Cassazione Penale, Sez. 4, 12 luglio 2021, n. 26325 - Lavoratore travolto dal pezzo in lavorazione. Tentativo di alterazione del quadro probatorio


 

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 04/03/2021
 

 

Fatto




1. Con sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo del 13 marzo 2014, ha rideterminato la pena inflitta a P.M. in euro mille di multa e a P.MA. in euro milleottocento di multa, con concessione del beneficio della non menzione, per il reato di cui all'art. 590, commi primo, secondo e terzo, in relazione all'art. 583, comma primo, n. 1), cod. pen., perché P.M. in qualità di legale rappresentante della società Carpenterie P. s.r.l., committente dei lavori, e P. MA. in qualità di direttore tecnico e responsabile di produzione della medesima società, preposto di fatto ai lavori, cagionavano a Q.H. - dipendente della MG s.a.s. quale carpentiere saldatore ed operante presso la Carpenterie P. s.r.l. in forza di contratto di appalto per l'esecuzione di opere e servizi di carpenteria metallica - lesioni personali (frattura osso frontale, contusione dorsale) da cui derivavano pericolo di vita nonché una malattia di durata superiore ai quaranta giorni, per colpa generica e per inosservanza di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, non adottando le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (art. 2087 cod. civ.) e segnatamente: i P. in violazione dell'art. 28 co. 2 lett. b) del D. L.vo n. 81/2008, per avere omesso di individuare ed attuare opportune misure di prevenzione e protezione in relazione alla messa in sicurezza dei vari manufatti di medie/grosse dimensioni durante l'esecuzione delle operazioni di saldatura; con la conseguenza che, mentre stava eseguendo delle operazioni di saldatura di un manufatto metallico di grosse dimensioni del peso di circa 1.000 kg, che era appoggiato a terra, e sorretto e mantenuto in equilibrio in posizione verticale da due cavalletti auto-costruiti dal personale della Carpenterie P. s.r.l, ai quali il manufatto il lavorazione era stato "puntato" con delle saldature in più punti - cavalletti risultati in cattivo stato di manutenzione e comunque in idonei a ridurre al minimo il rischio di esposizione dei lavoratori a urti, schiacciamenti o investimenti da parte dei pezzi in lavorazione - il lavoratore era travolto dal pezzo in lavorazione che, cadendo in terra, lo schiacciava provocandogli le lesioni sopra descritte - con le aggravanti di avere commesso il fatto con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di aver cagionato lesioni gravi - in Calcio (BG), il 3 febbraio 2012.
1.1. Il Tribunale svolgeva un'accurata ricostruzione della vicenda criminosa.
B.M.L., tecnico della prevenzione della ASL, il giorno del fatto aveva eseguito dei sopralluoghi nella azienda in cui si era verificato l'infortunio. Ella accertava che la vittima, saldatore, non era dipendente della Carpenterie P. s.r.l., ma della MG s.a.s. di D.A., che lo aveva fornito per l'esecuzione di lavori di carpenteria metallica pesante (realizzazione di supporti di grandi serbatoi del peso di una tonnellata circa). La B.M.L., in occasione di un secondo sopralluogo, raccoglieva nuove indicazioni sulla dinamica dell'infortunio: esaminava i cavalletti autocostruiti, impiegati nel sostegno del pezzo, arrugginiti e in condizioni precarie, instabili e in sostanza in idonei a vincolare un manufatto, quale quello su cui stava lavorando il Q.H. al momento dell'infortunio, che presentava una modesta superficie di appoggio al suolo; i cavalletti erano stati fissati alle selle metalliche in corso di realizzazione, mediante alcuni punti di saldatura avevano una superficie di aderenza ridottissima e inidonea a garantire la stabilità dell'insieme. La teste evidenziava che la soluzione tecnica adottata (sostegno del manufatto mediante cavalletti ammalorati e malamente saldati al manufatto stesso) era inidonea a garantire la sicurezza del lavoratore (e ciò anche qualora fossero state aggiunte le cd. saette, cioè barre laterali di rinforzo), mentre al contrario la caduta del pezzo sarebbe stata evitata, se fosse stato imbragato e trattenuto da un carroponte; aggiungeva che non si erano verificate interferenze tra le imprese contraenti, in quanto il Q.H. aveva eseguito gli ordini impartitigli dai P., impiegando materiale questi, esattamente come se fosse stato uno dei dipendenti della Carpenterie P. s.r.l..
Il Q.H. ricordava di essere stato impegnato nella realizzazione di un basamento per caldaia, composto da due parti, sostenuto da due vecchi cavalletti (per giunta leggeri e realizzati con una lamiera sottile); terminata l'ultima saldatura egli aveva pulito il pezzo con una spazzola, si era girato e aveva appoggiato la mascherina su un trapano a colonna collocato vicino: improvvisamente il basamento lo aveva investito e l'aveva sbattuto a terra carponi, provocandogli una ferita alla fronte.
Il Q.H. non riusciva a muovere gli arti ed era stato soccorso dai due imputati. Un altro fratello, P. A., lo trasportava all'ospedale sull'autovettura della donna: nel corso del viaggio, lo invitava a dire al Ri. e agli altri di essersi infortunato in un cantiere di Mantova ed egli, lì per lì, accettava (tuttavia, sentito in ospedale, riferiva la verità). Il teste dichiarava di non aver seguito corsi di formazione, precisando però di essere un saldatore esperto, avendo svolto tale mansione per circa quaranta anni. Precisava di non aver applicato le saette (accorgimento talvolta impiegato nella carpenteria).
Ulteriori particolari erano forniti dai testi dipendenti delle due ditte ascoltati nel corso del dibattimento.
Tenuto conto del contesto fattuale, contrassegnato da tentativi di condizionamento, la deposizione della B.M.L., proveniente da soggetto indifferente e caratterizzata da coerenza e veridicità, era adottata come elemento portante della ricostruzione del fatto. La sella era caduta sul Q.H. perché non adeguatamente sostenuta, sicché l'infortunio era dovuto al difetto di predisposizione di una procedura da seguire per la realizzazione di un lavoro connotato da evidenti profili di rischio. La B.M.L. aveva ritenuto l'adozione di cavalletti ammalorati, non stabili e non stabilmente ancorati alla sella e al suolo inadeguata alla lavorazione in sicurezza di un manufatto di una tonnellata di peso, notevole per altezza e dalla minima base di appoggio.
1.2. La Corte di appello non ha condiviso il giudizio di perfetta buona fede da parte degli imputati, espresso dalla difesa nell'atto di appello, sottolineando i tentativi compiuti di occultare la reale dinamica dell'infortunio e il luogo dove era avvenuto.
La circostanza secondo cui il fratello degli imputati aveva proposto al Q.H. di riferire che l'infortunio era avvenuto in altro luogo non poteva condurre a ritenere gli imputati all'oscuro o estranei a tale tentativo, essendo gli unici ad avere interesse a dichiarazioni di tale teste difformi dalla realtà. Il P. aveva rappresentato una versione della vicenda lontana dalla realtà alla teste B.M.L., recatasi in azienda per ricostruire l'infortunio. Anzi, le era mostrato un luogo della vicenda sgombro dai cavalletti e completamente mutato. E' impossibile ritenere che terzi, privi di interesse a mutare il luogo dell'infortunio, abbiano attuato tali condotte all'insaputa degli imputati, gestori della ditta. Gli imputati prospettavano una diversa dinamica dell'infortunio e tentavano di accreditare la tesi dell'inattendibilità della versione del Q.H.. L'evento, invece, andava ricostruito sulla base del racconto del Q.H., apparso logico, senza contraddizioni e confermato dal quadro probatorio. Il sistema dei cavalletti, ammalorati e traballanti, non aveva retto alle sollecitazioni provenienti dal raffreddamento del pezzo, come poteva arguirsi sulla base della relazione del consulente della difesa in ordine alle sollecitazioni che intervenivano durante la lavorazione di pezzi di tal genere. In ogni caso, difettava l'individuazione di una precisa procedura volta ad evitare il verificarsi dell'evento anche in relazione all'utilizzo di efficaci misure precauzionali rispetto all'utilizzo di cavalletti ammalorati ed inidonei alla funzione. Tale onere, in difetto di delega specifica, incombeva su entrambi gli imputati (quantomeno P.M. avrebbe dovuto assicurarsi che una tale procedura era stata adottata dal fratello).

2. P. M. e P.MA., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 590 cod. pen. e 28, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008 in ordine all'affermazione della responsabilità penale degli imputati.
Si deduce che, come emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale (dichiarazioni dei testi R., M., B. e consulente A.), la procedura, che prevedeva l'utilizzo congiunto di cavalletti e saette per la messa in sicurezza dei manufatti di grosse dimensioni durante le operazioni di saldatura era già stata seguita all'interno della carpenteria prima dell'infortunio in questione ed era stata codificata nel nuovo POS, adottato in seguito all'accertamento dell'A.S.L., che nella persona del tecnico B. aveva verificato l'adempimento delle prescrizioni imposte, giudicando idonea la procedura prevista.
Erroneamente la Corte territoriale ha escluso che il Q.H. fosse autorizzato ad utilizzare il carroponte per imbracare il manufatto prima di staccare cavalletti e saette: al contrario, come i dipendenti della Carpenteria, una volta saldato il pezzo, poteva e doveva, senza necessità di affiancamento, chiamare i titolari della ditta, presenti anche il giorno dell'infortunio, per far imbragare il manufatto ormai saldato. In contrasto con le risultanze processuali, nella sentenza impugnata si è assunto che la persona offesa non avesse montato le saette. In particolare, il teste R. dichiarava che il Q.H., dopo un rimprovero del P., aveva messo le saette verso le ore 8.00. La Corte di merito ha ritenuto il R. inattendibile solo in ragione degli interventi dell'imputato durante la sua deposizione. In realtà, si era verificato un unico intervento, non mentre il teste stava riferendo della presenza delle saette, bensì quando stava deponendo sull'utilizzo del carroponte. Era inattendibile l'affermazione della persona offesa, secondo cui non aveva collocato le saette, in quanto nel POS l'unica lavorazione per la quale erano previste era proprio quella concernente un manufatto come quello impiegato in detta circostanza.


 

Diritto
 



1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Va premesso che, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, l'impugnazione di legittimità è proponibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando attiene a censure che - benché formalmente prospettanti una violazione di legge o un vizio di motivazione - mirano in realtà a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997).
Alla Corte di Cassazione spetta soltanto di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la congruenza logica e l'adeguatezza della motivazione sul punto (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460), senza alcun potere di revisionare le circostanze fattuali della vicenda.
Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, la quale è sorretta da motivazione lineare quanto alla presenza delle cd. saette, la persona offesa negava di averle montate sul pezzo che stava lavorando. Affermava, altresì, di aver finito di saldare e che stava spazzolando la saldatura.
A fronte di tali dichiarazioni, solo il R., dipendente oggetto di interventi durante la sua deposizione da parte dell'imputato, sosteneva le saette erano state montate sul pezzo su cui stava lavorando la persona offesa e che P.MA. aveva rimproverato il Q.H. per non averle messe. Gli altri dipendenti (M. e B.) non erano stati in grado di affermare che le "saette" fossero state applicate al pezzo in lavorazione e così gli altri testi della MG s.a.s. (T. e R.) Anche il teste EJ. che in un primo momento calcava la mano rispetto a quanto riferito dal R., affermando che il Q.H. era oggetto di continui rimproveri da parte del P.MA. perché non lavorava in sicurezza, ammetteva poi che il Q.H. non aveva messo le "saette".
In tale quadro, il R. e il teste EJ. (allorché affermava di continui rimproveri) apparivano inattendibili, mentre lo era il Q.H., allorché affermava di non aver collocato le "saette". Qualora fosse stato consapevole che occorreva applicare le "saette" probabilmente lo avrebbe fatto e, in ogni caso, avrebbe sfumato sul punto nel rendere dichiarazioni piuttosto che negare di averle messo, attribuendosi una condotta in violazione delle asserite disposizioni aziendali.
Appariva ben più plausibile che il pezzo fosse rovinato a terra perché agganciato solo a due cavalletti ammalorati piuttosto che la persona offesa, come sostenuto dalla difesa degli imputati, avesse staccato le protezioni, non avesse chiamato nessuno che utilizzasse il carroponte per imbragare il pezzo, sia pure al solo fine di spostarlo e non di metterlo in sicurezza, e poi avesse volutamente dato le spalle al pezzo rovinatogli addosso.
Dalla logica ricostruzione della vicenda criminosa emerge che la Corte di appello ha attribuito prevalente rilievo alle dichiarazioni rese da B.M.L., tecnico della prevenzione della ASL, in ordine alla dinamica della vicenda criminosa, privilegiando la sua deposizione di teste imparziale rispetto a quella fornita dai lavoratori, alla luce delle condotte degli imputati e dei soggetti a loro vicini, in epoca successiva al fatto (trasporto clandestino in ospedale, con pressioni perché il Q.H. raccontasse una versione falsa; mutamento dei luoghi preordinato ad ostacolare la ricostruzione dell'accaduto; falsa rappresentazione dei fatti al tecnico della ASL) e, in particolare, del P. nel corso del dibattimento (tentativo di condizionamento del proprio dipendente sentito come teste e deposizione contraddittoria), circostanze che consentivano di desumere l'inattendibilità dei prevenuti e gettavano un'ombra sulla veridicità delle dichiarazioni dei testimoni loro dipendenti, verosimilmente sottoposti a pressione da parte del datore (il quale, se non si peritava di intervenire nel corso del processo, pare ragionevole ritenere che non si peritasse di intervenire a proprio vantaggio nel corso dei contatti quotidiani, gerarchicamente impostati).
Nel ricorso si prospetta che i dispositivi di sicurezza e, in particolare, le cd. saette e i cavalletti erano solitamente utilizzati per lo svolgimento dell'operazione in questione. In realtà, nella sentenza impugnata è stato compiutamente esposto che la persona offesa aveva negato di averle montate sul pezzo in lavorazione e che anche gli altri dipendenti (M., B. ed EJ.) nonché i lavoratori della MG (T. e R.) avevano affermato di non poter stabilire se le "saette" fossero state applicate; si è evidenziato, che il solo R., dipendente oggetto di interventi durante la sua deposizione da parte dell'imputato, sosteneva le saette erano state montate sul pezzo su cui stava lavorando la persona offesa e che P. MA. aveva rimproverato il Q.H. per non averle apposte, per cui doveva essere ritenuto inattendibile.
La Corte territoriale, con motivazione immune da censure, ha precisato che, come riferito dai testi B.M.L. e R., solo i titolari della ditta erano autorizzati ad utilizzare il carroponte, per cui non il Q.H., dipendente di altra ditta. Quest'ultimo, pertanto, aveva bisogno dell'intervento dei dipendenti autorizzati, al fine di imbragare il pezzo una volta finito di saldarlo e nessuno di coloro che potevano utilizzare il carroponte quel giorno affiancava la persona offesa.
In tale quadro fattuale, nella sentenza impugnata si è chiarito che appariva ben più plausibile che il pezzo fosse rovinato a terra perché agganciato solo a due cavalletti ammalorati piuttosto che la persona offesa, in modo suicida come sostenuto dalla difesa degli imputati, avesse staccato tutte le protezioni, non avesse chiamato nessuno che utilizzasse il carroponte per imbragare il pezzo, sia pure al solo fine di spostarlo e non di metterlo in sicurezza, e poi avesse volutamente dato le spalle al pezzo che gli era rovinato addosso.
Il ricorrente evidenzia che l'intervento di P.MA. per condizionare il teste R. era avvenuto solo durante un tema secondario della sua deposizione, ma non considera che la Corte di appello ha svolto una valutazione complessiva negativa del comportamento dei P. e di persone a loro vicine, dirette a modificare lo stato dei luoghi, a far sostenere alla persona offesa che l'incidente era avvenuto in altro cantiere e ad alterare il quadro probatorio.
La Corte territoriale ha sottolineato che, se la vicenda criminosa si fosse svolta nei termini sostenuti dalla difesa, non sarebbe stato necessario porre in essere i plurimi comportamenti finalizzati a modificare il quadro probatorio.
In ogni caso, le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, degli elementi di fatto e delle risultanze d'indagine che il giudice a quo giudicava idonei a integrare il compendio probatorio.

3. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e - non ricorrendo ragioni di esonero - al versamento della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.




Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 4 marzo 2021.