Cassazione Civile, Sez. Civ., 22 aprile 2021, n. 10640 - Condanna al pagamento dello stipendio alla badante. Insufficiente la sola difesa relativa alla mancanza di titolarità passiva del rapporto




 

Presidente Doronzo – Relatore Ponterio
 


Rilevato che:

1. la Corte d’Appello di Napoli ha accolto parzialmente l’appello di G.S. e, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato P.R. al pagamento della somma di Euro 17.342,25, a titolo di differenze retributive e tredicesima mensilità, in relazione al rapporto di lavoro domestico svolto tra le parti;
2. la Corte territoriale ha dato atto che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda della lavoratrice limitatamente al TFR ed aveva respinto la richiesta di differenze retributive ritenendo non applicabile il contratto collettivo di settore;
3. i giudici di appello hanno invece considerato applicabile, quale parametro di retribuzione proporzionata e sufficiente, il contratto collettivo sul lavoro domestico, e liquidato la somma sopra indicata, risultante dai conteggi allegati dalla lavoratrice e non specificamente contestati, nei limiti della prescrizione quinquennale;
4. la sentenza impugnata, per quanto ancora rileva, dà atto che "la sussistenza del rapporto tra le parti in causa risulta accertata nella sentenza di primo grado ed al riguardo non risulta proposto appello incidentale (il ricorrente - rectius il convenuto - aveva eccepito la propria carenza di legittimazione passiva in quanto affermava di conoscere la ricorrente perché era stata la badante della madre, sig.ra A.M. )";
3. avverso tale sentenza P.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi; G.S. non ha svolto difese;
4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

 

Considerato che:

5. col primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
6. il ricorrente ha allegato di avere eccepito, sia in primo grado che nella memoria di costituzione in appello (quest’ultima debitamente trascritta in calce al ricorso), il proprio difetto di legittimazione passiva e che sul punto nessuna statuizione era stata adottata nella sentenza di secondo grado; ha sottolineato come il difetto di legittimazione passiva costituisca mera difesa, che la parte può sollevare in ogni stato e grado del giudizio, anche in ipotesi di costituzione tardiva in primo grado e senza necessità di proporre appello incidentale; ha censurato come apparente la motivazione della sentenza del tribunale, richiamata per relationem dalla sentenza d’appello, ed ha evidenziato che la ricorrente in primo grado e poi appellante non aveva allegato e dimostrato l’elemento costitutivo della domanda concernente la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo al convenuto/appellato;
7. col secondo motivo di ricorso è denunciata nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
8. si censura la sentenza d’appello per avere confermato la statuizione di primo grado, di rigetto delle istanze istruttorie avanzate dal convenuto in ragione delle preclusioni del rito del lavoro, in assenza di qualsiasi motivazione; neppure poteva considerarsi sufficiente il riferimento, solo ipotizzabile perché non espresso, alle preclusioni derivanti dalla tardiva costituzione in giudizio del convenuto medesimo, atteso che il difetto di legittimazione passiva, la negazione di un debito per effetto di un conto di dare-avere nell’ambito dello stesso rapporto oppure la negazione dei presupposti per l’applicabilità di un contratto collettivo costituiscono mere difese;
9. il primo motivo di ricorso, ove anche riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è infondato;
10. occorre anzitutto precisare la distinzione tra legittimazione ad agire e titolarità del diritto sostanziale dedotto in giudizio. La legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare. La titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio attiene al merito della causa (così Cass., S.U. n. 2951 del 2016);
11. nel ricorso in esame ciò che si contesta è la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo al sig. P. ;
12. come affermato dalle Sezioni Unite (sentenza 2951 del 2016 cit.), "la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto";
13. nella medesima pronuncia si è precisato che "Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotto dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti";
14. nel caso di specie, non vi è dubbio che gravasse sulla lavoratrice, ricorrente in primo grado, l’onere di dimostrare la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo al P. ; quest’ultimo aveva ritualmente contestato la propria legittimazione passiva (rectius, titolarità passiva), sia pure nella memoria di costituzione tardiva in primo grado, senza tuttavia che da tale tardività potesse derivare alcuna preclusione dato il carattere di mera difesa della suddetta contestazione;
15. il tribunale ha evidentemente ritenuto assolto l’onere facente capo alla lavoratrice ed ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti; la sentenza d’appello dà atto che il Tribunale ha in parte accolto la domanda della lavoratrice e condannato il P. al pagamento del trattamento di fine rapporto e che il primo giudice "pur ritenendo confermata l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato di collaborazione domestica tra le parti, non ha ritenuto applicabile... la normativa prevista dal contratto collettivo di categoria";
16. in base a quanto riportato dai giudici di appello, la sentenza di primo grado conteneva un accertamento espresso sulla titolarità passiva del rapporto di lavoro subordinato in capo al sig. P. , con conseguente condanna del medesimo al pagamento del TFR;
17. l’appello avverso la sentenza di primo grado è stato proposto unicamente dalla lavoratrice, al fine di censurare la mancata applicazione, quale parametro esterno, del contratto collettivo e rivendicare le relative differenze retributive;
18. nel giudizio di appello, il P. si è costituito ed ha riproposto la mera difesa concernente il difetto di legittimazione passiva (rectius, di titolarità passiva del rapporto);
19. tuttavia, posto che la sentenza del tribunale aveva statuito espressamente sulla "esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di collaborazione domestica tra le parti", non era sufficiente per il P. riproporre nella memoria di costituzione in appello la "mera difesa" relativa alla mancanza di titolarità passiva del rapporto, avendo la suddetta statuizione di primo grado idoneità ad acquisire autorità di cosa giudicata;
20. atteso che l’espressa statuizione, adottata dal Tribunale, sulla esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il P. e la lavoratrice non è stata oggetto di impugnazione (incidentale), deve ritenersi formato il giudicato interno sul punto, risultando pertanto preclusa ogni ulteriore contestazione di parte o rilievo d’ufficio;
21. nè la qualificazione del difetto di titolarità passiva del rapporto come "mera difesa", proponibile in ogni fase del giudizio, può impedire il formarsi del giudicato interno, trattandosi comunque di una questione di merito ed avendo questa Corte pacificamente riconosciuto efficacia preclusiva anche al giudicato interno esplicito formatosi sulla "quaestio iuris" della legittimazione ad agire (v. Cass., S.U. n. 1912 del 2012; n. 14243 del 2012; n. 31574 del 2018; n. 29505 del 2020);
22. da quanto detto consegue il rigetto del primo motivo di ricorso;
23. il secondo motivo di ricorso è assorbito in quanto attinente alla mancata ammissione delle prove dedotte dal convenuto in primo grado sul difetto di titolarità passiva del rapporto;
24. infondata è la censura che investe la motivazione della sentenza d’appello, la sola suscettibile di esame da parte di questa Corte, risultando la stessa ampiamente conforme al canone del "minimo costituzionale" come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5083 del 2014;
25. per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto;
26. non vi è luogo a provvedere sulle spese atteso che la controparte non ha svolto difese;
27. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, nei confronti di entrambe le parti.
 


P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.