Cassazione Penale, Sez. 4, 20 aprile 2021, n. 14629 - Improvvisa fuoriuscita di una cospicua quantità di materiale dal silos e infortunio. Responsabilità del datore di lavoro e del capo squadra


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. TANGA Antonio L. - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

 


sul ricorso proposto da:
1) L.P., nato a (OMISSIS);
2) LA.Eg., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1193/2019 del giorno 11/12/2019, della Corte di Appello di Lecce -sez. distaccata di Tarante;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere TANGA Antonio Leonardo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale TASSONE Kate, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente al ricorso di L.P..
 

Fatto


1. Con la sentenza n. 1732 /2018 emessa il 03/07/2018, il Tribunale di Tarante dichiarava L.P. e La.Eg. colpevoli del reato di cui agli artt. 590 e 583 c.p., e, concesse le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alle contestate aggravanti, li condannava alla pena di mesi uno di reclusione ciascuno.
Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere di tale reato perchè, nella sua qualità di datore di lavoro e responsabile della sicurezza dei dipendenti (il L.P.) e di capo squadra addetto al controllo delle operazioni in atto (il La.Eg.), per imprudenza e inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 29 comma 3, art. 71, comma 4, lett. A), e art. 73, comma 1) determinavano e non impedivano un Incidente a seguito del quale l'operaio T.F. riportava lesioni colpose gravi guarite oltre il quarantesimo giorno con indebolimento della funzione visiva dell'occhio sinistro; elementi della condotta colposa: adibivano entrambi, nelle rispettive qualità il dipendente ad operazioni di chiusura di una serranda comandata da un martinetto a doppio effetto montato sulla struttura metallica di un impianto denominato "ciclo miscela" all'interno della linea E del reparto agglomerazione dello stabilimento (OMISSIS), facendogli utilizzare una pompa oleodinamica manuale collegata a un solo giunto dei due presenti sul cilindro a doppio effetto, il che determinava, per l'effetto della pressione esercitata dalla pompa stessa, uno scoppio con fuoriuscita dell'olio contenuto all'interno del martinetto e della sfera di chiusura dei giunto non collegato, che investiva il T.F.. Con ciò omettevano (il L.P.) e non impedivano in loco (il La.Eg.) la installazione e l'utilizzazione della predetta attrezzatura in conformità alle istruzioni d'uso (art. 71 comma 4, lett. A), nonchè omettevano di effettuare un'adeguata valutazione dei rischi in relazione allo svolgimento di manovre pericolose (art. 29, comma 3) e, infine, di impartire al lavoratore incaricato una formazione e un addestramento adeguati per la sicurezza in relazione alle condizioni di impiego delle attrezzature e di verificare che al predetto tate formazione fosse stata impartita.
1.1. Con la sentenza n. 1193/2019 del giorno 11/12/2019, della Corte di Appello di Lecce -sez. distaccata di Tarante-, adita dagli imputati, dando atto dell'intervenuta remissione di querela e dell'avvenuto risarcimento del danno con conseguente esclusione della parte civile, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata circostanza aggravante, rideterminava la pena inflitta in 300,00 Euro di multa nei confronti del L., e di 15 giorni di reclusione nei confronti del La., eliminando le statuizioni civili e confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza d'appello propongono ricorso per cassazione L.P. e La.Eg., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):


L.P.:
1) vizi motivazionali in riferimento all'art. 603 c.p.p. per omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
Deduce l'assoluta necessità dell'escussione del lavoratore F.L. per chiarire a reale dinamica dei fatti e l'effettiva condotta tenuta dai lavoratori coinvolti nella vicenda.
2) vizi motivazionali in relazione all'art. 192 c.p.p., comma 1, con riferimento alta valutazione delle prove dichiarative e travisamento delle testimonianze di S.U., T.F., D.M.W..
Deduce che vi sono diverse divergenze tra le dichiarazioni di T. e D.M. nonchè tra le dichiarazioni di T. e D.M. rispetto a quelle del S..
3) violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2 e art. 29, comma 3, circa l'individuazione del rischio specifico di caduta di materiale da silos.
Deduce che tale obbligo gravava sul committente ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26. Il datore di lavoro che opera presso i luoghi di lavoro di un soggetto committente è tenuto all'adempimento di altrettanti obblighi, relativi, però., a rischi specifici della propria attività, ma non specifici del luogo di lavoro, rispetto ai quali ha un evidente carenza di conoscenze e competenze, oltre che di titolarità giuridica su cespiti aziendali di proprietà di terzi. Nella specie, lo svuotamento del silos e l'eventuale rìschio determinato dalla caduta delle polveri, risultano rientranti e circoscritti nel perimetro della responsabilità dell'appaltante.
Afferma che nel verbale di coordinamento del 19/07/2013 promosso dalla committente ILVA non è inserito, tra i pericoli che potenzialmente potevano verificarsì, quello di fuoriuscita di materiale dal silos. Da tale verbale emerge che "Se la ditta affidataria, durante le attività, riscontra una problematica di sicurezza non prevista ha l'obbligo di sospendere le attività e di avvisare il tecnico responsabile dei lavori, il quale promuoverà specifiche riunionì di coordinamento". Comportamento effettivamente tenuto, nel caso di specie, dai lavoratori S.U., di cui si è già parlato, oltre che dagli altri lavoratori di quella squadra, To.Di. e C.R.; la totale estraneità ai fatti di tre componenti di una "squadra di cinque" interessata in quei lavori ( S., C. e To.) fornisce la prova della corretta attività di formazione e divulgazione posta in essere tanto dall'appaltatore che dall'appaltante.
4) violazione di legge e vizi motivazionali in ordine all'applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2, con riferimento alla modifica delle fasi lavorative commissionate ed alla gestione delle emergenze.
Deduce che il sistema adottato per la prevenzione degli infortuni, soprattutto nelle ipotesi di appalto e di interferenza tra imprese, non può non considerare la complessità del luogo di lavoro in cui queste andranno ad esercitare la propria attività (nella specie un impianto di oltre quindici milioni di metri quadri). In virtù del verbale di coordinamento del 19/07/2013, in caso di situazioni eergenziali, andava sospesa l'attività e contattato il preposto tecnico ILVA e procedere ad un nuovo coordinamento che tenesse conto dell'occorsa emergenza-. a stessa persona offesa, T.F., nel verbale di S.I.T. acquisito agli atti, ha confermato che prima di dare inizio alle operazioni manutentive ha partecipato, al pari dei suoi colleghi, all'incontro formativo finalizzato alla formazione sulla sicurezza, durante il quale è stata ampiamente affrontata proprio questa ipotesi.
Censura che la corte distrettuale non solo sovverte la ripartizione degli oneri precauzionali e dei rischi specifici ma omette anche di prendere una precipua posizione in ordine a questo peculiare tema, vero nucleo di questa vicenda non solo dal punto di visto del caso di specie, ma anche sotto il profilo meramente precettivo della corretta distribuzione degli oneri e delle correlate conseguenze in caso del loro mancato rispetto.
5) vizi motivazionali in relazione all'art. 26 cit, con riferimento alla responsabilità dell'imputato L. quale datore di lavoro, diverso dal committente, in relazione agli artt. 590 e 583 c.p..
Deduce che i giudici del merito hanno erroneamente fondato la penale responsabilità del datore di lavoro della ditta L.P. S.r.l. sulla violazione del dovere di informare i propri lavoratori, unitamente alta committente, circa il rischio rappresentato dalla eventuale caduta di materiale dal silos; essi, però, omettono di considerare che, al momento del fatto, l'impianto risultava fermo e non in esercizio e completamente inertizzato da parte della committente.
Sostiene che, nella vicenda in questione, non si tratta di attribuire ad ogni costo il mal governo di un rischio residuale al datore di lavoro L. in ragione della regola generate di tutela della incolumità fisica dei lavoratori, ma, piuttosto, di determinare a quale soggetto spetti, alla stregua delle disposizioni vigenti in tema di sicurezza sul lavoro, ed in particolare dell'art. 26, l'individuazione del rischio in questione e, soprattutto, se tale rischio sia riconducibite al novero di quelli legati all'ambiente di lavoro dell'appaltante o, diversamente, all'attività posta in essere dall'appaltatore.
Afferma che nessun addebito colposo può quindi verosimilmente essere riconosciuto in capo al L., posto che, il medesimo, ha adempiuto a tutti gli obblighi precauzionali ed agli incombenti connessi all'attività che i suoi dipendenti avrebbero dovuto compiere all'interno dello stabilimento ILVA, avendo: 1) elaborato un DVR e un POS contenenti un piano di vantazione dei rischi specifici destinati a prevenire i potenziali pericoli connessi alla attività di carpenteria a lui data in appalto; 2) adeguatamente formato i propri dipendenti; 3) provveduto, per il tramite dell'RSPP, ing. Ta., a tenere, prima dell'inizio delle attività, una apposita riunione con tutto il personale interessato da quelle lavorazioni, informandolo che, a fronte del mutamento delle previste condizioni di lavoro, l'attività doveva essere immediatamente interrotta.
6) vizi motivazionali in ordine alla insussistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 29, comma 3, in relazione allo svolgimento di "manovre pericolose".
Deduce che dagli atti emerge il divieto di movimentazione della saracinesca posta al di sotto del terminate di scarico della tramoggia, oggetto dell'attività di carpenteria che doveva essere compiuta dalla ditta L. Retro S.r.l.; per cui è evidente che tanto l'iniziativa di procurarsi un'altra pompa oleodinamica non dedicata e non in dotazione a quegli operai, tanto la manovra per forzarne l'utilizzo, rappresentano un atto assolutamente abnorme e non certamente addebitarle alla responsabilità del datore di lavoro L.P..

La.Eg.:
1.a.) vizi motivazionali in riferimento al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19, artt. 583 e 590 c.p., art. 192 c.p.p., comma 1, in relazione a alla valutazione della prova dichiarativa e travisamento della testimonianza di A.C. e S.U..
Deduce che il ragionamento logico-giuridico del collegio di merito tiene esclusivamente conto del ruolo di garanzia ricoperto dal La., quale preposto, ignorando e non riconoscendogli alcun ruolo direttivo, gerarchico, ma anche solo di organizzazione del lavoro, svuotando di valore giuridico il divieto da lui opposto alla prosecuzione dell'attività in occasione della caduta di materiale dalla tramoggia.
Sostiene che le motivazioni addotte dalla Corte territoriale, a sostegno della condanna dei La., collidono con le emergenze processuali, prima tra tutte, la deposizione del teste A.C. e la pacifica circostanza rappresentata dalle due telefonate con le quali il La. disponeva la sospensione dei lavori. Ciò è confermato dal teste S., il primo tra i lavoratori a contattare telefonicamente l'imputato e ad apprendere e comunicare ai suoi colleghi di attendere l'arrivo del caposquadra, il preposto La., e di fermare l'attività.
2.a.) vizi motivazionali in riferimento agli artt. 507 e 603 c.p.p., in ordine alia omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ed escussione del teste F.L..
Deduce che la rilevanza ai fini della decisione, dell'acquisizione della testimonianza di questo dipendente, è emersa proprio durante l'ascolto del teste D.M. che indica il F., non solo come teste di riferimento in ordine alia circostanza delle caduta del materiale polveroso, ma anche come colui che gli avrebbe suggerito di utilizzare, oltre che fornito, la pompa oleodinamica il cui errato utilizzo, da parte del M., determinerà l'infortunio del T..
3.a.) vizi motivazionali in riferimento al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 4, lett. a) e art. 43 c.p..
Deduce che la corte distrettuale non ha, immotivatamente, ritenuto il comportamento dei D.M. e dello stesso T., talmente esorbitante i loro compiti da potersi definire abnorme posto che: 1) nell'elenco dei lavori affidati dalla Committente ILVA alla Ditta L. non erano ricompresi l'apertura o la chiusura delle serranda; 2) fra gli attrezzi in dotazione alia squadra del T. non vi era alcuna pompa oleodinamica; 3) il POS, che recava le firme di tutti i lavoratori impegnati, non ricomprendeva l'attività che ha determinato l'infortunio, ne l'utilizzo dell'attrezzatura che lo ha provocato; 4) le lavorazioni dovevano avvenire a serranda necessariamente aperta; 5) nell'ordine di lavoro non era prevista l'attivazione della saracinesca; 6) l'intero impianto era stato inertizzato e scollegato dalla sua pompa oleodinamica, per ragioni di sicurezza; 7) la pompa utilizzata dal lavoratore D.M., oltre a non rientrare nel novero di "attrezzatura di lavoro", era diversa per funzionamento, portata, marca e modello da quella in uso presso l'impianto ILVA. Sostiene che la prevedibilità ed evitabilità del rischio legato sia all'utilizzo di uno strumento non in dotazione che all'esecuzione di un'attività esplicitamente vietata dalla committente non possono addebitarsi all'imputato La..
4.a.) violazione di legge e vizi motivazionali in riferimento agli artt. 40 e 41 c.p., D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20.
Deduce che la corte del merito non ha tenuto presente che il La., seppure a mezzo del telefono, ha, per ben due volte, ordinato la sospensione dei lavori. L'obbligo che gravava sulla squadra della L.P. Srl era quello di sottostare all'ordine di La. e di attenderne l'arrivo oltre che di attenersi alle prescrizioni dettate in materia di emergenza ossia di interrompere le attività e sostare in luogo sicuro. La momentanea assenza del preposto dal posto, di lavoro non può tradursi in un pretesto per giustificare le violazioni delle prescrizioni operative poste in essere dai lavoratori.
Sostiene che il giudice d'appello è incorso in un errore di vantazione non valutando sovrapponibile il concetto giuridico di "abnormità" con l'utilizzo di un'attrezzatura non in dotazione e con la prosecuzione dell'attività vietata dal preposto.
 

Diritto


3. I ricorsi sono infondati.
4. Innanzitutto, va evidenziato che, nel caso di cd. "doppia conforme", le motivazioni delle sentenze di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, rimarcare che i ricorrenti ignorano le ragioni esplicitate da giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame. E', in vero, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute, anche implicitamente, infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012f Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep.1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 44139 del 27/10/2015).
4.2. La Corte territoriale ha, di contro, fornito adeguata spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
4.3. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia a oggettiva, tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e vantazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr, Sez. 3. n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.5. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nei ricorsi in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata vantazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.6. In realtà i ricorrenti, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione di legge, tentano di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
4.7 Non va infine, pretermesso che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purchè specificamente indicati dal ricorrente,, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite dei "devolutimi" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014 Ud. - dep. 03/02/2014- Rv. 258774): ipotesi che, nella specie, deve escludersi.
5. Ciò posto, in replica alla doglianza sub I), relativa al ricorso di L.P., mette conto ribadire che, nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è subordinata alla verifica dell'incompletezza del materiale probatorio utilizzato dal primo giudice e alla conseguente constatazione del giudice d'appello di non poter decidere allo stato degli atti senza uro rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla vantazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto (cfr. Sez. Un., n. 39746 del 23/03/2017 Ud. - dep. 31/08/2017-Rv. 270936).
6. In ordine alla doglianza sub II), relativa al ricorso di L.P., basterà riaffermare quanto già detto ai punti da 4.1. a 4.7.
Per completezza, vale evidenziare che i giudici del merito hanno congruamente motivato le ragioni del proprio convincimento anche a prescindere dalle per detti giudici - irrilevanti contraddizioni di taluni testi; in particolare la corte distrettuale ha, tra l'altro, correttamente ritenuto: "Non si ritiene che lo svolgimento dei fatti sia particolarmente controverso, sia in relazione alle cause dell'incidente sia alle condotte tenute dai singoli protagonisti della vicenda, fatto salvo il ruolo svolto dal S. il quale non può essere quello ritagliatosi dalle stesso teste, ed avvalorato dal difensore appellante, evidentemente Interessato in quanto personalmente coinvolto alla stregua delle dichiarazioni rese sia dalla p.o. ma anche dal D.M., sicuramente indifferenti rispetto all'Intervento del loro collega in quanto irrilevante rispetto alla natura delle responsabilità di cui si discute". Su punto, vale rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di "travisamento della prova", che si risolve nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica: e ciò, nella specie manca, (cfr. Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020 Ud. -dep. 18/12/2020 - Rv. 280117).
7. Quanto alla doglianza sub III), relativa al ricorso di L.P., occorre osservare, che, come esattamente colto dalla corte territoriale, "gli obblighi d'informazione in tanto esistono in quanto le lavorazioni del committente presentano determinati rischi e non perchè questi debbano essere "trattati e risolti" dal committente medesimo. In altre parole il fatto che, nel caso di specie, vi fosse il pericolo di caduta e fuoriuscita di materiale dal silos nonostante l'onere della committente di "pulire" le condotte, per come spiegato dal tecnici dei quali sono state assunte le dichiarazioni, imponeva al datore di lavoro di inserire tale previsione all'interno del POS in quanto l'informazione attiene -ai rischi insiti nelle attività è non ai rischi che permangono nonostante la loro salutazione e l'adozione dalle connesse misure"".
In vero, il datore di lavoro non è tenuto solamente a predisporre tutte quelle misure che nel caso concreto e rispetto a quella specifica lavorazione risultino idonee a prevenire i rischi tecnici dell'attività posta in essere, perchè garante dell'incolumità fisica dei lavoratori, ma è tenuto ad informare il lavoratore circa i rischi propri dell'attività cui è preposto e dell'attività derivante dalla diretta esecuzione di operazioni ad altri riservate, ovviamente laddove - come nella specie- vi sia un ragionevole rischio di interferenza funzionale tra le diverse operazioni (v. anche Sez. 4, n. 44106 del 11/07/2014 Ud. - dep. 23/10/2014 - Rv. 260637).
Inoltre, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (v. anche Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 Ud. - dep. 29/01/2015 - Rv. 263200).
Di tali arresi ha fatto buon uso il collegio del merito, affermando che "il L. (si ritiene unitamente alla committente), era senz'altro tenuto ad informare i suoi lavoratori del rischio rappresentato dalla inertizzazione dei silos. Dunque, anche laddove il rischio fosse stato posto "sotto controllo" da parte di Ilva, e mai in maniera completa per com'è stato chiarito, proprio tale circostanza, anche se residuale, e comunque collegata alla presenza delle polveri all'interno dei silos avrebbe dovuto formare oggetto di specifica previsione. E non lo è stato". In altri termini, i ricorrenti, nelle rispettive vesti, avrebbero dovuto considerare anche l'ipotesi di improvvisa fuoriuscita di materiale dal silos e predisporre le necessaria cautele, comunque tali da garantire la sicurezza sia dei lavoratori addetti a quelle specifica lavorazione sia di quelli in verosimile prossimità a quella zona.
8. In ordine alle doglianze sub 4) e 5), relative al ricorso di L.P., da trattarsi congiuntamente poichè logicamente avvinte, va osservato come la corte del merito abbia tenuto conto delle analoghe censure di cui all'atto d'appello, sottolineando, in maniera dirimente, che "I carpentieri della squadra di cui faceva parte anche la p.o., peraltro tutti esperti, risulta che avessero avuto adeguata formazione sulle caratteristiche delle lavorazioni da effettuare definite da essi stessi di non particolare difficoltà (...) ma non era previsto un loro intervento in caso di caduta di materiale dai silos".
In vero, la difesa omette di considerare che i lavori appaltati al L. consistevano nella demolizione e rimontaggio della tramoggia della linea E, e,, ne corso di tale demolizione -improvvisamente - dalla citata tramoggia iniziava la caduta di una rilevante quantità di minerale, tanto che gli stessi operai avevano interrotto i lavori e contattato, telefonicamente, il La.. Nella inutile attesa dall'intervento di quest'ultimo, gli stessi operai si risolvevano, con i mezzi è disposizione, di fronteggiare la pericolosa situazione e di "chiudere la serranda del silos per rimediare alla situazione venutasi a creare, atteso che la notevole fuoriuscita di minerale stava investendo altri operai che in quel momento stavano lavorando al piano inferiore". In tali emergenze si verifica l'infortunio del T.. Di qui l'esatta rilevazione del giudice del merito per cui "Dunque, anche laddove il rischio fosse stato posto "sotto controllo" da parte di Ilva, e mai in maniera completa per com'è stato chiarito, proprio tale circostanza, anche se residuale, e comunque collegata alla presenza delle polveri all'interno dei silos avrebbe dovuto formare oggetto di specifica previsione. E non lo è stato".
9. Da quanto appena detto deriva la infondatezza manifesta anche della censura sub 6) relativa al ricorso di L.P., posto che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilltà per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 Ud. - dep. 14/02/2018 - Rv. 272222).
Mette conto, ancora, riaffermare il solido principio secondo cui, in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare (cfr. e pluribus. Sez. 4, n. 123 del 11/12/2018 Ud. - dep. 03/01/2019 - Rv. 274829). Sussiste, in vero, una "interruzione" della sequenza causale, rilevante ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2, tra condotta ed evento, quando intervenga un ulteriore fattore causale, che inneschi un rischio nuovo, rispetto a quello originario attivato dalla condotta.
La giurisprudenza di legittimità, sul tema di interesse, ha elaborato la teoria che muove dall'analisi comparativa delle diverse aree di rischio in cui si colloca, l'evento lesivo, rispetto all'ambito di tutela riferibile a ciascun garante (cfr, Sez. 4, n. 33329 de 05/05/2015, dep. 28/07/2015, Rv. 264365; Sez. Un. 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261103). In via di estrema sintesi, si osserva che la c.d. teoria del rischio ha preso le mosse dal rilievo in base al quale tutto il sistema antinfortunistico è conformato per governare il rischio ed i gravi pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Il rischio è categorialmente unico ma si declina concretamente in diverse guise in relazione alle differenti situazioni. Da qui l'individuazione di diverse aree di rischio e, parallelamente, delle distinte sfere di responsabilità riferibili ai soggetti che quel rischio sono chiamati a governare.
Le Sezioni unite, nella sentenza già sopra richiamata (Sez. Un. 24 aprile 2014, Espenhahn, cit.), hanno posto l'enunciazione in base alla quale un comportamento è "interruttivo" della sequenza causale non perchè "eccezionale" ma cerche eccentrico rispetto al "rischio" che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità rende magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento. Le Sezioni Unite, come detto, hanno quindi precisato che l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a ausili che il garante è chiamato a governare.
Al fianco di tale esposizione teorica, deve altresì richiamarsi l'elaborazione giurisprudenziale sul tema della abnormità della condotta posta in essere dalla vittima, per cui deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni e che l'eventuale colpa concorrente della vittima non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, n. 3580 del 14/12/1999, dep. 2000, Rv. 21686).
9.1 Nel caso che occupa i giudici del merito han fatto buon uso dei principi suesposti, rilevando che la complessiva condotta del T. non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che i garanti (i ricorrenti) erano chiamati a governare; nella condotta della vittima non si possono, in vero, riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poichè trattasi di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto e finalizzata (sia pure imprudentemente) a fronteggiare l'emergenza costituita dalla cospicua fuoriuscita di materiale dal silos che rischiava di coinvolgere anche gli operai che stavano lavorando al piano inferiore. Sul punto, ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa Sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14/1/2014, Scorseli, Rv. 259321, secondo cui non esclude la responsabilità del datore di lavoro ' comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile, comunque, all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente.
10. Quanto alla doglianza sub 1.a.). relativa al ricorso di La.Eg., occorre ribadire quanto già detto ai punti da 4.1. a 4.7. che precedono.
A ciò deve aggiungersi, che, oltre a non aver previsto ed evitato l'improvvisa fuoriuscita di cospicua quantità di materiale dal silos, il La. aveva garantito agli operai il suo arrivo immediato sul posto; gli stessi lavoratori, prima di prendere qualsiasi decisione avevano atteso circa 10-15 minuti "mentre il materiale aveva continuato a fuoriuscire in quantità notevole, tanto da investire gli altri operai allocati al piano sottostante nonchè quelli di una ditta di ponteggio pure presenti sul posto. Neppure la seconda e la terza sollecitazione, indirizzate a La., avevano sortito alcun effetto" e proprio per fronteggiare tale emergenza furono poste in atto -seppur imprudentemente- le manovre che portarono all'infortunio.
Dal compendio probatorio si evince che gli operai "anche in altre occasioni avevano svolto quel genere di lavoro e che i silos erano stati trovati vuoti sebbene fosse la prima volta che smontava quel tipo di tramoggia senza aver ricevuto istruzioni in merito dal caposquadra La.Eg. ma che si trattava di un compito assai agevole".
Quanto alla complessiva posizione del La., valgono le considerazioni già svolte in replica al ricorso del L.; in particolare la ricorrenza del principio per cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loto adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c. egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (v. anche Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 Ud. - dep. 29/01/2015- Rv. 263200); è opportuno, quindi, ribadire quanto già detto: anche il La. era senz'altro tenuto ad informare i lavoratori dei rischio rappresentato dalla inertizzazione dei silos. "Dunque, anche laddove il rischio fosse stato posto "sotto controllo" da parte di Ilva, e mai in maniera completa per com'è stato chiarito, proprio tale circostanza, anche se residuale, e comunque collegata alla presenza delle polveri all'interno dei silos, avrebbe dovuto formare oggetto di specifica previsione. E non lo è stato". In altri termini, i ricorrenti, nelle rispettive vesti, avrebbero dovuto considerare anche l'ipotesi di improvvisa fuoriuscita di materiale dal silos e predisporre e necessaria cautele, comunque tali da garantire la sicurezza sia dei voratori addetti a quella specifica lavorazione sia di quelli in verosimile prossimità a quella zona.
Vale evidenziare, inoltre, che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione (cfr. anche Sez. 4, n. 10608 del 04/12/2012 dep. il 2013, Bracci, Rv. 255282).
11. In ordine alla doglianza sub 2.a.), relativa al ricorso di La.Eg., basterà riportarsi a quanto già detto al punto 5, che precede.
12. Quanto alle doglianze sub 3 a) e 4.a.), relative al ricorso di La.Eg., basterà riportarsi a quanto già detto ai punti 9. e 9.1. che precedono.
Per completezza deve aggiungersi che fulcro della decisione impugnata non è tanto la presenza o meno del ricorrente sul posto quanto la mancata previsione di quel rischio specifico (l'improvvisa e cospicua fuoriuscita di materiale dal silos, "fenomeno comunque connaturato alla struttura degli impianti") e l'omissione della predisposizione di strumenti per prevenirlo ed evitarlo nonchè l'ingiustificabile ritardo del suo arrivo sul posto ove si stava realizzando una pericolosa e perdurante emergenza. Correttamente, quindi, la corte de merito ha affermato che "l'aver disposto di attendere il suo arrivo prima di effettuare qualsiasi manovra non lo esime da responsabilità (...) il comportamento tenuto dai lavoratori, da cui è scaturito l'evento lesivo, risulta essere stato quasi provocato da quello del La. pervicacemente assente dal cantiere nonostante le ripetute sollecitazioni da parte dei suoi operai. Di talchè lo stesso comportamento colposo da parte di costoro, ignari del rischio derivante dalla incompatibilità della pompa con il sistema a cui era stata collegata per far scendere la saracinesca, non appare più imprevedibile bensì conseguente alla necessità di evitare il perdurare della caduta delle polveri che stava investendo anche gli altri operai a lavoro su di un piano sottostante. Nè tale comportamento imprudente e negligente (tenuto da tutti coloro che stavano operando su quella tramoggia) esclude la responsabilità di chi avrebbe dovuto porre in essere tutte le cautele del caso a governo del rischio di comportamento imprudente".
13. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che i ricorsi, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pongono solo questioni che esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di vantazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per i ricorrenti più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
14. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento dalle spese del procedimento.
 

P.Q.M.
 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021