Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 30 giugno 2021, n. 24901 - Caduta da un'altezza di circa 4 metri nel corso di operazioni di smontaggio di una scaffalatura


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 18/05/2021
 

Fatto


1. F.S. e G.F.B., propongono ricorso per cassazione per gli interessi civili avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 15.01.2020 che, -per quanto qui rileva, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Enna il 25.1.2017, ha dichiarato non doversi procedere nei loro confronti per essere il reato di cui all'art. 590 commi 2 e 3 cod. pen. estinto per prescrizione, ha confermato le statuizioni civili relative al risarcimento del danno in favore di L.I. oltre al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile costituita di 20.000,00 e delle spese processuali.
2. La vicenda processuale in disamina attiene alla responsabilità colposa generica e specifica riconosciuta dalla Corte territoriale nei confronti di F.S. e G.F.B., per le lesioni gravi riportate dal lavoratore L.I. a seguito della caduta da un' altezza di circa 4 metri nel corso di operazioni di smontaggio di una scaffalatura, effettuate in occasione del trasloco dell'attività commerciale di ferramenta gestito dai coniugi F.S.-G.F.B.. Il fatto era avvenuto il 9.06.2010.
2.1. Nello specifico si addebita a F.S., nella qualità di collaboratore del datore di lavoro e alla G.F.B., datore di lavoro di fatto nonché di titolare del negozio di ferramenta in Leonforte ove si è verificato l'infortunio, di aver cagionato per colpa, dovuta a negligenza imprudenza e imperizia ovvèro per inosservanza dell'art. 18 comma 1 lett. d-e) Dlgs n.81/2008, che prescrive di fornire ai lavoratori necessari e idonei dispositivi individuali di protezione nonché adeguata formazione e informazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a L.I. lesioni gravi, consistite in trauma distorsivo alla caviglia destra e nel distacco parcellare del margine mediale dell'astragalo del piede destro,, a seguito di caduta a terra nel corso delle operazioni di smontaggio di una scaffalatura posta a oltre 2 metri e mezzo di altezza ( 4,00 metri) da terra.

3. Hanno presentato ricorso a mezzo del difensore di fiducia sia F.S. che G.F.B., deducendo i seguenti motivi, sostanzialmente sovrapponibili:
I) Mancanza di motivazione rispetto alle doglianze difensive formulate con l'atto di appello per aver ritenuto che l'infortunio si è verificato presso il negozio di ferramenta di cui è titolare l'imputata come narrato dalla parte civile.
Le dichiarazioni della persona offesa che affermava di essere caduto mentre smontava un soppalco è risultata inattendibile in quanto l'istruttoria ha accertato che non è stato smontato alcun soppalco; il Giudice di primo grado aveva ipotizzato senza alcun riscontro che si trattasse di una scaffalatura. In realtà sussisteva un soppalco alto 2,20 metri e al momento del rilascio dell'immobile avvenuto nel 2011 il suddetto soppalco era ancora nei locali.

II) Mancanza e illogicità della motivazione per aver ritenuto esistente il rapporto di lavoro con la G.F.B., nonostante non fosse stato riconosciuto nemmeno dal giudice del lavoro e per aver individuato in capo al F.S. una posizione di garanzia di collaboratore del datore di lavoro del tutto insussistente.

III) Mancanza e contraddittorietà della motivazione intrinseca rispetto alla perizia e alle dichiarazioni dell'esperto ortopedico incaricato dalla Corte di appello in relazione alla quantificazione della provvisionale. Infatti l'imprudenza del L.I., decisosi con ritardo all'approfondimento diagnostico che gli era stato suggerito nell'immediatezza, ha certamente aggravato i postumi permanenti circa la gravità della lesione e quindi una parte del danno non è ascrivibile agli imputati; ciò nonostante la Corte ha confermato la stessa quantificazione della provvisionale indicata dal Giudice di primo grado

4. Il Procuratore Generale con la requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi la inammissibilità

 

Diritto

 



1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. Va premesso, per quanto attiene alle doglianze avanzate dai ricorrenti nel primo e nel secondo motivo di ciascun ricorso, già peraltro esposte in sede di appello, che la sentenza impugnata, a pag. 7/8, affronta motivatamente tutti i punti con motivazione esauriente, congrua e logica, mentre le censure attengono al fatto. In specie, entrambi sotto profili diversi, intendono accreditare la tesi di essere estranei a qualsiasi rapporto di lavoro con L.I. al momento dell'infortunio, accaduto nel negozio di ferramenta il 9 giugno 2010 mentre stava smontando una scaffalatura posta comunque comunque ad un'altezza superiore a metri 2,5, da cui era scivolato rovinando a terra. I ricorrenti, ciascuno per la sua parte, criticano genericamente la ricostruzione dei Giudici, ritenendola frutto di una erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura dei fatti secondo considerazioni generiche che appaiono riconducibili ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901).
1.2. Inoltre, nel caso che occupa, ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come nel caso di specie, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle -determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv.25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 dep. 2012, Valerio, Rv.25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101).
1.3. E' risultato accertato che il L.I. lavorava di fatto come dipendente dei coniugi F.S.-G.F.B. dall'agosto 2004; si era occupato dell'assistenza al padre anziano del F.S. affetto da cecità, deceduto nel 2005; svolgeva lavori agricoli nell'azienda di famiglia e alcuni servizi ( carico e scarico merce, sistemazione negli scaffali..) presso il negozio di ferramenta di cui era titolare la G.F.B. e che gestiva con la collaborazione del marito F.S.. In definitiva il L.I. svolgeva mansioni di badante e aiuto magazzino al nero ( fai 2 e 3 sentenza di primo grado); il 9 giugno 2010 era scivolato con il piede sinistro mentre stava eseguendo, per conto dei. coniugi imputati, un'operazione di trasloco in occasione del trasferimento del negozio da Via Dalmazia a Via Torretta e stava smontando una scaffalatura alta circa cinque metri da terra ( un ponte di circa 5 metri di altezza, composto da 16/17 tavole di 5 metri di lunghezza e 40 cm di larghezza, fai 10 sentenza di primo grado). Il F.S. era subito intervenuto informandosi dell'entità delle lesioni, ma non aveva accompagnato il L.I. in pronto soccorso, nonostante le richieste della moglie della persona offesa; il L.I. era andato da solo al pronto soccorso di Leonforte, dove era stato sottoposto ad accertamento radiografico a cui non era seguito però alcun ricovero; poiché il dolore lancinante continuava, il giorno seguente si faceva accompagnare dal F.S. all'Ospedale di Enna, dove veniva sottoposto a nuova visita; qualche giorno dopo, poichè la situazione peggiorava, su consiglio di uno specialista ortopedico, si era rivolto all'Istituto ortopedico di Messina dove veniva operato poi sottoposto ad una lunga riabilitazione durata dall'8 settembre al 22 ottobre 2010 ( fol 14 sentenza di primo grado). Risulta accertato che il F.S. e la G.F.B. avevano gestito la vicenda in modo da far figurare che l'infortunio era avvenuto 1'8 settembre 2010, in epoca successiva alla formale assunzione come badante del padre della G.F.B. che avevano indotto il L.I. a stipulare il 6.09.2010; vi era stata anche una falsa denuncia dell'infortunio all'Inps, posticipato rispetto al suo verificarsi nel giugno 2010 e ciò era stato realizzato sempre su insistenza e richiesta dei F.S. che cercavano di riuscire ad avere la copertura assicurativa dell'INPS ( fol 5 sentenza di primo grado).
Gli accertamenti medico legali di cui ha tenuto conto il primo Giudice ( fol 6- 9) hanno evidenziato che il distacco parcellare del margine mediale dell'astrangalo si era verificato proprio a causa di un trauma ad alta energia come la caduta dall'alto e che le radiografie del 9 e del 10 giugno 2010 avevano comportato un falso negativo; successivamente attraverso effettuati nello stesso mese di giugno 2010.
Non risulta essere stato effettuato alcun sopralluogo da parte della Polizia giudiziaria nel negozio di ferramenta, luogo dell'infortunio.
1.4. Invero con riguardo alla posizione di garanzia assunta dagli imputati la decisione non presenta alcuno dei vizi dedotti.
La Corte territoriale ha ripercorso i termini fattuali della vicenda chiaramente ricostruiti dal primo giudice dopo una lunga istruttoria, ha valutato l'attendibilità della dichiarazioni circostanziate e riscontrabili della persona offesa e in particolare la sussistenza di un rapporto di lavoro di fatto tra il L.I. e i F.S.-G.F.B. nell'ambito del quale il primo svolgeva compiti di factotum, senza alcuna formazione né informazione e senza i necessari dispositivi di protezione individuale, come il casco o le scarpe infortunistiche.
La Corte di appello ha provveduto anche a disporre una perizia medico­ legale in sede di rinnovazione istruttoria con la quale ha accertato che il meccanismo di produzione della frattura dell'astrangolo è compatibile con le modalità di caduta dall'alto verificatasi con le modalità descritte dalla persona offesa da un'altezza variabile dai 2.5 metri ai 5 metri ( v. relazione tecnica menzionata a fol 8 della sentenza impugnata). Il perito ha argomentato che la mancata diagnosi iniziale presso il pronto soccorso della frattura astralgica era imputabile al fatto che non era stato fatto uno riscontro radiologico o una Tac o comunque un esame più approfondito in quanto non vi era stata consulenza ortopedica. Il ritardo nella diagnosi è da mettere in rapporto con le caratteristiche della frattura che difficilmente, se composta, poteva essere individuata con un esame radiografico standard. Il fatto che il L.I. si sia sottoposto a visita ortopedica dopo quale tempo rappresenta un comportamento colposo della persona offesa che ha soltanto aggravato i postumi e ciò può avere un' incidenza nella quantificazione del danno da parte del Giudice civile, ma certo non è idoneo ad escludere il nesso causale tra il comportamento colposo degli imputati e l'infortunio verificatosi nel negozio di ferramenta.

1.5. La Corte territoriale, in conclusione, ha fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici, avendo considerato nella individuazione del determinismo causale le condotte omissive delle doverose misure di prevenzione facenti capo ad entrambi i titolari delle posizioni di garanzia ai sensi dell'art. 299, d.lgs. 81/2008. Ciò che rileva è il concreto esercizio dei poteri di datore di lavoro da parte della G.F.B. e del F.S. nei confronti del L.I., operaio tuttofare, da cui derivava l'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore (ex art 2087 cc e 18 Dlgs 81/2008), nella specie fornendogli gli strumenti di protezione individuale, informandolo e formandolo in relazione ai propri compiti e ai rischi connessi, prevedibili ed evitabili.
Da quanto sopra la sentenza di merito ha tratto plausibili considerazioni sia in ordine alla sussistenza di profili colposi a carico degli imputati, sia in ordine alla configurabilità del nesso causale fra le omissioni addebitate e l'evento, avuto riguardo alla concreta verificazione del rischio che la normativa cautelare violata intende neutralizzare, secondo una ponderata valutazione di merito, priva di errori di diritto, come tale insindacabile in cassazione.
Invero, è stato affermato da questa Corte che per tutte le lavorazioni che comportano attività in quota e che possono, in conseguenza, determinare fatali cadute dall'alto, risponde ai generali principi di diligenza e di prudenza, che chiunque assuma, in qualsiasi momento ed in qualsiasi occasione, una posizione di garanzia rispetto ad un'attività di lavoro, debba operare per prevenire ogni prevedibile ed evitabile rischio e per garantire la sicurezza del luogo di lavoro. (Sez. 4, n. 21268 del 03/10/2012 Ud. (dep. 17/05/2013) Rv. 255277 - 01).
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro. Sez. 4,n. 4361 del 21/10/2014 Ud. (dep. 29/01/2015 ) Rv. 263200 - 01.
Infine, va ricordato che per configurare la responsabilità del datore di lavoro non occorre che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore (Sez.4, n. 9745 del 12/11/2020 Ud. (dep. 11/03/2021 ) Rv. 280696 - 02

2. Con riferimento al terzo motivo, manifestamente infondato, va ricordato che la pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell'ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato è destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 4, n. 10098 del 20/03/1991 Ud. (dep. 10/10/1991 ) Rv. 188254 0).


3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00. ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 



P.Q.M.

 

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18.05.2021