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L’obbligo del medico competente di collaborazione alla valutazione dei rischi: un inquadramento normativo e giurisprudenziale.
 

di Cristiano Mirisola, Medico competente

SOMMARIO: 1. Riepilogo normativo. - 2. Riepilogo della giurisprudenza. - 2.1 La sentenza del Tribunale di Pisa n. 399 del 13 aprile 2011. - 2.2. La sentenza del Tribunale di Pisa n. 1756 del 7 dicembre 2011. - 2.3 La sentenza della Sezione III Cassazione Penale n. 1856 del 15 gennaio 2013. - 2.4 La sentenza della Sezione III Cassazione Penale n. 38402 del 9 agosto 2018. - 3. Conclusioni.

1. Riepilogo normativo
La previsione di un obbligo per il Medico Competente (MC) di collaborare con il Datore di Lavoro (DdL) alla Valutazione dei Rischi (VdR) risale al 15 maggio 2008, data di entrata in vigore del D.Lgs. 81/08, ed è contenuto alla lettera a) del primo comma dell’art. 25
¹.
La definizione di MC prevista dal D.Lgs. 81/08 all’articolo 2, lettera h)
² risulta coerente con tale previsione: la collaborazione alla VdR non solo è attività esplicitamente distinta dalla sorveglianza sanitaria, ma ne permette uno svolgimento corretto solo se è ad essa propedeutica. Si tratta di una innovazione radicale, atteso che storicamente era la sorveglianza sanitaria il baricentro attorno al quale si strutturava l’attività del MC.
L’introduzione di una specifica sanzione penale a carico del MC per la mancata collaborazione alla VdR compare con la successiva emanazione del D.Lgs. 106/09 (di modifica del D.Lgs. 81/08), entrato in vigore il 20 agosto 2009
³.
Come ovvio, anche per il DdL che non effettui la VdR in maniera corretta, ovvero come indicato dall’art. 29 comma 1 del D.Lgs. 81/08, è prevista una specifica sanzione
. Il comma coerentemente prevede che il DdL debba svilupparla in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e con il MC. In maniera meno coerente, però, la collaborazione del MC viene circoscritta ai soli casi di cui all’articolo 41.
Numerosi sono i commenti che con costanza hanno segnalato l’incongruenza di questo percorso: il MC, infatti, dovrebbe collaborare alla VdR solo dopo che il DdL ed il RSPP abbiano stabilito se sia necessaria la sorveglianza sanitaria. Queste due figure non sono però per definizione in possesso delle conoscenze di natura medica indispensabili per stabilire tale necessità.
Nel marzo del 2014, su sollecitazione della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, la Commissione Interpelli presso il Ministero del Lavoro ha espresso un parere (5/2014) in merito a questo obbligo. La sostanza del parere, che riporta ampissimi stralci della Sentenza n. 1856/13 della Cassazione commentata più avanti, fornisce almeno tre significative indicazioni.
In premessa all’Interpello la Commissione ha voluto citare non solo il contenuto della lettera a) del comma 1 dell’art. 25, ma anche quello della lettera m): “partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria”. Come emergerà più avanti dalla lettura delle sentenze, questa citazione rafforza l’interpretazione che l’obbligo in oggetto non si esaurisce con la partecipazione alla sola elaborazione della valutazione dei rischi; al MC infatti è richiesta anche una attiva collaborazione nella gestione stessa delle misure di tutela dei lavoratori (prevenzione e protezione) dai rischi specifici.
Secondo aspetto degno di nota dell’Interpello, riguarda i casi, invero frequenti, di nomina del MC a redazione della VdR già ultimata o di subentro ad altro MC. Viene previsto che in queste situazioni il nuovo MC, al fine di confermare (o eventualmente modificare) il Protocollo sanitario, “debba - previa acquisizione delle necessarie informazioni da parte del DdL e presa visione dei luoghi di lavoro - provvedere ad una rivisitazione della valutazione stessa”.
Nella chiosa, infine, la Commissione ribadisce l’obbligo per il DdL di richiedere la collaborazione del MC sin dall’inizio del processo valutativo e significativamente aggiunge: “a partire dalla scelta dei metodi da adottare per la VdR”. Avendo a mente che è lasciata alla libera scelta del DdL la individuazione di tali metodi (che devono rispondere solo ad un requisito di appropriatezza), risulta come si tratti di un dettaglio dalle importanti ricadute per il MC.
In sintesi, l’Interpello delinea - in maniera coerente, ma certo anche impegnativa - una funzione continua del MC lungo tutto l’arco di sviluppo della VdR: dalla scelta dei criteri di valutazione fino alla gestione delle misure di tutela.

2. Riepilogo della giurisprudenza
Si analizzano di seguito le prime sentenze che sono intervenute in merito all’obbligo in commento, il quale ha confini indefiniti e di conseguenza una estensione potenzialmente imprevedibile. In analogia con la quanto la dottrina afferma a proposito dell’art. 2087 c.c. - si parva licet - si potrebbe affermare che per il MC quello della collaborazione alla valutazione dei rischi è un “obbligo di chiusura”.
Non si può escludere che al numero infinito di situazioni concrete possibili, possano corrispondere altrettante modalità di interpretazione dell’obbligo in sede ispettiva o giurisprudenziale. Si proverà, quindi, a ripercorrere gli enunciati di giurisprudenza esistenti (riportando ampi stralci delle sentenze) al fine di individuare il percorso decisionale ed i criteri di giudizio del Giudice, con un duplice auspicio. Che questi elementi possano fornire al MC delle indicazioni su come riempire gli spazi che la norma lascia aperti. Ma anche che, pur nella consapevolezza che l’impianto giuridico spesso favorisce un vaglio solo formale, il giudizio degli interpreti si ancori ad una valutazione di effettività e sostanzialità rispetto al bene tutelato, ovvero l’integrità psico-fisica del lavoratore.
Le tre vicende processuali qui in commento hanno tutte avute esito di condanna per il MC. La prima è stata comminata dal Tribunale di Pisa nell’aprile del 2011 e non si ha notizia di un ricorso ai gradi di giudizio superiori. Una seconda condanna, ancora del Tribunale di Pisa, si è avuta pochi mesi dopo, ovvero nel dicembre dello stesso anno: la condanna è poi stata confermata dalla Cassazione Penale nel gennaio 2013. Meno risalente è invece il terzo rinvio a giudizio, promosso nell’aprile 2017 dal Tribunale di Pistoia, e conclusosi nell’agosto del 2018 in Cassazione Penale.

2.1 La sentenza del Tribunale di Pisa n. 399 del 13 aprile 2011
Gli elementi che si addebitano al MC in questa pronuncia, stando alla forma in cui sono riportati, appaiono incontestabili. Si pensi a quando si afferma che la VdR sottoscritta dal MC “presentava incongruenze in relazione all’esposizione quotidiana al rumore e alle vibrazioni e descriveva un livello di rischio da movimentazione dei carichi modesto senza giustificare le motivazioni che hanno reso necessaria la sorveglianza sanitaria per il rischio movimentazione dei carichi per tutti i lavoratori” e che non aveva il MC “provveduto a individuare esattamente il grado di rischio connesso alla movimentazione dei carichi, all’esposizione quotidiana dei dipendenti al rumore e alle vibrazioni”. O ancora al seguente passaggio:[…] gli organi ispettivi hanno verificato alcune incongruenze tra quanto risulta nel documento di valutazione dei rischi aziendali rispetto al protocollo sanitario adottato dal medico”.
Le argomentazioni della Sentenza si sviluppano lungo il solco tracciato dal D.Lgs. 81/08 che, come visto, prevede la collaborazione alla VdR come preliminare alla sorveglianza sanitaria. D’altra parte ai fini di un corretto adempimento dell’obbligo sarebbe stato sufficiente adottare il seguente schema operativo, universalmente riconosciuto come ispirato a basilari principi della medicina del lavoro:
- individuazione delle Mansioni specifiche all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi o richiesta al DdL di individuarle con chiarezza ove, come purtroppo ancora spesso accade, esse non siano esplicitate in maniera univoca ed intellegibile;
- ricostruzione del profilo di rischio per Mansione in accordo con gli esiti della VdR;
- individuazione della tipologia e graduazione della periodicità degli Accertamenti sanitari in funzione della gravosità dei fattori di rischio come emersa dalla VdR.
Meno condivisibili, almeno dal punto di vista di chi scrive, appaiono invece altri passaggi. Innanzitutto quando si afferma che il MC: “ometteva di collaborare attivamente alla valutazione dei rischi rispetto all’organizzazione del primo soccorso e delle emergenze, non tenendo in considerazione per l’attività di montaggio dei ponteggi delle attrezzature e dei DPI necessari al salvataggio e le loro modalità di utilizzo”. Senza dubbio rientrano tra i compiti del MC, in quanto relativi alla gestione sanitaria delle situazioni di emergenza, la verifica della congruità ed integrità dei presidi di primo soccorso come dell’avvenuta formazione degli addetti alle emergenze. Con altrettanta certezza, invece, si può affermare che si trovano al di là della portata delle sue competenze disciplinari e tecniche, valutazioni come quelle richieste per montaggio ed utilizzo dei ponteggi.
Altro passaggio critico risulta quello in cui si afferma che al MC: “competeva lo specifico compito di assicurare il rispetto della normativa di settore”, formulazione palesemente esorbitante rispetto al suo inquadramento - di consulente fiduciario del DdL sprovvisto di poteri operativi - e che si può ragionevolmente supporre sia il frutto di una impropria scelta terminologica.

2.2. La sentenza del Tribunale di Pisa n. 1756 del 7 dicembre 2011
Prima di addentrarsi negli aspetti di merito riguardo le modalità di collaborazione alla valutazione dei rischi ivi delineati, va notato come la Sentenza abbia voluto sottolineare la carica innovativa introdotta dal nuovo obbligo: “[…] in estrema sintesi si può dunque affermare che i più recenti interventi del legislatore hanno sensibilmente modificato la figura professionale del medico competente, aggiungendo alle sue tradizionali attribuzioni in materia di sorveglianza sanitaria il nuovo ruolo di consulente del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi.” Non a caso il Giudice si sente in dovere di aggiungere che: “con la comminatoria della sanzione penale il Legislatore ha voluto stimolare l’adeguamento della figura del medico competente alle nuove attribuzioni - e in definitiva alla nuova mentalità professionale - che gli sono state assegnate”.
Nella Sentenza stessa, però, si riconosce come: “assai più problematica appare invece, l’individuazione dell’esatto contenuto precettivo della norma, stante l’evidente genericità del modello di condotta sanzionato come doveroso” e che con la sanzione introdotta dal D.Lgs. 106/09, “come evidenziato dai commentatori più avvertiti, è indubbio che si sia creata per questo verso una evidente disarmonia all’interno del sistema di prevenzione e protezione dal momento che tra le due figure professionali ugualmente gravate del ruolo di ausiliario del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi (il responsabile del servizio di prevenzione e protezione previsto dall’art. 33 e il medico competente) è stato assegnato rilievo penale solo alla mancata collaborazione di quest’ultimo, e non invece a quella del primo.”
Meritorie, quindi, ai fini dell’individuazione del “modello di condotta”, sono le successive statuizioni del Giudice: “posto che il medico competente non potrebbe surrogarsi nell’adempimento di un obbligo di facere proprio dell’imprenditore, la responsabilità della mancata predisposizione del D.V.R. da parte dell’Azienda non potrebbe in nessun caso essere fatta ricadere sull’odierna imputata.” Ed anche: “Ciò che si chiede al medico competente non è infatti l’adempimento di un obbligo altrui, ma lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, vale a dire l’esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria.” Infine: “Una volta che il medico competente abbia assicurato quanto sopra, egli ha esaurito il perimetro della sua condotta doverosa, con l’ovvia conseguenza che l’eventuale ulteriore inerzia del datore di lavoro diverrebbe costitutiva di esclusiva responsabilità penale di quest’ultimo ai sensi dell’art. 55 comma 1 lett. a) del D.Lgs. 81/08 che sanziona la mancata effettuazione della valutazione dei rischi da parte dell’imprenditore.”
Ma la Sentenza contiene ancora altri elementi che possono permettere di meglio definire il contenuto dell’obbligo. Il sopralluogo effettuato dall’Organo di Vigilanza che aveva dato origine alla vicenda - condotto in una azienda di conservazione, immagazzinamento e commercio pellami - aveva infatti evidenziato: “la presenza di fattori di rischio rappresentati: 1) dal rischio biologico derivante dalla presenza sul pavimento di diffusi residui organici (sangue, brandelli di carne, liquidi biologici) prodotti dalle cataste di pelli sottoposte a salatura; 2) dal rischio di scivolamento derivante dalla stessa circostanza di cui sopra; 3) dal rischio di inalazione dei gas di scarico prodotti dai carrelli elevatori utilizzati all’interno del capannone aziendale; 4) dal rischio di cadute dall’alto derivanti dall’utilizzo di un soppalco non protetto.”
Che all’interno della Sentenza siano riportate le condizioni riscontrate dall’Organo di Vigilanza durante l’accesso al luogo di lavoro con il livello di dettaglio ora visto, induce a concludere che anche il sopralluogo abitualmente effettuato dal MC non possa non rilevare (e verbalizzare) con analoga completezza lo stato degli ambienti lavorativi.
Sul sopralluogo sono ancora le parole del Giudice ad introdurre ulteriori e vincolanti elementi di indirizzo: “in materia di valutazione dei rischi l’operato professionale del medico competente è sorretto da due fondamentali canali di acquisizione di dati. Il primo è rappresentato dalle informazioni che debbono (o dovrebbero) essergli fornite dal datore di lavoro, in assenza delle quali viene meno la stessa base conoscitiva sulla quale il medico competente dovrebbe valutare ed operare (si pensi a questo proposito alle informazioni circa l’organizzazione del lavoro, la descrizione degli impianti e dei processi produttivi, la natura delle sostanze impiegate ecc. che il datore di lavoro è tenuto ad indicare al medico competente ai sensi dell’art. 18 comma 2).” Lo stesso non si può dire per “il secondo canale” che “è invece costituito dalle conoscenze che il medico competente può e deve acquisire di sua iniziativa, per esempio in occasione delle visite annuali agli ambienti di lavoro previste dall’art. 25 lett. 1) o in conseguenza delle informazioni ricevute direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria, delle segnalazioni provenienti dal servizio di prevenzione e protezione, di quelle fornite dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ecc.” Quindi: “mentre è evidente che il medico competente non può essere chiamato a rispondere dell’omessa valutazione dei rischi la cui conoscenza gli era impedita dall’inerzia del datore di lavoro, lo stesso non può dirsi per quei profili di rischio che egli poteva e doveva conoscere di scienza propria in virtù dei canali officiosi di acquisizione dei dati da ultimo menzionati. In questo secondo caso deve ritenersi che rientri nei compiti di collaborazione prescritti dall’art. 25 l’obbligo di segnalare al datore di lavoro tutti i profili di rischio di cui il medico competente sia comunque venuto a conoscenza unitamente all’indicazione delle misure di tutela ritenute necessarie, senza bisogno di attendere di essere a ciò richiesto dall’imprenditore.”
Altra determinante conclusione pare imporre la lettura di un brano contenuto nella parte finale della Sentenza: […] si contesta infatti all’imputata […] la mancata evidenziazione dei rischi biologico e chimico […] in una con le contromisure sanitarie ritenute necessarie.” Tale passaggio ricalca quanto si legge nell’art. 25.1.a: “Il MC collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione […] alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori” e pone la questione di quali debbano essere le attribuzioni del MC in materia di prevenzione primaria, ovvero di rimozione (o di riduzione al minimo) dei fattori di rischio stessi. Stante la appropriata formula rinvenibile nella Sentenza stessa, il compito del MC pare potersi identificare nella “esauriente sottoposizione al datore di lavoro di rilievi e proposte” in merito non solo alla collaborazione alla valutazione, ma anche alla gestione dei rischi.
A parere di chi scrive, infine, può forse incidentalmente affermarsi che il sopralluogo non può comunque mai assurgere ad una certificazione di conformità dei luoghi di lavoro, dovendosi limitare ad una loro verifica puntuale al momento dell’accesso. Nulla, infatti, può essere imputato al MC in merito alle condizioni dei luoghi di lavoro in altri momenti diversi da quello del sopralluogo.

2.3 La sentenza della Sezione III Cassazione Penale n. 1856 del 15 gennaio 2013
Questa Sentenza contiene le motivazioni con cui la Cassazione rigetta il ricorso contro la condanna inflitta dal Tribunale ordinario con la Sentenza n. 1756 /2011 ora vista.
Va subito segnalato che anche la Suprema Corte si perita di sottolineare come: “In maniera pienamente condivisibile il provvedimento impugnato pone in rilievo, oltre alla evidente disparità di trattamento di situazioni analoghe (si riferisce a RSPP e MC, N.d.A.) anche la estrema genericità del modello di condotta sanzionato dalla disposizione”.
Per quanto di merito, la Sentenza innanzitutto rigetta lo specioso argomento difensivo secondo il quale la mancata collaborazione alla VdR può essere addebitata al MC solo nel caso in cui questi, nonostante una esplicita richiesta del DdL, vi si sottraesse. E viene precisato, riprendendo in maniera letterale le argomentazioni del Giudice di merito, che l’interpretazione del Giudice di primo grado non aveva oltremodo ampliato il contenuto dell’obbligo, in quanto: “non è affatto richiesto (al MC N.d.A.) l'adempimento di un obbligo altrui” e che risultano coinvolte esclusivamente: “le sue competenze professionali in materia sanitaria”.
A sostegno di questa impostazione la Cassazione aggiunge altre sostanziali puntualizzazioni: “E' evidente, avuto riguardo all'oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il "medico competente", portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell'obbligo mediante l'apporto di qualificate cognizioni tecniche. L'espletamento di tali compiti da parte del "medico competente" comporta una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale.”
Pure questa Sentenza, infine, conferma la necessità per il MC di avvalersi della duplice modalità di acquisizione delle informazioni (trasmesse dal DdL ma anche raccolte durante la sua attività) vista nella pronuncia n. 1756/11.

2.4 La sentenza della Sezione III Cassazione Penale n. 38402 del 9 agosto 2018
La Sentenza rigetta il ricorso contro una condanna di primo grado, questa volta inflitta il 27 aprile 2017 dal Tribunale di Pistoia; due sono i suoi aspetti da segnalare.
Il primo riguarda la costanza nel tempo delle argomentazioni addotte a giustificare la condanna. A distanza di cinque anni, infatti, la Sentenza continua a riprendere (anche questa volta in maniera letterale) i principi espressi in quella del Tribunale di Pisa del dicembre 2011 e fatti propri anche dalla pronuncia di Cassazione del gennaio 2013. Ai fini della auspicata individuazione del “modello di condotta”, tale costanza è certo positiva se può essere considerata come un approdo già stabilizzatosi nell’attività ermeneutica dell’interprete.
L’altro aspetto per cui è utile un commento riguarda il seguente passaggio: “avuto riguardo alle finalità della normativa quanto alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, le omissioni hanno natura di reato permanente e di pericolo astratto, per cui - ai fini della configurazione - non era necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivasse un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore (Sezione III Cassazione Penale, n.6885 del 23 novembre 2016)”.
Si tratta, come risaputo in ambito giuridico, della distinzione operata dal diritto penale tra reato di evento (o danno) e reato di pericolo. A differenza che nel primo, ove si consuma una effettiva lesione del bene giuridico tutelato, nel secondo l'evento giuridico consiste nella sua mera messa in pericolo; si parla non a caso di “anticipo della tutela”. Fino alla emanazione del D.Lgs. 106/09 in questo ambito, il MC e l’RSPP rispondevano allo stesso modo per colpa specifica solo al verificarsi di un evento lesivo. Con il Decreto del 2009 e con l’introduzione della sanzione penale, che opera l’“anticipo della tutela” appena visto, diviene possibile - ma esclusivamente per il MC - la contestazione della mera omissione dell’obbligo di collaborazione, anche in assenza di un danno alla salute del lavoratore da tale omissione derivata.

3. Conclusioni
Dal combinato disposto tra il dettato legislativo, il contenuto dell’Interpello 5/2014 e le pronunce di giurisprudenza, emerge che il MC può svolgere correttamente l’attività di sorveglianza sanitaria dei lavoratori solo se preliminarmente adempie in maniera esaustiva ai suoi compiti collaborativi con il DdL in merito alla VdR. La radicalità dell’innovazione è definitivamente evidente quando si consideri che tale collaborazione richiede anche che il MC sottoponga al DdL rilievi e proposte in merito sia alla congruità dei metodi adottati per la VdR, sia alla contromisure sanitarie ritenute necessarie per contenere l’effetto potenzialmente lesivo dei fattori di rischio specifico.
Tale “nuovo ruolo di consulente del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi”, quindi, richiede “l’adeguamento della figura del medico competente alle nuove attribuzioni - e in definitiva alla nuova mentalità professionale - che gli sono state assegnate”.
A distanza di oltre una decade dalla innovazione legislativa è possibile affermare che tale percorso di adeguamento non è ancora completato; i due principali fattori causali di questo ritardo paiono risiedere nella necessità di un rilevante aggiornamento disciplinare dei MC e nella “evidente genericità del modello di condotta sanzionato come doveroso”.
La comunità scientifico-professionale della Medicina del Lavoro può favorire tale adeguamento sia strutturando percorsi di aggiornamento professionale che integrino con le nuove conoscenze richieste il già vasto bagaglio disciplinare, sia codificando prassi professionali che individuino le modalità necessarie a soddisfare l’obbligo, avendo al contempo l’assillo di rifuggire da ogni tentazione di piegarne la formulazione a mere finalità medico-legali.
Vanno ancora segnalati la “evidente disarmonia” tra il RSPP ed il MC in ragione del rilievo penale attribuito solo alla mancata collaborazione di quest’ultimo e l’incongruenza per cui il MC dovrebbe collaborare alla VdR solo dopo che il DdL ed il RSPP abbiano stabilito se sia necessaria la sorveglianza sanitaria.
Un ripensamento di tali disposizioni potrà certo essere favorita da una ulteriore azione di sensibilizzazione svolta dagli operatori e dalle comunità scientifico-professionali che, in senso ampio, intervengono in materia di salute e sicurezza del lavoro. Il loro eventuale superamento, però, potrà avvenire solo per via legislativa.

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¹ Il medico competente: a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di “promozione della salute”, secondo i principi della responsabilità sociale;
² h) «medico competente»: medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto;
³ Articolo 58 comma 1 lettera c): arresto fino a tre mesi o ammenda da 491,40 a 1.965,61 euro.
Articolo 55 comma 1 lettera a): arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da € 3.071,27 a 7.862,44 euro.