Cassazione Penale, Sez. 4, 15 settembre 2021, n. 33980 - Valutazione del rischio dei lavori in altezza. Responsabili datore di lavoro e RSPP per la caduta del lavoratore dalla sommità del forno di fusione


 

 

Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: ESPOSITO ALDO Data Udienza: 22/04/2021
 

Fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Cuneo del 9 febbraio 2016, con cui D.G., B.A. (non ricorrente) e V.L.M. erano stati condannati alla pena di euro duecento di multa ciascuno in relazione al reato di cui all'art. 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., perché nelle rispettive qualità di datore di lavoro della società F.S. s.p.a., di dirigente responsabile del reparto fonderia ghisa e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per colpa generica e per inosservanza degli artt. 2087 cod. civ., 28, commi 1 e 2, lett. a), 63, comma 1, e 122 D.Lvo 9 aprile 2008 n. 81, in quanto omettevano di adottare tutti i provvedimenti tecnici, organizzativi e procedurali necessari, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori e, in particolare: il D.G. e il B.A. omettevano di adottare per il lavoro in quota alla sommità del forno di fusione da 55 tonnellate adeguate impalcature o ponteggi o opere provvisionali atte ad eliminare pericoli di caduta di persone impegnate in attività lavorativa che esponevano a rischio di caduta da quota ad altezza superiore a due metri; il D.G. e il B.A. omettevano di impedire l'accesso alla sommità del forno di fusione da 55 tonnellate di dispositivi atti ad impedire che i lavoratori non autorizzati potessero accedervi (tale non essendo una sbarra metallica solamente appoggiata sul sostegno) e di segnalare in modo visibile tale zona di pericolo; il D.G. ometteva di valutare il rischio del lavoro in quota alla sommità del forno di fusione, senza utilizzo della piattaforma aerea, a cui faceva generico riferimento il DVR; il V.L.M. ometteva di segnalare al datore di lavoro la situazione di rischio consistita nella possibilità di caduta dalla sommità del forno da 55 tonnellate e la possibilità di organizzare l'attività di ripristino del materiale refrattario in modo da neutralizzare tale situazione di pericolo; così cooperando tra loro, avendo il lavoratore C. raggiunto la sommità del forno di fusione da 55 tonnellate per controllare il lavoro assegnato ad altro lavoratore, così raggiungendo l'altezza di metri 3,80 circa dal piano stabile, ed essendo inciampato in uno dei fermi metallici che fissano il bordo circolare del forno con conseguente caduta sul sottostante pavimento in cemento, cagionavano a quest'ultimo lesioni personali, dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in oltre quaranta giorni in Rocca dè Baldi il 9 settembre 2013.
1.1. Il Tribunale aveva basato l'affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni rese da C. , il quale aveva riferito che, mentre, assieme ad un collega, stava riparando il canale di un forno per la produzione di ghisa e si trovava a circa tre metri di altezza da terra, era inciampato su uno spunzone presente ed era caduto riportando gravi lesioni; l'infortunato aveva spiegato che la normale attività di produzione della ghisa comportava l'inevitabile deterioramento della bocca del forno, che pertanto doveva essere periodicamente ripristinata. L'ufficiale di P.G. Bella Claudio, intervenuto sul posto, a seguito di sopralluogo effettuato presso l'azienda dopo l'infortunio, aveva constatato che la sommità del forno grande di fusione era priva di qualsiasi protezione per evitare la caduta nel vuoto del personale impegnato nello svolgimento di attività manutentiva.
1.2. Con riferimento all'appello di D.G., la Corte territoriale ha osservato che, in ragione della natura dinamica della posizione di garanzia attribuitagli quale datore di lavoro, egli non poteva limitarsi a fornire un macchinario identificabile nel miglior prodotto della tecnica esistente al momento dell'acquisto. Nella presente sede, d'altronde, non si discuteva della qualità tecnica del forno, bensì delle modalità di svolgimento delle operazioni di pulizia della "bocca".
Egli doveva assicurare la sicurezza del macchinario nella fase della lavorazione e in quella di manutenzione e il DVR doveva descrivere e disciplinarle entrambe. La condizione di lavoratore esperto o qualificato del C. non escludeva né limitava la responsabilità del datore di lavoro.
La procedura di manutenzione ordinaria del forno cioè la pulizia della parte superiore non era stata puntualmente codificata nel DVR ed era stata eseguita in assenza di procedure inerenti a tale fase e di cautele atte a prevenire i generici rischi di caduta dall'alto, occorrenti per qualsiasi attività lavorativa in quota.
1.3. In relazione all'appello proposto da V.L.M., RSPP, la Corte di merito ha escluso la rilevanza della mancanza di informativa dell'espletamento di attività pericolosa da parte del dipendente, perché la manutenzione ordinaria del macchinario non poteva essere considerata esterna ed estranea rispetto alla lavorazione, dovendo essere svolta periodicamente proprio per rendere possibile l'attività produttiva. Evidentemente, l'imputato, in occasione della predisposizione del DVR, aveva trascurato negligentemente di valutare le cautele necessarie. Né poteva ragionevolmente sostenere di non conoscere l'obbligo di espletare siffatta manutenzione ordinaria.
In qualità di RSPP, avrebbe dovuto indicare le procedure di lavoro corrette da inserire nel DVR e le fasi lavorative da approntare nella manutenzione ordinaria dei macchinari; non si era attivato per conoscere tutti gli aspetti dell'attività lavorativa, attingendo le informazioni da qualsiasi fonte.

2. Gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
2.1. D.G. (due motivi di impugnazione).
2.1.1. Violazione dell'art. 131 bis cod. pen..
Si osserva che la Corte di appello erroneamente non ha riconosciuto la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in ragione della gravità delle lesioni subite dal lavoratore, aspetto collegato alla natura del reato previsto dall'art. 590, commi primo, secondo e terzo, cod. pen.. Essa non ha considerato che anche il giudice di primo grado aveva ravvisato la lieve entità della colpa, aveva riconosciuto le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 bis e 62, n. 6, cod. pen., ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, ed aveva applicato la sola pena pecuniaria, contenuta entro i limiti delle previsioni edittali.
2.1.2. Vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato.
Si osserva che la Corte di appello ha illogicamente sostenuto che l'idoneità della sicurezza del forno sotto il profilo produttivo non valesse anche in relazione alla fase manutentiva. Al contrario, poiché il forno era stato progettato e costruito da un'azienda leader nel settore era ragionevole ritenerlo all'avanguardia anche in relazione ai dispositivi antinfortunistici.
Inoltre, la Corte territoriale ha erroneamente affermato che il datore di lavoro non poteva limitarsi a fornire al dipendente il miglior macchinario esistente in commercio. In realtà, l'organo giudicante non ha valutato che, per la lavorazione alla quale era destinato quel macchinario, non occorreva un aggiornamento o un'implementazione dei dispositivi di sicurezza di cui esso era provvisto ab origine. Il macchinario era all'avanguardia al momento della vendita e continuava ad essere al passo coi tempi anche ad anni di distanza dalla sua messa in funzione.
2.2. V.L.M. (quattro motivi di impugnazione).
2.2.1. Vizio di motivazione con riferimento all'art. 2 d.lvo n. 81 del 2008.
Si rileva che il C. è stato considerato nella sentenza impugnata come "lavoratore esperto ovvero qualificato", non considerando la sua posizione di dirigente ex art. 2 d.lvo n. 81 del 2008 e, in tale qualità, di "organizzatore" e "vigilante" sull'attività lavorativa nell'ambito della quale si era infortunato (vedi il registro degli infortuni sul lavoro e le testimonianze dello stesso C., di M.H. e di T.G.).
Sebbene responsabile del reparto Colata Ghisa, il C. non aveva mai avvertito il V.L.M. dell'operazione di ripristino del materiale refrattario del forno e delle modalità di compimento della stessa. Egli era venuto meno al più elementare buon senso, camminando lungo il bordo del forno ad un'altezza di almeno tre metri dal suolo, senza rivolgersi al servizio di prevenzione e di protezione per stabilire cosa fare. La sua condotta irragionevole non era preventivabile dal V.L.M..
2.2. Vizio di motivazione in ordine al presunto mancato rispetto dell'obbligo di informativa degli aspetti dell'attività lavorativa da parte del V.L.M..
Si deduce che il V.L.M. aveva espletato l'occorrente per attingere informazioni in tema di sicurezza mediante modalità funzionali al caso concreto. In particolare, aveva spiegato che, in occasione dei meeting sulla sicurezza, si era interfacciato col C., per conoscere le attività del reparto e che però non era stato informato dello svolgimento della lavorazione in questione. L'M.H. dava atto delle visite notturne del V.L.M. e che questi chiedeva al personale di far presente l'individuazione dei peri­ coli; evidentemente, però, l'ingegnere non aveva ricevuto notizie sulla manutenzione del forno.
2.3. Violazione dell'art. 131 bis cod. pen..
Si osserva che, in relazione alla posizione del V.L.M., come per tutti gli appellanti, era stata chiesta l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e che, tuttavia, il verbale di udienza non recava documentazione di tale richiesta, formulata in via subordinata. Sul punto la Corte territoriale ha omesso ogni motivazione.
2.4. Violazione dell'art. 131 bis cod. pen..
Si rileva che ricorrevano gli estremi per concedere la causa di non punibilità in questione alla luce dell'incensuratezza dell'imputato, della sua condotta collaborativa, dell'intervenuto risarcimento del danno e dell'immediato adempimento delle prescrizioni impartite dall'ASL.
 

 

Diritto




1. I ricorsi sono infondati.


2. Col secondo motivo di ricorso, il D.G., datore di lavoro del dipendente infortunato, censura l'affermazione di responsabilità a proprio carico, sostenendo di aver posto in essere tutto quanto da lui era ragionevolmente esigibile grazie all'acquisto di un macchinario di altissima qualità da una ditta produttrice di eccellenza.
2.1. Va premesso che, per soddisfare gli obblighi di diligenza e di cautela posti a tutela della incolumità fisica dei lavoratori dipendenti, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto a dar loro specifiche informazioni sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative e sull'uso dei macchinari, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che l'esistenza di un manuale sull'uso del macchinario valga ad esonerarlo da responsabilità (Sez. 4, n. 5441 del 11/01/2019, Lanfranchi, Rv. 275020; Sez. 4, n. 22164 del 03/06/2008, Pacetti, non massimata).
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, peraltro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, attino, Rv. 263200).
Inoltre, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, deve informare i lavoratori che operano sul macchinario, istruendoli sulle modalità del suo utilizzo e sulle prescrizioni del manuale di funzionamento (Sez. F, n. 45719 del 27/08/2019, Moratelli, Rv. 277306).
2.2. Ciò posto sui principi operanti in materia, la Corte territoriale ha correttamente individuato le ragioni dell'affermazione della responsabilità del D.G.: a) la mancata tutela del lavoratore in relazione all'attività di manutenzione del macchinario, non essendo stata garantita la funzionalità dello stesso nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza; b) l'omessa previsione delle operazioni di pulizia e manutenzione del macchinario nel DVR, nonostante dovessero essere ordinariamente effettuate; c) l'irrilevanza della sola scelta di dotare l'azienda di un macchinario di altissima qualità;
d) l'omessa applicazione delle regole generali di sicurezza per le lavorazioni svolte ad altezza rilevante con particolare riferimento alle misure precauzionali di protezione previste dall'art. 122 D. Lgs. n. 81 del 2008.
A fronte della precisione, completezza ed intima coerenza dell'iter argomentativo sviluppato nonché della correttezza in diritto del ragionamento svolto dal Giudice del gravame, le censure prospettate dal ricorrente quanto alla valutazione delle prove acquisite al processo, alla ricostruzione della vicenda sotto il profilo storico-fattuale ed al conseguente inquadramento giuridico della fattispecie con specifico riguardo alla ritenuta sussistenza dei profili di colpa generica e specifica in relazione alla normativa volta alla prevenzione degli infortuni sul lavoro si risolvono, nella sostanza, nella sollecitazione ad una rilettura delle emergenze processuali in un senso ritenuto più plausibile e, dunque, ad una valutazione di aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a verificare la completezza e l'insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

3. Col primo motivo di ricorso, il V.L.M. (RSPP) si duole che non è stata valutata l'impossibilità di presenziare costantemente in azienda e che non era stato informato delle operazioni di manutenzione disposte nella giornata dell'infortunio da parte del C., soggetto in posizione qualificata all'interno della struttura aziendale. Col secondo motivo di ricorso, il V.L.M. rappresenta di aver adempiuto ai suoi compiti in tema di sicurezza, avendo sollecitato continuamente i lavoratori affinché rappresentassero le criticità sul punto ed avendo visitato l'azienda anche in orario notturno per i dovuti controlli.
3.1. In ordine ad entrambi i motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto connessi tra loro, va ricordato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell'evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate (Sez. 4, n. 49761 del 17/10/2019, Moi, Rv. 277877, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza impugnata per avere fondato la responsabilità del RSPP su un omesso intervento in fase esecutiva, considerata estranea alle competenze consultive e intellettive dello stesso). Egli ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, David, Rv. 275279, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSPP in relazione alle lesioni riportate da un lavoratore, per aver sottovalutato, nel documento di valutazione dei rischi, il pericolo riconducibile all'utilizzo di un carrello elevatore inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate dai lavoratori).
3.2. Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha spiegato esaurientemente le ragioni per le quali il RSPP non poteva ritenersi esonerato dagli obblighi di informarsi della tipologia di lavorazione, di suggerire al datore di lavoro gli interventi da effettuare ai fini della manutenzione nonché di controllare direttamente la rispondenza delle attrezzature e dei luoghi alla prescrizioni di legge in materia antinfortunistica.
In quanto portatore di un obbligo di garanzia, il V.L.M. doveva farsi carico dell'adozione di misure atte a prevenire il rischio da lavori in altezza e non poteva dolersi in ordine all'omessa segnalazione da parte del dipendente della lavorazione da effettuare.
La mancata previsione nello statuto di sicurezza della società delle attività di pulizia e manutenzione dei macchinari, costituenti non un evento eccezionale ma un'ordinaria fase di lavorazione, derivava da un'evidente negligenza e integrava uno specifico addebito, decisivo nel determinismo causale dell'infortunio.

4. Con riferimento al primo motivo di ricorso proposto dal D.G., va osservato che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131 bis, cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e con­ giunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).

A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, Venezia, Rv. 275940).
In tema di "particolare tenuità del fatto", la motivazione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635).
Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all'art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
4.1. La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei princìpi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte distrettuale, infatti, ha reputato decisive, ai fini della valutazione del grado di offensività della condotta, la gravità del fatto e la gravità delle lesioni.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l'organo giudicante non ha negato il riconoscimento della causa di non punibilità esclusivamente per il titolo di reato; sebbene orientato nella determinazione del trattamento sanzionatorio dai numerosi indici positivi rappresentati nella sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha escluso la ridotta offensività per la gravità della violazione della regola cautelare, ritenendola non meramente occasionale ma espressione dell'inadeguatezza del do­ cumento di valutazione dei rischi e, dunque, di una carente attenzione alla sicurezza dei lavoratori. Quanto all'incidenza delle lesioni, anche l'entità delle conseguenze ri­ portate dall'infortunato, nel range delle lesioni gravi, possono entrare nella valutazione sul punto da parte dei giudici.
Gli elementi adoperati dalla Corte di merito, pertanto, appaiono indiscutibilmente significativi e rientranti tra i parametri espressamente considerati dall'art. 133 cod. pen..

5. Il terzo e il quarto motivo del ricorso del V.L.M., entrambi relativi alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., non sono proponibili in sede di legittimità.
Come ammesso dallo stesso ricorrente, si trattava di doglianze non formulate con l'atto di appello.
Ebbene, non sono deducibili con il ricorso per Cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
In ogni caso, come esposto nel paragrafo precedente, la motivazione della Corte di appello è esente da vizi motivazionali al riguardo.

6. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).

 

P. Q. M.
 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 22 aprile 2021.