Cassazione Penale, Sez. 4, 07 luglio 2021, n. 25756 - Reclutamento illecito di manodopera. Sfruttamento dei lavoratori e reiterata violazione della normativa di sicurezza


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 12/05/2021
 

Fatto


1. La Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Gip del Tribunale di Brindisi, all'esito del giudizio abbreviato, nei confronti di Z.M., in relazione al delitto di reclutamento illecito di manodopera cui all'art. 603 bis cod.pen., perché, secondo quanto descritto nell'imputazione, nella sua qualità di titolare dell'impresa agricola omonima, con sede in Brindisi, aveva assunto e impiegato manodopera in località Cerano, contrada Trullo, su terreno agricolo di proprietà di Z.L., condotto in locazione dalla predetta impresa anche mediante l'intermediazione posta in essere da DL.D., sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno, mediante la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme ai contratti collettivi nazionali e comunque sproporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa in materia di sicurezza, salute e igiene nei luoghi di lavoro giacchè non vi era sottoposizione a visita medica, non vi erano idonee attrezzature e calzature in gomma, indispensabili per il lavoro di piantumazione dei meloni a causa dell'umidità del terreno; uno dei lavoratori era anche sprovvisto di permesso di soggiorno in quanto scaduto nel 2016 e versava in condizioni economiche gravi e in pessime condizioni abitative. Con la recidiva reiterata infraquinquennale. Fatti commessi fino al 3.07.2019
2. Ha proposto ricorso lo Z.M. a mezzo del difensore, il quale ha articolato i seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce la insussistenza della fattispecie contestata in quanto non vi è stata la reiterata corresponsione di salari palesemente difformi e quindi la reiterazione della condotta illecita di sfruttamento in quanto per uno o due lavoratori la condotta si sarebbe protratta per non più di due mesi al massimo mentre gli altri erano stati assunti lo stesso giorno dell'arresto. Inoltre nulla emerge in ordine allo stato di bisogno dei lavoratori e alla consapevolezza da parte dell'imputato, considerato che alle operazioni di individuazione e contatto provvedeva l'intermediario.
2. 2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche e al quantum della pena.
3. Il Procuratore generale in sede, con requisitoria scritta, ha chiesto la inammissibilità del ricorso.
3.1.Ha rilevato la manifesta infondatezza della deduzione di violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento al riconoscimento di responsabilità dell'imputato, avendo la Corte di merito correttamente e compiutamente argomentato in ordine alla raggiunta prova dello sfruttamento e dell'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, elementi costitutivi del reato ex art. 603 bis c.p., sulla base dei plurimi indici rivelatori dello sfruttamento (a partire dalla sistematica corresponsione di retribuzioni significativamente inferiori a quelle contemplate dalla contrattazione collettiva, nel mancato rispetto delle minime condizioni di sicurezza ed igiene del lavoro) e tenuto conto delle convergenti emergenze deponenti nel senso dell'approfittamento delle condizioni di bisogno in cui, per varie ragioni, compresa l'esigenza di un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno, gli stessi versavano (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, 19/672020, Savoia; Cass. Pen. Sez. 4, 9/10/2019, Kuts). Analoghe considerazioni si impongono con riferimento alla dosimetria della pena ed al diniego delle attenuanti generiche, quest'ultimo sinteticamente ma correttamente motivato nel rilievo dell'assenza di elementi allo scopo positivamente valutabili, in costanza di una negativa personalità dell'imputato, palesata dai precedenti penali"
 



Diritto

 

l.Il ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico e aspecifico, non confrontandosi con il percorso logico- giuridico e fattuale seguito nella motivazione della Corte territoriale.

2. Va premesso che la nuova versione dell'art. 603-bis cod.pen. implica che il datore di lavoro risponde del reato di caporalato (a prescindere dall'intervento del caporale) solo se sfrutta e approfitta dello stato di bisogno dei lavoratori. Le nozioni di sfruttamento e di stato di bisogno debbono essere intese in stretta connessione tra loro, costituendo la condizione di vulnerabilità di chi versa in stato di bisogno il presupposto della condotta approfittatrice del soggetto agente attraverso la quale realizzare lo sfruttamento.
Lo sfruttamento, alla luce anche dell'elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, richiama una condotta abituale, come il maltrattamento in famiglia e si ha quando si impedisce alla persona di determinarsi liberamente nelle sue scelte esistenziali. In sostanza, il concetto di sfruttamento va ricondotto a qualsiasi comportamento, anche se posto in essere senza violenza o minaccia, che inibisca o limiti la libertà di autodeterminazione della vittima senza che si renda necessario realizzare quello stato di totale e continuativa soggezione che caratterizza il delitto di riduzione in schiavitù. E così per lo stato di bisogno, che non si identifica con il bisogno di lavorare per vivere, ma presuppone - (ex multis, Sez. 2, n. 18778 del 25 marzo 2014) - "uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che, pur non annientando in modo assoluto qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale" della persona.
Gli indici di sfruttamento sono 'sintomi', indizi che il giudice valuta, se corroborati dagli elementi di sfruttamento e di approfittamento dello stato di bisogno. Esemplificando, la violazione delle disposizioni in tema di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro non è di per sé capace di integrare la condotta del delitto, occorrendo comunque che il lavoratore risulti sfruttato e che del suo stato di bisogno il datore di lavoro abbia profittato. Il legislatore, con l'elencazione degli indici di sfruttamento, ha inteso agevolare i compiti ricostruttivi del giudice, orientando l'indagine e l'accertamento in quei settori (retribuzione, condizioni di lavoro, condizioni alloggiative, ecc.) che rappresentano gli ambiti privilegiati di emersione di condotte di sfruttamento e di approfittamento.

3. Con il primo motivo il ricorso si prospetta una generica lettura alternativa e frammentaria del materiale indiziario che non è idonea a superare, il quadro probatorio che richiama gli indici, indicati dal legislatore nell'art. 603 bis cod.pen, e che attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio.( cfr. Sez. 4 - , n. 49781 del 09/10/2019 Cc. (dep. 09/12/2019) Rv. 277424 - 01 ).
3.1. La Corte territoriale con un percorso argomentativo coerente e logico che si salda a quello del primo giudice ha richiamato e riportato il risultato delle dichiarazioni rese dai singoli lavoratori, evidenziando l'attività di sfruttamento salariale che per almeno due lavoratori si è protratta per due mesi, l'assunzione degli altri, lo stesso giorno dell'intervento delle forze di polizia, senza una regolare procedura contrattuale e, per uno di loro, senza il regolare permesso di soggiorno e senza una visita medica preventiva, in assenza di dispositivi di protezione individuale e in spregio delle norme di sicurezza e igiene sul lavoro; ha rimarcato lo sfruttamento dello stato di bisogno del lavoratore M., non solo privo di regolare permesso di soggiorno, ma di mezzi di sostentamento e di un alloggio, in quanto dimorava in un casolare abbandonato, sprovvisto di acqua, corrente elettrica e servizi igienici.
I Giudici di merito hanno correttamente ritenuto la configurabilità della fattispecie delittuosa di cui all'art. 603 bis cod. pen. che descrive la condotta in capo al datore di lavoro che utilizza, assume o impiega manodopera reclutata anche - ma non necessariamente - con l'utilizzo di caporalato, sfruttando i lavoratori e approfittando del loro stato di bisogno e ha argomentato e valutato, con un percorso logico e coerente, alla luce del materiale probatorio la sussistenza nel caso concreto delle condizioni ritenute indice di sfruttamento dello stato di bisogno dei lavoratori.

4. Anche le doglianze relative alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione del trattamento sanzionatorio, risultano manifestamente infondate.
Il rigetto delle circostanze attenuanti generiche è fondato su una motivazione esente da manifesta illogicità che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419) dovendosi ribadire il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, nel caso di specie la valutazione della negativa della personalità dell'imputato alla luce dei precedenti penali.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt.132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico ( Sez. 2 366104 del 27 04 2017 rv 271243-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

5. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12.05.2021