Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 20 maggio 2021, n. 13795 - Rendita per morte del coniuge collegata a tecnopatia polmonare e respiratoria. Nesso tra malattia professionale e decesso


Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: DE FELICE ALFONSINA
Data pubblicazione: 20/05/2021
 

Rilevato che


il Tribunale di Enna accoglieva la domanda con cui R.V. aveva chiesto di sentir condannare l'INAIL a corrisponderle la rendita di reversibilità del coniuge S.G.A., deceduto per causa collegabile alla tecnopatia di natura polmonare e respiratoria che aveva dato luogo all'attribuzione del beneficio;
la Corte d'appello di Caltanissetta adìta dall'ente previdenziale riformava la decisione del primo giudice, negando il diritto di R.V. alla rendita di reversibilità, sul presupposto che il decesso del coniuge fosse avvenuto quarant'anni dopo il riconoscimento della rendita e che non sussistesse il nesso causale tra la malattia professionale e il decesso di S.G.A., affetto da svariate patologie e, nell'ultimo anno di vita, da un carcinoma infiltrante ai polmoni, secondo quanto stabilito dalla perizia tecnica disposta in secondo grado;
la cassazione della sentenza è domandata da R.V. sulla base di un unico motivo;
l'INAIL ha depositato controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.

 

Considerato che


con l'unico motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.1, n. 5 cod. proc. civ., parte ricorrente lamenta "Omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia"; deduce la difformità tra le valutazioni del perito nominato in secondo grado e quelle contenute nella consulenza di parte circa l'entità e l'incidenza del dato patologico sul decesso dell'assistito; contesta la mancata rinnovazione della consulenza in appello in assenza di chiarimenti logici e coerenti alle critiche formulate nei confronti delle conclusioni peritali e alle evidenze cliniche, contenute nella documentazione immediatamente precedente al decesso, dalle quali si evincerebbe la derivazione professionale delle patologie che hanno causato il decesso;
il motivo è inammissibile;
è pur vero che in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte la deduzione di sussistenza o di insussistenza del nesso causale tra malattia professionale e decesso del lavoratore è sindacabile in sede di legittimità unicamente per vizio di motivazione (Cfr. ex multis, Cass. n. 1652 del 2012; Cass. n. 569 del 2011; Cass. n. 9988 del 2009; Cass. n. 8654 del 2008); nondimeno, detto vizio è deducibile solo all'interno degli stretti confini delimitati dal "nuovo" testo dell'art. 360, co. l, n.5 cod. proc. civ.;
le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Sez. Un. n. 8053 del 2014);
al di fuori di tale ambito le censure costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico che sorregge la decisione e si traducono in un'inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (ex multis, cfr. Cass. n.18931 del 2019);
quanto alla mancata rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio da parte del giudice del merito, questa Corte ritiene pacificamente che questi non sia tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, e che il rinnovo dell'indagine tecnica rientri tra i suoi poteri istituzionali, sicché non sia neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (Cass. n. 22799 del 2017; Cass. n. 2103 del 2019);
alla stregua di dette considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile;
non si provvede sulle spese del presente giudizio per la sussistenza della dichiarazione di cui all'art. 152 disp. att. cod . proc. civ., avente ad oggetto l'esenzione dal pagamento delle spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali in capo al soggetto che versi nelle condizioni reddituali per poterne beneficiare (art. 42, comma 11 del d.l. 269 del 2003 conv. con modifiche nella l. n. 326 del 2003), il cui scopo è quello di non scoraggiare la proposizione di domande giudiziali attinenti alla materia della previdenza/assistenza (Cass. n. 15659 del 2019); in considerazione dell'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
 




P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art.1, comma 17 della L. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all'Adunanza camerale del 10 marzo 2021