Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 agosto 2021, n. 23056 - Costo dell'infortunio mortale


 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 17/08/2021
 

Fatto


che, con sentenza depositata il 23.4.2015, la Corte d'appello di Firenze ha confermato, per quanto rileva in questa sede, la pronuncia di primo grado che aveva condannato Ghella s.p.a. e C.M., in solido tra loro, a rimborsare all'INAIL il costo dell'infortunio mortale occorso a V.B. in data 14.9.1998 e, in riforma della medesima sentenza, ha accertato che UnipolSAI Assicurazioni s.p.a. dovesse tenere entrambi indenni dagli oneri del rimborso nei limiti del massimale di polizza;
che avverso tale pronuncia Ghella s. p.a. e C.M. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo sei motivi di censura (ma in realtà cinque, quello rubricato come quinto contenendo soltanto calcoli dipendenti dalle tesi sostenute in diritto nei motivi precedenti), successivamente illustrati con memoria;
che l'INAIL ha resistito con controricorso, parimenti poi illustrato con memoria, mentre la compagnia di assicurazioni è rimasta intimata;
 

Diritto


che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano nullità della sentenza e del procedimento ex art. 414 c.p.c. per avere i giudici di merito ritenuto ammissibile che l'INAIL modificasse in appello il costo dell'infortunio lamentato in primo grado, ancorché non in dipendenza di un aggravamento del danno o di sopraggiunti provvedimenti amministrativi, ma per richiedere ratei di rendita già corrisposti al momento dell'introduzione del giudizio e far valere un coefficiente di capitalizzazione differente da quello invocato nel ricorso introduttivo;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano omesso esame circa un fatto decisivo in ordine alla misura del rimborso accordato all'INAIL, con riguardo alla quota di reddito che la vittima avrebbe destinato ai propri consumi nell'ambito della famiglia;
che, con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 C.C. per non avere giudici di merito applicato, ai fini della capitalizzazione del costo dell'infortunio, le tabelle allegate al r.d. n. 1433/1922;
che, con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento allo scarto tra l'età lavorativa e la speranza di vita dell'infortunato;
che, con il quinto (erroneamente rubricato sesto) motivo, ricorrenti deducono nullità della sentenza e del procedimento per avere la Corte di merito ritenuto inammissibile per violazione dell'art. 342 c.p.c. il capo d'impugnazione avverso l'omessa pronuncia sulla richiesta di attualizzazione del massimale;
che tale ultimo motivo è stato oggetto di rinuncia con la memoria ex art. 378 c.p.c.;
che la rinuncia ad uno o più motivi di ricorso, che rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno di tali censure, è efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d'impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesai, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, onde resta sottratta alla disciplina di cui all'art. 390 c.p.c. per la rinuncia al ricorso (cfr. da ult. Cass. n. 414 del 2021);
che il primo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell'intima connessione delle censure svolte;
che, al riguardo, va premesso che il credito vantato dall'INAIL nei confronti del datore di lavoro responsabile dell'infortunio sul lavoro subito dal dipendente assicurato, costituendo credito di valore, deve essere calcolato anche d'ufficio con riferimento alla data di liquidazione definitiva, di talché le eventuali variazioni monetarie del petitum non costituiscono mai domande nuove (così Cass. nn. 3704 del 2012 e 4089 del 2016);
che parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte è il principio secondo cui, fermo restando che il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con r.d. n. 1403/1922, trattandosi di coefficienti che, a causa dell'innalzamento della durata media della vita e dell'abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l'integrale ristoro del danno e con esso il rispetto della regola di cui all'art. 1223 c.c. (così da ult. Cass. n. 18093 del 2020), l'esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (così, tra le più recenti, Cass. n. 24070 del 2017);
che, ciò posto, è evidente che le censure di cui ai motivi in esame sono infondate nella parte in cui si dolgono che i giudici di merito abbiano consentito all'INAIL di modificare il petitum originario, non potendosi configurare alcun mutamento vietato allorché si facciano valere voci di danno pur sempre relative costo sopportato per l'infortunio, e addirittura inammissibili nella parte in cui pretendono di censurare il processo logico mediante il quale i giudici hanno provveduto alla capitalizzazione del costo dell'infortunio medesimo mediante le tabelle ISTAT 2002, non potendo ritenersi vincolante né per l'INAIL né a fortiori per il giudice l'indicazione di un parametro normativo di per sé inidoneo a ristorare il danno;
che il secondo e il quarto motivo sono inammissibili, non essendo consentita la denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo allorché si verta, come nella specie, in ipotesi di c.d. doppia conforme (art. 348-ter, ult:. co., c.p.c.);
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P. Q. M.
 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell'Inail che si liquidano in € 13.200,00, di cui € 13.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 16.3.2021.