Cassazione Penale, Sez. 4, 16 settembre  2021, n. 34326 - Mansioni incompatibili con lo stato di salute del lavoratore: art. 2087 c.c.


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 19/05/2021

 

Fatto
 

1. La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Rieti, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.G., S.P. e F.B. per essere il reato loro ascritto estinto per prescrizione. Ha confermato nel resto l'impugnata sentenza, condannando gli imputati in solido alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile.
2. Gli imputati erano stati chiamati a rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1 e 3 cod. pen. perché, in cooperazione tra loro, M.G. quale Presidente del CDA della Cooperativa R. 76 s.r.l. (detta Coop. 76) fino al settembre 2008, S.P. quale Responsabile della sicurezza sul lavoro nel punto vendita della Coop sito in Villa Reatina di Rieti ed il F.B., quale Responsabile del personale della Coop, per colpa, consistita nell'adibire, in violazione dell'art. 2087 cod. civ., S.D. a mansioni di addetto alla cassa incompatibili con le sue condizioni di salute, caratterizzate da paralisi dell'arto superiore destro e del cingolo scapolo-omerale destro con distrofie cutanee da resezione del plesso brachiale destro e la resezione dell'arteria succlavia destra, con esiti cicatriziali deturpanti e con esiti psichici di contusione encefalica, cagionavano al predetto S.D. lesioni personali dalle qual derivava "sindrome ansioso-depressiva e sofferenza discale diffusa", malattia tuttora in atto.
3. Avverso la prefata sentenza ricorrono, con un unico atto e a mezzo dello stesso difensore, i tre imputati, sollevando due motivi. Con il primo, deducono mancanza di motivazione con riguardo alla colpa. Al riguardo, la Corte di appello commette due errori perché mai la difesa degli imputati ha sostenuto che gli stessi non fossero a conoscenza della situazione psico-fisica del S.D., essendo se mai vero che, pur a conoscenza delle sue lamentate doglianze di ordine fisico e psicologico, gli stessi esplicarono la dovuta diligenza affidandosi al giudizio del medico aziendale, dott.ssa P., che non escludeva il mansionamento di cassa ritenendolo compatibile con lo stato di salute dell'uomo. Sbaglia la Corte di merito nel non valutare, e quindi non motivare, in ordine ai certificati medici della dott.ssa P. riferiti agli anni 2009 e 2010 (allegati al ricorso), avendo unicamente richiamato il solo certificato medico del 2008. Dal certificato del 2009 emerge che il giudizio di idoneità del S.D. fu ribadito anche successivamente alla visita effettuata il 26/02/2008 cui fa riferimento la sentenza impugnata. Con il secondo motivo, eccepiscono erronea applicazione della legge penale e carenza di motivazione sul mancato riconoscimento della qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell'art. 590 comma 1 cod. pen. La condotta degli imputati può solo aver aggravato, e non causato, la discopatia e la sindrome ansiosa di cui al capo di imputazione il quale, peraltro, si appalesa impreciso perché non determina la durata della malattia, impedendo così di collocare il fatto all'interno delle ipotesi di cui all'art. 590 comma 3 cod. pen., il quale comporta la procedibilità a querela di parte, nel caso di specie del tutto assente. Chiedono, pertanto, che la Corte di cassazione annulli l'impugnata sentenza e dichiari non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità, revocando, in conseguenza, le statuizioni civili.
4. Il Procuratore Generale in sede, con requisitoria scritta, ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi.
 


Diritto


1. I ricorsi non sono fondati e debbono essere rigettati.
2. Quanto al primo motivo, si osserva che l'addebito di colpa individuato a carico degli imputati, nonché l'assenza di visite mediche tra il primo certificato del 2008 e quello del 2010, è il frutto di una valutazione condivisa dei giudici di merito del materiale probatorio, costituito da produzioni documentali sulla storia clinica della persona offesa, da prove dichiarative e dal contributo specialistico offerto dal consulente nominato nella causa di lavoro, emergenze con cui i ricorrenti non si confrontano.
In sentenza si argomenta infatti in maniera diffusa sul fatto che il S.D. aveva subito un peggioramento delle sue condizioni di salute a causa delle mansioni assegnategli di addetto alla cassa, con la comparsa di una sindrome "ansioso-depressiva" accertata fin dal primo accesso al Pronto Soccorso il 5 marzo 2008, di cui aveva riferito la dott. Manuela Serva, nell'elaborato peritale redatto su incarico del Giudice del Lavoro.
Tale sintomatologia di grado consistente - come risulta accertato dalla valutazione psicodiagnostica della dott. Graziella Bucciolotti (di cui la Corte territoriale riferisce ampiamente a pagg.5 e 6 della sentenza impugnata) - era dunque insorta successivamente alle difficoltà incontrate nell'ambiente di lavoro, e, nonostante le richieste del dipendente, successive alla visita medica del 28 febbraio 2008, che si era appunto recato al pronto soccorso a pochi giorni di distanza per l'aggravamento delle sue condizioni di salute, e si era assentato dal lavoro per malattia, nessuna iniziativa era stata presa dagli imputati per porre fine a tale situazione, adibendo il S.D. ad una mansione diversa e compatibile con le sue condizioni psico-fisiche.
3. Altrettanto infondata appare la seconda doglianza. A prescindere dall'assenza di qualsiasi allegazione in merito alla dedotta tardività della condizione di procedibilità, la procedibilità d'ufficio viene ancorata nel capo di imputazione e dai giudici di merito alla violazione dell'art. 2087 c.c. (appare frutto di mero errore materiale il richiamo all'art.2048 cod.civ. contenuto a pag.7 della sentenza, atteso che viene poi esposto in modo pertinente il contenuto dell'art.2087 cod.civ.) ossia a quell'imperativo più generale che impone di garantire l'incolumità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro nei cui confronti tutti e tre i ricorrenti - la circostanza non è contestata - vantavano posizioni di garanzia e in cui M.G. era il datore di lavori e gli altri hanno operato ex art. 113 c.p.
Deve infatti ritenersi che la violazione delle norme a tutela del lavoratore si configura non soltanto quando viene addebitato ai garanti un profilo di colpa specifica, quale la violazione del Testo Unico n.81/2008, ma ogni qual volta le condizioni psico-fisiche del lavoratore nell'ambiente in cui svolge le sue mansioni non vengano prese in considerazione ai fini di garantire il suo stato di salute, come appunto imposto dalla norma generale di cui all'art.2087 cod.civ.
Di qui la corretta qualificazione giuridica del fatto nella condotta colposa di cui all'art.590, comma 3, cod.pen.
4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.
 

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 19 maggio 2021