Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2021, n. 21517 - L'esistenza stessa di postazioni di lavoro in quota impone la previa adozione delle misure di sicurezza e la permanenza delle medesime sino a quando le lavorazioni non siano cessate


 

 

Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: DOVERE SALVATORE
Data Udienza: 09/02/2021
 

Fatto


1. M.D. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia avv. R., avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Genova ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Genova, con la quale il M.D. era stato giudicato responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen. per aver cagionato per colpa, in qualità di direttore tecnico di cantiere delegato alla sicurezza del lavoro nell'ambito dell'impresa Giustiniana s.r.l., lesioni personali ai lavoratori B.D. e C.A., e condannato alla pena ritenuta equa.
Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito il 19.9.2013 il B.D. era salito sulla sommità di una struttura ad un'altezza di circa 4,30 metri dal suolo quando perdeva l'equilibrio e, a causa della mancanza di ponteggio prospiciente il lato sul quale si trovava, cadeva al suolo mentre il C.A., che si trovava sugli ultimi pioli della scala utilizzata per raggiungere la sommità della struttura, nel tentativo di trattenere il collega cadeva egli stesso al suolo.
Più in particolare, nel cantiere erano in via di edificazione alcune casseformi in cemento armato, che dovevano raggiungere l'altezza di sette metri. In occasione dell'infortunio il B.D. si era recato sulla sommità della struttura non per la necessità di attendere ad una lavorazione da compiersi sulla stessa ma per prendere una borsa di attrezzi che vi aveva lasciata e necessaria per procedere al lavoro su una diversa cassaforma. Una volta in quota il B.D. aveva perso l'equilibrio ed era caduto travolgendo il collega che, utilizzando la scala già percorsa dal B.D., stava salendo sulla struttura per raggiungerlo.
Al M.D. è stato rimproverato di non aver adottato un ponteggio sul lato della struttura presso il quale si era verificato l'incidente, nonostante i lavori dovessero svolgersi ad una quota che ne imponeva l'adozione.

2. Il ricorrente si duole del vizio della motivazione nella quale sarebbe incorsa la Corte di appello laddove è ricorsa ad un sillogismo per il quale siccome nei lavori in quota sono obbligatori i ponteggi l'assenza degli stessi ha causato l'infortunio; tale ragionamento è avulso dalle risultanze processuali perché non considera se le persone offese al momento dell'incidente fossero impegnate in una fase della lavorazione, se fossero in postazione di lavoro; di più, la Corte di appello assume, "con incontrovertibile distorsione del contenuto probatorio", che fosse in corso una sorta di lavorazione prodomica alla gettata, comprensiva di fasi pertinenziali, non specificate, per le quali sarebbe ricompreso l'accesso alla postazione da parte degli operai. L'esistenza di fasi pertinenziali, osserva l'esponente, è esclusa dalle prove acquisite (dichiarazioni delle pp.oo., testimonianza G.). Infine, la motivazione è contraddittoria laddove dapprima definisce esaustiva la sentenza di primo grado e poi la critica.
Con il secondo motivo si denuncia il vizio della motivazione e la violazione di legge in relazione agli artt. 590, 40, 41 e 43 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. laddove viene escluso il carattere abnorme della condotta delle persone offese, segnatamente l'utilizzo della scala, perché viene dato per scontato che la scala venisse normalmente utilizzata per le lavorazioni, nonostante fosse stato dimostrato (e si riportano gli elementi di prova pertinenti) che le lavorazioni non ne contemplavano l'uso.
Il terzo motivo censura la motivazione, anche per la violazione di legge che si ravvisa nella determinazione della pena, che è stata inflitta come detentiva in luogo di quella pecuniaria con motivazione illogica e incentrata unicamente sulla colpa del ricorrente, omettendo di considerare fattori positivi che avrebbero giustificato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
 

Diritto


3. Il ricorso è infondato.
3.1. I primi due motivi possono essere trattati unitariamente.
Il ricorrente non contesta né lo status attribuitogli dai giudici di merito (titolare di poteri datoriali per effetto di delega ex art. 16 d.lgs. n. 81/2008) né l'obbligatorietà della installazione di ponteggi a corredo dei lavori da eseguirsi sulla sommità della struttura in corso di realizzazione. In effetti, tenuto conto della previsione dell'art. 107 d.lgs. n. 81/2008 (secondo la quale è lavoro in quota l'attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto ad un piano stabile), di quella dell'art. 111, co. 1 lett. a), che impegna il datore di lavoro a preferire misure di protezione collettiva alle misure di protezione individuale ogni volta che sia possibile, e di quella dell'art. 122, che specifica la natura di tali misure indicandole in impalcature, ponteggi o altre analoghe opere provvisionali, nel caso che occupa appare corretta l'affermazione dei giudici di merito della necessità di predisporre il ponteggio su ogni lato della cassaforma.
L'assunto del ricorrente è che non essendo attuale la lavorazione sulla struttura non sussisteva l'obbligo di installazione del ponteggio. Si tratta di tesi infondata. L'esistenza di postazioni di lavoro in quota impone la previa adozione delle misure prescritte e la permanenza delle medesime sino a quando le lavorazioni non siano cessate. Il ricorrente propone una definizione del rischio traguardato dalle norme cautelari pertinenti al caso come 'rischio di caduta del solo lavoratore occupato nel lavoro e solo durante il suo svolgimento'. Ben diversamente, il rischio considerato è quello determinato dalla mera allocazione di postazioni di lavoro ad una quota tale da rendere la caduta pericolosa per l'uomo.
Basti considerare che l'art. 122 menzione il pericolo di caduta di 'persone e di cose', senza specificazioni che facciano riferimento alla qualità di lavoratore, ad un particolare tempo, o a una fase della lavorazione.
La circostanza che il lavoratore infortunatosi si trovasse in quota per ragioni non inerenti lo svolgimento del lavoro da compiersi sul posto non si riflette quindi sulla sussistenza dell'obbligo cautelare ma sulla valenza della medesima quale causa da sola sufficiente a cagionare l'evento tipico. Per tale profilo va rammentato che è ormai consolidato il principio secondo il quale siffatta causa è costituita dal fattore che innesca un rischio eccentrico rispetto a quello gestito dal garante (nella specie, il datore di lavoro). Si insegna che "in tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4 - , Sentenza n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c. Musso, Rv. 275017 - 01; Sez. 4, Sentenza n. 15493 del 10/03/2016, P.c. in proc. Pietramala e altri, Rv. 266786 - 01).
Nella vicenda che occupa è accertato che il B.D. si era portato sulla sommità della struttura per prendere la borsa degli attrezzi che vi aveva lasciato in precedenza; e che lo stesso C.A. stava salendo la scala per verificare cosa stesse facendo il collega. Si tratta, quindi, di una presenza sul posto che trova origine proprio nella necessità di assolvere ai compiti affidatagli e che pertanto proponeva un rischio tipicamente lavorativo. Né imprime una diversa connotazione a tale rischio - lasciando il campo ad un rischio eccentrico - l'uso della scala, posto che, come affermato dalla Corte di appello, essa costituiva la via di accesso alla sommità della struttura predisposta in luogo del ponteggio e più percorribile più rapidamente rispetto a questo.
3.2. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
L'assunto difensivo, della necessità di motivare la determinazione del trattamento sanzionatorio in relazione a ciascuno e tutti gli indici di cui all'art. 133 cod. pen., non trova conferme nella giurisprudenza di questa Corte, per la quale la determinazione della pena è adeguatamente motivata già con il complessivo richiamo agli indici previsti dall'art. 133 cod. pen. e che solo una pena che si avvicini o superi la misura mediana della pena richiede una più dettagliata motivazione. Si insegna, infatti, che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016 - dep. 15/09/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949).
Nel caso che occupa la censura si indirizza alla scelta della specie di pena, che la Corte di appello ha giustificato esponendo che la colpa dell'imputato non era lieve ed anzi era grave, dando anche specifica motivazione su tale giudizio (facile messa in atto della misura doverosa). Così assolvendo correttamente all'obbligo motivazionale che gli incombeva.

4. Segue al rigetto, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/2/2021.