Cassazione Penale, Sez. 4, 19 febbraio 2021, n. 6490 - Incidente nel Porto di Genova: responsabilità della società armatoriale per l'illecito amministrativo connesso al delitto di omicidio colposo commesso dal comandante


 

 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 26/11/2020
 

 

Fatto

 

La sentenza di primo grado
1. Con sentenza del 17.5.2017, il Tribunale di Genova ha dichiarato R.P., A.A., L.R. e F.G. responsabili dei reati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose plurime e disastro colposo loro ascritti in cooperazione colposa ai capi 1) e 2), nonché R.P. responsabile dei reati di falso ideologico di cui ai capi 5) e 6), diversamente qualificati come violazione dell'art. 1127 cod. nav. e della contravvenzione di cui al capo 4) (navigazione in condizioni di non navigabilità per guasto al contagiri); ha dichiarato, inoltre, la S.p.a. Ignazio M. & C., in persona del legale rappresentante, responsabile dell'illecito amministrativo contestato al capo 10), in relazione alla condotta di cui al capo 1) ascritta a R.P..
I suddetti imputati, in solido tra loro e con il responsabile civile S.p.a. Ignazio M. & C., sono stati condannati al risarcimento dei danni, conseguenti ai reati per cui è intervenuta condanna, nei confronti delle parti civili costituite, nonché al pagamento di somme provvisionali.
R.P., A.A., L.R. e F.G. sono stati assolti dal reato di attentato alla sicurezza dei trasporti loro ascritto al capo 3); C.V. dal reato di falso in atto pubblico di cui al capo 6); G.O. dai reati a lui ascritti ai capi 7), 8) e 9) per insussistenza del fatto, con conseguente esclusione della responsabilità della Ignazio M. & C. S.p.a. per l'illecito amministrativo di cui al capo 10) in relazione al reato di cui al capo 7).

2. La vicenda attiene al grave incidente occorso la sera del 7.5.2013, all'interno del Porto di Genova, in località Molo Giano: la nave Jolly Nero, in fase di manovra nello specchio acqueo dell'avamporto, nel compiere l'evoluzione che le avrebbe permesso di avviarsi verso l'uscita di Levante, urtava contro la struttura denominata Nuova Torre Piloti (d'ora in poi, la Torre), determinandone il crollo, con la morte di nove delle persone ivi addette, il ferimento di altre quattro e la distruzione della centrale di controllo del Compartimento marittimo di Genova e delle ulteriori strutture operative ivi esistenti.
Venivano avviate immediatamente le indagini, la notte stessa dell'incidente, con il sequestro della nave e l'assunzione, in loco, delle prime sommarie informazioni e, nei giorni successivi, accertamenti tecnici, acquisizioni documentali e assunzione di ulteriori informazioni testimoniali, finalizzate a ricostruire la dinamica dell'incidente e le cause che l'avevano determinato.
Concluse le indagini, corroborate dall'espletamento di perizia tecnica in sede di incidente probatorio, veniva disposto il rinvio a giudizio di R.P. (Comandante della Jolly Nero), A.A. (Pilota), L.R. (Primo Ufficiale della Jolly Nero), F.G. (Direttore di macchina), C.V. (Terzo Ufficiale) e G.O. (Consigliere di amministrazione con delega all'armamento della società Ignazio M. & C. S.p.a., responsabile del settore gestione navi), per i reati di omicidio colposo, crollo colposo di costruzione, attentato alla sicurezza dei trasporti colposo e falso, come formulati nei capi d'imputazione, nonché della società Ignazio M. quale ente responsabile per il reato di omicidio colposo commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.

3. Il Tribunale ha ricostruito la manovra della Jolly Nero grazie ai dati ricavati dal sistema di registrazione dei dati di navigazione (VDR) della nave, che ha permesso di individuarne la posizione e la velocità nei diversi istanti, correlando detti momenti con gli ordini impartiti, registrati dai microfoni posti in plancia e nelle alette.
3.1. Caratteristiche del motore della nave.
Prima della descrizione della manovra, appare opportuno premettere, in sintesi, le caratteristiche dell'apparato di propulsione della Jolly Nero, per come accertate in sede di merito.
Si tratta di un apparato motore installato nel 1984 del tipo a elica singola a sei pale fisse, direttamente trascinata dal motore senza organi di trasmissione. L'elica, avente il diametro di 7.4 metri compie, quindi, gli stessi giri del motore principale e l'unico modo per variare la potenza erogata (e quindi la velocità) è variare i giri del motore. Per invertire il senso della spinta dell'elica,
da marcia avanti a marcia indietro e viceversa, è necessario fermare il motore,
predisporre l'asse a camme nella direzione di marcia opportuna, e riavviare il motore. Per ottenere condizioni di spinta "nulla" dell'elica occorre arrestare il motore. Trattasi di caratteristica che, pur non rappresentando in sé un'anomalia, essendo comune a molte navi aventi analoghe caratteristiche, ha assunto importanza cruciale per il verificarsi del sinistro.
L'avviamento di tale tipo di motori è particolarmente complesso per la presenza, nella fase iniziale, di soffianti ausiliarie azionate dai motori elettrici che inviano l'aria nei cilindri, e per la presenza di due diverse fasi del ciclo di avviamento chiamate "air", quando il motore gira solo per l'effetto dell'aria di avviamento inviata nei cilindri, e "fuel" quando il motore inizia a girare per effetto della combustione.
La nave è stata concepita per operare in condizioni di locale macchina permanentemente non presidiato, e quindi tutti i comandi sono effettuabili dalla plancia, dove sono anche ripetuti i valori dei parametri critici per la condotta del motore e i relativi segnali d'allarme.
Il giorno dell'incidente i comandi sono sempre stati tenuti in plancia, quindi con la leva del telegrafo ivi presente si agiva direttamente sul motore.

4. Segue, in sintesi, la ricostruzione della manovra operata dal giudice di primo grado.
4.1. Prima della partenza, con la nave ormeggiata al Molo Ronco (fino alle ore 22.12).
Circa un'ora prima della partenza vengono fatte le prove di avvio del motore, la prova fallisce e suona l'allarme. Comunicando con la sala macchine il Comandante R.P. viene informato che il problema, risolto, era legato ad una valvola che era rimasta chiusa. È quindi possibile procedere con i preparativi per la partenza e viene chiamato il Pilota.
Alle 21.58 il Pilota (A.A.) sale a bordo e dopo un breve scambio di convenevoli si informa sul carico della nave e sul funzionamento del thruster (elica di manovra) e del motore principale. Non viene evidenziato nulla di anomalo.
Il Primo Ufficiale (L.R.) verifica la comunicazione con i posti di manovra, a prua dove c'è il Terzo Ufficiale C.V. e a poppa dove è posizionato il secondo A.F..
Vengono quindi date disposizioni dal Comandante ai posti di manovra, per alleggerire i cavi di ormeggio in vista dell'imminente partenza e all'allievo perché attivi i diversi strumenti e le luci. Vengono date disposizioni su come voltare i rimorchiatori e poco dopo le 22.14 i due rimorchiatori, Spagna (a poppa) e Genua (a prua), sono voltati.
La nave è pronta per la partenza.
4.2. Dalla partenza all'uscita dal canale di Levante (ore 22.13-22.52). Fase della navigazione nel canale di Sampierdarena
Il canale di Sampierdarena è lungo circa 3.4 Km e la nave lo percorre tutto, mentre dall'ingresso in avamporto allo spigolo del molo Giano, dove stava la Torre, la distanza è di circa 600 metri, ma lo spazio disponibile è inferiore per la presenza di navi ormeggiate e bassi fondali.
La Jolly Nero molla gli ormeggi in condizioni meteo ottimali, senza vento né mare e percorre i 3.4 Km del canale in retromarcia, con l'assistenza dei rimorchiatori, utilizzando la macchina prevalentemente indietro molto adagio, cioè al minimo.
Nella fase rettilinea la nave procede con i suoi mezzi, i rimorchiatori servono solo a correggere la rotta, ma a prua c'è anche il bow thruster (elica di manovra), e il rimorchiatore Genua lavora poco e segue in filo, mentre il rimorchiatore Spagna è chiamato più volte al tiro per raddrizzare la nave.
Viene anche dato un ordine "avanti molto adagio" per rallentare la velocità.
Nel canale la nave aveva una velocità media di 3 nodi, con una punta massima di 4 in corrispondenza di ponte Eritrea. L'avanti molto adagio, ordinato nel corso della navigazione, serve per rallentare di circa un nodo (in circa due minuti).
In questa fase vengono dati una serie di ordini per far sì che la nave, con l'uso del bow thruster (elica di prua) e con l'aiuto dei rimorchiatori, possa mantenersi al centro del canale. Trattandosi di una nave con una sola elica, aveva la tendenza a non restare allineata e, quindi, vi era la necessità di compensare lo spostamento.
Durante la manovra nel canale la macchina, dopo il primo avviamento, è stata fermata e riavviata tre volte per rallentare il moto, in un caso anche con la marcia avanti.
4.2.1. Alle 22.18, quando viene ordinato il primo avviamento, il Primo Ufficiale si rende conto che il contagiri non funziona e, infatti, alla domanda del Comandante "ma è partita?" (la macchina, ndr), risponde "qui non vedo niente", riferendosi al contagiri che non funziona, ma l'allievo conferma che la nave si sta muovendo.
Il Primo Ufficiale prende il telefono e, presumibilmente parlando con la sala macchine, chiede: "ma è partita, perché i giri non ci danno niente".
Dopo alcuni minuti, terminata una comunicazione telefonica, il Primo Ufficiale riferisce al Comandante, che gli chiede se abbia detto qualcosa (probabilmente riferendosi alla telefonata di poco prima con il Direttore di Macchina).
Il Primo Ufficiale, evidentemente parlando del ripetitore di giri, risponde che non funziona l'analogico ma che vanno col digitale, per cui non c'è nessun problema; il Comandante replica con un "ah va beh", che, secondo il Tribunale, in qualche modo esprime approvazione di ciò che è stato detto.
Il Primo Ufficiale aggiunge "ci pensa lui".
Comandante e Primo Ufficiale stanno avendo un colloquio diretto, di persona e si trovano evidentemente entrambi in plancia.
Nel frattempo, prosegue la navigazione nel canale.
4.2.2. Dopo un'ulteriore telefonata si precisano meglio gli accordi tra Direttore di macchina (F.G.) e Primo Ufficiale (L.R.): questi non può restare costantemente al telefono e quindi il Direttore lo deve chiamare in caso di problemi.

Ne desume, il primo giudice, che non solo, una volta resisi conto che il contagiri non funzionava, si proseguiva nella manovra, ma neppure la plancia restava in costante contatto telefonico con la sala macchine, per cui solo il Direttore di macchina avrebbe dovuto chiamare se ci fossero stati dei problemi.
Dopo tali accordi, che intervengono alle 22.35, c'è il secondo avviamento del motore e il Direttore ne dà conferma, non sul telefono ma sul VHF interno, infatti all'ordine "indietro molto adagio" conferma "indietro ponte".
Il Comandante, forse preoccupato che il motore possa non ripartire, chiede conferma se le ancore sono pronte per il caso di emergenza, quindi chiede al Primo Ufficiale "è sempre partita su indietro?" e quello risponde, riferendo
esplicitamente l'accordo preso con il Direttore di macchina, "no ...sono d'accordo con il Direttore ...se non parte mi chiama subito" (22.41.35); il Comandante se lo fa ripetere per essere sicuro e il Primo lo ribadisce. E il Comandante con un laconico ("ah") approva.
Tale conversazione, osserva il giudice, viene registrata solo sul microfono del bridge center e non compare nelle comunicazioni VHF, per cui non è possibile dire se il Pilota, dall'aletta, abbia sentito tale comunicazione.
Prosegue la navigazione nel canale di Sampierdarena e nei successivi due avviamenti del motore il Direttore conferma "partita", dal che pare dedursi che avesse compreso il suo compito. È questa l'ultima volta che si sente il Direttore prima dell'incidente, non ci saranno altre sue comunicazioni verso la plancia.
Alle 22.51 viene dato dal Pilota l'ordine al rimorchiatore di poppa di incominciare "piano piano a rimettere in forza a nord" che dà avvio alla manovra di evoluzione.
È l'ultimo ordine allo Spagna rimasto in vigore per tutta la manovra in avamporto. L'ordine non va inteso in senso letterale, cioè in direzione 360°, ma verso dritta rispetto alla nave, per consentire la rotazione.
È un ordine molto generico, indicativo del fatto che tutti si muovevano secondo una manovra abituale.
4.3. Evoluzione all'interno dell'avamporto.
Quando la nave entra in avamporto il timone è al centro (a partire dalle ore 22.46.02) e alle 22.56.49 vien dato l'ordine "timone tutto a sinistra", non più modificato fino all'incidente.
Il motore è fermo a partire dalle 22.53.20 e non ripartirà più fino all'incidente.
L'ordine di bow thruster a dritta serve per rallentare la rotazione iniziale perché c'è il rischio che la prua della nave vada troppo vicina alla diga.
Alle 22.55.20 il Comandante del Genua avvisa il Pilota che sta per liberarsi dalla boa che, a prua, impedisce fino a quel momento di iniziare la manovra.

Subito dopo il Pilota dà l'ordine al rimorchiatore di prua "pronti a levante" e il Comandante del Genua risponde "iniziamo bene", dando inizio all'azione di tiro, mentre prima aveva solo accompagnato la nave. Correttamente l'ordine è stato dato dopo quello al rimorchiatore di poppa, perché a prua si può iniziare a manovrare solo quando la nave è uscita dal canale. Anche tale ordine non viene poi modificato.
All'uscita dal canale la nave ha una velocità circa di 3,4 nodi. Si susseguono ordini relativi al bow thruster (elica di prua).
Il timone viene messo a sinistra: l'ordine viene suggerito dal Pilota e fatto proprio dal Comandante, così come il successivo ordine "molto adagio" (si sente lontano il rumore del soffio dell'aria compressa di avviamento). La velocità della nave in questa fase è sempre di 3,4 nodi e la distanza della poppa dalla Torre è di circa 210 metri.
Alle 22. 57.11 il Pilota dall'aletta di plancia dà il suggerimento al Comandante di mettere il motore avanti molto adagio. L'ordine viene subito trasmesso ed eseguito - azionando il telegrafo di macchina - dal Primo Ufficiale ma, alle 22.57.30, suona l'allarme, che quattro secondi dopo viene tacitato.
Nulla viene detto ai rimorchiatori per un'eventuale correzione di rotta o di velocità.
Nessuno si chiede cosa fosse questo allarme, nessuno vi fa cenno; alle 22.57.37, quindi 24 secondi dopo l'ordine "avanti molto adagio", il Pilota, evidentemente non percependo gli effetti della messa in moto del motore, rafforza l'ordine suggerendo un "avanti adagio" (suggerito dal Pilota e impartito dal Comandante) ma la macchina è sempre ferma e, quindi l'ordine non ha alcun effetto.
Osserva il Tribunale che, in questa fase, nessuno sembra essersi reso conto che il motore non è partito e nessuna comunicazione arriva dalla sala macchine.
Alle 22.57.58 il Pilota comincia a rendersi conto che qualcosa non va e chiede "partita si?" e il Comandante, che si sposta all'interno del ponte di comando, ripete la richiesta al Primo Ufficiale che risponde con un laconico "sembra di sì, mo' chiamiamo", cui il Comandante risponde con un "senti in macchina".
Alle 22.58.08 il Pilota, evidentemente non ancora consapevole che il motore non sia ripartito, suggerisce "avanti mezza". Il Comandante non ripete l'ordine e questo fa pensare che sia andato lui stesso ad eseguirlo, il che viene corroborato da quanto verrà detto poco dopo dal Primo Ufficiale quando, presa coscienza che la macchina non è partita, ricorda a R.P. che la leva del telegrafo deve essere riportata indietro perché la macchina possa partire.

Presumibilmente il Primo Ufficiale ha chiamato la sala macchine, sicuramente non è avvenuto il contrario perché non si sente il trillo del telefono. La sollecitazione "indietro, indietro" è verosimilmente riferita alla leva del telegrafo che, per la procedura di riavvio, dopo il mancato avviamento in avanti, deve essere portata indietro sulla posizione di stop per poter far partire il motore. È il Primo Ufficiale che parla e sembra intendersi che il Comandante sia sulla leva ad operare.
Nel frattempo, è il Pilota il primo che acquisisce consapevolezza che la macchina non è partita.
La nave continua a retrocedere con un abbrivio di oltre 3 nodi, l'Ufficiale di poppa inizia a dare le distanze, alle 22.58.09 "distanza dalla torre Piloti sui...150 metri".
L'indicazione fornita dal Secondo Ufficiale è estremamente precisa, come lo saranno le successive perché l'AIS (Sistema di identificazione automatica) della nave ne conferma la distanza.
Viene anche messo il bow thruster tutto a sinistra, per accelerare la rotazione, mentre non viene dato analogo ordine per il timone che, essendo la macchina ferma e l'abbrivio indietro, a dritta sarebbe stato più efficace per agevolare la rotazione.
La distanza dalla Torre si sta riducendo, come segnalato dal secondo ufficiale che da poppa comunica alle 22.58.34 "poppa siamo sui 100 metri", alle
22.58.45 "poppa, 70 metri".
Immediatamente dopo, alle 22.58.46, via radio VHF-Ch 14 viene chiamato il Pilota dal rimorchiatore: "Antonio", che risponde, alle 22.58.47, "guarda non mi parte la macchina, eh", dà anche l'ordine di tirare al massimo, registrato peraltro solo da VDR sull'aletta e non dal VHF.
Contestualmente (22.58.53) il Pilota dà anche il suggerimento "pronti sulle ancore"; il rimorchiatore Spagna risponde all'ordine di dare tutta e anche al rimorchiatore di prora viene impartito analogo ordine. Il Pilota non dice in che direzione, dà solo un ordine sulla potenza, quindi verosimilmente confermando, quanto alla direzione, l'ordine dato in precedenza all'inizio della manovra di evoluzione. Dai rimorchiatori non c'è mai una richiesta di chiarimenti degli ordini ricevuti.
Nel frattempo, l'Ufficiale di poppa dà le distanze in continuo avvicinamento.
Quando la poppa è a 25 metri dalla Torre, viene quindi dato l'ultimo disperato ordine di dare fondo alle ancore, ancora una volta suggerito dal Pilota e impartito alla nave dal Comandante e, come si ricava dai filmati, l'ancora entra in acqua circa dieci secondi prima dell'impatto, ad una distanza orientativa di 15 metri, senza produrre alcun effetto.
Tutti gli ordini impartiti anche dopo la presa di coscienza che il motore non era partito erano tesi esclusivamente a far ruotare la nave.
4.4. L'urto.
Alle 22.59.42 la nave entra in contatto con la Torre piloti.
Si sente il rumore dell'impatto e poi quello del crollo di varie strutture che si protrae per 12 secondi.
Non è stato suonato il fischio, né dato alcun avviso alla Capitaneria che è in ascolto continuo sul canale VHF.

5. Considerazioni generali del primo giudice sulle contestate condotte colpose.
Il Tribunale ha premesso che le caratteristiche del sistema di propulsione della Jolly Nero, dotata di un unico motore di vecchia concezione che deve essere necessariamente arrestato per invertire la marcia, non possono di per sé rappresentare elemento di contestazione a titolo di colpa nei confronti di Comandante, Pilota o Armatore, ma avrebbero dovuto indurre a particolare attenzione e cautela. Non esiste, peraltro, né regolamento nazionale o internazionale, né un'ordinanza della Capitaneria che limiti la capacità di operare delle navi di questo tipo.
Di per sé, quindi, l'utilizzo di quel tipo di motore, non può essere fonte di specifica responsabilità, né imponeva cautele particolari o aggiuntive rispetto ad una qualunque altra manovra similare, se non a fronte di specifiche anomalie che ne compromettessero l'affidabilità.
Quanto alla manovra, essa era ed è tutt'ora abituale e non è neppure vero che solo on la ripartenza del motore potesse essere evitato l'urto contro la banchina. Se è indiscutibile che la ripartenza del motore è condizione per il buon esito della manovra, non è però vero che nel caso di improvviso mancato avvio nel momento dell'inversione di moto, l'urto con le strutture portuali sia inevitabile.
Infatti, come riferito dai consulenti, l'allarme di mancato avviamento, nel caso della manovra della Jolly Nero del 7.5.2013, è suonato quando la nave era a circa 200 metri dalla torre, in una posizione in cui, quindi, come affermato dal perito Prof. M., se l'ancora fosse stata calata, o anche poco dopo, la nave avrebbe potuto essere fermata o comunque molto rallentata.
E' stato, inoltre, accertato che durante la manovra vi era ancora uno spazio sufficiente per fermare la nave con l'ancora o magari per decidere una soluzione alternativa, ricorrendo all'azione dei rimorchiatori per rallentare l'abbrivio.
La velocità della Jolly Nero, entrata in avamporto a circa 3.4 nodi, è stata considerata nei limiti previsti dall'art. 66 del Regolamento di Sicurezza e dei Servizi Marittimi del porto di Genova (che indica in 6 nodi il limite massimo) e, secondo il Tribunale, non ha violato il generale dovere di prudenza cui doveva essere improntata tutta la manovra.
Il Tribunale ha ritenuto corretta la decisione del Comandante di non effettuare l'uscita dal porto con consegna della nave ai rimorchiatori o, comunque, mediante manovra di evoluzione ad abbrivio prossimo allo zero, affidando la rotazione della nave esclusivamente all'azione dei rimorchiatori, trattandosi di soluzioni in concreto non ipotizzabili, cui si dovrebbe ricorrere solo in caso di totale inutilizzabilità della motrice principale; l'uso del motore è comunque un aiuto indispensabile per accrescere la sicurezza della manovra.
Anche la presenza dei due rimorchiatori è risultata essere cautela abituale, ritenuta sufficiente, tranne che in casi particolari, per garantire che la manovra si svolgesse in sicurezza, anche per navi del tipo della Jolly Nero.

6. Il Tribunale ha, invece, evidenziato l'importanza - rispetto alla causazione dell'evento - dell'avaria del contagiri.
Come evidenziato nella relazione dei consulenti tecnici del pubblico ministero e ribadito dall'Ammiraglio B., per la nave Jolly Nero la presenza di un indicatore .del numero di giri del motore e del senso di rotazione dello stesso nella stazione di controllo remota (costituita dalla plancia) rappresenta un requisito di classe ai fini della notazione addizionale AUT-UMS, notazione che consente all'unità di navigare con i locali macchina periodicamente non presidiati in tutte le condizioni di navigazione, inclusa la manovra. Quando venne riscontrata l'avaria, la nave si era appena staccata dalla banchina e ben avrebbe potuto e dovuto rientrare all'ormeggio per effettuare la riparazione. Si trattava, in sostanza, di una situazione che richiedeva provvedimenti emergenziali, come minimo il trasferimento dei comandi in macchina o almeno stabilire un collegamento di comunicazione continuo.
Secondo l'Ammiraglio Caruso (ud. 5/5/2016 pag. 78-79) era comunque vietato mantenere il controllo della nave in plancia senza il contagiri.
La Jolly Nero, quindi, affronta la manovra con il contagiri non funzionante mentre ben avrebbe potuto e dovuto rientrare immediatamente in banchina, da cui peraltro si era appena staccata, onde individuare il guasto e ripararlo; il che, tra l'altro, sarebbe potuto avvenire in un tempo assai breve. In ogni caso, si sarebbe quanto meno dovuto passare i comandi in macchina, onde consentire il controllo immediato e la possibilità di agire direttamente sul motore.

7. Altri elementi valorizzati dal Tribunale, sotto il profilo colposo, sono stati il c.d. "improvvido accordo", la tacitazione dell'allarme di starting failure (avvio del motore fallito) e la mancata comunicazione dalla sala controllo propulsione.
7.1. Diretta conseguenza dell'avaria del contagiri e del mancato passaggio dei comandi in macchina è quello che è stato definito "l'improvvido accordo" tra Primo Ufficiale e Direttore di Macchina, avallato del Comandante.
Dalle trascrizioni del VDR è risultato evidente che Primo Ufficiale e Direttore di macchina si erano accordati per non tenere un continuo contatto tra macchina e plancia, per l'asserita scomodità del Primo Ufficiale, e l'accordo era nel senso che dalla sala macchine arrivasse la comunicazione di volta in volta. Il Comandante, informato dell'accordo, ne prendeva atto senza nulla eccepire, con ciò quindi avallandolo.
A parere del Tribunale, il fatto di non tenere un continuo contatto, nonostante l'avaria del contagiri e il mantenimento dei comandi in plancia, è di per sé condotta che oltre a violare la normativa di sicurezza, si pone come gravemente imprudente, essendo insita in un simile accordo la possibilità di fraintendimenti, dimenticanze, omissioni.
7.2. Strettamente correlato alla carenza di informazione sulla mancata ripartenza del motore è la circostanza che nessuno in plancia, dopo che l'allarme di starting failure è suonato, abbia posto in essere l'unica operazione indispensabile per poter sperare che il motore si avviasse. Infatti, una volta attivatosi l'allarme di starting failure dopo tre tentativi falliti di avviamento eseguiti in automatico, per poter riprovare a fare un altro avviamento, bisogna riportare la leva del telegrafo sullo stop e tale procedura, oltre che rappresentare una nozione elementare per il personale di bordo, è comunque riportata in un'apposita targhetta sotto i comandi.
Di fatto - continua il Tribunale -, la mancata, colpevole, consapevolezza del significato dell'allarme che era appena suonato, il mancato rispetto del pericoloso ed equivoco accordo intercorso tra Primo ufficiale e Direttore e l'impossibilità di percepire il movimento del motore attraverso il contagiri, hanno fatto sì che, per i quasi 50 secondi trascorsi senza che in plancia neppure balenasse il dubbio che il motore non era partito, non venisse attivata la procedura necessaria per far ripartire la macchina. Ma anche successivamente, una volta che, dopo avere chiamato in macchina, L.R. si rende finalmente conto che il motore non si è avviato, egli dice qualcosa di confuso al Comandante, verosimilmente per ricordargli che non può aumentare la potenza senza ripassare dallo stop, come R.P. aveva fatto in quel momento azionando personalmente il telegrafo di macchina sull'avanti mezza.

Mancanza, questa, che - a parere del iudicante - assume senz'altro rilevanza nella causazione del sinistro, se si considera che il mancato avvio del motore non risulta ascrivibile ad alcuna avaria, né all'insufficiente pressione dell'aria dell'impianto di avviamento, tanto che, pochi minuti dopo l'urto con la Torre, la macchina della Jolly Nero si avvierà regolarmente.

8. Le conclusioni del Tribunale sulle singole posizioni.
8.1. Il Comandante R.P..
A R.P. - Comandante della Jolly Nero e responsabile per legge e di fatto della manovra - si addebita il tragico esito della stessa per una serie di gravi manifestazioni di imprudenza e imperizia, oltre che violazione di norme prevenzionali, che si pongono in sequenza logica e temporale.
La decisione di proseguire la manovra con il ripetitore di giri in avaria, senza trasferire i comandi in macchina e consentendo che plancia e macchina non fossero in continuo contatto, ha creato i presupposti per la tragedia. A tale situazione di ridotta efficienza della nave e di minorata sicurezza, che avrebbe dovuto suggerire particolare attenzione e cautela, tanto più trattandosi di nave con un unico motore soggetto a ripetuti arresti e riavvii per invertire il moto ed essendo sempre possibile una mancata ripartenza, si è invece aggiunto un comportamento comunque imprudente.
La manovra di evoluzione è stata affrontata con un certo ritardo rispetto a manovre similari, senza poi preoccuparsi del fatto che la velocità non decresceva e che la nave non seguiva la consueta traiettoria, il che avrebbe dovuto suggerire l'idea che la macchina non fosse ripartita, tanto più che nessuna conferma era arrivata dalla sala macchine e che un allarme suonato in plancia era stato tacitato, senza che venisse dato conto di cosa lo avesse determinato. Invece, quasi dimentico dell'assenza di uno strumento che garantisse il continuo monitoraggio del moto dell'elica e dell'aleatorietà dell'accordo cui non aveva neppure personalmente partecipato, R.P. ha proseguito la manovra senza dare alcun rilievo a quei sintomi (velocità che non decresce, traiettoria più ampia del solito, torre piloti in avvicinamento) che dovevano fare quanto meno dubitare che il motore si fosse regolarmente avviato.
Una volta presa coscienza della situazione, l'imputato non ha proceduto al riavvio del motore, non ha ordinato di dare fondo alle ancore, non ha ordinato di portare il timone a destra, e neppure ha azionato, come doveroso, la sirena di allarme, tutte misure estreme, della cui sicura rilevanza causale non è possibile avere certezza, ma che verosimilmente avrebbero potuto incidere in qualche modo sulla dinamica dell'urto e sulle sue conseguenze.

Se è innegabile che la causa fondamentale è nel comportamento assolutamente privo di ogni logica di L.R. che, pur consapevole dell'avaria del contagiri, ha tacitato (o permesso che altri lo facessero) l'allarme di starting failure, senza minimante curarsi di verificare cosa segnalasse la spia rimasta accesa, la condotta precedente di R.P. era stata contraria alle più elementari regole di prudenza, avendo vanificato tutte quelle barriere di sicurezza che avrebbero dovuto garantire la possibilità di conoscere se il motore era avviato e in che direzione, affidando un momento essenziale della sicurezza della navigazione dalla plancia ad un accordo assolutamente vago, cui lui stesso non
aveva neppure partecipato e che si prestava a fraintendimenti e incomprensioni o anche a dimenticanze, come poi di fatto si è verificato.
Anche dopo l'ignorato allarme, peraltro, R.P. non valuta l'anomalo evolversi della manovra, non formula neppure il dubbio che la macchina possa non essere partita e, quindi, tarda ulteriormente, in modo sicuramente colpevole, qualunque intervento di emergenza che avrebbe potuto modificare il corso degli eventi.
8.2. Il Primo Ufficiale L.R..
Al Primo Ufficiale si contesta l'accordo intervenuto con il Direttore di macchina per ovviare all'avaria del contagiri, non solo affidando ad un contatto solo verbale con F.G. la verifica della messa in moto della macchina e del senso di rotazione dell'elica, ma anche rifiutando di tenere un collegamento diretto e continuo con il Direttore, che avrebbe quanto meno consentito di monitorare in tempo reale la ripartenza del motore.
L.R. è anche colui che ha tacitato l'allarme suonato in plancia, senza curarsi di prendere cognizione di cosa ne avesse determinato l'attivarsi, pur avendo la corrispondente spia luminosa accesa proprio a fianco della sua postazione. Nella specie si è accesa la spia di starting failure, il mancato avviamento del motore ma L.R., unico Ufficiale presente in plancia, non se ne cura.
La gravissima negligenza con cui si è comportato il L.R., a giudizio del Tribunale, ha determinato la causa prima dell'incidente. Non solo, infatti, l'imputato, si è reso parte di un accordo dai contenuti non chiari e che non poteva offrire sufficienti garanzie di sicurezza, comunque avallato dai suoi superiori, solo per la scomodità di tenere un continuo contatto con la sala controllo propulsione, ma se L.R. si fosse curato di verificare perché l'allarme era suonato, comunicando al Comandante che la macchina non era partita, il che era suo elementare dovere, sarebbe stato possibile, come si è detto, adottare una serie di misure che avrebbero con un notevole grado di certezza, potuto impedire l'evento. C'era, infatti, spazio più che sufficiente per decidere di gettare le ancore, per utilizzare i rimorchiatori in modo più efficace ed anche per provare a far ripartire la macchina, ma L.R. non si è attivato, permettendo che passassero secondi preziosi senza che nessuno prendesse alcuna iniziativa.
8.3. Il Direttore di macchina F.G..
Al F.G. si contesta specularmente quanto addebitato al L.R..
Precisato che ex art. 321 cod. nav. il Direttore di macchina, nella gerarchia di bordo, è in posizione immediatamente sottordinata rispetto al Comandante ed è gerarchicamente superiore al Primo Ufficiale, il Tribunale osserva che nel momento in cui L.R. decide di non poter restare attaccato al telefono, accordandosi con il Direttore nel senso che si sarebbero sentiti solo in caso di necessità, F.G. non era affatto tenuto ad assecondare la richiesta e ben avrebbe dovuto e potuto imporre che il contatto con la plancia fosse continuo o richiedere il passaggio dei comandi in sala controllo propulsione ovvero, comunque, avrebbe potuto esigere un contatto diretto con il Comandante per decidere come affrontare l'avaria.
F.G. è stato, quindi, ritenuto corresponsabile dell'incidente per aver consentito che, nonostante l'avaria del contagiri e il mantenimento dei comandi in plancia, il che era già di per sé contrario alle regole, non vi fosse un collegamento continuo tra plancia e sala macchine, non essendosi sincerato che l'accordo fosse chiaro per entrambi e non potesse dare adito a fraintendimenti ed equivoci e non ha poi effettuato alcuna doverosa comunicazione, quando la macchina non è ripartita.
8.4. Il Pilota A.A..
Nei confronti di A.A. si premette che la funzione del Pilota è delineata dal Codice della Navigazione, il cui art. 92 prevede che "Il pilota suggerisce la rotta e assiste il comandante nella determinazione delle manovre necessarie per seguirla."
Il Pilota, a bordo, è gerarchicamente subordinato al Comandante, essendo equiparato al Primo Ufficiale (art. 321 cod. nav.).
Il Pilota, quindi, nel nostro sistema, non assume il comando della nave, né la direzione delle manovre, che continuano ad essere attribuzioni proprie del Comandante il quale ne rimane l'unico responsabile, a meno che provi che l'errore di comando o di manovra sia derivato da inesatte indicazioni o informazioni fornite dal Pilota.
Tuttavia, là dove, come nel caso in esame, il Comandante si sia affidato pedissequamente alle indicazioni del Pilota, il quale non ha fornito i suggerimenti necessari perché la manovra si svolgesse in sicurezza, questi deve rispondere non solo per aver fornito indicazioni non corrette sulla rotta, ma per come la manovra è stata eseguita.
D'altronde, il compito del Pilota non è solo quello di suggerire la rotta, ma anche di assistere il Comandante durante l'esecuzione della manovra e, quindi, su come seguire la rotta stessa. Del resto, il Pilota è presente sull'aletta; la manovra si svolge sotto i suoi occhi come l'ha determinata con i suoi suggerimenti; il Comandante ha dato prova di attenersi alle sue indicazioni, per cui A.A. non può che continuare a dare i suggerimenti più opportuni, come è suo compito e, se non lo fa, o se sbaglia nel suggerire, evidentemente deve rispondere delle conseguenze della sua omissione o del suggerimento errato.
È il Pilota il primo che deve rendersi conto che la nave sta andando contro la Torre, che la nave sta procedendo ad una velocità che non gli consentirà l'adeguato spazio di manovra in condizioni sicure, che la manovra come sta procedendo non permette interventi emergenziali di efficacia certa, perciò dare le necessarie indicazioni per modificarne il corso rientra proprio nel suo compito.
Il Tribunale ha, quindi, ritenuto anche il Pilota A.A. responsabile del crollo della Torre e, quindi, delle morti e delle lesioni di coloro che si trovavano all'interno, per avere affrontato la manovra di evoluzione in avamporto senza tenere nella dovuta considerazione il rischio, comunque sempre esistente e che gli doveva essere ben noto, che la macchina potesse non ripartire nel momento dell'inversione del moto e, soprattutto, per non avere adeguatamente valutato l'andamento non usuale che l'evoluzione stava assumendo, situazione che, in assenza di sicure conferme dell'avvenuta ripartenza della macchina, doveva suggerirgli quanto meno il dubbio che il motore non si fosse riavviato e, quindi, l'adozione necessaria di misure emergenziali.
Secondo il Tribunale, una volta poi che A.A. aveva preso coscienza che la macchina non era ripartita, egli non aveva comunque suggerito gli interventi più idonei per cercare di evitare l'urto, in assenza di elementi per confidare nella pronta ripartenza della macchina.

9. La posizione di G.O..
A carico dell'imputato G.O. sono state formulate autonome contestazioni in relazione alle condotte colpose di omicidio e lesioni, crollo di costruzione e pericolo per la sicurezza dei trasporti.
G.O., cioè, avrebbe posto in essere, in ipotesi accusatoria, un'azione colposa indipendente che si pone come concausa dei tragici eventi del 7.5.2013.
G.O. è Consigliere di amministrazione della Soc. M. con delega esclusiva all'armamento.
È incontestato che egli rivestisse al momento dell'incidente, e già negli anni precedenti, qualifiche e funzioni specifiche in materia di sicurezza, in posizione di vertice rispetto al competente ufficio, con piena autonomia decisionale e di spesa.
Ciò che gli viene contestato è la carente analisi (o comunque il mancato controllo sull'analisi eseguita dal suo staff) di parte degli incidenti avvenuti a navi della flotta, alcuni dei quali relativi proprio ad ipotesi di mancato avviamento del motore principale in fase di manovra, e l'omessa predisposizione e attuazione (o comunque l'omissione del relativo controllo) di azioni correttive volte, da un lato, a garantire l'affidabilità del motore e, dall'altro, ad evitare i pericoli derivanti dall'eventuale mancata ripartenza dello stesso.
Il Tribunale, analizzati i suddetti profili di colpa contestati ad G.O., ha ritenuto come le carenze, indiscutibilmente riscontrate nelle analisi di avarie, incidenti e mancati incidenti, pur censurabili e sicuramente ascrivibili all'imputato, non abbiano assunto un sicuro rilievo causale nell'incidente del 7 maggio.
In particolare, è stato osservato che il fallimento della manovra e la sua tragica conclusione sono da ricondurre al mancato avviamento del motore quando la nave, ormai entrata in avamporto_ con abbrivio all'indietro, avrebbe dovuto invertire il moto evoluendo più o meno al centro del bacino, grazie all'apporto del proprio sistema di propulsione, del timone, del bow thruster e dei rimorchiatori, imboccando, quindi, l'uscita di Levante del porto per prendere il largo. Le cause del mancato avviamento del motore principale non sono state mai chiarite.
L'avaria non si è ripresentata nel corso delle prove in porto e in mare fino al dissequestro della nave avvenuto la mattina del 6 giugno, né sono stati acquisiti elementi ulteriori per far luce sull'avaria.
Il motore era ripartito pochi minuti dopo il crollo della Torre ed è sempre regolarmente partito durante gli accertamenti tecnici effettuati dai consulenti.
Nessun difetto di manutenzione della nave o dei suoi apparati è contestato all'G.O., né, comunque, è emerso a carico della Società un sistema generalmente carente sotto il profilo dell'impegno profuso nella manutenzione.
Ad G.O. viene contestato, da un lato, di non avere migliorato l'efficienza del motore onde evitare il ripetersi di situazioni di mancato avviamento e, dall'altro, di non avere adottato azioni correttive volte comunque a migliorare la sicurezza della manovra.
Peraltro, osserva il Tribunale che proprio la circostanza che non sia stato individuato il perché della mancata ripartenza in avanti del motore, impedisce di attribuire rilevanza causale anche a quella parte della contestazione in cui si addebita all'imputato di non avere effettuato l'analisi e predisposto le adeguate azioni correttive per garantire il corretto ed affidabile funzionamento del motore.
Quanto alla mancanza di azioni correttive volte quanto meno ad eliminare o comunque ridurre ulteriormente il rischio di incidente, conseguente alla mancata ripartenza del motore, il Tribunale non ne ha individuata nessuna in concreto, considerato che la stessa Capitaneria, pur raccomandando la prudenza, non è in grado di dare indicazioni precise ma rimette alla buona pratica del singolo Pilota il suggerimento della velocità che consenta di fare la manovra in sicurezza, tenendo conto delle peculiarità del caso e di possibili avarie.
Il giudice di merito ha osservato che, di fronte ad un equipaggio che ha disatteso elementari regole di sicurezza, non si vede quale ulteriore cautela, non individuata né comunque univocamente individuabile a priori, sarebbe stata presa in considerazione ed avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi con un ragionevole grado di certezza.
Ne ha desunto la mancanza di rilevanza causale del comportamento omissivo attribuito all'G.O..

10. Responsabilità amministrativa della società.
Il Tribunale ha ritenuto la responsabilità della società Ignazio M. ex art. 25-septies del d.lgs. 231/2001, in relazione alla condotta del Comandante R.P. per il reato di cui al capo 1), avendo l'imputato violato disposizioni prevenzionistiche nel momento in cui ha permesso che la nave partisse nonostante il contagiri in avaria, senza avvisare la Compagnia, né tanto meno l'Autorità Marittima né, a quanto è dato desumere dalle risultanze istruttorie, il Pilota, e tale condotta ha avuto un'indiscutibile rilevanza causale nel determinismo dell'evento.
Il Comandante, sotto questo profilo, è stato considerato quale persona
sottoposta alla direzione e vigilanza dei vertici della società e non come figura apicale.
Nel caso concreto è stato ritenuto configurabile quanto meno l'interesse della Compagnia, vista la decisione di procedere, comunque, nella manovra di partenza ormai già organizzata e in fase di esecuzione, nonostante la constatata avaria del contagiri, al fine di non ritardare il viaggio, affrontando tutti quegli oneri in termini di costi aggiuntivi e di controlli che dalla segnalazione del guasto sarebbero derivati.
È stata, inoltre, accertata l'inadeguata attuazione del modello organizzativo adottato dalla società M. e la mancata esecuzione di sanzioni, anche nei confronti del R.P., nonostante i riscontrati incidenti avvenuti in passato e mai sottoposti a rilievo disciplinare. Da ciò traendosi conferma che la decisione del Comandante di proseguire nella manovra nonostante l'avaria all'indicatore dei giri, senza segnalare nulla, rispondeva ad un modus operandi sicuramente non osteggiato dalla Compagnia, che mai, anche in passato, aveva assunto iniziative contro i Comandanti.
La mera previsione di una procedura che nel tempo risulta non essere stata puntualmente osservata, in assenza di interventi della Compagnia volti a pretenderne il rispetto anche con adeguate procedure sanzionatorie, ha indotto il Tribunale ha reputare provata la violazione dei doveri di direzione e vigilanza da parte della società M., con conseguente configurabilità a suo carico della relativa responsabilità amministrativa.

La sentenza di appello
11. Con sentenza del 18.1.2019, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale:
- ha assolto R.P. dal reato di falso di cui al capo 6) per insussistenza del fatto; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine alla contravvenzione di cui al capo 4) perché estinta per prescrizione; ha rideterminato la pena complessiva nei suoi confronti in anni 9 e mesi 11 di reclusione;
- ha assolto A.A. dai reati a lui ascritti ai capi 1) e 2) per non aver commesso il fatto;
- ha confermato nel resto la decisione di primo grado, provvedendo, altresì, alla regolamentazione delle spese del giudizio.

12. Per quanto qui rileva, le considerazioni della Corte territoriale sulle singole posizioni sono state - in estrema sintesi - le seguenti.
12.1. Il Comandante R.P. (sui capi 1 e 2).
È stato dimostrato che l'imputato, subito dopo la partenza, preso atto che il contagiri in plancia non funzionava, non ha adottato le misure corrette, quali il ritorno alla banchina per effettuare la riparazione, il trasferimento dei comandi in sala macchine o il collegamento continuo di comunicazione. Durante la manovra, dopo l'ordine "avanti molto adagio" e il suono dell'allarme, non si è accorto che il motore non era ripartito, pur in presenza di elementi sintomatici. Successivamente ha sbagliato la procedura di riavvio, non riportando la leva del telegrafo sullo stop; ha ordinato in ritardo di dare fondo alle ancore; non ha ordinato di spostare il timone a destra per facilitare la rotazione, non ha ordinato di suonare la sirena. Tali condotte imprudenti e contrarie a norme cautelari hanno avuto rilevanza causale nel verificarsi dell'evento, stante il colpevole ritardo con il quale è stata appresa la mancata partenza del motore della nave.

12.2. Il Primo Ufficiale L.R..
E' stato ritenuto responsabile in quanto, dopo essersi accorto che il contagiri non funzionava, ha deciso per sua comodità, pur con il consenso dei suoi superiori, di non tenere un contatto diretto con la sala macchine; non si è preoccupato di verificare il motivo dell'allarme di starting failure, pur avendo la corrispondente spia luminosa accesa, proprio a fianco della sua postazione, e di comunicarlo al Comandante; quando ha saputo che il motore non era ripartito, non ha attivato la procedura di riavvio, pronunciando parole confuse al Comandante, il quale, ignaro della mancata partenza del motore, stava eseguendo personalmente "l'avanti mezza", invece di riportare il telegrafo sullo stop per iniziare un nuovo tentativo di riavvio.
12.3. Il Direttore di macchina F.G..
È stato ritenuto colpevole perché, dopo essersi accorto che il contagiri in plancia non funzionava, non si è opposto alla decisione del Primo Ufficiale di non mantenere un contatto diretto e continuo con la plancia; inoltre, non ha comunicato immediatamente alla plancia che il motore non era ripartito, violando così la procedura di sicurezza. È stato ritenuto che tale condotta abbia comportato un ritardo nella presa di coscienza da parte del personale di plancia del fatto che il motore della nave non si era riavviato, impedendo o comunque ritardando l'adozione di correttivi idonei ad incidere sull'esito della manovra.
12.4. Il Pilota A.A..
Nei confronti del Pilota la Corte territoriale, diversamente dal primo giudice, non ha rinvenuto la sussistenza di elementi di responsabilità penalmente rilevanti.
Premesso che la direzione della manovra della nave spetta per legge al Comandante, mentre il Pilota è un suo ausiliario in posizione subordinata, la Corte genovese ha sottolineato che, come riconosciuto anche dal primo giudice, la manovra era stata impostata ed eseguita correttamente, in modo corrispondente alla generalità di altre manovre analoghe. La testimonianza di Bozzo, che ha riferito di essere solito anticipare l'ordine "avanti molto adagio" rispetto a quanto avvenuto nel caso di specie, non è stata ritenuta decisiva, trattandosi di una scelta personale che, per quanto apprezzabile, non appare esigibile, in via generale, da tutti i soggetti che operano nella medesima situazione. Secondo la Corte, neppure si può addebitare all'imputato di avere preso coscienza in ritardo del mancato avvio del motore. Il Pilota, salito a bordo., era stato rassicurato dal Comandante del regolare funzionamento di tutti gli apparati, compreso quindi il motore, e non era stato informato dell'avaria al contagiri posizionato in plancia. Al Pilota neanche era stato comunicato il motivo dell'allarme, suonato alle ore 22.57.30, 18 secondi dopo l'ordine "avanti molto adagio", allarme tacitato 4 secondi dopo. Considerato che il suono dell'allarme è identico per diverse avarie e la spia luminosa era presente sul quadro di plancia, A.A., posizionato sull'aletta, all'esterno della plancia, anche qualora avesse percepito il suono, non poteva sapere che l'allarme era suonato per il mancato avviamento del motore. Inoltre, con la tacitazione dell'allarme, l'imputato poteva ritenere cessata la situazione di pericolo che tale segnalazione aveva indicato.
I giudici di appello hanno sottolineato che A.A. è stato il primo ad accorgersi che la nave non rallentava e, dopo 20 secondi dall'ordine "avanti adagio", chiedeva se il motore fosse partito, ma nessuno gli rispondeva. Dopo 10 secondi dal suggerimento "avanti mezza" il Pilota, lasciato solo sull'aletta, in quanto il Comandante si era spostato in plancia, si rendeva conto da solo che il motore non era partito.
I n. tale momento, secondo la Corte, non era più possibile fare molto per evitare l'evento. Nonostante ciò, dopo 10 secondi l'imputato suggeriva correttamente di mettere il "bow tutto a sinistra", per accelerare la rotazione; dopo 19 secondi ordinava ai rimorchiatori di andare a tutta prua e dopo 54 secondi suggeriva di dare fondo alle ancore.
12.5. Giampaolo Dimetti.
Su tale posizione la Corte genovese ha sostanzialmente condiviso la valutazione del Tribunale, ritenendo non potersi affermare la responsabilità dell'imputato per non aver previsto e attuato rimedi, idonei ad evitare il malfunzionamento del motore della nave e per non aver sottoposto la Jolly Nero ad una adeguata manutenzione, non essendo stata dimostrata la rilevanza causale di tali omissioni nel caso concreto.

I ricorsi per cassazione
13. Avverso la prefata sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione i soggetti di seguito indicati.

14. Il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Genova impugna la sentenza nella parte che attiene all'assoluzione degli imputati G.O. e A.A., lamentando quanto segue.
14.1. Rispetto alla posizione di G.O., lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 40, 41, 42, 43 cod. pen. e con riferimento alla legge 23 maggio 1980 di ratifica della convenzione internazionale SOLAS ("Safety Of Life At Sea") e successivi emendamenti, in particolare l'art . 9 codice ISM ("International Safety Management"), richiamato dalla regola 3 capitolo 9 "Gestione della Sicurezza delle navi" adottato il 24.5.1994 nella predetta convenzione.
 

I) Si premette che in sede di appello si era sostenuta la manifesta illogicità del ragionamento probatorio del Tribunale, derivante dal contrasto tra le condivisibili premesse basate sugli accertamenti in fatto e le conclusioni raggiunte in tema di insussistenza del nesso causale, frutto d'inosservanza ai principi di diritto che avrebbero dovuto governare il caso.
Tale conclusione non aveva tenuto conto: da un lato, della corretta portata della norma cautelare, dall'altro della corretta impostazione del giudizio controfattuale in una situazione di c.d. "colpa relazionale", avendo il Tribunale escluso l'efficacia causale di qualsiasi eventuale procedura precauzionale in ipotesi individuabile dalla Compagnia e diretta a regolare il comportamento del personale di bordo, poiché questi ultimi l'avrebbero inevitabilmente violata.
Il) Si censura che la Corte d'appello abbia confermato l'intero impianto argomentativo della sentenza di primo grado, secondo cui la condotta omissiva addebitata all'G.O. (non avere individuato e attuato azioni correttive e preventive dirette a impedire il reiterarsi di situazioni di rischio o pericolose) non avrebbe avuto "sicuro rilievo causale" rispetto all'evento.
In realtà, l'evento verificatosi s'inserisce pienamente nell'ambito di quelli che la norma cautelare violata mira a prevenire, configurando così la concretizzazione del rischio. Non si può dubitare che l'avaria del motore, anche sotto forma di temporaneo blocco, fosse evento prevedibile.
Poiché anche la Corte d'appello riconosce la natura di attività pericolosa della navigazione, il principio di riferimento avrebbe dovuto essere quello per cui nella gestione di tale attività "a rischio consentito", l'impossibilità di eliminare il rischio non si traduce nell'attenuazione dell'obbligo di garanzia ma nel suo rafforzamento. Né il carattere di norma c.d. elastica propria della regola cautelare violata porta a escludere la rilevanza causale della sua violazione. Nel caso si imponeva all'G.O. un obbligo di individuazione di "procedure", cioè prescrizioni e indicazioni che devono costituire "barriere" nella prevedibile concatenazione causale determinata dall'interazione dell'operato di altri soggetti, con particolare attenzione alla possibilità di errore umano.
La serie di errori, anche macroscopici, che hanno caratterizzato la manovra della Jolly Nero non rendono abnorme il comportamento dell'equipaggio, trattandosi di errori commessi nella esecuzione di una manovra ordinaria, rientrante nelle mansioni e nei compiti del personale di bordo.
Non sussiste, quindi, interruzione del nesso causale rispetto a tali comportamenti. L'errore di diritto della sentenza impugnata si cela entro le pieghe del giudizio controfattuale su entrambi i piani pur intersecanti della causalità della colpa e della causalità materiale. Non viene esplicitato il principio che costituisce la ratio decidendi ultima del giudicante.
III) Si deduce che le conclusioni che approdano al dubbio sulla rilevanza causale sono in realtà determinate da un'inadeguata comprensione della norma cautelare stessa che si assume violata, determinando una distorta impostazione del giudizio controfattuale.
L'art. 9 codice ISM, principale norma cautelare, pone una sequenza onerosa di attività a carico della Compagnia. L'incapacità di individuare il c.d. comportamento alternativo lecito è frutto di una riduttiva lettura della norma. La necessità di un'indagine volta a ricercare le cause delle situazioni di rischio, al fine di una successiva analisi per il miglioramento della sicurezza, è il presupposto per la successiva realizzazione di misure correttive. Nel caso di specie, la mancata individuazione della cosiddetta causa radice (root cause) delle avarie del motore, non riduce l'obbligo cautelare, ma al contrario richiede un rafforzamento di tutela.
Altra norma cautelare specifica, la cui violazione è stata parimenti accertata, è quella di cui all'art. 10, comma 3, del codice ISM che prevede che la Compagnia debba identificare i cc.dd. apparati critici, affinché si approntino misure dirette a garantire l'affidabilità di tali impianti o sistemi. La Corte d'appello è silente sul punto.
Si deduce che la sentenza impugnata non abbia esaminato l'adeguatezza delle procedure di emergenza disciplinate nel manuale SMS della Compagnia, in particolare quelle dedicate all'avaria del motore principale. La Corte erra, inoltre, quando interpreta la normativa cautelare violata in relazione alla corretta individuazione dei rapporti tra i vari livelli di sicurezza, nel senso di limitare la gamma delle raccomandazioni e prescrizioni che dall'esterno contribuiscono a creare le condizioni di sicurezza in cui opererà il Comandante, visto che nessuna norma impone il divieto di dare "indicazioni troppo particolareggiate sul comportamento da tenere in caso di mancata disponibilità del motore durante la manovra in porto", come affermato dalla Corte di appello.
IV) Si deduce l'errata impostazione del giudizio controfattuale.
La Corte di merito si arrende di fronte alla dichiarata impossibilità di individuare la condotta specifica che l'imputato avrebbe dovuto tenere.
È chiaro che si trattava di imporre una barriera, una "ridondanza", che consentisse di ovviare alle conseguenze pericolose che un'improvvisa avaria del motore avrebbe innescato, in una serie causale in cui l'errore umano si poteva collocare.
La situazione che si è creata a bordo, lungi dall'essere straordinaria, è quella che gli studi di settore indicano come ordinaria nella causazione dell'evento pericoloso o dannoso, cioè proprio la mancanza di consapevolezza della situazione, esattamente ciò che il sistema di sicurezza deve evitare a ogni livello decisionale e di programmazione. Il Giudice aveva l'obbligo in questo caso di individuare il contenuto dell'obbligo cautelare posto da una norma elastica, allo stesso modo con cui è tenuto a individuare il comportamento doveroso in un caso di colpa generica, pur presente nella contestazione dell'accusa.
In sede di appello si ponevano alcune alternative che meritavano risposta alla luce dell'interpretazione della normativa cautelare e della corretta impostazione del giudizio controfattuale.
La prima alternativa era quella estrema che richiama al dovere di astensione in presenza di un rischio ineliminabile e che si omette di gestire. La seconda era quella di richiedere l'intervento di tre rimorchiatori e non due, al fine di rafforzare le barriere contro il rischio.
Un'ulteriore misura avrebbe potuto essere quella di imporre un margine di distanza di sicurezza dalla costruzione e, in evidenza di collisione, consentire un anticipato utilizzo delle ancore.
Era quindi ipotizzabile il comportamento alternativo lecito derivante dall'enucleazione del contenuto della norma cautelare, così come la sua esigibilità. Sul punto la Corte d'appello avrebbe potuto e dovuto rinnovare l'istruttoria per ottenere un maggiore ausilio tecnico.
14.2. Il Procuratore generale, rispetto alla posizione di A.A., lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 42, 43 e 113 cod. pen.
I) Si deduce che l'assoluzione dell'imputato - con la quale è stato ribaltato il giudizio di condanna del Tribunale - non è fondata su una "motivazione rafforzata" idonea a confutare con il necessario rigore logico i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, in maniera tale da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Secondo la Corte, l'A.A. era isolato e privo di informazioni, per cui, quando si era reso conto che il motore non era ripartito, "non era più possibile fare molto per evitare l'evento".
La diversa ricostruzione omette di confrontarsi con l'osservazione, avanzata dal Tribunale, per cui proprio l'assenza di informazioni doveva imporre al Pilota di delinearsi lo scenario più critico, suggerendogli le soluzioni più prudenti in ragione dell'assenza delle certezze che ricercava. Nella sentenza di appello è assente ogni riflessione a confutazione della compiuta analisi dei tempi e degli avvenimenti proposta dal Tribunale, in particolare l'imperizia e negligenza con cui l'imputato ha affrontato il dubbio sull'effettiva disponibilità del motore, nonostante la velocità anomala della nave; dubbio che avrebbe potuto risolvere già dalla posizione in cui si trovava, alzando lo sguardo al contagiri di fronte a lui.
15. L.R., per il tramite del suo difensore, lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge processuale e vizio di motivazione circa il rigetto delle doglianze difensive sulla inutilizzabilità di atti contenuti nel fascicolo dibattimentale.
Si deduce che in appello è stata eccepita l'inutilizzabilità e/o nullità, nei confronti del ricorrente, di accertamenti tecnici irripetibili disposti dal PM nel 2013, in data 10 maggio, 14 maggio, 17 maggio e 30 maggio, nonché quello disposto il 12 marzo 2014 e l'incidente probatorio. Ciò in quanto il L.R. era stato iscritto nel registro degli indagati il 14.5.2013, in contemporanea con un incarico peritale affidato dal pubblico ministero ma non comunicato al L.R., né al suo difensore.
Quindi gli incarichi affidati il 14.5.2013 e il 30.5.2013 erano da considerarsi inutilizzabili da parte del Giudice del dibattimento nei confronti dell'imputato. Non vi è dubbio che nel momento in cui si affidavano incarichi peritali, considerando indagati il Comandante ed il Pilota, non si poteva ignorare l'eventuale cooperazione di altri nella commissione di fatti colposi.
La Corte di appello sostiene erroneamente che l'iscrizione del L.R. nel registro degli indagati sarebbe avvenuta per un reato diverso dalla fattispecie criminosa (omicidio colposo) cui gli accertamenti tecnici irripetibili si riferivano, per cui non sarebbe stata lesa alcuna sua potestà difensiva.
Tuttavia, è evidente che dal 14.5.2013 il ricorrente aveva preso parte al procedimento in questione, per cui il pubblico ministero avrebbe dovuto coinvolgerlo negli accertamenti in corso.
Inoltre, negli accertamenti tecnici irripetibili avrebbero dovuto essere coinvolti tutti i soggetti che avrebbero potuto "cooperare" in plancia nella manovra, stante il valore estensivo della contestazione di cui all'art. 113 cod. pen. L'ipotesi di cui all'art. 349 cod. pen., per cui sarebbe stato iscritto inizialmente il L.R. (per aggiustamento del contagiri della nave), non poteva considerarsi avulsa totalmente dall'imputazione a titolo di cooperazione colposa nei reati poi contestati ai capi 1 e 2 della rubrica .
La Corte non ha precisato quale sia la differenza codicistica tra soggetti raggiunti da "meri sospetti" ovvero da "indizi di reità" tali da suscitare la necessità degli opportuni avvisi di garanzia di partecipazione assistita ad atti di indagine irripetibili, limitandosi ad affermare il principio per il quale il PM godrebbe di autonomia e discrezionalità assoluta nella iscrizione al registro degli indagati dei soggetti attinti da indagini.

II) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 41, 113 e 114 cod. pen.
Si deduce che la sentenza impugnata non abbia speso neppure un rigo di motivazione in ordine ai motivi di appello concernenti le problematiche delle cosiddette "concause" che avrebbero concorso in maniera determinante alla causazione dell'evento, quali: la normativa in essere nell'ambito del porto di Genova che obbligava le navi a procedere in retromarcia per 6,3 Km; la collocazione della Torre Piloti; il comportamento dei rimorchiatori.
Si tratta di aspetti rilevanti in quanto, al di là della configurabilità o meno dell'art. 41 cod. pen., in tema di cooperazione colposa il giudice di merito è chiamato a valutare i fatti in relazione all'art. 114 cod. pen., se non altro per il trattamento sanzionatorio di coloro che abbiano avuto minima partecipazione nella esecuzione del reato.
III) Vizio di motivazione in punto di responsabilità.
Si denuncia la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con particolare riguardo al c.d. "improvvido accordo" intervenuto fra L.R. e F.G., in cui la sentenza impugnata si focalizza sul fatto che il ricorrente avrebbe ritenuto, per sua comodità, di non tenere un contatto diretto con la sala macchine; senza, tuttavia, tenere conto che tale decisione fu assunta in accordo con il Direttore di macchina proprio in ragione della necessità del Primo Ufficiale di svolgere il proprio servizio, stante la distanza tra la sua posizione ed il telefono in plancia, optando per la comunicazione via telefono solo in caso di mancata ripartenza.
Secondo la Corte non sarebbe dimostrato che l'imputato fosse al telefono quando suonò l'allarme di starting failure e comunque non sarebbe credibile che non fosse stato in grado di sentirlo. Ma ciò implica che non è stato dimostrato nemmeno il contrario, ovvero che non ci fosse. La circostanza secondo cui egli avrebbe dovuto comunque sentire l'allarme implica, altresì, che chiunque in plancia poteva sentire l'allarme, compreso il Comandante. Al di là del soggetto
che tacitò l'allarme, nel momento in cui era chiaro a tutti che il motore non fosse ripartito, il Primo Ufficiale sollecitò al Comandante le opportune manovre finalizzate alla ripartenza del motore, e in quel momento per lo stesso Tribunale ci sarebbe stato ancora spazio per evitare l'impatto se solo si fossero gettate le ancore o si fosse messo il timone a dritta (scelte che non competevano al Primo Ufficiale).
A tale doglianza la Corte non ha dato risposta, laddove si afferma che la colpa del L.R. sarebbe stata quella di non aver consentito, stante la tacitazione dell'allarme, la presa di coscienza del mancato avviamento del motore.
IV) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Si deduce che la Corte di merito, contraddittoriamente, non ha preso in considerazione le circostanze della condotta in relazione alla quantificazione della pena, considerandole ininfluenti ai fini della concessione delle attenuanti generiche perché già valutate in punto di pena. Il risultato conclusivo è che tali circostanze obiettive non sono state considerate né ai fini della concessione delle invocate attenuanti né ai fini della concreta quantificazione della pena. Nemmeno è stata svolta una valutazione sulla condotta individualmente tenuta da ciascun imputato per l'eventuale applicazione dell'art. 114 cod. pen.

16. R.P., per il tramite del suo difensore, lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 589, 113, 432, 434, 449 cod. pen.
Si osserva che è in corso un processo a carico di numerose persone, tra progettisti e costruttori della Torre, alle quali il pubblico ministero addebita pesanti responsabilità per i decessi e le lesioni note agli atti. La posizione del R.P., quantomeno relativamente al trattamento sanzionatorio, dovrebbe essere rivalutata e migliorata.
La Corte d'appello ha rifiutato l'argomento, esponendo al riguardo un pensiero erroneo, senza prendere in considerazione gli argomenti formulati dal ricorrente. Nella sentenza ci si limita ad affermare che, se anche fosse stata creata una situazione pericolosa per la costruzione e l'ubicazione della Torre o per un errato intervento dei rimorchiatori, non sarebbe ipotizzabile una interruzione del nesso causale tra l'evento e le condotte del R.P..
Tuttavia, in sede di gravame di appello il problema non era stato sollevato al fine di coltivare una ipotesi di interruzione del nesso causale, ma per evidenziare che la pesante responsabilità del Comandante avrebbe dovuto essere condivisa con altri soggetti e, quindi, diventare meno pesante, anche sotto il profilo della subordinata richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto la sentenza impugnata non svolge alcun esame.
II) Vizio di motivazione, nella parte in cui non viene posto nella dovuta evidenza che l'unica vera causa che ha determinato il fatto è stata la mancata ripartenza dell'unico motore della nave, con la conseguente mancata possibilità di riprendere la marcia in avanti. La nave poteva perfettamente navigare senza il ripetitore del contagiri in plancia ma con sala controllo presidiata. Durante la navigazione nel canale il Comandante spense e riavviò il motore per almeno tre volte, per cui il motore si presentava perfettamente funzionante. Si creò, invece, una situazione di emergenza che richiedeva l'effettuazione di pochi gesti, delegati ad altri soggetti, che ebbero esitazioni o non coadiuvarono adeguatamente il Comandante.
La Corte di appello non ha preso in considerazione i numerosi argomenti che il R.P. ha esposto nel proprio appello.
Il paragrafo 7 dell'atto di appello è dedicato al problema del "fondo alle ancore" e nello stesso, facendo riferimento a considerazioni di un qualificato consulente tecnico, è dimostrato come il dare fondo alle ancore avrebbe richiesto tempi e spazi tali da non consentire di evitare l'urto della nave con la Torre Piloti.
Al seguente paragrafo 8 si tratta diffusamente dell'azione posta in essere da altri soggetti (il Primo Ufficiale) al quale era demandato il compito di controllare la consolle delle strumentazioni ed operare l'intervento. Ritenere che il Comandante possa e debba controllare ogni singolo gesto che viene posto in essere dai suoi collaboratori, significa inseguire un principio teorico e avulso dalla realtà.
Analoga mancanza di motivazione è presente in relazione al ruolo dei rimorchiatori e all'ulteriore addebito relativo ad un ipotetico mancato allarme.
III) Vizio di motivazione in relazione all'art. 1127 cod. nav.
Si denuncia l'assenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine al reato di falso nel giornale nautico, addebitato al ricorrente al capo 5).
La Corte d'appello nulla dice su alcuni punti fondamentali devoluti nel gravame: inesistenza di un obbligo di riportare sul giornale nautico la semplice avaria in questione; non configurabilità della stessa come "evento straordinario"; assenza di dolo.
IV) Vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen.
Su tali punti la sentenza impugnata non dà adeguata contezza dell'iter logico-giuridico seguito per denegare quanto richiesto dal ricorrente.

17. F.G., per il tramite del suo difensore, lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di nullità e inutilizzabilità degli accertamenti tecnici irripetibili del 10, 14 e 30 maggio 2013, per omesso avviso all'imputato.
II) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di nullità e inutilizzabilità dell'accertamento tecnico irripetibile del 12 marzo 2014, perché effettuato dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, essendo stato il ricorrente iscritto nel registro degli indagati in data 11 settembre 2013, senza alcun ulteriore provvedimento di proroga delle indagini nei suoi confronti.
III) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di inutilizzabilità dell'incidente probatorio del 27 dicembre 2013, perché concluso, in assenza di valide proroghe, successivamente alla scadenza del termine delle indagini preliminari.
IV) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di nullità e inutilizzabilità dell'incidente probatorio del 27 dicembre 2013, perché concluso, in assenza di valide proroghe, successivamente alla scadenza del termine delle indagini preliminari, ove il ricorrente fosse stato correttamente iscritto nel registro degli indagati in data 8 maggio 2013.
V) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di genericità e indeterminatezza del capo di imputazione.
VI) Vizio di motivazione, nella parte in cui è stata affermata la prevedibilità
della mancata ripartenza del motore e che, in virtù di tale circostanza, avrebbe dovuto essere adottata una maggiore cautela, senza considerare che, non essendo state individuate le cause del mancato avviamento ed essendo stata accertata l'assenza di avarie all'impianto di propulsione, non è possibile asserire che tale evenienza fosse prevedibile solo in quanto sia genericamente possibile che un motore possa non avviarsi.
VII) Vizio di motivazione rispetto ad atti del processo e, segnatamente, del manuale SMS della società M., punto 4, nella parte della sentenza in cui la Corte d'appello ha affermato l'obbligo per il Direttore di macchina di avvertire la plancia in ogni caso di mancato avviamento del motore, nonostante che il detto manuale sancisse l'obbligo per il Direttore di Macchina di avvisare la plancia in caso di "avaria" tale da causare l'arresto del propulsore; avaria che nella specie non si è mai verificata.
VIII) Vizio di motivazione, nella parte in cui è stato ritenuto che l'imputato
avrebbe dovuto avvertire la plancia della mancata ripartenza del motore addirittura prima del suono dell'allarme starting failure, nonostante che prima di tale occorso la procedura di avvio dell'apparato di propulsione non fosse ancora terminata e non si fosse, pertanto, ancora concretizzato alcun mancato avviamento.
IX) Vizio di motivazione, nella parte in cui è stato asserito che, ove
l'imputato avesse avvertito la plancia circa la mancata ripartenza del motore, ivi avrebbero avuto contezza di tale circostanza prima di quanto non sia effettivamente accaduto, nonostante sia stato dimostrato che al fallimento del terzo tentativo di avviamento del motore si fosse correttamente attivato l'allarme starting failure.
X) Vizio di motivazione, nella parte in cui è stato affermato che, ove la plancia avesse percepito prima il mancato avviamento del motore, l'evento non si sarebbe verificato, nonostante sia stato riconosciuto che le azioni poste in essere dopo la presa d'atto di tale circostanza - e, in particolare, l'incongruo tentativo di riavviare la macchina attuato dal Comandante - fossero in sé inidonee allo scopo.
XI) Vizio di motivazione, nella parte in cui è stato affermato che, ove la plancia avesse percepito prima il mancato avviamento del motore, l'evento non si sarebbe verificato, nonostante sia stato riconosciuto che le azioni poste in essere dopo la presa d'atto di tale circostanza - e, in particolare, l'ordine di dare fondo alle ancore impartito a distanza di tempo rispetto alla percezione del mancato avviamento - fossero in sé inidonee allo scopo.
XII) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi in materia di colpa con particolare riferimento al c.d. ragionamento controfattuale, non avendo rilevato come la condotta positiva asseritamente omessa dal ricorrente non avrebbe comunque sortito l'esito di evitare l'evento dannoso.
XIII) Violazione di legge, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi in materia di colpa con particolare riferimento al c.d. principio di affidamento, ove è stato asserito che l'imputato non avrebbe dovuto fare affidamento sulla diligenza degli altri componenti dell'equipaggio.
XIV) Vizio di motivazione, per omesso esame delle doglianze contenute nell'atto di appello, nelle quali si rappresentavano le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico di parte in merito alla probabilità ed alla possibilità di evitare l'urto con la Torre, nell'ipotesi in cui il motore fosse stato riavviato.
XV) Vizio di motivazione, per omesso esame delle doglianze contenute nell'atto di appello, nelle quali si rappresentavano le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico di parte in merito alla probabilità ed alla possibilità di evitare l'urto con la Torre, nell'ipotesi in cui fosse stato dato fondo alle ancore antecedentemente rispetto a quanto concretamente verificatosi.
XVI) Vizio di motivazione, nella parte della sentenza in cui i giudici di appello hanno motivato in maniera apparente e stereotipata, con riguardo alla determinazione della pena-base e non hanno motivato in ordine agli aumenti per la continuazione.
XVII) Vizio di motivazione, nella parte la Corte di merito ha omesso di considerare una serie di elementi positivi al fine di riconoscere le attenuanti generiche.
XVIII) Vizio di motivazione, nella parte della sentenza in cui la Corte di merito ha travisato il ruolo e le funzioni del Direttore di Macchina.

18. La Società Ignazio M., quale responsabile civile, lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge, vizio di motivazione e mancata decisione sulla richiesta rinnovazione della perizia tecnica.
La sentenza si limita ad esaminare i profili di colpa dei singoli imputati, trascurando invece quanto esposto dal responsabile civile nei motivi di appello.
Il richiamo alle motivazioni della sentenza di primo grado è insufficiente in quanto meramente apparente e non dimostra che il giudicante abbia preso cognizione delle ragioni del provvedimento di riferimento, ritenendole coerenti con la sua decisione.
Gli argomenti esposti nei motivi di appello offrivano ampi aspetti di riflessione in punto di nesso causale e non è stato investigato il ruolo dei rimorchiatori e la loro eventuale corresponsabilità, trattandosi anch'essi di garanti della manovra.
II) In subordine, avverso le statuizioni civili, deduce quanto segue.
1) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 2697 cod. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha respinto l'eccezione di inammissibilità delle domande risarcitorie formulate dalle Amministrazioni dello Stato in via alternativa tra loro (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e/o Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, Ministero dell'Economia e delle Finanze e/o Agenzia del Demanio).
2) Violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno liquidando provvisionali in favore del Ministero della Difesa e del Ministero dei Trasporti, pur in presenza di profili di corresponsabilità delle amministrazioni dello Stato e di altri terzi.
3) Violazione di legge, nella parte in cui è stata riconosciuta in favore del Ministero della Difesa il diritto al rimborso dei benefici erogati, quali vittime del dovere, ai dipendenti feriti ed ai familiari dei dipendenti deceduti a seguito dell'evento, ai sensi della legge 266/2005 e relativo d.P.R. 243/2006.
4) Violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore della Rimorchiatori Riuniti Porto di Genova S.r.l., pur in assenza della prova del danno.
Si censura che, al fine di colmare la carenza di prova documentale del danno lamentato dalla parte civile (un mero elenco di spese non supportato da qualsiasi pezza giustificativa), la sentenza abbia dato rilievo alla testimonianza del legale rappresentante della parte civile che aveva confermato il contenuto della documentazione in atti.
5) Violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore della Rimorchiatori Riuniti Porto di Genova S.r.l., pur in presenza di ragioni di compensazione e/o regresso e/o rivalsa del responsabile civile.
Si denuncia che sul punto la Corte territoriale non ha preso posizione, nonostante che si trovi attualmente in fase di dibattimento il separato procedimento penale anche a carico del datore di lavoro e responsabile del servizio di prevenzione e protezione della Rimorchiatori Riuniti in relazione alla morte del dipendente Sergio Basso, deceduto in occasione del crollo della torre piloti.

19. La Società Ignazio M., quale responsabile amministrativo in relazione all'illecito contestato al capo 10), lamenta quanto segue.
I) Nullità della sentenza per omessa pronuncia sull'ammissibilità dell'appello incidentale del pubblico ministero, in relazione ai punti della sentenza concernenti la responsabilità amministrativa della società per i reati presupposto contestati ad G.O., nonché sulle stesse richieste avanzate dal pubblico ministero con l'atto in esame.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 5 d.lgs. 231/2001.
Si assume che la condotta del R.P. non risulta connotata dalla finalità di perseguire un interesse per l'ente, atteso che la decisione di proseguire la navigazione in presenza dell'avaria al contagiri fu suggerita dal Direttore di macchina F.G., stante il funzionamento del contagiri digitale, per cui gli interessi aziendali neanche furono presi in considerazione dal Comandante.
III) Vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di interesse della Compagnia.
Si censura la sentenza impugnata per essersi limitata, sul punto, a richiamare le ragioni della prima sentenza, omettendo di confutare tutte le argomentazioni difensive di segno contrario proposte con l'atto di appello
IV) Violazione di legge in relazione all'art. 21 d.lgs. 231/2001.
Si denuncia l'erronea determinazione della sanzione irrogata, essendo stato applicato l'aumento di pena previsto dall'art. 21 cit. senza che ricorresse il presupposto fattuale della commissione di una pluralità di illeciti, posto che la Compagnia è stata ritenuta responsabile in relazione ad un unico reato presupposto, vale a dire quello contestato al capo 1) all'imputato R.P..
V) Violazione di legge in relazione all'art. 12, comma 2, lett. a) d.lgs. 231/2001.
Si censura la mancata applicazione della riduzione della sanzione quando "l'ente ha risarcito integralmente il danno ... ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso", posto che la ricorrente ha compiuto tutti gli sforzi concretamente esigibili per risarcire integralmente tutti i danni cagionati dai propri addetti, non riuscendo solo parzialmente nello scopo per cause che non possono esserle addebitate. La sentenza impugnata è incorsa in errore di diritto, rigettando la richiesta sul presupposto del mancato integrale risarcimento del danno.

20. La parte civile A.C.T., per il tramite del suo difensore, limitatamente ai capi in cui veniva esclusa la penale responsabilità dell'imputato G.O., lamenta quanto segue.
I) Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40 e 41 cod. pen.
Si denuncia che la Corte di merito è partita dal presupposto, errato, che l'evento sia stato provocato da un errore umano. In realtà, è l'avaria al motore il primo anello della catena causale. Tale impostazione compromette il ragionamento sviluppato per l'analisi della responsabilità in capo all'G.O..
Il corretto funzionamento del motore avrebbe dovuto essere garantito dall'G.O..
Se fossero state indagate le avarie precedenti, si sarebbero potuti adottare accorgimenti in fase di manovra (adottando un numero superiore di rimorchiatori o una manovra ad abbrivio zero) atti ad azzerare il rischio. Un'adeguata ispezione delle precedenti cause di avaria avrebbe potuto portare all'individuazione del problema e alla relativa riparazione definitiva.
II) Illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Si ritiene contraddittorio il giudizio di colpevolezza della società M., nonostante la ritenuta assenza di responsabilità del "suo uomo", ovverosia G.O., vale a dire proprio di colui che era chiamato a gestire le navi in arrivo e in partenza.
III) Nullità della sentenza impugnata.
Si denuncia l'assenza di motivazione sul punto devoluto nell'atto di appello in tema di responsabilità commissiva dell'G.O..

21. Sono state depositate memorie scritte dai difensori degli imputati ricorrenti R.P., L.R. e F.G., nonché dai difensori degli imputati (non ricorrenti) A.A. e G.O., del responsabile civile Soc. Ignazio M. e delle parti civili costituite M., V. e Associazione Vittime del Dovere onlus.



 

Diritto




Il ricorso del Procuratore Generale
1. Il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Genova, pur tempestivo, è inammissibile.

2. Quanto alla tempestività del ricorso, si deve osservare che non vi è alcuna ragione testuale o sistematica che consenta di contraddire il principio secondo il quale, in tema di computo dei termini processuali, ai fini della tempestività della proposizione dell'impugnazione - nel caso in cui l'imputato sia presente al dibattimento e la sentenza sia emessa con la sola lettura del dispositivo con riserva di deposito della motivazione - il termine per il deposito del gravame inizia a decorrere dal primo giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, in virtù della regola generale di cui all'art. 172, comma 4, cod. proc. pen., non derogata dalla previsione di cui all'art. 585, comma 2, lett. c) cod. proc. pen. (cfr. Sez. 6, n. 25598 del 27/05/2020, R, Rv. 279874; Sez. 5, n. 32690 del 23/02/2018, Ben Alì, Rv. 273711; Sez. 1, n. 54333 del 20/07/2018, Poggiali, Rv. 275657; Sez. 3, n. 36644 del 15/07/2019, A., Rv. 277721). Infatti, l'art. 585, comma 2, cod. proc. pen. si limita a fissare i termini per le impugnazioni indicandone, in relazione ai diversi casi ivi contemplati, il dies a quo, mentre la lett. c) dello stesso secondo comma dell'art. 585 riferisce specificamente tale termine iniziale alla "scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza", sicché deve ritenersi che il termine per il deposito dell'atto di impugnazione inizi a decorrere - secondo il generale principio enunciato dall'art. 172, comma 4, cod. proc. pen., per il quale dies a quo non computatur in termino - dal giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della sentenza, così come in virtù del medesimo principio il termine per il deposito della motivazione della sentenza inizia a decorrere dal giorno successivo a quello della lettura del dispositivo (Sez. 3, n. 1191 del 08/11/2007, dep. 2008, Di Camillo, Rv. 239272; Sez. 5, n. 32690 del 23/02/2018, Ben Alì, Rv. 273711; Sez. 1, n. 54333 del 20/07/2018, Poggiali, Rv. 275657; Sez. 3, n. 36644 del 15/07/2019, A., Rv. 277721).
Nel caso in esame, quindi, il termine di giorni 45 per proporre impugnazione decorreva dal giorno della scadenza del termine per il deposito della sentenza (18.4.2019), per cui - applicando la regola generale dies a quo non computatur di cui all'art. 172, comma 4, cod. proc. pen. - veniva a scadere il 2.6.2019, prorogato al 3.6.2019 stante la scadenza del termine in giorno festivo. Il ricorso del Procuratore Generale risulta depositato proprio il 3.6.2019, quindi nei termini.

3. Con riferimento alle doglianze formulate nei confronti della posizione dell'G.O., si osserva che le censure del PG sono rivolte ad evidenziare vizi essenzialmente motivazionali da cui sarebbe affetto il percorso logico­ argomentativo seguito dai giudici di merito per affermare l'irrilevanza causale di qualsiasi eventuale procedura precauzionale in ipotesi adottabile dall'G.O., nella sua qualità, al fine di impedire l'evento. Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero compreso che nel caso il prevenuto sarebbe stato tenuto ad individuare non meglio precisate "procedure di sicurezza", idonee ad imporre "barriere" dirette ad impedire la verificazione di un errore umano. I giudici di merito avrebbero errato nella valutazione del giudizio controfattuale, su entrambi i piani pur intersecanti della causalità della colpa e della causalità materiale. Il ricorrente, in particolare, ritiene erronea ed illogica la dichiarata impossibilità, da parte della Corte territoriale, di individuare la condotta alternativa lecita, trattandosi semplicemente di imporre una barriera, una "ridondanza", che consentisse di ovviare alle conseguenze pericolose che un'improvvisa avaria del motore avrebbe innescato, in una serie causale in cui l'errore umano si poteva collocare. Secondo il PG, il Giudice avrebbe dovuto individuare il contenuto dell'obbligo cautelare posto da una norma elastica, allo stesso modo con cui è tenuto a individuare il comportamento doveroso in un caso di colpa generica.
3.1. Si tratta di censure generiche, che sviluppano considerazioni prettamente teoriche, formulate ex post, che non si calano nella concreta realtà della situazione, né si confrontano adeguatamente con le considerazioni dei giudici di merito e con il fatto accertato. E' stato appurato che il motore della nave non presentava alcuna avaria, ed era ripartito tre volte durante la navigazione nel canale. La nave era stata dotata dall'armatore di tutti gli accorgimenti previsti dalla normativa di sicurezza: personale qualificato, controllo sala macchine, contagiri, allarmi, ancore, rimorchiatori ecc. Le "barriere ulteriori" cui accenna il PG nel ricorso sono indicate in maniera astratta ed avulsa dalla realtà: non utilizzare quella nave nel porto di Genova non era un'opzione percorribile; l'ipotesi di usare tre rimorchiatori, anziché due, è anch'essa teorica e comunque i giudici di merito hanno accertato che l'assistenza di due rimorchiatori era di per sé sufficiente a consentire lo svolgimento della manovra in condizioni di sicurezza; la determinazione di un margine di distanza di sicurezza, entro il quale avrebbero dovuto essere adottate manovre di emergenza alternative rispetto all'uso del motore, era situazione che doveva e poteva essere gestita dal Comandante, responsabile della manovra. Del resto, le motivazioni delle sentenze di merito sul punto non si basano solo sulla considerazione che le ulteriori "barriere" ipotizzate non sarebbero state adeguatamente adottate dal personale di bordo, ma fondano l'esclusione di un profilo di responsabilità dell'G.O. essenzialmente sulla mancata individuazione di un comportamento alternativo lecito del medesimo che avrebbe avuto sicura incidenza causale al fine di impedire l'evento. Tale comportamento alternativo non è stato desunto dagli elementi indiziari concretamente emersi e non poteva certo essere ipotizzato in astratto dall'organo giudicante, essendo noto che, in tema di colpa generica, l'individuazione della regola cautelare non scritta eventualmente violata non deve essere frutto di una elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata "ex post" ad evento avvenuto e in maniera del tutto astratta e svincolata dal caso concreto, ma deve discendere da un processo ricognitivo che individui i tratti tipici dell'evento, per poi procedere formulando l'interrogativo se questo fosse prevedibile ed evitabile "ex ante", con il rispetto della regola cautelare in oggetto, alla luce delle conoscenze tecnico - scientifiche e delle massime di esperienza (Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016 - dep. 2017, Di Pietro, Rv. 26925401). Nel momento in cui non viene individuata la condotta alternativa doverosa, si è al di fuori della colpa, non essendo concretamente desumibile la violazione di una regola cautelare - generica o specifica - tesa ad impedire la concretizzazione del rischio di verificazione dell'evento. Nel caso, in sostanza, non è stato possibile muovere un rimprovero concreto e specifico all'G.O. rispetto all'incidente, al di là delle sue omissioni nell'analisi dei precedenti incidenti, non causalmente ricollegabili allo specifico evento in disamina. Del resto, il rimprovero deve essere mosso con valutazione ex ante, e quando la Corte territoriale accenna alla condotta del personale di bordo, intende dire che costoro avevano tutti gli strumenti per evitare l'evento, al di là della predisposizione di eventuali ulteriori "barriere", sempre possibili in astratto ma non individuate in concreto.
3.2. Peraltro, i vizi motivazionali lamentati dal PG non sono deducibili, posto che per la posizione dell'G.O. è intervenuta una c.d. doppia conforme di proscioglimento, per cui nel caso trova applicazione il disposto di cui all'art. 608, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo cui il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 cod. proc. pen.

4. Con riferimento alla posizione dell'A.A. (Pilota), il PG lamenta che la sua assoluzione in appello, con ribaltamento del giudizio di condanna del Tribunale, non è fondata su una "motivazione rafforzata" idonea a confutare con il necessario rigore logico i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, in maniera tale da giustificare la riforma del provvedimento impugnato. Rileva che l'argomentazione del!a Corte di appello - secondo cui quando il Pilota, isolato sull'aletta della nave, si era reso conto che il motore non era ripartito, "non era più possibile fare molto per evitare l'evento" - omette di confrontarsi con l'osservazione per cui proprio l'assenza di informazioni doveva imporre al Pilota di delinearsi lo scenario più critico, suggerendogli le soluzioni più prudenti in ragione dell'assenza delle certezze che ricercava.
4.1 Si tratta, essenzialmente, di considerazioni di merito, come tali non deducibili in questa sede. Né nel caso si pone un problema di motivazione rafforzata, trattandosi del ribaltamento (in assoluzione) di una sentenza di condanna, situazione che pacificamente non richiede una motivazione rafforzata, ma solo una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (cfr. Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 2018, Troise, Rv. 27243001; v. anche Sez. 3, n. 46455 del 17/02/2017, M, Rv. 27111001).
4.2. Per il resto, le considerazioni della Corte territoriale sono immuni da incongruenze o da evidenti vizi logico-giuridici in relazione alla posizione dell'A.A.. I giudici di merito hanno accertato, con giudizio insindacabile in questa sede, che il Pilota era stato rassicurato dal Comandante del regolare funzionamento di tutti gli apparati, compreso il motore, e non era stato informato dell'avaria al contagiri analogico posizionato in plancia; né gli era stato comunicato il motivo dell'allarme, suonato alle ore 22.57.30, 18 secondi dopo l'ordine "avanti molto adagio" e tacitato dopo 4 secondi. A.A. era posizionato sull'aletta, all'esterno della plancia, e anche qualora avesse percepito il suono di allarme, non poteva sapere che era suonato per il mancato avviamento del motore, trattandosi di suono identico per diverse avarie. Inoltre, una volta tacitato l'allarme, il Pilota poteva ritenere comunque cessata la situazione di pericolo che tale segnalazione aveva indicato. Il Pilota è stato il primo ad accorgersi che la nave non rallentava e dopo 20 secondi dall'ordine "avanti adagio" chiedeva se il motore fosse partito, ma nessuno gli rispondeva. Dopo 10 secondi dal suggerimento "avanti mezza", il Pilota, lasciato solo sull'aletta, in quanto il Comandante si era spostato in plancia, si rendeva conto da solo che il motore non era partito. A giudizio della Corte territoriale, a questo punto non era più possibile fare molto da parte dell'A.A. per evitare l'evento, anche se l'imputato suggeriva correttamente di mettere il "bow tutto a sinistra", per accelerare la rotazione, e poco dopo ordinava ai rimorchiatori di andare a tutta prua, per poi suggerire di dare fondo alle ancore,
Si tratta di una ponderata e non illogica valutazione di merito, come tale insindacabile nella presente sede di legittimità.
 

Le censure degli imputati sulle questioni processuali
5. Gli imputati L.R. e F.G. hanno proposto alcune censure in ordine al rigetto delle doglianze difensive sulla inutilizzabilità di atti contenuti nel fascicolo dibattimentale, nonché il F.G. sulla genericità del capo di imputazione.
Si tratta di censure prive di pregio, reiterative di questioni che sono già state affrontate e correttamente risolte dalla Corte territoriale.
5.1. Quanto alla inutilizzabilità e/o nullità degli accertamenti tecnici ex art. 360 cod. proc. pen. disposti dal PM, quando gli imputati non erano ancora iscritti nel registro degli indagati, è stato giustamente evidenziato che l'avviso ex art. 360 cod. proc. pen. deve essere dato anche alla persona che, pur non iscritta nel registro degli indagati, risulti raggiunta da indizi di reità. Tuttavia, nel caso di specie, i giudici di merito hanno osservato che gli imputati non erano ancora stati raggiunti da alcun concreto indizio di reità, quali responsabili del reato di cui all'art. 589 cod. pen. Si tratta di considerazione di merito priva di manifesta illogicità, come tale insindacabile in questa sede.
5.2. Analoga eccezione ha riguardato l'accertamento tecnico ex art. 360 cod. proc. pen. del 12.3.2014 e l'incidente probatorio, in quanto asseritamente svolti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, non prorogato, essendo la relativa richiesta del PM e il provvedimento autorizzativo del GIP tardivi, per essere inapplicabile a tale termine la sospensione feriale. Anche su tali punti la Corte territoriale evidenzia correttamente come la più recente giurisprudenza della Corte regolatrice ha costantemente affermato che i termini fissati per il compimento delle indagini preliminari sono soggetti al regime di sospensione stabilito per il periodo feriale (cfr. Sez. 4, n. 32976 del 14/07/2009, Becchimanzi, Rv. 24486001), sicché nel caso non ricorre il vizio denunciato, posto che l'istanza di proroga delle indagini risulta presentata tempestivamente nel dicembre 2013. Ne discende che anche l'incidente probatorio, ammesso il 27.12.2013 e l'accertamento tecnico irripetibile del 12.3.2014 sono utilizzabili, in quanto compiuti nel corso delle indagini preliminari, il cui termine era stato validamente prorogato. In ogni caso, l'inutilizzabilità degli atti di indagine
compiuti dopo la scadenza del termine ordinario o prorogato fissato dalla legge per la chiusura delle indagini preliminari non è assimilabile alla inutilizzabilità delle prove vietate, ex art. 191 cod. proc. pen., e non è, pertanto, rilevabile d'ufficio ma solo su eccezione di parte; ciò significa che essa è sostanzialmente assimilabile ad una nullità a regime intermedio, soggetta, in quanto tale, alle
condizioni di deducibilità previste dall'art. 182 cod. proc. pen., con la conseguenza che, quando la parte assiste all'atto che si assume viziato, la relativa nullità deve essere dedotta prima che il predetto atto sia compiuto ovvero, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo (Sez. 5, n. 1586 del 22/12/2009 - dep. 2010, Belli, Rv. 24581801). Nulla di tutto questo è stato dimostrato dai ricorrenti, quali non hanno neanche allegato di avere tempestivamente sollevato la menzionata eccezione nei termini dianzi indicati. Anzi, il F.G. afferma in ricorso di avere eccepito la questione della nullità dell'incidente probatorio solo in sede di udienza preliminare, quindi palesemente in ritardo.
5.3. La difesa di F.G. lamenta che la sentenza impugnata ha rigettato l'eccezione di genericità e indeterminatezza del capo di imputazione. Il vizio viene prospettato come violazione di legge, ma non si vede quale erronea applicazione della legge sia prospettabile nel caso di specie, a fronte di una motivazione che ha impeccabilmente escluso la genericità e indeterminatezza del capo di imputazione, alla luce della specifica individuazione della posizione dell'imputato in relazione alla qualifica ricoperta a bordo della nave e della precisa indicazione della fonte di responsabilità nelle condotte omissive tenute ed in quelle doverose omesse. I giudici di merito hanno, quindi, ritenuto completo ed esauriente il capo di imputazione, rilevando che le doglianze sollevate dall'appellante si riferiscono, piuttosto, al merito dell'accusa e non alla corretta formulazione del capo di imputazione. Una simile valutazione, ineccepibilmente argomentata nel merito, non può in alcun modo essere sindacata dalla Corte di legittimità.

Le censure degli imputati in punto di responsabilità
6. Gli imputati L.R., R.P. e F.G. hanno proposte censure in punto di responsabilità che vanno disattese, atteso che i motivi dedotti sul punto sono infondati ed in parte inammissibili, in quanto su molti aspetti svolgono essenzialmente censure di merito, notoriamente non consentite in sede di legittimità. Si tratta, in particolare, delle censure che contestano la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, dilungandosi su varie tematiche attinenti alla vicenda in esame per come ricostruita nella sentenza impugnata, a loro giudizio frutto di una asserita erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura dei fatti secondo considerazioni che appaiono riconducibili non tanto ad una consentita censura di travisamento della prova, quanto ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901).
Va, inoltre, rammentato che nel caso che occupa ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità degli imputati ricorrenti in ordine ai reati oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come in casi qual è quello che ci occupa, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 - dep. 2012, Valerio, Rv. 25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101).

7. La posizione di L.R. (Primo Ufficiale).
7.1. La problematica delle cosiddette "concause" che avrebbero concorso in maniera determinante alla causazione dell'evento potrà assumere un certo rilievo quando saranno esaminate le censure sollevate dai ricorrenti in punto di trattamento sanzionatorio (v. infra dal par. 10). Con riferimento alla valutazione di responsabilità, invece, pare evidente che i giudici di merito abbiano dato adeguatamente conto del fatto le concause evidenziate - vale a dire: la normativa in essere nell'ambito del porto di Genova che obbligava le navi a procedere in retromarcia per 6,3 Km, la collocazione della Torre Piloti ed il comportamento dei rimorchiatori - non sono idonee ad escludere la responsabilità del L.R. nella colposa causazione dell'evento.
7.2. Al L.R. si addebita l'accordo (significativamente definito "improvvido" dai giudici di merito) intervenuto con il Direttore di macchina F.G. per ovviare all'avaria del ripetitore del contagiri posizionato in plancia, non solo affidando ad un contatto solo verbale con il F.G. la verifica della messa in moto della macchina e del senso di rotazione dell'elica, ma anche rifiutando di tenere un collegamento diretto e continuo con il Direttore, che avrebbe quanto meno consentito di monitorare in tempo reale la ripartenza del motore. L.R. è anche colui che - secondo i giudici di merito - ha tacitato immediatamente l'allarme (di starting failure) suonato in plancia, senza curarsi di prendere cognizione di cosa ne avesse determinato l'attivarsi, pur avendo la corrispondente spia luminosa accesa, proprio a fianco della sua postazione.
Il ricorrente lamenta che la decisione di non mantenere un contatto continuo con il Direttore di macchina fu assunta in accordo con il medesimo proprio in ragione della necessità del Primo Ufficiale di svolgere il proprio servizio, stante la distanza tra la sua posizione ed il telefono in plancia, optando per la comunicazione via telefono solo in caso di mancata ripartenza; contesta la considerazione della Corte di appello secondo cui non sarebbe dimostrato che l'imputato fosse al telefono quando suonò l'allarme di starting failure e che comunque non sarebbe credibile che non fosse stato in grado di sentirlo; sostiene che il ricorrente sollecitò al Comandante le opportune manovre finalizzate alla ripartenza del motore, e in quel momento ci sarebbe stato ancora spazio per evitare l'impatto se solo si fossero gettate le ancore o si fosse messo il timone a dritta.
Si tratta di considerazioni che sollecitano una rilettura dei fatti che non è
consentita in questa sede, a fronte di una "doppia conforme" che ha adeguatamente evidenziato i profili di responsabilità del L.R., nella sua qualità di Primo Ufficiale a bordo della nave.
I giudici di merito, in particolare, hanno ricostruito i fatti sulla base di quanto chiaramente emerso dal tenore delle conversazioni di bordo, registrate dal SVDR e mai processualmente contestate dalle parti. Il rifiuto di mantenere un collegamento continuo con la sala macchine è stato accertato essere contrario alla normativa in caso di avaria del contagiri e l'imputato comunque avrebbe potuto ovviare al problema rivolgendosi ad altro personale. Quanto alla tacitazione dell'allarme, la Corte territoriale ha affermato che il L.R., collocato in plancia, non poteva non averlo sentito, trattandosi di un suono particolarmente forte. In ogni caso, avrebbe dovuto verificare quale spia fosse rimasta accesa a seguito dell'allarme e avvertire immediatamente il Comandante, il quale, del resto, gli aveva chiesto se il motore fosse ripartito, ma il L.R. - inspiegabilmente - non era stato in grado di dargli una risposta, sulla base di quanto risultava dalla spia accesa, ma aveva risposto che avrebbe chiamato in sala macchine, apprendendo, quindi, solo con ritardo la notizia che il motore non era ripartito. A causa di tale comportamento del Primo Ufficiale, a dir poco negligente ed imperito, la fondamentale notizia che il motore non si era avviato veniva acquisita con grave ritardo in plancia, nell'ambito di una situazione già ai limiti, tenuto conto dei ristretti spazi di manovra della nave nel contesto dell'avamporto genovese.
La Corte territoriale ha compiutamente e logicamente valutato la posizione del L.R., individuando anche il comportamento alternativo lecito, che avrebbe dovuto essere - una volta che avesse accertato il motivo dell'allarme, almeno guardando la spia accesa - quello di azionare immediatamente la procedura di riavvio del motore, cosa che invece non aveva fatto, limitandosi a rivolgere parole confuse al Comandante R.P. il quale, ancora ignaro della mancata partenza del motore, stava eseguendo personalmente l'avanti mezza, invece di riportare il telegrafo sullo "stop" per poter effettuare un nuovo tentativo di riavvio.
Si tratta di argomentazioni che hanno lucidamente evidenziato la rilevanza causale delle condotte omissive colpose poste in essere dal L.R., che hanno contribuito a ritardare la presa di coscienza della mancata partenza del motore della nave e l'adozione delle misure idonee ad impedire il disastro.

8. La posizione di R.P. (Comandante).
8.1. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata non ha posto nella dovuta evidenza che l'unica vera causa che ha determinato il fatto è stata la mancata ripartenza dell'unico motore della nave, con la conseguente mancata possibilità di riprendere la marcia in avanti. Rispetto a tale situazione, sarebbe irrilevante
l'avaria del ripetitore del contagiri in plancia, atteso che la sala controllo macchine era presidiata. Il motore, del resto; era stato già spento e riavviato per almeno tre volte durante la navigazione nel canale di Sampierdarena. Né il Comandante avrebbe potuto controllare ogni singolo gesto posto in essere dai suoi collaboratori, principali responsabili del disastro.
Si tratta di considerazioni prive di pregio, che non intaccano in alcun modo l'esauriente e logica rappresentazione dei fatti e della responsabilità del R.P. di cui si dà atto nella sentenza impugnata.
I giudici di merito hanno, in primo luogo, evidenziato che il R.P. era il Comandante della nave, cui era affidato lo specifico compito di dirigere la manovra e di assicurarsi del perfetto funzionamento degli apparati di bordo. R.P., invece, subito dopo la partenza, prende atto che il contagiri in plancia non funziona e non adotta, al riguardo, alcuna misura doverosa diretta ad ovviare al guasto (vale a dire: il ritorno in banchina per effettuare la riparazione, il trasferimento dei comandi in sala macchine o il collegamento continuo di comunicazione). Durante la manovra, nonostante il suono dell'allarme, non si accorge che il motore non è ripartito, pur in presenza di elementi sintomatici (velocità elevata, traiettoria anomala, vicinanza alla Torre) . Appreso della indisponibilità del motore, sbaglia la procedura di riavvio, non riportando la leva del telegrafo sullo "stop"; ordina con grave ritardo di dare fondo alle ancore; non ordina di spostare il timone a destra.
I giudici di merito hanno correttamente attribuito importanza fondamentale alla circostanza costituita dall'avaria del contagiri in plancia, rispetto alla quale il comportamento omissivo (per non dire passivo) del Comandante è stato ritenuto imprudente e negligente, trattandosi di un apparato fondamentale per la sicurezza della navigazione, la cui presenza in plancia è imposta da normative internazionali e nazionali. A seguito di tale avaria avrebbe dovuto quantomeno essere vietato di mantenere il controllo della propulsione della nave in plancia, come invece è stato disposto dal R.P., in palese violazione delle regole di sicurezza citate nella sentenza impugnata. Del resto, è proprio a causa del mancato funzionamento del contagiri che il personale apicale presente in plancia (essenzialmente R.P. e L.R.) non prende tempestivamente coscienza del mancato avvio del motore, venendosi così a determinare un colpevole ritardo nell'adozione di contromisure idonee ad evitare o attenuare l'urto contro la Torre.
E' stato inoltre evidenziato l'errore nella procedura di riavvio del motore, dopo l'allarme di starting failure, nel corso della quale il Comandante aveva maldestramente azionato il telegrafo senza ripassare dallo "stop", così impedendo il riavvio del motore. Infine, è stata altresì evidenziata la rilevanza causale del ritardo con cui il R.P. ha ordinato di dare fondo alle ancore, che se fossero state calate subito dopo il suono dell'allarme di mancato avvio del motore, quando la nave era a circa duecento metri dalla Torre, avrebbero quantomeno potuto rallentarla, evitando l'urto contro tale costruzione.
Quanto al principio dell'affidamento invocato dal ricorrente, la Corte di merito ha correttamente osservato che l'imputato, quale Comandante della nave, era gravato da specifici obblighi di sorveglianza, controllo e coordinamento, disponendo di strumenti per prevedere le eventuali negligenze altrui e per evitare che tali negligenze fossero produttive di eventi dannosi. Del resto, come è stato evidenziato dai giudici di merito, è stato lo stesso Comandante ad avallare o comunque a tollerare incautamente il c.d. "improvvido accordo" fra Primo Ufficiale e Direttore di macchina, costituente uno dei principali fattori di rischio che hanno successivamente contribuito a determinare inesorabilmente il disastro.
8.2. Sotto altro profilo, il ricorrente invoca il vizio motivazionale in relazione al reato di cui all'art. 1127 cod. nav., con riferimento al reato di falso nel giornale nautico, addebitato al R.P. al capo 5).
La doglianza non coglie nel segno, posto che la motivazione della Corte d'appello può e deve essere integrata, trattandosi di doppia conforme, con quella di primo grado, che ha esaurientemente motivato sul punto. In particolare, si addebita al Comandante R.P. di non avere menzionato nel giornale nautico relativo al giorno 7 maggio 2013 il mancato funzionamento del contagiri. Si tratta di omissione che è stata ritenuta funzionale ad una ricostruzione edulcorata dei fatti, in cui non si voleva far percepire da un lato l'illegittimità del comportamento posto in essere, eseguendo la manovra in quelle condizioni, ma neppure il colpevole ritardo con cui era stata presa coscienza della mancata ripartenza del motore, il che sarebbe stato evidenziato dalla segnalazione dell'avaria. Secondo il Tribunale, insomma, annotare l'avaria del contagiri avrebbe comportato non solo ammettere il fatto in sé di avere eseguito la manovra con una nave con gli apparati non in perfetta efficienza, ma anche indicare la prima grave violazione da cui era scaturita la tragedia, in un concatenarsi di successivi comportamenti negligenti e imperiti. La Corte di appello ha fatto proprie tali considerazioni, che appaiono logicamente impeccabili ed immuni da censure.

9. La posizione di F.G. (Direttore di macchina).
9.1. Si tratta probabilmente della posizione più delicata fra quelle che sono state coinvolte nella tragica vicenda in questione, ma non per questo meno responsabile, trattandosi indubbiamente di una delle figure apicali a bordo della nave (dopo il Comandante era l'ufficiale più alto in grado), deputata alla gestione e al corretto funzionamento dell'unico motore di bordo, avente le particolari caratteristiche che sono già state descritte nella narrativa in fatto.
9.2. Le censure del ricorrente in punto di responsabilità colposa prospettano
vizi motivazionali per lo più inconferenti rispetto al nucleo essenziale del rimprovero mosso al F.G., che è costituito da due profili fra loro interconnessi: il primo, di non essersi opposto alla decisione del Primo Ufficiale (suo sottoposto) di non tenere un contatto diretto e continuo con la plancia, una volta appurato che il contagiri in plancia non funzionava; il secondo, di non avere comunicato immediatamente alla plancia che il motore non era ripartito. Secondo i giudici di merito, tali condotte colpose hanno determinato un ritardo esiziale nella presa di coscienza da parte del personale di plancia che il motore della nave non si era riavviato, impedendo o comunque ritardando l'adozione di correttivi idonei ad incidere sull'esito della manovra, in maniera tale da evitare l'urto contro la Torre.
Si tratta di considerazioni ampiamente argomentate, coerenti con dati processuali e prive di manifesta illogicità.
In buona sostanza, risulta accertato che anche F.G. avalla "l'improvvido accordo", contribuendo a creare le premesse di una situazione comunicativa - fra plancia e sala macchine - inadeguata perché foriera di incomprensioni e incertezze (cosa e quando doveva essere comunicato e a chi), in un momento estremamente delicato della manovra, quello appunto della evoluzione della nave negli spazi ristretti dell'avamporto di Genova, a distanza di poche decine di metri dalla banchina dove era situata la Torre, in cui assumeva un ruolo preponderante la tempestività e prontezza di esecuzione delle operazioni da parte di tutto il personale d1 bordo, ivi compreso il Direttore di macchina F.G.. Del resto, il ritardo di comunicazione del mancato avvio del motore - frutto di un deficit di comunicazione del quale lo stesso F.G. si rende partecipe - costituisce un fattore decisivo per la verificazione del grave incidente, in quanto risulta accertato in fatto che il personale in plancia ha perso quasi un minuto per verificare se il motore fosse o meno partito, tempo che avrebbe consentito di adottare tempestivamente manovre idonee ad impedire o quantomeno attenuare le conseguenze dannose dell'evento.
I giudici di merito hanno anche adeguatamente affrontato la questione concernente il suono dell'allarme di starting failure solo al terzo mancato avvio del motore, evidenziando che, in ogni caso, era preciso dovere del Direttore comunicare alla plancia il problema al motore, come espressamente prescritto dal manuale SMS della M. nella procedura da seguire in caso di avaria. È vero che il mancato avvio della macchina non implica necessariamente un guasto, come in concreto verificatosi il 7 maggio, ma i giudici osservano ragionevolmente che si tratta pur sempre di una situazione di non funzionamento, anche solo temporaneo, di cui il Comandante deve essere informato immediatamente, tanto più, verificandosi in fase di manovra, quando i tempi di intervento sono ridottissimi. L'allarme non poteva essere ritenuto comunicazione sufficiente, sia perché interveniva solo dopo il terzo tentativo di avviamento fallito - mentre dalla plancia poteva essere necessario seguire pressoché in diretta l'andamento dell'avvio del motore - sia perché comunque era necessaria una ridondanza di informazioni, non potendo escludersi, per chi si trovava in Sala Controllo Propulsione, che l'allarme non avesse adeguatamente funzionato in plancia o che non fosse stato correttamente interpretato (come in effetti è successo); sia perché comunque, una volta appreso della mancata partenza attraverso l'allarme, la plancia poteva avere necessità di comprendere cosa stesse accadendo e, quindi, F.G. non poteva comunque ritenere senz'altro adempiuto il suo dovere di informazione in seguito alla apparente presa d'atto dell'allarme. I giudici hanno aggiunto, inoltre, che F.G., di fronte al silenzio totale e all'assenza della necessaria operazione di azzeramento del telegrafo di macchina per far riavviare il motore, avrebbe quanto meno dovuto porsi il problema di cosa stesse accadendo in plancia e della necessità di verificare se avessero correttamente percepito quanto successo. Del resto, appare corretta la considerazione del Tribunale per cui se, effettivamente, l'idea di F.G. (secondo quanto da costui dichiarato) era stata quella di comunicare alla plancia solo le avvenute ripartenze della macchina, l'accordo in quei termini era comunque contrario alle più elementari regole di sicurezza e alle specifiche disposizioni impartite anche dalla Compagnia.
In definitiva, anche il F.G. ha un ruolo colposo essenziale nel tragico evento, in quanto è l'unico soggetto a diretto contatto con il motore, di cui può comunicare tempestivamente e con certezza il mancato avvio. La situazione dell'avaria del contagiri in plancia costituisce un elemento di rischio che avrebbe dovuto indurre il Direttore a maggiore attenzione e prudenza al fine di assicurare precise e tempestive comunicazioni in plancia in ordine al funzionamento del motore. Sotto questo profilo, non vale ad escludere la colpa del F.G. il comportamento colposo degli altri imputati, sulla scorta del c.d. principio di affidamento, che trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale il soggetto garante del rischio è responsabile anche del comportamento negligente o imprudente altrui purché questo rientri nel limite della ragionevole prevedibilità in base alle circostanze del caso concreto (Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Schettino, Rv. 27078001). Nel caso è fin troppo ovvio che il mancato funzionamento del contagiri in plancia e la mancanza di un filo diretto di comunicazione con la sala macchine rendeva ragionevolmente prevedibile per il Direttore di macchina la concreta possibilità che il personale di plancia non avesse recepito con immediatezza il malfunzionamento della procedura di partenza del motore, omettendo di adottare prontamente misure idonee ad impedire l'evento, con tutto quanto ne consegue in termini di corresponsabilità del medesimo nella vicenda in esame. Può aggiungersi che non può invocare il principio di affidamento l'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l'abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata (Sez. 4, n. 46824 del 26/10/2011, Castellano, Rv. 25214001).
9.3. La rilevanza causale della condotta colposa del F.G. è stata adeguatamente motivata nelle sentenze di merito, che sul punto resistono alle censure mosse dal ricorrente.
E' stato logicamente osservato che la mancata, colpevole, consapevolezza del significato dell'allarme che era appena suonato, il mancato rispetto del pericoloso ed equivoco accordo intercorso tra Primo ufficiale e Direttore e l'impossibilità di percepire il movimento del motore attraverso il contagiri guasto, hanno fatto sì che per i quasi cinquanta secondi trascorsi senza che in plancia neppure balenasse il dubbio che il motore non era partito, non venisse attivata la procedura necessaria per far ripartire la macchina. Ma anche successivamente, una volta che, dopo avere chiamato in macchina, il L.R. si rende finalmente conto che il motore non si è avviato, egli dice qualcosa di confuso al Comandante, verosimilmente per ricordargli che non può aumentare la potenza senza ripassare dallo stop, come R.P. ha fatto in quel momento azionando il telegrafo di macchina personalmente sull'avanti mezza; di fatto non risulta che il corrispondente comando sia stato in qualche modo impartito, né eseguito dal Comandante o da altri. Tale mancanza - riconducibile anche alla condotta colposa del F.G. in relazione al ripetuto "improvvido accordo" e al conseguente deficit di comunicazione con la sala macchine - è stata ritenuta rilevante nella causazione del sinistro, se si considera che il mancato avvio del motore non risulta ascrivibile ad alcuna avaria, né all'insufficiente pressione dell'aria dell'impianto di avviamento, tanto che, pochi minuti dopo l'urto con la Torre, la macchina della Jolly Nero partirà regolarmente. Tale circostanza ha indotto i giudici a ritenere che se fosse stato immediatamente azzerato il telegrafo e ritrasmesso l'ordine di marcia avanti, la macchina sarebbe potuta ripartire, il che avrebbe certamente impedito l'evento.
Il ritardo di comunicazione è stato ritenuto decisivo anche ai fini dell'intempestivo ordine di dare fondo alle ancore, avendo i giudici accertato che se tale ordine fosse stato dato con un maggiore anticipo rispetto a quello che è stato, ciò avrebbe potuto incidere sul movimento della nave, rallentandola sia pure di poco ed eventualmente accentuandone la rotazione, anche in considerazione del fatto che quando viene presa coscienza che la macchina non è partita, la nave è ancora a circa cento metri dalla Torre e le ancore potevano rappresentare una soluzione per cercare di rallentare il moto indietro, in combinazione con l'azione dei rimorchiatori.
Si tratta di argomentazioni che confermano in maniera congrua e plausibile l'incidenza causale della condotta colposa del F.G. nella verificazione dell'evento e che non possono essere rivalutate nel merito nella presente sede di legittimità.

Le censure degli imputati in punto di trattamento sanzionatorio
10. Sono invece fondati i rilievi avanzati dagli imputati con riferimento alla carenza motivazionale della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio.
10.1. Si deve convenire con i ricorrenti che i giudici di appello hanno motivato in maniera apparente e stereotipata in ordine alle ragioni che li hanno indotti a negare le circostanze attenuanti generiche e a non esplicitare i criteri seguiti nei confronti di ciascun imputato ai fini della determinazione della pena.
Coglie nel segno la doglianza secondo cui la sentenza impugnata, in maniera carente e contraddittoria, ha ritenuto di non prendere in considerazione le circostanze della condotta in relazione alla quantificazione della pena, considerandole allo stesso tempo ininfluenti ai fini della concessione delle attenuanti generiche perché asseritamente già valutate in punto di pena, con il risultato che tali circostanze obiettive non sono state considerate né ai fini della concessione delle invocate attenuanti né ai fini della concreta quantificazione della pena.
Nei motivi di appello si era fatto presente che era in corso un parallelo processo a carico di numerose persone, alle quali vengono addebitate condotte gravemente colpose relative alla progettazione, alla costruzione, all'ubicazione e all'utilizzo quale sede ed ambiente di lavoro della Torre Piloti crollata a seguito dell'urto della nave (nelle more il Tribunale di Genova ha emesso il 15.9.2020 una prima sentenza di condanna - non ancora irrevocabile - nei confronti di alcuni imputati). La questione era stata sollevata anche per evidenziare che la responsabilità del personale di bordo della Jolly Nero avrebbe dovuto essere quantomeno condivisa con altri soggetti e, quindi, in qualche modo incidere in senso meno gravoso sul trattamento sanzionatorio degli odierni ricorrenti, trovatisi ad affrontare, pur se colposamente, una situazione di emergenza obiettivamente difficile e con strettissimi tempi di recupero, determinatasi anche per la "pericolosa" ubicazione della Torre, collocata a filo banchina del molo Giano, senza essere dotata di qualsiasi protezione nonostante la sua collocazione in adiacenza ad una area di manovra ed evoluzione di navi di notevoli dimensioni.
La Corte territoriale non ha espresso alcuna valutazione in merito, limitandosi ad escludere che dalle suddette circostanze potesse derivare una interruzione del nesso causale: risposta chiaramente elusiva del problema, non avendo i giudici del gravame di merito preso posizione sul tema specifico sollecitato dagli appellanti in punto di trattamento sanzionatorio, rispetto al quale era doverosa una motivata risposta che non è stata in alcun modo fornita dalla Corte genovese. In effetti le argomentazioni della sentenza impugnata sul punto sono caratterizzate da una evidente laconicità (v. pag. 85 e 86) con la quale ci si limita, essenzialmente, a confermare acriticamente e con formule di stile le statuizioni del primo giudice in punto di pena e di diniego delle attenuanti generiche.
Sotto questo profilo, si deve qui ribadire che incorre nella violazione dell'obbligo di motivazione dettato dagli artt. 125, comma terzo, cod. proc. pen. e 111, comma sesto, Cost. il giudice d'appello che, nell'ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state censurate dall'appellante con specifiche argomentazioni, confermi la decisione del primo giudice, dichiarando di aderirvi, senza però dare compiutamente conto degli specifici motivi d'impugnazione, così sostanzialmente eludendo le questioni poste dall'appellante (Sez. 4, Sentenza n. 6779 del 18/12/2013, dep. - 2014, Rv. 25931601).
10.2. Il riscontrato vizio motivazionale impone il parziale annullamento della sentenza impugnata nei confronti degli imputati ricorrenti, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
Per il resto vanno rigettati i ricorsi degli imputati, con conseguente dichiarazione di irrevocabilità ex art. 624 cod. proc. pen. dell'affermazione di penale responsabilità degli stessi ricorrenti in relazione ai fatti-reato loro rispettivamente ascritti.

I ricorsi della Società Ignazio M.
11. La società Ignazio M., quale responsabile civile, lamenta che non sono stati presi in considerazione i suoi rilievi in punto di nesso causale e non è stato investigato il ruolo dei rimorchiatori e la loro eventuale corresponsabilità, trattandosi anch'essi di garanti della manovra.
Si tratta di censure che sono state prospettate in maniera generica e che non si confrontano adeguatamente con le motivazioni delle sentenze di merito, le cui considerazioni hanno congruamente e logicamente delineato le responsabilità dei dipendenti della società M. nel corso della manovra della Jolly Nero, secondo quanto già ampiamente osservato nei paragrafi che precedono.

12. Anche le censure prospettate dal responsabile civile avverso le statuizioni civili sono prive di pregio.
12.1. Quanto alla doglianza sul rigetto dell'eccezione di inammissibilità delle domande risarcitorie formulate dalle Amministrazioni dello Stato in via alternativa tra loro, è appena il caso di rilevare che è perfettamente legittimo che due diversi soggetti propongano nello stesso giudizio una domanda avente il medesimo oggetto, spettando poi al giudice di merito stabilire la fondatezza o meno delle domande. La legittimazione ad agire deriva dalla impostazione della domanda, non dalla fondatezza della pretesa azionata. In particolare, è stato osservato che la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l'esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d'ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all'azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l'attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso (cfr. Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 14468 del 30/05/2008, Rv. 603170 - 01).
Peraltro si conviene con il Procuratore generale che la censura è priva di concreto fondamento, posto che la proposizione della domanda a favore di articolazioni dello stato aventi diritto e individuate in via alternativa finisce per non avere alcun rilievo in questa sede, non essendovi stata duplicazione della pretesa risarcitoria né, tantomeno, della titolarità del diritto al risarcimento del danno, per cui nessun nocumento è derivato per il responsabile civile da tale iniziativa.
12.2. La censura in ordine alla liquidazione delle provvisionali in favore del Ministero della Difesa e del Ministero dei Trasporti è inammissibile. Il motivo non tiene conto del consolidato principio enunciato dalla Corte di legittimità (Sez. 4, n. 34791/2010, Rv. 248348; Sez. 5, n. 5001/2007, Rv. 236068; Sez. 5, n. 40410/2004, Rv. 230105), secondo cui la pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell'ammontare
della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura, insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 3, n. 18663/2015, Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746/2014, Rv. 261536).
12.3. La doglianza sul riconoscimento in favore del Ministero della Difesa del diritto al rimborso dei benefici erogati ai dipendenti feriti ed ai familiari dei dipendenti deceduti a seguito dell'evento è parimenti inammissibile, trattandosi di questione che attiene alla liquidazione della provvisionale, che sarà comunque risolta, in via definitiva, in sede civile.
12.4. E' infondata la doglianza in ordine al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in favore della Rimorchiatori Riuniti Porto di Genova S.r.l., per asserita assenza della prova del danno. Nessuna incongruenza o illogicità appare riscontrabile nella motivazione con la quale è stato escluso il concorso di tale società nella causazione dell'evento, così come è perfettamente ammissibile e valutabile con prudente apprezzamento la testimonianza della persona offesa nel processo penale, con la conseguenza che la liquidazione del danno sofferto appare immune da vizi rilevabili in questa sede.
12.5. Parimenti infondata la censura in ordine al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in favore della Rimorchiatori Riuniti Porto di Genova S.r.l., pur in presenza di ragioni di compensazione e/o regresso e/o rivalsa del responsabile civile. Dalla lettura della sentenza impugnata si comprende che la questione è stata implicitamente disattesa, a fronte di una doppia conforme che ha riconosciuto il danno in maniera logica e congrua. Del resto, non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (cfr. Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018 - dep. 2019, Currò, Rv. 27550001).

13. Si deve ritenere infondato anche il ricorso della Società Ignazio M., quale responsabile amministrativo, in relazione all'illecito contestato al capo 10).
13.1. Il primo motivo, in ordine all'omessa pronuncia sull'ammissibilità dell'appello incidentale del pubblico ministero, in relazione ai punti della sentenza concernenti la responsabilità amministrativa della società per i reati presupposto contestati ad G.O., è ormai superato e assorbito - come correttamente osservato dal Procuratore generale - dalla decisione che ha rigettato l'appello principale e confermato la pronuncia assolutoria nei confronti di G.O. e, correlativamente, non considerato il cd. appello incidentale concernente la responsabilità della società ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 per i reati presupposto contestati all'G.O.. Del resto, com'è noto, l'omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell'impugnazione non dà luogo ad un vizio di motivazione rilevante a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l'impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 27759301). Nel caso difetta anche un concreto interesse della società a proporre la doglianza, visto l'esito a lei favorevole rispetto alla posizione dell'G.O..
13.2. Possono essere trattati congiuntamente il secondo e il terzo motivo di ricorso, con i quali in sostanza ci si duole del fatto che la condotta del Comandante R.P. è stata ritenuta connotata dalla finalità di perseguire un interesse per l'ente. Si tratta di rilievi inammissibili, vertendo su questioni di merito su cui i giudici di primo e di secondo grado hanno adeguatamente motivato, anche alla luce di quanto complessivamente emerso. Va premesso che nel caso non è dato riscontrare alcuna erronea applicazione della norma di cui all'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, avendo le sentenze di merito fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di responsabilità da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 cit. all'interesse o al vantaggio, devono essere riferiti alla condotta e non all'evento (cfr. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014). Le prospettazioni difensive mosse dalla ricorrente si limitano, in gran parte, a ripetere le doglianze già proposte con l'appello, già esaurientemente esaminate dalla Corte territoriale e, comunque, non ammissibili in sede di legittimità. Con riferimento alle conversazioni tra il Comandante R.P., il Primo Ufficiale e il Direttore di Macchina, anzitutto deve ritenersi inconferente il riferimento al fatto per cui fu il direttore di macchina a suggerire di proseguire la navigazione in assenza del contagiri analogico, posto che, come già risolto dal Giudice del merito, la Società è stata ritenuta responsabile del solo reato contestato al Comandante, essendo il Primo Ufficiale e il Direttore di Macchina a lui sottoposti nella direzione generale della nave. In secondo luogo, tali conversazioni sono state ritenute da sole non rilevanti ai fini dell'esclusione della funzionalità della condotta del Comandante all'interesse dell'ente. Da queste conversazioni (consistenti peraltro in poche battute) non emergerebbe alcun elemento significativo idoneo a dimostrare la positiva sussistenza di altre tipologie di interesse (anche personale o di terzi) oppure la negativa sussistenza di quello della società, a fronte delle concrete voci d'interesse potenzialmente riferibili alla stessa, che pure sono state prospettate nel provvedimento impugnato e nella sentenza di primo grado. Tali voci, ferma restando l'irrilevanza dell'entità e la quantità del potenziale vantaggio - che è nozione diversa ed alternativa a quella di interesse - che la condotta del Comandante poteva arrecare alla società, non possono essere ricondotte a costi aggiuntivi solo in termini economici, rilevandosi anche i potenziali interessi di natura temporale, l'interesse ad evitare controlli ad opera dell'Autorità marittima e le potenziali conseguenze degli stessi, eventuali pratiche burocratiche, altre evenienze logicamente ipotizzabili (il ritardo nel lasciare libera la banchina e altri problemi di natura logistica). Tali considerazioni sono frutto di un apparato argomentativo esauriente, congruo, coerente con i dati processuali emersi, immune da vizi logico-giuridici sindacabili nella presente sede di legittimità.
13.3. Il quarto motivo, con cui si denuncia l'erronea determinazione della sanzione irrogata, è manifestamente infondato, essendo evidente la pluralità di illeciti conseguente al reato contestato al R.P. al capo 1), riguardante una ipotesi di concorso formale di reati, avuto riguardo alla morte di più persone come conseguenza dell'illecito. E' infatti pacifico che, in tema di omicidio colposo, la fattispecie disciplinata dall'art. 589, ultimo comma, cod. pen. (morte di più persone, ovvero morte di una o più persone e lesioni di una o più persone) non costituisce un'autonoma figura di reato complesso, né dà luogo alla previsione di circostanza aggravante rispetto al reato previsto dall'art. 589, comma primo, cod. pen., ma prevede un'ipotesi di concorso formale di reati, unificati solo quoad poenam, con la conseguenza che ogni fattispecie di reato conserva la propria autonomia e distinzione (Sez. 4, Sentenza n. 20340 del 07/03/2017, Rv. 27016701).
13.4. Il quinto motivo, con cui si censura la violazione di legge in relazione all'art. 12, comma 2, lett. a) d.lgs. 231/2001, è privo di pregio. Nessuna violazione di legge è dato riscontrare in relazione alla norma indicata, a fronte di una doppia conforme che ha utilizzato un'interpretazione della norma corrispondente all'orientamento giurisprudenziale secondo il quale il sistema punitivo della responsabilità da reato degli enti, per il suo carattere prettamente preventivo, individua sanzioni funzionali soprattutto a prevenire per il futuro la commissione dei reati, attraverso una strutturazione regolativa dell'organizzazione capace di controllare, da sé, se stessa; sicché le disposizioni a ciò funzionali devono essere interpretate con il massimo rigore per poter perseguire la massima efficacia. Sulla base di tale visione, i giudici di merito hanno aderito all'orientamento interpretativo per cui, ai fini dell'attenuante de qua, è necessaria la diretta consegna alla persona offesa della somma costitutiva del risarcimento del danno prodotto o comunque l'attuazione di condotte che garantiscano la presa materiale della somma da parte del danneggiato senza la necessità di un'ulteriore collaborazione dell'ente ai fini della traditio (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 326 del 28/11/2013 - dep. 2014). Non senza riscontro sono rimaste le allegazioni difensive circa gli sforzi comunque sostenuti dalla ricorrente ai fini della riparazione del danno, che hanno trovato riconoscimento ai fini della commisurazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 11 del d.lgs 231/2001. Nessun rilievo assumono le ulteriori attività riparatorie proseguite in grado di appello, posto che la norma richiede la valutazione delle condotte intervenute "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado", con ciò ritenendosi corretta la non rilevazione di nuovi motivi da parte del giudice di appello.

Il ricorso della parte civile A.C.T.
14. Si tratta di ricorso che deve essere dichiarato inammissibile.
14.1. Il primo motivo, con cui si denuncia la erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40 e 41 cod. pen. con riferimento alla posizione di responsabilità dell'G.O., reitera generiche censure che pretendono di ricondurre causalmente la condotta omissiva dell'G.O. all'evento in assenza di dati indiziari certi, caratterizzanti il caso concreto. L'accertamento del nesso di causalità "al di là di ogni ragionevole dubbio", sulla base dell'elevato grado di credibilità razionale di cui alla nota sentenza Franzese (Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002), richiede una verifica giudiziale basata su dati indiziari concreti, non su astratte ipotesi "probabilistiche" fondate sul criterio, prettamente civilistico, del più "probabile che non". Al riguardo si devono richiamare le considerazioni già sviluppate - in risposta agli analoghi rilievi prospettati dal Procuratore Generale di Genova - ai paragrafi 3 e 3.1, cui si rimanda.
14.2. Il secondo motivo, con cui si ritiene contraddittorio il giudizio di colpevolezza della società M. nonostante la ritenuta assenza di responsabilità dell'G.O., è aspecifico e manifestamente infondato. Nessuna particolare illogicità è dato riscontrare nella ritenuta colpevolezza della M. per la condotta del R.P., rispetto all'assoluzione dell'G.O., trattandosi
evidentemente di posizioni diverse, nei confronti delle quali diversamente si atteggia anche la responsabilità amministrativa della Compagnia. Il contenuto complessivo della decisione impugnata appare coerente e lineare: dal proscioglimento dell'G.O. non poteva che derivare l'esonero da responsabilità della Compagnia rispetto ai reati ascritti all'G.O..
14.3. Anche il terzo motivo, con cui si denuncia assenza di motivazione sul punto devoluto in tema di responsabilità commissiva dell'G.O., è aspecifico e manifestamente infondato, e come tale inammissibile, non confrontandosi adeguatamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, che ha chiaramente escluso la responsabilità dell'G.O. per mancanza di rilievo causale della sua condotta rispetto all'evento.

15. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere parzialmente annullata nei confronti di R.P., L.R. e F.G., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Genova. I relativi ricorsi devono essere rigettati nel resto. Consegue ex art. 624 cod. proc. pen. la dichiarazione di irrevocabilità dell'affermazione di penale responsabilità dei medesimi per i reati loro rispettiva mente ascritti.
Va dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Genova.
Vanno rigettati ricorsi della Società Ignazio M., proposti rispettivamente nella qualità di responsabile civile e di responsabile amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001, cui consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
Stante l'inammissibilità del ricorso della parte civile A.C.T., e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cast. sent. n. 186/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
La parte civile Michela C., in proprio e nella qualità, ha revocato la propria costituzione, sicché vanno revocate le relative statuizioni civili emesse in sede di merito.
La società responsabile civile, nonché i ricorrenti R.P., L.R. e F.G., in via tra loro solidale, vanno condannati alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.
 


Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.P., L.R. e F.G. limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Genova. Rigetta nel resto i ricorsi. Visto l'art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabile l'affermazione di penale responsabilità.
Revoca le statuizioni civili emesse a favore di Michela C. in proprio e nella qualità.
Dichiara inammissibile il ricorso del PG.
Dichiara inammissibile il ricorso di A.C.T., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi del responsabile civile e della società Ignazio M. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna il responsabile civile, nonché i ricorrenti R.P., L.R. e F.G., in via tra loro solidale, alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida: quanto a M. A., M. S., V. A. in complessivi euro 4.500,00; quanto a R. G. in complessivi euro 3.500,00; quanto ad A.C.T. in complessivi euro 3.500,00; quanto a E.C.T. in complessivi euro 3.500,00; quanto a F. M. in complessivi euro 3.500,00; quanto all'Associazione Vittime del Dovere in complessivi euro 3.500,00; quanto all'Avvocatura dello Stato in complessivi euro 4.500,00; quanto a S.C.T. in complessivi euro 3.500,00; quanto ad E. P. in complessivi euro 3.500,00; quanto alla Srl Rimorchiatori Riuniti Porto di Genova in complessivi euro 3.500,00; oltre accessori come per legge.
Così deciso il 26 novembre 2020