Corte d'Appello Perugia, Sez. lavoro, 29 luglio 2021 - Risarcimento danno
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D' APPELLO DI PERUGIA
- SEZIONE LAVORO -

composta dai magistrati:
Dr.ssa Alessandra Angeleri - Presidente est.
Dr.ssa Simonetta Liscio - Consigliere
Dr Pierluigi Panariello - Consigliere
ha pronunciato la seguente
 

SENTENZA

nella causa civile in grado d'appello iscritta al n. 204 dell'anno 2020 Ruolo Gen. Contenzioso Lav. Prev. Ass.,

promossa da

G.R., rappresentato e difeso - come da delega rilasciata su supporto cartaceo, la cui copia informatica, autenticata dal difensore con firma digitale, è stata depositata in via telematica contestualmente all'atto d'appello, ai sensi dell'art. 83, terzo comma, penultimo periodo c.p.c. - dall'avvocato D. B.

- appellante -

contro

D.E.R., rappresentato e difeso - in virtù di delega rilasciata su supporto cartaceo, la cui copia informatica, autenticata dal difensore con firma digitale, è stata depositata in via telematica contestualmente alla memoria di costituzione nel giudizio d'appello, ai sensi dell'art. 83, terzo comma, penultimo periodo c.p.c. - dall'avvocato R.P.

- appellata-

appellante in via incidentale -

G.I. S.P.A., con sede legale in M.V. (T.), ***, società iscritta all'A. delle imprese ***, soggetta all'attività di direzione e coordinamento dell'azionista unico A.G. S.p.A. e appartenente al G.G., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa - per procura generale alle liti del 18 dicembre 2014, a rogito del dottor G.B.D.A.T., repertorio n. (...), raccolta n. (...) - dall'avvocato U.B., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Perugia, ***

- appellata-
appellante in via incidentale -


OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 108/2020 del Tribunale di Spoleto - risarcimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro
Causa decisa nella camera di consiglio del 14 luglio 2021.
 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Spoleto il 17 aprile 2015, R.D.E. convenne in giudizio R.G., titolare dell'omonima impresa edile, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza dell'infortunio sul lavoro occorsogli il 21 giugno 2007, determinati nell'importo complessivo di Euro 384.020,99, al netto della provvisionale di Euro 30.000,00 corrispostagli in esecuzione della sentenza della Corte d'appello di Perugia, Sezione penale, n. 538/2013.
R.G. si costituì in giudizio, chiedendo, in via preliminare, di essere autorizzato a chiamare in causa la compagnia assicuratrice G.I. S.p.A., per essere da questa manlevato e tenuto indenne dal pagamento di tutte le somme che egli dovesse essere condannato a corrispondere al ricorrente. Contestò la domanda, nell'an e nel quantum, per una serie di motivi, fra cui il concorso di colpa del D.E., già accertato in sede penale, e concluse per il rigetto del ricorso.
La G.I. S.p.A. si costituì a sua volta, ed eccepì l'inammissibilità delle domande proposte dall'attore, per i motivi analiticamente esposti nella memoria. Nel merito, rilevò l'infondatezza del ricorso, in particolare per il concorso di colpa del lavoratore, e ne chiese il rigetto. Chiese, inoltre, che la domanda di garanzia fosse respinta.
La causa fu istruita con l'espletamento di una c.t.u. medico-legale. Il c.t.u., dottor Riccardo Luigi Dominici, accertò che R.D.E. era affetto da: "pregressa lussazione post-traumatica di spalla destra; esiti di frattura del trochite omerale destro; paralisi del nervo circonflesso (o ascellare) destro EMgraficamente accertata; lesione del sovraspinoso con sofferenza degenerativa della cuffia dei rotatori di destra e marcata limitazione funzionale della spalla destra, in destrimane. Pregresso trauma distorsivo-contusivo ginocchio destro, pregresso trauma distorsivo cervicale e lombare in soggetto con preesistenti ernie discali lombari". Riconosciuto anche un danno alla cenestesi lavorativa, rientrante nella categoria del danno alla salute e consistente nella maggiore usura, fatica, o difficoltà incontrate dal soggetto nello svolgimento delle attività lavorative, determinò il danno all'integrità psicofisica nel 43%, grado comprensivo del danno alla cenestesi lavorativa.
Con la sentenza n. 108/2020, pronunciata, ai sensi dell'art. 83, comma 7, lettera h del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, il 24 settembre 2020, il Tribunale, accertata l'esclusiva responsabilità del G. nella determinazione dell'infortunio, lo condannò a pagare al ricorrente la somma di Euro 161.430,41 per il danno non patrimoniale, al netto di quanto corrispostogli dall'INAIL a titolo d'indennizzo del danno biologico, oltre agl'interessi legali per il ritardato pagamento, calcolati sulla sorte devalutata all'epoca del sinistro e via via rivalutata anno per anno, e oltre agl'interessi legali maturati dalla data della sentenza al saldo. Condannò il G. alla rifusione delle spese sostenute dal ricorrente per il giudizio, e al pagamento delle spese di c.t.u. Dichiarò tenuta e condannò la G.I. S.p.A. a tenere indenne il resistente dalle somme corrisposte per capitale, interessi e spese in esecuzione della sentenza, comprese le spese di c.t.u., entro i limiti del massimale della polizza e detratto quanto già versato dalla compagnia assicuratrice. Compensò le spese del giudizio fra il resistente e la chiamata in causa.
Con atto depositato il 4 dicembre 2020, R.G. interpose appello avverso la decisione e ne chiese la riforma, con il conseguente rigetto integrale delle domande avanzate dal ricorrente. Chiese, inoltre, la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata.
Con decreto presidenziale del 21 dicembre 2020, fu fissata per la discussione della causa l'udienza del 21 aprile 2021.
In seguito all'insorgere, nei primi mesi del 2020, dell'epidemia di COVID-19, causata dal virus SARS-COV-2, e all'emanazione dei provvedimenti di legge diretti a fronteggiare l'emergenza sanitaria conseguente e a contenere l'espansione del contagio, con provvedimento organizzativo del 20 gennaio 2021, inserito nel fascicolo telematico del processo il 22 gennaio 2021, il Presidente della Sezione Lavoro dispose che fino al 30 aprile 2021 i procedimenti pendenti dinanzi alla Sezione, per i quali non fosse richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, si svolgessero con le modalità della trattazione scritta, salva la facoltà di ciascuna parte di chiedere la discussione orale, entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Con memoria depositata l'8 aprile, R.D.E. si costituì in giudizio, e concluse per il rigetto del gravame. Propose appello incidentale, chiedendo che la Corte d'appello rideterminasse, in misura superiore a quella stabilita dal Tribunale di Spoleto, il danno alla salute da lui sofferto, tenendo conto del danno da cenestesi lavorativa, con la conseguente riforma parziale della sentenza impugnata.
Con memoria depositata il 9 aprile, si costituì in giudizio la G.I. S.p.A. che, associatasi alle difese dell'appellante quanto all'infondatezza delle domande avanzate dall'attore, e chiesto il rigetto del suo appello incidentale, propose a sua volta impugnazione incidentale, chiedendo che la Corte determinasse in misura pari al 50% il concorso di colpa del danneggiato e, conseguentemente, condannasse il ricorrente D.E. e i suoi difensori a restituire quanto loro rispettivamente corrisposto, in eccesso rispetto alle somme effettivamente spettanti, tenuto conto, altresì, del limite del massimale, stabilito in Euro 258.228,74 nella polizza stipulata con la ditta R.G..
Con ordinanza emessa all'esito della camera di consiglio del 21 aprile 2021, la Corte d'appello dispose che l'INAIL di Foligno trasmettesse un'attestazione concernente le somme erogate all'assicurato R.D.E. in dipendenza dell'infortunio sul lavoro del 21 giugno 2007, comprensive degli aggiornamenti disposti dai decreti ministeriali di rivalutazione delle rendite succedutisi dall'epoca del sinistro fino alla data del 24 settembre 2020, con l'indicazione distinta degl'importi erogati a titolo d'indennizzo del danno biologico e di quelli erogati per il danno patrimoniale; rinviò la causa all'udienza del 14 luglio 2021, da tenersi con le modalità della trattazione scritta, come disposto con il provvedimento organizzativo adottato dal Presidente di sezione l'11 aprile 2021, inserito nel fascicolo telematico del processo e comunicato alle parti lo stesso 21 aprile.
Con ordinanza depositata il 23 aprile e comunicata alle parti il 26 aprile, la Corte d'appello dichiarò inammissibile l'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado, poiché l'esecuzione forzata non era stata iniziata.
L'INAIL trasmise l'attestazione richiesta l'11 maggio.
Le parti hanno depositato le note di trattazione previste dall'art. 221 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34.
La causa è stata decisa nella camera di consiglio del 14 luglio 2021. Il dispositivo qui trascritto è stato depositato in via telematica il giorno stesso.
Il Tribunale di Spoleto ha ritenuto che il giudicato formatosi sulla sentenza n. 653/2013 della Carte d'appello di Perugia, Sezione penale, emessa nel procedimento a carico di R.G. per il delitto di lesioni colpose aggravate integrato dall'infortunio occorso al R.D.E. il 21 giugno 2007, nel quale lo stesso D.E. si era costituito parte civile, fosse limitato all'accertamento della responsabilità dell'imputato nella determinazione dell'evento, mentre non si estendeva alla declaratoria concernente il concorso di colpa del danneggiato, indicato dal giudice penale nel 50%. Di conseguenza, tenuto conto del grado di danno biologico accertato mediante la c.t.u. medico-legale espletata, pari al 43%, compreso il danno alla cenestesi lavorativa, ha condannato il G. a corrispondere al D.E. l'importo di Euro 161.430,41, pari alla differenza tra il danno non patrimoniale, calcolato, in base alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, in Euro 308.677,00, e l'indennizzo del danno biologico erogato dall'INAIL.
L'appellante principale contesta la decisione del Tribunale, il quale, a suo avviso, ha errato nel non tener conto dell'accertamento del concorso di colpa del lavoratore, compiuto nella sentenza penale, divenuta definitiva. Inoltre, nel determinare il quantum del risarcimento ipoteticamente spettante al ricorrente, il giudice ha detratto dall'importo calcolato alla data della sentenza - 24 settembre 2020 - l'ammontare dell'indennizzo erogato dall'INAIL, calcolato al 2008 e, quindi, espresso in valori non omogenei. Chiede, pertanto, la riforma della sentenza di primo grado, con il conseguente rigetto delle domande dell'attore.
Il 21 giugno 2007, R.D.E., operaio edile alle dipendenze dell'impresa R.G., era al lavoro nel cantiere per la ristrutturazione di un immobile situato in M., P.V.E., di proprietà di A.G.. Per il D.E. e per due suoi colleghi, A.B. e P.M., si trattava del primo giorno di lavoro in quel cantiere, dove la ditta G. avrebbe dovuto procedere alla muratura di venticinque controtelai di finestra. Il D.E. cadde nel vano ascensore dello stabile, dall'altezza del secondo piano, a causa del cedimento di un argano a bandiera.
In seguito all'infortunio, R.G. fu rinviato a giudizio nel procedimento penale n. 1131/2007 R.G.N.R., "imputato del reato previsto e punito dall'art. 590, comma 1, 2 e 3 c.p. perché, quale titolare e responsabile dell'omonima impresa esercente edilizia in un cantiere sito nella Piazza Vittorio Emanuele - Vicolo degli Operai, per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione degli artt. 21 e 22 comma 1 del D.Lgs. n. 626 del 1994 e 57 del D.P.R. n. 164 del 1956, omettendo di provvedere ad una adeguata informazione ai lavoratori addetti al cantiere ed alla loro formazione in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento alla procedura di montaggio e uso di un argano e omettendo, altresì, di curare l'impiego di specifiche misure e cautele atte ad assicurare il funzionamento corretto e senza rischi dell'argano stesso, cagionava per colpa lesioni gravi al lavoratore D.E.R., precipitato dal secondo piano del vano ascensore del fabbricato in costruzione a causa del cedimento del precario apparato che sorreggeva lo strumento di sollevamento. In Montefalco, il 21 giugno 2007". Il D.E. si costituì parte civile, per ottenere la condanna dell'imputato al risarcimento di tutti i danni sofferti.
Il Tribunale di Spoleto, con sentenza del 17 febbraio 2012, assolse il G., per l'insussistenza del fatto. Avverso la decisione, interpose appello la parte civile. Con la sentenza n. 563/2013, pronunciata all'udienza del 26 aprile 2013 e depositata il 30 maggio 2013, la Corte d'appello, statuendo sulla sola domanda civile, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò la responsabilità civile di R.G. in ordine al fatto addebitatogli e, riconosciuto il concorso di colpa dell'infortunato nella misura del 50%, condannò il G. al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, in particolare con un danno biologico pari al 42%, da liquidarsi in separata sede; assegnò alla parte civile una provvisionale provvisoriamente esecutiva di Euro 30.000,00, a carico del G.. La sentenza non fu impugnata e passò in giudicato il 26 ottobre 2013.
Come accertato dal giudice penale, né il D.E., né i due colleghi, A.B. e P.M., "avevano mai ricevuto indicazioni di sorta circa le modalità di svolgimento dei lavori demandati nel detto cantiere, consistenti nella messa in opera dei 25 controtelai per porte e finestre del secondo piano dell'immobile ed, in particolare, non avevano ricevuto direttive di sorta, quanto alla movimentazione sino al secondo piano della malta cementizia necessaria;
... il mattino del 21.6.2007 il G. non era stato presente in cantiere all'atto di inizio dei detti lavori, né altri lo aveva fatto in sua vece;
... a fronte della necessità del sollevamento della malta di cemento sino al secondo piano era stato installato nel vano ascensore un argano di proprietà del D.E.R. e dal medesimo prelevato, quella stessa mattina del 21.6.2007, dal deposito della ditta G.;
... i lavoratori non avevano ricevuto alcuna formazione in materia di sicurezza anche quanto all'utilizzo dell'argano (cfr dichiarazioni B. a f 35 e dichiarazioni M. a f 58)".
Quanto alle responsabilità per l'evento infortunistico, nella sentenza penale si osservava:
"Orbene ritiene la Corte che tali circostanze del fatto consentano di ravvisare nella condotta del datore di lavoro G. plurime violazioni antinfortunistiche, in materia di prevenzione degli infortuni negli ambienti di lavoro, del tutto eziologicamente ricollegabili all'infortunio del 21.6.2007, cosi come del resto fatto palese dallo stesso tenore della imputazione contestata.
La decisione del Tribunale attestata esclusivamente sulla attribuibilità o meno al D.E. della iniziativa del montaggio dell'argano all'interno del cantiere, ha trascurato del tutto tali plurimi profili di colpa specifica omettendo così di trame le dovute conseguenze in punto di accertamento del nesso causale con l'infortunio.
Orbene non ritiene la Corte che possa ritenersi imprevedibile ed anomala una iniziativa del genere di quella intrapresa dal D.E. consistita nell'utilizzo di un argano nel cantiere al fine della esecuzione dei lavori demandati.
Tale convinzione riposa in primo luogo sulla considerazione che il montaggio del detto argano era obbiettivamente funzionale alla velocizzazione della esecuzione dei lavori.
Va poi considerato che il detto argano era stato prelevato dall'infortunato, la stessa mattina del 21.6.2007, dal deposito della ditta G., a significazione di una disponibilità incontrollata del detto strumento a semplice iniziativa di ogni operaio della ditta G. e, comunque, di una consuetudine aziendale alla stregua della quale era di fatto consentito l'accesso al deposito della ditta e la disponibilità dei materiali e strumenti in essa custoditi, senza controllo alcuno da parte del datore di lavoro.
Se poi si considera ulteriormente che tale ditta aveva a disposizione addirittura due esemplari di argano (l'uno di proprietà del D.E. e l'altro della ditta G.) già in precedenza utilizzati in altri cantieri, come desumibile dalle dichiarazioni dei testi D.E., B. e M. e che, infine, nel cantiere di Montefalco non erano disponibili strumenti di sorta, quali gru od altro per il sollevamento dei materiali, risulta evidente non soltanto la prevedibilità della iniziativa intrapresa dal D.E.R., ma altresì la sua evitabilità con appropriato intervento del datore di lavoro, non solo sotto il profilo della formazione degli operai dipendenti in materia di sicurezza, ma anche nel fornirli di strumenti adeguati per lo svolgimento delle mansioni affidate ed, infine, nel controllo del rispetto delle norme antinfortunistiche.
Ed invero "il compito precipuo del datore di lavoro è molteplice ed articolato e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinali lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure: di tal che... il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro..." (Cfr Cass 31679 del 2010).
Tale essendo la ampiezza dei doveri precipui del datore di lavoro, la essenza della condotta antidoverosa del G. riposa pertanto nel non aver indicato, in violazione dei propri doveri, ai lavoratori dipendenti D.E.R., B. e M., le precise modalità operative con le quali i lavori demandati dovevano essere espletati, gli eventuali strumenti da utilizzare e nel non aver controllato che le proprie direttive fossero rispettate.
Sul punto è bene evidenziare che dalle stesse dichiarazioni dei testi B. e M. è dato rilevare, in via del tutto riposante, non solo che gli stessi si erano recati nel detto cantiere per la prima volta proprio il 21.6.2007, ma anche che gli stessi non avevano effettivamente ricevuto dal G. alcuna indicazione sulle modalità di svolgimento dei lavori, al punto da secondare senza alcuna riserva la attività di montaggio dell'argano trasportato nel cantiere dal D.E.R., dal quale erano soliti ricevere indicazioni sullo svolgimento dei lavori in ragione della sua sola maggiore esperienza e qualifica di muratore.
Né le modalità di esecuzione dei lavori demandati agli operai D.E., B. e M. potevano essere dagli stessi desunte facendo riferimento al piano operativo di sicurezza posto che come riferito dai testi B. (f 35) c M. (f 58), non solo gli stessi, come pure il D.E., non avevano mai partecipato a corsi di formazione per la sicurezza (che del tutto significativamente saranno poi organizzati solo nel mese del luglio 2007), ma come aveva avuto modo di precisare il B. (f 39) non aveva neppure sottoscritto per conoscenza alcuno specifico documento relativo alla sicurezza del cantiere di Montefalco Piazza Vittorio Emanuele - Vicolo degli Operai.
Sul punto è bene precisare che, come rilevato dall'appellante la normativa applicabile al detto cantiere, da qualificarsi come "cantiere temporaneo o mobile" secondo l'art. 2 comma I lett. a) del I) D.Lgs. n. 494 del 1996, era quella di cui al detto decreto legislativo da considerarsi speciale rispetto alla normativa generale di cui al D.L. n. 626 del 1994.
In attuazione della normativa aderente al detto "cantiere temporaneo o mobile" il committente delle opere (G.A., figlio del G.R.) avrebbe dovuto aggiornare il piano di sicurezza e coordinamento di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 494 del 1996 ed il G., quale titolare della omonima ditta esecutrice dei lavori, avrebbe dovuto per contro redigere il P., piano operativo di sicurezza, di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 626 del 1994.
Mette conto di rilevare che il Piano di sicurezza e coordinamento originariamente predisposto dal committente G.A. non era stato aggiornato alla luce dello smontaggio della gru e del ponteggio, comportanti la assenza nel cantiere di ogni strumento di sollevamento dei materiali nonostante che sull'immobile dovessero essere ancora eseguiti importanti lavori edili, quali non solo quelli oggetto di esecuzione all'atto dell'infortunio, ma anche il montaggio dei pavimenti (cfr dichiarazioni dell'imputato a f 37, udienza 4.11.2011).

...

Risulta pertanto che il G. non solo aveva consentito l'accesso di propri lavoratori nel detto cantiere nonostante che lo stesso non fosse più conforme all'originario piano operativo di sicurezza e coordinamento, ma aveva ordinato la esecuzione in esso di lavori edili senza precisarne le modalità operative e senza rendere i lavoratori edotti dei rischi connessi.
Ritiene pertanto la Corte che la condotta del D.E.R., culminata nell'evento infortunistico dal medesimo patito il 21.6.2007, anche in relazione al suo verificarsi nell'ambito dello svolgimento delle mansioni affidate al detto lavoratore, non assuma i caratteri della abnormità e non abbia quindi una efficienza causale tale da escludere ogni nesso causale tra l'evento e la condotta del G., quale connotata dai plurimi profili di colpa generica e specifica sopra evidenziati (cfr Cass Sez 4 n. 40164 del 3.6.2004).
Va peraltro osservato che nella condotta del D.E. va ravvisata una colpa concorrente in ragione di una evidente sopravvalutazione da parte del detto lavoratore delle proprie capacità e della esperienza maturata, quale lavoratore autonomo, in data anteriore alla assunzione nella ditta del G..
Tale concorso di colpa è determinato nel 50 per cento".
Ad avviso del giudice di primo grado, "nei rapporti tra il giudizio penale ed il giudizio civile per il risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 651 c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso; non investendo, quindi, il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile" (p. 7 della sentenza impugnata). Valutata la condotta del lavoratore infortunato, ed escluso di potervi ravvisare un concorso di colpa, ha osservato (p. 8)
"come il datore di lavoro, il Sig. R.G., abbia omesso di adottare quelle cautele concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante (l'adeguata informazione ai lavoratori addetti al cantiere e la loro formazione in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento alla procedura di montaggio e uso di un argano; l'adozione di quelle specifiche misure volte ad assicurare il funzionamento dell'argano senza rischi per i lavoratori in tale lavoro impegnati) che avrebbero impedito il verificarsi dell'evento dannoso",
per poi concludere:
"Posta l'accertata violazione, da parte del datore di lavoro, della normativa antinfortunistica, alcun concorso di colpa è addebitabile al lavoratore".
Il nodo da sciogliere, in rapporto alla censura dell'appellante principale, è se nell'accertamento del fatto, compiuto dal giudice penale, rilevante in sede civile ai sensi dell'art. 651 c.p.p., debba comprendersi anche la valutazione del concorso di colpa del danneggiato.
Il collegio non ritiene condivisibile la soluzione data al quesito dal Tribunale.
Secondo l'art. 651 c.p.p., la sentenza penale di condanna, pronunciata all'esito del dibattimento e divenuta irrevocabile, fa stato quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato l'ha commesso, nel giudizio civile promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero che sia intervenuto nel processo penale. Nel caso di specie, peraltro, la precedente sentenza resa dalla Corte d'appello nel 2013 non si è pronunciata sulla responsabilità penale del G., bensì sulla sua responsabilità civile. L'appello avverso la sentenza di primo grado era stato proposto dalla sola parte civile, ossia l'infortunato; di conseguenza, il giudizio celebrato dinanzi alla Sezione penale era, in realtà, un giudizio concernente i soli aspetti civili della vicenda, centrato sulla domanda di risarcimento dei danni avanzata dal lavoratore, che, costituitosi parte civile, vi partecipò a pieno titolo, al punto che promosse egli stesso il giudizio d'appello.
Secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, "per "fatto" accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall'accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l'una e l'altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale - e cioè l'apprezzamento e la valutazione di tali elementi - la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio". Inoltre, "le disposizioni del nuovo codice di procedura penale in materia di rapporto fra giudicato penale e il seguente giudizio civile sono improntate al principio che il giudicato penale non possa sortire effetti nei confronti dei soggetti che non siano stati parti del giudizio penale e non abbiano, quindi, potuto esprimere le proprie ragioni in quel giudizio, esercitandovi appieno il proprio diritto di difesa". E, ancora, "Se, infatti, come detto, la ricostruzione storico-dinamica dell'accaduto è preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio, quest'ultimo può invece indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, come nella specie il comportamento della parte lesa, negli aspetti in nessun modo esaminati dal giudice penale ed incidenti sull'apporto causale nella produzione dell'evento" (citazioni tutte tratte da Cass., Sez. Lav., 13 giugno 2018, n. 15392; le sottolineature sono state aggiunte dall'odierno estensore).
Appare pertinente, inoltre, l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite, in base al quale:
"Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo" (Cass., Sez. Unite, 16 giugno 2006, n. 13916).
Dai principi richiamati si trae la conseguenza che, avendo il giudice penale accertato e quantificato, nel giudizio d'appello promosso dal danneggiato costituitosi parte civile, il concorso di colpa di quest'ultimo nella determinazione dell'evento lesivo, non può il giudice del lavoro, adito dall'infortunato per la liquidazione del risarcimento, procedere a una nuova - ed eventualmente diversa - valutazione circa l'esistenza del concorso di colpa o la sua entità.
Pertanto, in questa sede, il concorso di colpa del lavoratore infortunato in misura pari al cinquanta per cento non può più essere messo in discussione, essendosi formato il giudicato tra le parti - danneggiante e danneggiato - sull'accertamento compiuto dal giudice penale, con la conseguenza che di esso si dovrà tener conto nel determinare il risarcimento eventualmente spettante all'appellato.
Il D.E. ha già ottenuto dall'INAIL la costituzione di una rendita per il danno biologico permanente derivatogli dall'infortunio. Pertanto, il danno in questa sede ipoteticamente risarcibile è costituito dal cosiddetto "danno differenziale", identificabile nella quota che non trova ristoro nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria. Il risarcimento per questo tipo di danno corrisponde alla differenza tra ciò che spetterebbe al ricorrente in applicazione dei criteri civilistici e le somme corrisposte dall'INAIL in dipendenza dell'infortunio, a titolo d'indennizzo del danno biologico.
Il giudice di primo grado ha determinato il risarcimento che sarebbe spettato al ricorrente in base alle tabelle del danno non patrimoniale elaborate dal Tribunale di Milano, postulando la colpa esclusiva del datore di lavoro. Il risultato del calcolo non è stato contestato dall'appellante principale, che ha chiesto, tuttavia, di tener conto, nel computo finale, del concorso di colpa determinato dal giudice penale. Il D.E., con l'appello incidentale, ha chiesto, dal canto suo, un aumento del grado del danno biologico, che considerasse anche il danno alla cenestesi lavorativa, riconosciuto sussistente dal c.t.u., e la conseguente rideterminazione del risarcimento in un importo maggiore rispetto a quello stabilito dal Tribunale.
L'impugnazione incidentale è infondata e dev'essere respinta. In realtà, della lesione alla cenestesi lavorativa ha già tenuto conto il Tribunale, poiché il grado del danno biologico del 43% utilizzato per il computo del risarcimento era stato espressamente indicato dal c.t.u. come comprensivo di quella specifica tipologia di danno.
Dev'essere, dunque, adottato come base di calcolo del danno civilistico l'importo di Euro 308.677,00, indicato dal giudice di primo grado. Applicato l'abbattimento per il concorso di colpa dell'infortunato, il risarcimento astrattamente spettante si riduce a Euro 154.338,50.
L'attestazione inviata dall'INAIL alla Corte d'appello dall'INAIL indica che, al 24 settembre 2020, data della sentenza di primo grado, le somme erogate dall'Istituto al D.E. a titolo d'indennizzo del danno biologico erano le seguenti: Euro 112.049,91, valore della rendita, Euro 62.297,94, rate riscosse al 24 settembre 2020, per un totale di Euro 174.347,85, una somma, dunque, maggiore rispetto al risarcimento del danno calcolato secondo i criteri civilistici. Il danno differenziale è, perciò, insussistente.
Da quanto fin qui accertato, discende che il D.E. non aveva diritto al risarcimento preteso. La sentenza impugnata dev'essere, quindi, riformata, e le domande dell'attore devono essere respinte.
Ne consegue che l'appello incidentale proposto dalla G.I. S.p.A. è, almeno parzialmente, fondato. Poiché nulla il G. doveva al D.E., le somme a questi erogate dalla compagnia assicuratrice in virtù della polizza stipulata con il datore di lavoro sono state percepite indebitamente, e devono essere restituite. In particolare, la società ha versato al ricorrente Euro 30.812,47 il 4 luglio 2014, in esecuzione della sentenza penale, che aveva disposto la provvisionale a favore della parte civile; ha poi versato Euro 104.469,00 il 9 dicembre 2020, in esecuzione della sentenza civile di primo grado. Il D.E. dev'essere, quindi, condannato a restituire alla G.I. le somme indebitamente percepite, oltre agl'interessi legali maturati dalla data dei rispettivi pagamenti.
Non può, invece, essere accolta la domanda, avanzata dalla società appellante incidentale, di condanna dell'avvocato R.P. alla restituzione di Euro 1.857,03, e dello "studio C." alla restituzione di Euro 6.090,24, corrisposti a titolo di spese legali, rispettivamente del primo grado civile, e del giudizio penale. In questo processo, l'avvocato P. ha il ruolo di procuratore dell'appellato, ma non è costituita in proprio; lo "studio C." non è in giudizio, e, del resto, non è neppure indicato come specifico soggetto giuridico. Per quest'aspetto, dunque, l'appello incidentale non è meritevole di accoglimento.
Rimane, infine, assorbita la questione, sollevata dalla G.I., della riduzione della garanzia al massimale stabilito nella polizza stipulata con la ditta R.G..
In conclusione, in accoglimento dell'appello principale proposto dal G. e di quello incidentale proposto dalla G.I., la sentenza di primo grado dev'essere riformata, con il rigetto delle domande proposte dal D.E., e la sua condanna a restituire alla compagnia assicuratrice le somme corrispostegli in dipendenza dell'infortunio sul lavoro del 21 giugno 2007, oltre agl'interessi legali dalla data di ciascun pagamento al saldo.
R.D.E. dev'essere condannato a rifondere al G. e alla G.I. le spese sostenute per entrambi i gradi di giudizio, liquidate nella misura indicata nel dispositivo, determinata tenendo conto dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Infine, tenuto conto dell'esito complessivo, le spese processuali di entrambi i gradi devono essere compensate fra l'appellante principale e la società chiamata in causa.
 

P.Q.M.
LA CORTE D'APPELLO

respinge l'appello incidentale proposto da R.D.E.. In accoglimento dell'appello principale proposto da R.G. e dell'appello incidentale proposto dalla G.I. S.p.A., e in riforma della sentenza impugnata:
- respinge la domanda proposta da R.D.E. contro R.G.;
- condanna il D.E. a restituire alla G.I. S.p.A. la somma di Euro 30.812,47, oltre agl'interessi legali maturati dal 5 luglio 2014 al saldo, e la somma di Euro 104.469,00, oltre agl'interessi legali maturati dal 9 dicembre 2020 al saldo.
Condanna R.D.E. a rifondere le spese sostenute da R.G. e dalla G.I. S.p.A. per entrambi i gradi di giudizio, liquidate come segue:
- in favore di R.G., per compenso professionale, Euro 6.400,00, quanto al primo grado, e Euro 4.800,00, quanto al grado d'appello; in ciascun caso, oltre al rimborso delle spese generali, pari al 15% del compenso liquidato, e oltre a IVA e contributo ex art. 11 della L. n. 576 del 1980;
- in favore della G.I. S.p.A., per compenso professionale, Euro 6.400,00, quanto al primo grado, e Euro 4.800,00, quanto al grado d'appello; in ciascun caso, oltre al rimborso delle spese generali, pari al 15% del compenso liquidato, e oltre a IVA e contributo ex art. 11 della L. n. 576 del 1980.

Così deciso in Perugia, nella camera di consiglio del 14 luglio 2021.
Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2021.