, in particolare, nella produzione di prodotti per macchine movimento terra.
Come esposto in premessa, il giudice di primo grado, adito dal lavoratore, ha ritenuto illegittimi tutti e tre i contratti e, per l’effetto, ha costituito in capo ad E , quale utilizzatrice, un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di inizio del primo rapporto in somministrazione e con inquadramento del ricorrente nel livello H, categoria C, del CCNL Gomma Plastica, accertando altresì il diritto del G. all’immediata riammissione in servizio e condannando la E. al pagamento in suo favore di un’indennità pari a n.12 mensilità.
La E contesta le statuizioni del Tribunale sotto vari profili.
Conviene partire dai motivi che riguardano le statuizioni in materia di illegittimità dei contratti di somministrazione.
Con il secondo e il terzo motivo, la società appellante contesta il capo della decisione che ha ritenuto l’illegittimità della terza proroga del terzo contratto, rilevando che una volta accertata la libera prorogabilità del contratto, senza alcuna necessità di giustificazione della stessa, sarebbe del tutto irrilevante che la causale della proroga sia stata invece apposta, con correlata irrilevanza ai fini della legittimità legale della stessa, del fatto che la causale non sia stata provata in giudizio. Sostiene che, in ogni caso, la sussistenza di questa casuale sarebbe stata dimostrata in giudizio, diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure.
Con il quarto motivo, critica il capo della sentenza che ha accertato l’irregolarità di tutti i contratti di somministrazione e, in primo luogo, adduce che il giudice avrebbe accolto difese che il ricorrente avrebbe articolato, in maniera del tutto inammissibile, soltanto in via ipotetica e al buio, e anche in maniera generica, così impedendole ogni compiuta difesa al riguardo (avendo ipotizzato tutte le possibili irregolarità previste dalla legge e in particolare dall’art.31 del d.lgs.81/2015, senza concentrarsi su ognuna di esse in modo preciso).
In secondo luogo, sostiene che non sussisterebbe nessuna delle irregolarità rilevate dal Tribunale, posto che gli estremi dell’autorizzazione di M erano riportati nell’intestazione dei contratti commerciali ed i rischi per la salute e sicurezza erano esposti negli allegati ai contratti prodotti da M .
Con il quinto motivo, in realtà sesto, si duole che tutte le conseguenze dell’accertata irregolarità della somministrazione siano ricadute soltanto su essa società e non anche sull’agenzia di somministrazione.
I motivi vanno disattesi, ritenendo questa Corte territoriale di condividere la pronuncia di 1° grado in materia di invalidità di tutti i contratti di somministrazione, per mancata effettuazione della valutazione dei rischi, e risultando questa pronuncia assorbente rispetto alle ulteriori ragioni di illegittimità della somministrazione rilevate dal giudice di primo grado.
Anzitutto, come anche esposto dalla M , il vizio in materia di mancata effettuazione di idonea valutazione dei rischi, è stata la ragione fondante della decisione di primo grado, posto che il giudicante proprio (e soltanto) alla mancata presa di posizione sul punto da parte della E e alla mancata documentazione di aver effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, ha ricollegato la costituzione del rapporto di lavoro in capo alla E , applicando espressamente la previsione dell’art.38, comma 2, del d.lgs.81/2015, che appunto sancisce che quando la somministrazione avvenga al di fuori dei limiti e, tra le altre, della condizione in esame (prevista dall’art.32, comma 1, lett.d, che vieta la somministrazione “da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, “con effetto dall’inizio della somministrazione”.
Il giudice, appunto applicando questa norma, ha accertato la sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore dalla data di inizio del primo rapporto di somministrazione e ciò diversamente da quanto avrebbe statuito, qualora, ad esempio, avesse privilegiato il vizio di illegittimità della terza proroga del terzo contratto di somministrazione, nel qual caso, la sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non avrebbe che potuto decorrere dalla data della proroga illegittima.
Peraltro, va comunque chiarito che, in base al principio della c.d. “ragione più liquida”, la fondatezza delle statuizioni in esame, di cui si dirà subito, supera e rende superflua la trattazione di tutte le altre ragioni di illegittimità dei contratti di somministrazione affermate dal giudice di primo grado e impugnate in questa sede dalla E .
Ciò chiarito, per quanto attiene alla censura di inammissibilità delle difese del lavoratore in materia, per essere state esposte nel ricorso di 1° grado soltanto in via ipotetica, al buio e in maniera del tutto generica, con conseguente pronuncia ultra petita del giudice di primo grado, deve dissentirsi dalle considerazioni della società.
Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado dedica un intero paragrafo alla “somministrazione irregolare rispetto a tutti e tre i contratti di somministrazione e le relative eventuali proroghe” (punto II.V, pag.8 dell’atto) e all’interno del paragrafo sostiene configurarsi nella specie anche (rispetto a quelle dedotte nei precedenti paragrafi) “violazioni riconducibili alle ipotesi previste dagli art.31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b),c) e d) (e quindi dell’art.38) del d.lgs.81/2015”.
E’ vero che l’appellante si esprime, in questo primo periodo, in termini ipotetici, usando il verbo al condizionale, ma è pure vero che lo stesso chiarisce, nello stesso paragrafo e al periodo successivo, il perché di questa espressione, affermando di non avere la disponibilità della documentazione utile a verificare la sussistenza delle violazioni (con particolare riferimento ai contratti commerciali di somministrazione).
Peraltro, al punto 34 dello stesso paragrafo, l’appellante abbandona la formula ipotetica ed eccepisce espressamente, pur riservandosi di meglio argomentare a seguito dell’acquisizione della documentazione utile, una serie di mancanze formali, tra cui quella della “mancata effettuazione da parte di E srl di una idonea valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori” (punto 34.4, pag.9 dell’atto).
Questa difesa è, all’evidenza, attuale, precisa e specifica.
E coerentemente con la stessa, il lavoratore, quando passa a trattare della “tutela applicabile al caso di specie” (pag.14 dell’atto), espone in principalità le conseguenze derivanti dalle eccepite violazioni formali, che ritiene prevalere su tutte le altre, invocando le conseguenze di cui agli artt.38 e 39 del d.lgs.81/2015, che appunto si riferiscono a dette irregolarità, e in particolare la conseguenza della costituzione del rapporto di lavoro in capo alla E s.r.l. (ossia all’utilizzatore), con immediata riammissione in servizio e pagamento di un’indennità risarcitoria.
Anche nelle conclusioni del ricorso, chiede, in via principale, l’accertamento della natura irregolare della somministrazione intercorsa tra le parti con conseguente costituzione, sin dalla data del primo contratto di somministrazione (1 settembre 2017), di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la E e correlata riammissione in servizio, perché queste sono le conseguenze che derivano per legge da dette irregolarità, e soltanto in via subordinata il lavoratore avanza domande nei confronti della M s.r.l., sulla base degli altri vizi dei contratti di somministrazioni eccepiti in ricorso, non comportanti la costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore.
Se questo è il contenuto del ricorso, risulta piuttosto chiaramente che il lavoratore ha dedotto espressamente, e come sussistente, l’irregolarità delle somministrazione per la violazione, per quel che qui interessa ora, del divieto di somministrazione in assenza della valutazione dei rischi ad opera della E , per cui le censure di quest’ultima società non hanno ragion d’essere, non avendo il ricorrente, giova ripeterlo, fatto valere mere ipotesi di irregolarità della somministrazione, ma avendo eccepito precisi vizi formali, tra cui, appunto, quello specifico e ben individuato della mancata effettuazione da parte di E di un’idonea valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
La E ben poteva replicare a queste eccezioni, prendendo posizione e difendendosi anche attraverso adeguate produzioni.
Il punto l’appello è privo di fondamento.
Per quanto riguarda poi la sussistenza in concreto della violazione, va in primo luogo rilevato che la E ha omesso qualsiasi produzione per quanto attiene al documento di valutazione dei rischi e, prima ancora, nulla ha dedotto sull’esistenza di questo documento.
La società si è limitata a richiamare gli allegati ai contratti prodotti da M .
Ebbene, questi allegati sono del tutto insufficienti a dimostrare che la E abbia effettuato la valutazione dei rischi, come richiesto dall’art.32, comma 1, lett.d. E’ noto che quest’ultima norma dispone che il “contratto di somministrazione è vietato” … “d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.
La norma rappresenta il portato delle disposizioni comunitarie in tema.
La direttiva 91/383/CE stabilisce che in caso di somministrazione di lavoro, i lavoratori “beneficino, in materia di salute e sicurezza, dello stesso livello di protezione di cui beneficiano gli altri lavoratori dell’impresa e/o stabilimento utilizzatori”.
A tal fine la direttiva prevede, per quel che qui rileva, che: il lavoratore venga informato dall’impresa utilizzatrice sui rischi che corre in relazione all’”esigenza di qualifiche o attitudini professionali particolari o di una sorveglianza medica speciale” o “agli eventuali rischi aggravati specifici connessi con il posto di lavoro da occupare”; il lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata alle caratteristiche proprie del suo posto di lavoro, tenuto conto della sua qualificazione e della sua esperienza; i lavoratori designati all’attività di protezione e prevenzione dei rischi professionali devono essere informati delle funzioni assegnate ai lavoratori somministrati, in modo da poter svolgere la loro attività di protezione e prevenzione anche nei loro confronti.
La previsione del riportato art.32, lett.d, è l’espressione di questi principi e la specificità del precetto, alla stregua del quale la valutazione dei rischi assurge a presupposto di validità della somministrazione, trova la ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore sia con l’ambiente di lavoro, sia con gli strumenti di lavoro, a causa della minore esperienza e della minore formazione in quell’ambiente lavorativo, posto che il lavoratore somministrato è spesso inserito, per periodi brevi e frammentati, in un’organizzazione imprenditoriale allo stesso estranea sotto tutti i profili: luogo di lavoro, personale, macchinari, procedure produttive, ecc….
E’ evidente che, al fine di garantire a questi soggetti lo stesso livello di protezione di cui beneficiano gli altri lavoratori dell’utilizzatore, gli obblighi di valutazione dei rischi (oltre che di informazione e formazione dei lavoratori somministrati), non si possono ridurre ad una mera formalità, ma devono tenere conto delle esigenze di integrazione del lavoratore somministrato nel livello di tutela della salute e sicurezza generale dell’impresa.
La valorizzazione della protezione del lavoratore con minor familiarità con l’ambiente di lavoro, è del resto in consonanza con la peculiare pregnanza degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori meno esperti e in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, i quali notoriamente sono preordinati ad impedire l’insorgere di pericoli, anche eventuali e remoti, in qualsiasi fase del lavoro, e ciò a tutela del lavoratore anche contro incidenti derivanti da un suo comportamento colposo, imprevidente o negligente, e dei quali il datore di lavoro è comunque chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive.
Per quel che riguarda in particolare il documento di valutazione dei rischi, l’art.28, comma 2, lett.a e f del d.lgs.81/2008, dispone che il documento deve contenere la “valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa” e “l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento”.
Ne discende che in caso di lavoro somministrato, il documento di valutazione dei rischi dell’utilizzatore deve prevedere le condizioni nelle quali il personale in missione si troverà ad operare, i possibili rischi derivanti da tale inserimento, sia nel generale contesto aziendale, sia nelle specifiche mansioni in cui si troverà ad operare, in modo coerente con l’obiettivo della direttiva comunitaria e anche della normativa interna; o comunque il documento deve essere tale (magari nel caso di organizzazioni del lavoro non particolarmente complesse e/o di modeste dimensioni), da consentire la corretta ricostruzione del rischio cui il lavoratore somministrato risulti esposto nello svolgimento delle specifiche mansioni a lui assegnate, tenendo conto anche della sua formazione ed esperienza.
Nel caso di specie, la E non ha in alcun modo dato conto di aver predisposto il documento di valutazione dei rischi in generale (che peraltro non ha neppure prodotto), e, meno che meno, di averlo fatto tenendo conto dei rischi cui sono esposti i lavoratori somministrati in ragione del loro inserimento nell’organizzazione aziendale.
Né può ritenersi che l’adempimento della preventiva valutazione dei rischi possa essere soddisfatto con il rinvio a quanto esposto negli allegati ai contratti di somministrazione, prodotti da M .
Tra questi allegati vi è una scheda definita “nota informativa su sicurezza e prevenzione sul lavoro per il prestatore di lavoro in somministrazione” e nell’ambito della scheda sono riportati dei dati riguardanti in generale (e da barrare con un visto) i rischi per la salute e la sicurezza, i dispositivi di protezione che saranno consegnati al lavoratore e un elenco, sempre generico e generale, di mansioni pericolose per l’esposizione a fattori morbigeni.
Si tratta di informazioni generali e in particolare di quelle che devono essere raccolte ai sensi dell’art.33, comma d), del d.lgs.81/2015 e che devono essere inserite nel contratto di somministrazione, ma non hanno nulla a che vedere con l’obbligo di effettuazione della valutazione dei rischi che grava sull’utilizzatore ai sensi del precedente art.32 (le stesse schede allegate ad ogni contratto di somministrazione, fanno riferimento espresso al cit.art.33 del d.lgs.81/2015, così chiarendo trattarsi dell’adempimento del relativo obbligo – e non invece di quello ben diverso di cui al precedente art.32, in ordine alla predisposizione da parte dell’utilizzatore del documento di valutazione dei rischi).
D’altro canto, non può ritenersi che l’adempimento della preventiva valutazione dei rischi possa essere soddisfatto con la sola informazione del lavoratore su dati assolutamente generali, essendo ovvio che le dovute informazione e formazione del lavoratore possono realizzare il loro fine di tutela della salute e di prevenzione in materia di sicurezza, solo una volta che la valutazione ex ante dei rischi sia stata compiuta e tradotta in uno specifico documento, che, come detto sopra, deve individuare con precisione i fattori di rischio relativi alle mansioni che saranno assegnate al lavoratore somministrato e al suo inserimento nel contesto aziendale.
Nulla di tutto questo è stato dedotto e provato dalla E , cui incombeva il relativo onere al fine di sottrarsi alle conseguenze della violazione del divieto di cui al più volte citato art.32, lett.d).
E una volta sollevata la relativa eccezione da parte del lavoratore, come avvenuto nella specie, il giudice non può che constatare la sussistenza della fattispecie vietata dall’ordinamento, con le relative conseguenze.
Nel caso di specie queste conseguenze sono espressamente esposte negli artt. 38 e 39 del d.lgs. 81/2015, che prevedono il primo, la costituzione anche soltanto in capo all’utilizzatore, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla stipulazione del primo contratto di somministrazione, e, il secondo, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, sotto forma di un’indennità omnicomprensiva.
La sentenza ha applicato correttamente queste disposizioni normative, anche in virtù delle domande spiegate dal lavoratore.
Al riguardo sono prive di fondamento le obiezioni della E sul fatto che le conseguenze dell’irregolarità della somministrazione siano ricadute unicamente su essa società e non anche sulla società di somministrazione M (quinto motivo di appello, da intendersi in realtà come sesto motivo).
Il lavoratore, com’è sua facoltà, ai sensi del cit.art.39 del d.lgs.81/2015, ha chiesto in via principale, la costituzione del rapporto di lavoro in capo alla E e la sua condanna all’indennità risarcitoria e soltanto in via subordinata, in caso di mancato accoglimento delle domande principali, la condanna della M .
Il giudice ha pertanto pronunciato in conformità alle domande graduate svolte dal lavoratore, accogliendo quelle principali (e restando così assorbite quelle subordinate).
In definitiva, concludendo in punto, in motivi in esame sono infondati.
Conviene a questo punto affrontare il quinto motivo di gravame (erroneamente indicato come quarto nel ricorso in appello), con il quale la E contesta la quantificazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art.39 del d.lgs.81/2015.
La società deduce che dopo la cessazione dell’ultimo contratto di somministrazione, il G , diversamente da quanto da lui riferito in sede di libero interrogatorio, avrebbe lavorato per vari periodi in somministrazione e poi sarebbe stato assunto da una società.
Sostiene pertanto che la liquidazione dell’indennità nell’importo massimo di legge, operata dal giudice di primo grado, sarebbe iniqua.
Il motivo è fondato.
In primo luogo, il lavoratore non ha contestato di aver svolto le attività lavorative dedotte dalla E , che l’hanno visto occupato per la gran parte del periodo intercorrente tra l’ultima somministrazione con M e la pronuncia di primo grado (tranne pochi mesi).
In secondo luogo, posto che ai fini della liquidazione dell’indennità in parola, valgono, per espressa previsione legislativa (art.39, comma 2, d.lgs.81/2015), i criteri di cui all’art.8 della l.604/1966, occorre tener conto anche delle dimensioni aziendali e dell’anzianità di servizio del lavoratore.
Nel caso di specie, il ricorrente ha documentato che la E ha in forza un discreto numero di dipendenti (circa 60 dipendenti - cfr.doc.7 fasc.1° grado), ma la sua anzianità lavorativa è piuttosto contenuta essendo pari a circa un anno.
La Corte ritiene pertanto che l’indennità in parola, tenendo conto anche del fatto che il lavoratore è stato occupato per la gran parte del periodo posteriore all’ultima somministrazione irregolare, vada determinata nell’importo di
n.4 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, per l’importo complessivo di € 6.918,64, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla cessazione dell’ultima somministrazione al saldo.
La sentenza in punto va riformata e la somma oggetto di condanna va ridotta nei termini che precedono.

Resta da esaminare il primo motivo di gravame con il quale la E lamenta che il giudice di primo grado abbia omesso ogni pronuncia sulla domanda riconvenzionale di manleva da essa spiegata nei confronti della M .
Per quanto sia vero che il Tribunale non abbia statuito espressamente su questa domanda, il motivo va comunque disatteso nel merito.
Al riguardo è sufficiente rilevare che l’accertata irregolarità della somministrazione è dipesa da una condotta inadempiente da imputare esclusivamente ad E , essendo suo preciso obbligo predisporre il documento di valutazione dei rischi e provare in giudizio la sua avvenuta effettuazione.
Tra l’altro, neppure può ricostruirsi l’inadempimento di un obbligo di controllo da parte dell’agenzia di somministrazione, posto che nella scheda allegata a tutti i contratti di somministrazione, la E ha dichiarato di aver effettuato la valutazione dei rischi in data 1 marzo 2010, così rassicurando la società di somministrazione in ordine alla sua esistenza.
Non sussistono dunque elementi per imputare alla M , quale società di somministrazione, condotte che abbiano contribuito a causare l’irregolarità della somministrazione accertata in giudizio.
La domanda riconvenzionale spiegata dalla E va dunque respinta.
Per quanto riguarda le spese di lite, la parziale riforma della sentenza appellata travolge di per sé la relativa statuizione di 1° grado, posto che la liquidazione delle spese processuali (del primo e del secondo grado) deve effettuarsi sulla base dell’esito finale della controversia, in sede di decisione di secondo grado, restando così assorbito l’ultimo motivo di appello della E , formulato in argomento (settimo motivo anche se indicato come sesto).
E’ noto il principio, costantemente affermato dalla Suprema Corte, secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, con la conseguenza che si ha violazione del principio di cui all'art. 91 c.p.c., quando la parte soccombente venga ritenuta soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado.
Nella specie, alla luce dell’esito finale del presente giudizio, le parti sono risultate parzialmente e reciprocamente soccombenti, ma la soccombenza della E nei confronti del lavoratore è stata nettamente prevalente.
Risulta pertanto congruo compensare tra il ricorrente e la E le spese nella misura di 1/3, condannando la società al pagamento in favore del lavoratore dei residui 2/3.
Per la loro liquidazione, per l’intero e per ogni grado di giudizio, si rinvia al dispositivo.
Le spese tra la E e la M vanno invece interamente compensate con riferimento ad entrambi i gradi di giudizio, intrecciandosi le loro posizioni rispetto alla molteplicità di domande proposte dal ricorrente, alcune delle quali relative a questioni nuove (quali quelle riguardanti l’applicabilità delle varie novelle normative).
 

P.Q.M.
 

Riforma parzialmente la sentenza n.108/2020 del Tribunale di Bergamo e riduce l’importo dell’indennità omnicomprensiva oggetto di condanna a quello di € 6.918,64, corrispondente a n.4 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo;
respinge per il resto l’appello e condanna la E s.r.l. al pagamento in favore di G delle spese di entrambi i gradi di giudizio nella misura di 2/3, liquidandole, per l’intero e per il primo grado, in complessivi € 3.500,00, e, sempre per l’intero e per il presente grado di giudizio, in complessivi € 3.000,00, oltre accessori di legge;
dichiara compensato tra le parti il residuo 1/3 e distrae le spese in favore dei procuratori del lavoratore che si sono dichiarati antistatari; dichiara interamente compensate tra le altre parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Brescia, 10 dicembre 2020