Categoria: Documentazione istituzionale
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Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati

Audizione Ministro Orlando
6 luglio 2021

 

Innanzitutto ringrazio il Presidente e tutti i commissari presenti per questa occasione di confronto e riflessione comune su un tema che ha una enorme rilevanza sociale e nei confronti del quale cui condividiamo la necessità di trovare soluzioni efficaci che riducano il numero di vittime che è assolutamente inaccettabile per la coscienza collettiva di questo Paese.
Gli infortuni pesano sul PIL nella misura stimata circa del 2,6%, gravando sul sistema sanitario, previdenziale, assicurativo, amministrativo e giudiziario, pesando sull’economia sana e lo stato sociale. Osservando la curva degli infortuni sul lavoro negli ultimi trent’anni si nota che non esiste una correlazione diretta con l’indice di disoccupazione o con l’andamento dell’economia, non è vero che diminuendo il lavoro, cala il numero degli infortuni, e viceversa. Gli incidenti sul lavoro non sono il prezzo della crescita o il frutto della decrescita economica ma sono correlati alla legalità del lavoro. Gli infortuni aumentano quando ci sono pochi controlli, maglie larghe nella contrattualistica, una più debole rappresentanza dei lavoratori.
Queste linee rappresentano, pertanto, le direttrici su cui muoversi con urgenza e vanno accompagnate da un profondo lavoro culturale di educazione alla legalità perché il solo approccio repressivo non basta.
Non vi è alcun dubbio che alcuni, recenti, tragici eventi abbiano riacceso l’attenzione sul fenomeno delle morti bianche sul lavoro, dato tragico che in realtà non si è mai interrotto. La politica non può occuparsi delle morti sul lavoro solo in concomitanza con gli eventi di cronaca più eclatanti, è sua responsabilità presidiare questo terreno con continuità e decisione.
E’ per questo che il d.lgs. n.81 del 2008, il c.d. testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ha previsto agli artt. 5, 6, 7 un sistema istituzionale permanente; articolato in sede centrale e regionale; per assicurare il più ampio coinvolgimento di tutti gli attori, istituzionali e sociali, col compito di monitorare, regolare e gestire la normativa, con la valorizzazione del dialogo sociale.
Occorre riconoscere che il livello centrale non è stato in grado, in questi anni, di garantire quella omogeneità e continuità operativa, di copertura su tutto il territorio nazionale, degli interventi di prevenzione, cui il Testo Unico attribuiva un ruolo fondamentale e che dovrebbero rappresentare uno strumento essenziale di stimolo e di contrasto alle disomogeneità.
Per superare questo limite, bisogna rendere più fluido il sistema istituzionale disegnato dal Testo Unico: potenziare il ruolo di cabina di regia del Comitato previsto all’art. 5 prevedendo una struttura dotata di un apparato stabile, un raccordo con gli altri soggetti pubblici coinvolti, delle risorse finanziarie e i necessari interventi regolamentari utili a garantirne il funzionamento efficace.
La redazione di un rapporto annuale al Parlamento inoltre costituirebbe un utile elemento di informazione e riflessione. Data la gravità e le dimensioni del fenomeno non possiamo permetterci vuoti di attività istituzionale sul tema. La rappresentanza politica pertanto va stimolata e dotata delle necessarie variabili conoscitive e decisionali, affinché lavori per garantire salute e sicurezza sul lavoro.
Gli infortuni sul lavoro hanno cause precise. Cause organizzative, essendo spesso espressione di illegalità e cattiva organizzazione. Bisogna quindi agire per scongiurarle e rimuoverle prima dell’evento. La sicurezza è un investimento in positivo e non un costo e questo va riconosciuto a tutte quelle aziende che operano nel pieno rispetto delle regole e che vanno valorizzate.
La risposta preponderante (ai fini della riduzione degli infortuni e delle patologie professionali ed ambientali) sta nel ruolo della prevenzione del rischio negli ambienti di lavoro e di vita. Ma anche la prevenzione è frutto di organizzazione, di buone prassi organizzative. Dobbiamo tornare (dopo gli anni dei tagli anche in questo settore) ad investire di più in prevenzione (informazione, formazione, assistenza e vigilanza); soprattutto in quella primaria che richiede la rimozione a monte dei fattori di rischio per la sicurezza di chi lavora, senza traslarli impropriamente su chi deve essere protetto. Come ormai dimostrato da diversi studi per ogni euro investito in prevenzione vi sono 4 euro di guadagno in salute.
È anche per questi motivi che la Riforma sanitaria, con lungimiranza, ha inserito le funzioni di prevenzione nel Servizio Sanitario Nazionale, demandandole ai servizi ispettivi delle ASL (a cui è attribuita, e va mantenuta, la principale attività di prevenzione e vigilanza).
Un aspetto fondamentale da prendere in considerazione riguarda perciò il processo di ammodernamento tecnologico, di macchine e attrezzature, anche mediante forme di incentivi: con particolare attenzione al tessuto delle piccole e medie imprese, al variegato mondo delle cooperative, ed ai lavoratori autonomi. Sono quelli che più hanno bisogno di supporto operativo, formativo e specialistico. Dovremmo avere un’attenzione particolare nel garantire forme di supporto alle realtà produttive - che meno spendono in sicurezza e prevenzione - per sostenere una diffusione generalizzata di standard di sicurezza elevati sui luoghi di lavoro.
L’Inail ha in cantiere diverse iniziative di incentivazione in questa direzione. L’ultima in ordine di tempo ha preso il via proprio la scorsa settimana. Le procedure, in parte già avviate, consentiranno entro qualche mese di intervenire direttamente a sostegno delle imprese che intendono incentivare il proprio sistema di sicurezza.
La direttrice tracciata dall’esperienza di questi 13 anni di applicazione del TUSL indica come necessaria la strada della sburocratizzazione e dell’alleggerimento degli oneri formali, soprattutto per le PMI, ma anche la necessità del supporto alle aziende virtuose, oltre a garantire l’effettività nelle norme, in molti casi varate e rimaste inapplicate, per cause di vario tipo, dalla mancanza dei decreti attuativi fino alla mancanza di strumenti di controllo.
Abbiamo costruito negli anni, anche grazie al costante recepimento degli strumenti normativi europei ed internazionali, un quadro normativo avanzato e completo per rendere sicuri e salubri gli ambienti di lavoro, in conformità a quanto prevede la nostra Costituzione all’articolo 41, che vieta lo svolgimento di una attività economica che possa offendere “la sicurezza e la dignità umana”.
Tuttavia, un assetto normativo, per quanto evoluto, non basta. Dobbiamo agire per ridurre lo scarto sensibile che ancora esiste tra la normativa e la realtà: garantire effettività ai principi, rafforzare le politiche pubbliche. In particolare, in tre ambiti: vigilanza, informazione, formazione; anche operando alcuni aggiustamenti al TU che consentano di adeguare il sistema di prevenzione sia all’evoluzione tecnologica, scientifica e organizzativa, sia alla nuova emergenza in materia di sicurezza dei lavoratori come dovuta alla pandemia.
Un ruolo essenziale nell’azione di prevenzione sta nel rafforzamento dell’attività di vigilanza nei luoghi di lavoro, assicurando una presenza maggiore soprattutto nei settori a più alto rischio infortunistico.
Va in questa direzione va il rafforzamento delle dotazioni organiche dell’Ispettorato nazionale del lavoro con l’assunzione di oltre 2.000 nuovi ispettori.
Analoghe misure di aumento degli organici dovranno riguardare anche i servizi ispettivi delle ASL; occorre reintegrare il personale perduto negli anni scorsi e definire gli standard di fabbisogno di personale nei servizi territoriali.
Gli infortuni non diminuiscono perché in molti casi la frammentazione e la debolezza del presidio statale consente di sfuggire con facilità alle norme sulla prevenzione. Sono diminuiti del 50% in 10 anni gli ispettori delle ASL, sono sempre troppi gli organi di vigilanza che non riescono a coordinarsi, ogni Regione e le due Province autonome adotta una propria politica di prevenzione, con diverse sensibilità rispetto alle imprese. Ventuno diverse politiche, mutevoli in base al quadro politico locale, oltre quella statale articolata a sua volta in diversi enti, sono incompatibili con un’unica strategia preventiva. Tra le tante lezioni che questa pandemia ci ha lasciato mi sento di sottolineare, pur nel rispetto delle autonomie locali, la necessità di un forte presidio centrale di coordinamento.
Sempre nell’ottica di migliorare l’attività di controllo, si rende necessario individuare forme efficaci di programmazione e di coordinamento dell’attività di vigilanza tra i diversi soggetti competenti in modo da garantire continuità ed effettività al controllo nei luoghi di lavoro.
Rafforzare il coordinamento tra le strutture del SSN e dell’I.N.L., con una pianificazione coordinata, in quanto sicurezza dei lavoratori e regolarità dei rapporti di lavoro sono temi strettamente legati, ma che richiedono competenze professionali diverse tra loro. Basti considerare le migliaia di infortuni che ogni anno non emergono, poiché coinvolgono lavoratori invisibili, “in nero” o comunque con rapporti di lavoro irregolari.
Occorre pertanto intervenire sulle aziende che insistono, per tornaconti economici o per difetto di legalità nei rapporti di lavoro, nella violazione delle normative. Si tratta, secondo i dati dell’INL relativi al 2019, di circa l’85% delle imprese ispezionate, quasi sempre PMI. In effetti incrociando questi dati con quelli dell’INAIL sugli incidenti si ricava che gran parte degli incidenti mortali o gravi si verificano in aziende di non grandi dimensioni, con assetti di modeste dimensioni, e con meno di 15 dipendenti o che hanno affidato in appalto l’esecuzione di importanti settori del ciclo produttivo.
Ne consegue che gli interventi incentivanti e quelli ispettivi devono prendere in considerazione soprattutto questa realtà imprenditoriale e lavorativa, al fine di supportare le imprese che intendono mettersi a norma e individuare quelle che operano nell’illegalità a danno dei lavoratori. Ecco perché è fondamentale anche il dialogo sociale con tutti i soggetti in campo.
Tali interventi si collocano in un più ampio scenario di riforma che il Governo ha proposto nel PNRR in relazione alla piaga del lavoro nero. Entro la fine del 2022, infatti, adotteremo un ambizioso Piano nazionale per la lotta al sommerso, con l’obiettivo di ridurre sensibilmente - di almeno un terzo - la distanza dell’Italia rispetto alla media europea nella diffusione del fenomeno. La sfida sarà soprattutto quella di rendere per le imprese i benefici dall’operare nella legalità superiori ai costi connessi all’utilizzo di lavoro irregolare, rendendosi a tal fine necessario un mix di misure di prevenzione e promozione del lavoro regolare accanto ad una ridefinizione delle misure di deterrenza.
Stiamo già lavorando all’elaborazione di un nuovo strumento operativo in capo agli organi di vigilanza rivolto alle imprese, che tenga conto, ove presente, del modello di organizzazione e gestione della sicurezza previsto dal d.lgs. 231 del 2001, per un intervento diretto, urgente e risolutivo in materia di tutela della sicurezza del lavoro, del contrasto al lavoro irregolare e allo sfruttamento del lavoro, mediante un controllo sulle imprese che in sede ispettiva dovessero essere sorprese con:
- lavoratori in nero in misura superiore al 10 % degli occupati;
- con gravi violazioni in materia di sicurezza del lavoro;
- presenza di lavoratori sfruttati;
- in occasione dell'accertamento dei reati di lesioni, omicidio colposo, disastro, rimozione delle cautele etc.
In presenza di tali condizioni si prevedono varie misure di supporto alle imprese anche interdittive, secondo gradualità e proporzionalità, in base alla gravità, entità e pericolo, dei fatti accertati; misure che variano dalla sospensione dell'attività, all'interdizione dell'esercizio dell'impresa, fino al divieto di contrattare con la p.a. e di  partecipare alle gare pubbliche.
Le misure attualmente in atto che vanno nella stessa direzione non prendono infatti adeguatamente in considerazione l’impresa nella sua storia complessiva, quanto le figure soggettive di chi le amministra o gestisce e di fatto non consentono di apprezzare la complessiva capacità dell’impresa di organizzarsi in materia di sicurezza
L’attività di vigilanza deve essere quindi mirata, programmata, frutto di una osservazione scientifica dei flussi informativi sulla realtà aziendali e sui rischi. È ben nota l’importanza di un sistema informativo per conoscere lo stato delle cose, programmare interventi e verificarne l’efficacia. Non a caso l’art. 8 del d.lgs. n. 81/2008 ha previsto il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), che, però, di fatto non è mai nato.
È indispensabile avere un sistema informativo moderno ed aggiornato; conoscere non solo gli infortuni indennizzati dall’Istituto assicuratore (INAIL) ma anche i rischi a cui i lavoratori sono esposti, comprendendo anche quelle condizioni di fragilità (es. rapporti di lavoro variegati, instabili, orari e turni) che vanno ad aggiungersi ai rischi lavorativi. Tanto più oggi, alla luce dei profondi cambiamenti nel mondo del lavoro che hanno spostato il baricentro, dal luogo di lavoro alla persona di chi lavora, anche al di fuori dell’ambiente aziendale.
È, inoltre, necessario conoscere meglio incidenti e infortuni stradali lavorativi, responsabili della metà degli infortuni mortali.
Inoltre va sempre ricordato che i dati sui danni da lavoro oggi noti riguardano il solo mondo degli assicurati INAIL dal quale sono esclusi circa un terzo dei lavoratori (subordinati ed autonomi, privi quindi di tutele), qui peraltro evidenziandosi la paradossale ed insostenibile asimmetria tra il limitato campo di applicazione della tutela INAIL (d.P.R. n. 1124/1965) e quello tendenzialmente universalistico della tutela prevenzionistica (d.lgs. n. 81/2008): una contraddizione sistemica che deve essere affrontata e superata.
Le informazioni utili a popolare un nuovo sistema informativo all’altezza delle aspettative esistono già e non sono necessari particolari investimenti in ulteriori raccolte di dati. La sfida principale, oltre alla volontà politica, risiede nella capacità di far dialogare i dati disponibili in diversi database: banca dati INAIL, quella (Nuovo Sistema Informativo Sanitario) del Ministero della Salute; dell’INPS, che riuniscono i dati sul lavoro dipendente, pubblico e privato; per la circolazione stradale l’ISTAT e l’ANAS, per l’ambiente ARPA; per l’agricoltura i dati dell’AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) e i dati sui lavoratori edili mantenuti dalle Casse Edili. Né vanno trascurati i dati delle Regioni e dell’INL sulle attività di prevenzione e controllo rispettivamente effettuate, da raccogliere ed inserire in una banca dati secondo schemi predefiniti a livello nazionale.
Uno Stato che vuole garantire sicurezza e legalità deve raccogliere e concentrare le migliori conoscenze tecniche, investigative, scientifiche, amministrative e produrre un’energica politica preventiva. Di questa si avvantaggerebbero soprattutto le imprese sane, le quali al contrario sono penalizzate dal rispetto delle regole, poiché subiscono una concorrenza sleale da parte di chi opera nell’illegalità.
La formazione costituisce un indispensabile strumento culturale di prevenzione perché coinvolge e responsabilizza lo stesso lavoratore rispetto ai pericoli insiti nella sua attività. La sua consapevolezza e preparazione sono la prima neutralizzazione del rischio, dove non possa operare l’eliminazione del rischio alla fonte.
Ma taluni operatori della formazione spesso offrono alle aziende servizi formali, non effettivamente formativi e questo svuota di significato l’obbligo formativo, a tutto svantaggio delle imprese sane che invece sostengono importanti costi per una formazione permanente, seria, efficiente.
Pertanto, anche quello dei controlli sull’effettività della formazione quale obbligo che deve realmente conseguire il risultato di istruire il lavoratore sui pericoli e sulle misure di prevenzione di cui ha bisogno, deve costituire una direttrice ispettiva fondamentale per dare seguito ed applicazione a tutti gli altri obblighi conseguenziali in materia di sicurezza del lavoro.
Sono attualmente in vigore 7 Accordi Stato-Regioni (in parte ripresi nel d.lgs. n. 81/2008), in molte parti similari, ma con differenze interpretative ed organizzative che favoriscono confusione ed incertezze applicative.
Queste criticità, unitamente alle disomogeneità nei sistemi regionali di 19 accreditamento, alla pressoché assenza di controlli, hanno favorito il proliferare di proposte formative assolutamente inadeguate con soggetti formatori non qualificati che hanno creato talvolta un mercato parallelo di adempimenti formali e, in alcuni casi, di vendita di attestati di formazione falsi, svilendo questa importante e fondamentale misura di prevenzione.
Il tema della formazione merita di essere anche considerato in relazione al rapporto con il mondo della scuola e nell’ambito dei programmi scolastici. Mi riferisco, ad esempio, ai percorsi degli istituti tecnici e professionali, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza e la sensibilità delle generazioni più giovani, che a loro volta diventeranno lavoratori e datori di lavoro.
Sul tema della consapevolezza e della cultura della sicurezza, pur riconoscendo che l’Italia è dotata di un quadro normativo certamente avanzato, potrebbe essere opportuno riflettere sulla realizzazione di una campagna nazionale che metta al centro del suo messaggio l’importanza della prevenzione. Sappiamo che le norme da sole non bastano, se non sono accompagnate un investimento culturale finalizzato ad incoraggiare atteggiamenti e comportamenti responsabili.
Al pari di altri Paesi europei, il Governo potrebbe quindi investire su una massiccia campagna di sensibilizzazione che possa essere rivolta a specifici gruppi target per meglio diffonderne e rafforzarne i messaggi.
Il tema della qualificazione delle imprese costituisce uno dei nodi irrisolti della tematica della sicurezza sul lavoro.
Balza infatti agli occhi la mancanza della previsione di una formazione per lo meno di base anche per i soggetti sui quali grava la più rilevante posizione di garanzia, vale a dire i datori di lavoro, (i quali, attualmente, sono obbligati a formarsi esclusivamente nelle ipotesi in cui intendano svolgere le funzioni di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione).
Da più parti si lamenta che la possibilità di avviare un’impresa dall’oggi al domani senza alcuna verifica circa le competenze professionali, oltre che sulla consistenza finanziaria, rischia di riverberare rilevanti riflessi negativi sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, oltre a poter costituire uno strumento di concorrenza sleale. Occorre pertanto che, nell’ambito della definizione dei requisiti minimi di qualificazione delle imprese, venga presa in attenta considerazione anche la formazione alla sicurezza del datore di lavoro: una formazione che sensibilizzi il datore di lavoro sull’importanza della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ferme restando le specifiche competenze tecniche in capo agli altri soggetti del sistema di prevenzione aziendale (RSPP, medico competente, dirigenti, preposti, RLS ecc.).
La previsione di un obbligo formativo in materia di sicurezza sul lavoro per il datore di lavoro costituirebbe null’altro che una ragionevole esplicitazione del principio affermato nell’art. 41 Cost., secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Emerge l’esigenza di prefigurare percorsi formativi stabili che ben possono essere organizzati anche avvalendosi della partecipazione delle stesse istanze di rappresentanza dei datori di lavoro.
Nel settore edile, che si prevede potrà più immediatamente beneficiare degli effetti della ripresa, lo scorso 25 giugno ho adottato il decreto ministeriale che introduce, a 
livello nazionale, il meccanismo di verifica della congruità della manodopera impiegata nel settore edile, sia nei lavori pubblici che privati, sulla base dell’accordo collettivo sottoscritto dalle Parti sociali nel settembre dello scorso anno.
Si tratta di un intervento attuativo di una disposizione contenuta nel decreto-
legge “semplificazioni” del 2020, al quale fin dall’inizio del mio mandato ho voluto imprimere il massimo impulso, nella consapevolezza che potesse costituire uno strumento concreto nella lotta al lavoro irregolare nel settore dell’edilizia. Anche in questa occasione, abbiamo fatto in modo di valorizzare il dialogo sociale, traducendo l’accordo dello scorso settembre in un provvedimento normativo.
La verifica di congruità, in particolare nel settore edile, può concorrere, infatti, a realizzare un’azione concreta di contrasto dei fenomeni di dumping contrattuale, promuovendo l’emersione del lavoro irregolare attraverso l’utilizzo di parametri idonei ad orientare le imprese operanti nel settore e assicurando un’effettiva tutela dei lavoratori sia sotto il profilo retributivo che per gli aspetti connessi alla salute e alla sicurezza.
Ai fini delle migliori sinergie istituzionali, è stato istituito un sistema di interscambio delle informazioni tra Ministero del lavoro, Ispettorato del lavoro nazionale, INPS, Inail e Commissione nazionale delle casse edili, che consenta di rendere disponibili gli esiti delle verifiche nonché i dati relativi ai contratti, ai lavoratori impiegati e alle relative retribuzioni e di programmare più efficacemente l’attività di vigilanza.
Inoltre, al fine di verificare l’efficacia e il funzionamento del nuovo sistema di congruità della manodopera, è costituito un comitato di monitoraggio composto da rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, dell’INPS, dell’INAIL, dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e delle Parti sociali firmatarie dell’Accordo collettivo del 10 settembre 2020. 
Per arginare gli infortuni sul lavoro dobbiamo chiederci non solo il perché, ma anche chi muore di lavoro.
Il lavoro uccide e ferisce più uomini che donne, più al sud che al nord, più in agricoltura e edilizia che in fabbrica; chi è addetto a macchine e impianti più che in uffici; colpisce i lavoratori in nero e quelli in grigio, fittiziamente regolari, negli appalti e nei subappalti, chi ha paura a rivendicare il proprio diritto alla salute, alla vita, alla dignità.
Ecco perché si impone un collegamento normativo con le nuove norme in materia di appalti, non solo nei lavori pubblici, e di rappresentanza dei lavoratori.
Non occorre aumentare le pene in caso di incidenti sul lavoro o allungare i tempi della prescrizione (già raddoppiati rispetto ai termini ordinari). Quella che si pone è la necessità di assicurare processi più veloci e soprattutto consentire l’applicazione delle normative in vigore da oltre 13 anni. Questo obiettivo si realizza con la certezza dei controlli prima ancora che con la certezza della pena.
Ma c’è un ulteriore fattore che riveste fondamentale importanza anche sotto il profilo della prevenzione e riguarda la tutela circolare dei diritti del lavoro: la vera prevenzione della salute si attua dando dignità e valore a chi lavora. Riconoscendo equilibrio e tutele nel rapporto di lavoro. Il rispetto di orari, riposi, salari, formazione, professionalità, stabilità nell’impiego, rappresentano la necessaria precondizione per un lavoro sicuro e dignitoso. I diritti del lavoro si tengono assieme, dall’inizio alla fine: e nulla è più dipendente da tutti gli altri diritti come quello alla salute. Non si può dimenticare mai che il lavoratore è una persona: dare centralità al lavoratore su ogni altro aspetto, questo è il cuore del problema che rimanda ai principi di ampia tutela del lavoro che innervano la nostra stessa Costituzione, ma anche le Carte e le Dichiarazioni internazionale dei diritti. Come è scritto nella Dichiarazione ILO del 1944, il lavoro non è una merce che  può essere scambiata, ceduta, subappaltata, parcellizzato, sottoposto a scadenza.
Chi lavora è portatore di diritti e non va lasciato solo; questo è un elemento fondamentale che attiene all’importanza della tutela collettiva, sindacale, del lavoro; e del dialogo sociale, che deve rappresentare sempre più un elemento di forza attorno a cui costruire gli interventi da mettere in campo per fronteggiare e prevenire in maniera adeguata il rischio di infortuni che purtroppo rimangono costanti. Così come le imprese devono avvertire la presenza di uno Stato che supporta e aiuta perché la sicurezza deve essere patrimonio collettivo.
Proprio la declinazione pratica del “dialogo sociale” ha consentito - nel corso della pandemia - alle Parti sociali di sottoscrivere importanti Protocolli condivisi per prevenire e limitare il rischio di contagio da COVID-19 e consentire la ripresa delle attività produttive e commerciali in sicurezza.
E questo dialogo sociale su una materia così delicata e avvertita anche dalla opinione pubblica, oggi più che mai, deve investire tutti: le istituzioni, ai vari livelli, le organizzazioni sociali di rappresentanza e i corpi intermedi, e la stessa società civile. Lo dico in questa sede che rappresenta un punto di osservazione speciale del fenomeno, credo ci siano davvero tutte le condizioni per mettere un campo una efficace azione di prevenzione e contrasto del fenomeno.


fonte: senato.it