Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Tribunale di Treviso, Sez. Civ., 07 luglio 2021 - Illegittimo il licenziamento disciplinare di chi omette al datore contatti indiretti col virus. La mancata comunicazione non mette in serio pericolo la sicurezza sul lavoro


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI TREVISO


in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Filippo Giordan, ha pronunciato la seguente

SENTENZA


ex art. 429 c.p.c.

nella causa di lavoro promossa con ricorso iscritto al R.G. nr. 1162/20 da:
(...)

ricorrente contro:
(...)

resistente

IN PUNTO: licenziamento disciplinare Tribunale di Treviso
 

Fatto



Con ricorso depositato il 4.11.2020, l'odierna ricorrente esponeva di aver lavorato alle dipendenze della ... di ..., esercente l'attività di ambulatorio specializzato in medicina estetica, svolgendo le mansioni di massaggiatrice in forza di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato stipulato con decorrenza 21.12.2015. Riferiva di essere stata licenziata in data 15.04.2020 all'esito di una contestazione disciplinare del 13.03.2020 in cui le veniva addebitato, in sintesi: a) di essersi recata in data 24.02.2020 presso la Caserma dei Carabinieri di ... comunicando di aver eseguito in data 22.02.2020 un massaggio ad una cliente che le avrebbe confidato che la figlia sarebbe stata a contatto con una persona contagiata dal coronavirus; b) di non aver riferito tale circostanza all'assistente del medico e al direttore sanitario; c) di aver comunque riferito ai Carabinieri dei fatti non esatti atteso che la cliente - interpellata per le opportune verifiche - non aveva detto che la figlia era stata a contatto con un positivo ma che sarebbe stata in ansia se la figlia non fosse rientrata dalla Cina a metà dicembre 2019 e che la figlia in questione ora lavorava e viveva vicino a Belluno nella sede principale di una società che aveva chiuso gli uffici di Milano per bonifica, atteso che una dipendente era andata a pranzo con una persona che era stata contagiata ma che comunque tutto era risultato negativo.

La ricorrente sosteneva l'illegittimità del licenziamento per tardività della contestazione e per difetto di proporzionalità tra condotta addebitata e sanzione. Chiedeva l'applicazione della tutela indennitaria per le aziende di dimensioni minori di cui al D.Lgs. n. 23/2015 e l'indennità sostitutiva del preavviso.

Si costituiva in giudizio la società ex datrice di lavoro argomentando in ordine alla tempestività e precisione della contestazione disciplinare e al rispetto del principio di proporzionalità attesa la ritenuta estrema gravità delle condotte poste in essere dall'ex dipendente.

La causa, senza necessità di istruttoria orale, è stata discussa e decisa all'udienza del 7.07.2021.

 

Diritto



L'eccezione di tardività della contestazione disciplinare non è fondata considerando che "in materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo l'addebito non grave o comunque non meritevole della massima sanzione (Cass. n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005; Cass. n. 11100 del 2006). Si è inoltre sottolineato come il criterio dell'immediatezza, esplicazione del generale precetto di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto di lavoro, vada inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, necessario per l'accertamento e la valutazione dei fatti, specie quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un'unica condotta, ed implichi pertanto una valutazione globale ed unitaria, ovvero quando la complessità dell'organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell'organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere, sicchè risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti e, quindi, di adozione dei relativi provvedimenti (Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007; Cass. n. 19159 del 2006; Cass. n. 6228 del 2004; Cass. n. 12141 del 2003)" (Cass. sez. lav., 04/01/2019, n. 88). Nel caso di specie il datore di lavoro - al fine di poter valutare compiutamente la vicenda - ha correttamente svolto una doverosa attività di controllo anche contattando e richiedendo le necessarie precisazioni alla cliente. Inoltre, anche sotto il profilo strettamente temporale i fatti risalgono al 22 - 24 febbraio 2020 e la contestazione è stata elevata a meno di un mese di distanza, il 19.03.2020.
Quanto al merito, parte resistente sostiene che la ricorrente avrebbe dovuto comunicare al datore di lavoro (rectius, all'assistente del medico e al direttore sanitario) in ottemperanza agli obblighi di informazione previsti anche dal DVR aziendale. È certamente vero che il DVR prevede - peraltro riprendendo le previsioni dell'art. 20 D.Lgs. n. 81/2008 - che il lavoratore debba segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (doc. 2 res.). Nel caso di specie, tuttavia, se certamente poteva ritenersi opportuno e preferibile - per un principio di massima precauzione - comunicare il contenuto della conversazione avuta con la cliente al datore di lavoro, non è però possibile ritenere che quanto - peraltro erroneamente - appreso dalla ricorrente nel corso di tale conversazione potesse rappresentare un significativo, concreto e immediatamente percepibile pericolo per la sicurezza nell'ambiente di lavoro. La ricorrente aveva inteso che la cliente avesse una figlia che era stata in contatto con una persona positiva al Sars-Cov-2 ma: a) non era noto se la cliente vivesse con la figlia o avesse avuto con lei contatti stretti negli ultimi tempi; b) non era noto a quando risalisse il contatto della figlia con il soggetto positivo; c) in ogni caso, la cliente sarebbe stata definibile - al più - come "un contatto di contatto", cioè una persona che (forse) era stata a contatto con un'altra persona che a sua volta (non si sa quando) era stata a contatto con un positivo. Sul punto basti rilevare che persino oggi - in epoca in cui le conoscenze sul Covid19 sono certamente superiori rispetto all'epoca dei fatti - neppure si prevede il tampone diagnostico, l'isolamento o la quarantena per i c.d. contatti indiretti (si rinvia alle informazioni reperibili sul portale dell'Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute).
Quanto poi al fatto che la ricorrente si sia recata dai Carabinieri riferendo ciò che - a sua memoria - le era stato riferito dalla cliente su tale contatto indiretto e che tale versione sia stata poi smentita dalla cliente diretta interessata (secondo cui non avrebbe affatto riferito che la figlia avrebbe avuto un contatto con un soggetto positivo), nessun particolare disvalore disciplinare può essere ravvisato nella condotta della lavoratrice. La stessa - anche solo per esigenze di tipo informativo che allora apparivano più che giustificate considerando la novità dell'emergenza sanitaria - si è limitata a riferire ciò che credeva di aver sentito dire dalla cliente senza che sia emersa alcuna prova o alcun indizio di una premeditata volontà o dolosa intenzione di raccontare delle circostanze che sapeva non essere vere.

Per le ragioni esposte il licenziamento va dichiarato illegittimo per difetto di proporzionalità tra condotta e sanzione adottata.

Venendo in rilievo un rapporto di lavoro instaurato successivamente al 7.03.2015 con un datore di lavoro non avente i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, co. 8 e 9 l. n. 300/70, la disciplina applicabile è quella di cui al combinato disposto degli artt. 3, co. 1 e 9 D.Lgs. n. 23/2015 alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 194/2018. Tenuto conto dell'anzianità di servizio della ricorrente (circa quattro anni e mezzo), delle modeste dimensioni aziendali (cfr. visura in atti e LUL), e del comportamento delle parti, si ritiene equa la liquidazione dell'indennità nella misura di quattro mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (pari alla somma non contestata di Euro 791,68 mensili).

Spetterà, inoltre, anche l'indennità di mancato preavviso richiesta nelle conclusioni del ricorso. Per i licenziamenti assistiti dall'omologa tutela obbligatoria di cui all'art. 8. L. n. 604/1966 il giudice di legittimità ha condivisibilmente affermato che il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco, di guisa che, stante la diversità di funzioni, esso non è incompatibile con la prestazione che risarcisce i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa o giustificato motivo: "conseguentemente non vi è incompatibilità fra le due prestazioni, mentre sarebbe irragionevole sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, l'uno intimato con preavviso e l'altro in tronco" (cfr. Cass. sez. lav., n. 23710 del 19/11/2015). La somma dovuta alla ricorrente è pari a quella dovuta per venti giorni di calendario ex art. 247 CCNL (doc. 11 res.) che corrisponde a: 791,68 (retribuzione mensile comprensiva di rateo di 13°): 30 = 26,39 x 20 = 527,80.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo tenendo conto che non è stata svolta attività istruttoria e operando sin d'ora la dimidiazione ex art. 130 D.P.R. n. 115/2002 attesa l'ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

 

P.Q.M.
 


Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Treviso, disattesa ogni altra domanda, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando, così provvede:

- Accerta e dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato alla ricorrente e, in applicazione degli artt. 3, co 1 e 9 D.Lgs. n. 23/2015, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna la resistente al pagamento in favore della ricorrente di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 4 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (pari ad Euro 791,68 mensili) oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data del licenziamento al saldo, nonché al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso pari ad Euro 527,80, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data del licenziamento al saldo;

- Condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite in favore dello Stato che si liquidano in complessivi Euro 900 oltre accessori di legge, già operando la dimidiazione ex art. 130 D.P.R. n. 115/2002 attesa l'ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Treviso, il 7 luglio 2021.