Cassazione Penale, Sez. 4, 30 settembre 2021, n. 35846 - Caduta mortale dalla tettoia non protetta: indipendentemente dalla natura subordinata o autonoma del contratto con la vittima, i termini della penale responsabilità datoriale non cambiano


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 18/06/2021
 

Fatto



1. Con sentenza del 14.10.2019 la Corte di appello di Palermo, per quanto qui rileva, ha confermato la declaratoria di responsabilità di I.C. per il reato di omicidio colposo del lavoratore G.S., perché, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, omettendo di adottare i necessari apprestamenti atti a garantire l'incolumità delle persone addette, disponendo tavole sopra le orditure, sottopalchi e idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta, cagionava colposamente il decesso dello G.S.; in particolare, lo G.S. decedeva precipitando da cospicua altezza, mentre stava lavorando in un cantiere gestito dalla ditta dell'imputata su una tettoia non protetta da assi o sottopalchi (fatto del 19.1.2012).

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata, per mezzo del suo difensore, lamentando quanto segue.
I) Vizio di motivazione, per non avere considerato la testimonianza dello G.C. (figlio della persona offesa), dalla quale emerge che il lavoratore deceduto al momento del fatto svolgeva attività lavorativa autonoma unitamente al figlio e non alle dipendenze dell'imputata.
II) Violazione di legge, per non avere valutato che al momento dell'incidente l'imputata non era presente sul posto e non era neanche stata avvisata dell'intervento della ditta G.S..
III) Violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere valutato l'inammissibilità delle costituzioni di parte civile avanzate all'udienza del 28.5.2015, non essendo stata correttamente identificata l'imputata quale legale rappresentante della S.r.l. P..
IV) Violazione di legge, per assenza di motivazione in punto di determinazione della pena.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

4. Il difensore delle parti civili G.C. e G.G si associa alle richieste del PG e chiede la rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

5. Il difensore delle parti civili G.G. (cl. 36), LV.A., G.S. e G.D. si associa alle richieste del PG e chiede la rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

6. Il difensore dell'imputata ha depositato conclusioni scritte con le quali insiste per l'accoglimento del ricorso.

 

Diritto




1. Il ricorso è inammissibile, in quanto reiterativo di censure in fatto non consentite in questa sede e di doglianze che non si confrontano adeguatamente con le specifiche argomentazioni delle conformi sentenze di merito, non manifestamente illogiche e prive di errori in diritto, come tali insindacabili in Cassazione.

2. Il primo motivo reitera la questione della natura del rapporto tra imputato e persona offesa, pretendendo di ottenere in questa sede una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda, in realtà ampiamente affrontato e risolto dalla sentenza impugnata, conformemente a quanto già accertato dal Tribunale, nel senso che lo G.S., al momento dell'incidente, stava lavorando alle dirette dipendenze dell'imputata, con rapporto di sostanziale subordinazione, tanto che la I.C. tentò di regolarizzarne l'assunzione solo poche ore dopo l'infortunio, alcuni giorni prima del decesso del lavoratore, verificatosi in ospedale. Peraltro, il giudice di appello ha correttamente osservato come, anche nell'ipotesi in cui si fosse trattato di lavoratore autonomo, i termini della penale responsabilità della prevenuta non sarebbero mutati, avuto riguardo alla posizione di garanzia comunque riconducibile al committente anche nel caso di affidamento dei lavori ad una impresa esterna. Al riguardo, è stato giustamente richiamato l'insegnamento per cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (cfr. Sez. 4, n. 23171 del 09/02/2016, Rv. 266963). Rispetto a tale ultimo argomento la ricorrente non si confronta, in tal modo rendendo anche aspecifico il motivo di doglianza in esame.

3. Il secondo motivo ripropone la questione della abnormità della condotta del lavoratore, anche in questo caso invocando una sostanziale rivalutazione di merito non consentita in questa sede. La censura è anche manifestamente infondata laddove mira ad escludere la posizione di garanzia dell'imputata per il solo fatto della mancata presenza sul luogo e per non essere stata la ricorrente (ma anche questo attiene al merito) avvisata dell'intervento. Si tratta, in ogni caso, di circostanze che di per sé non escludono la responsabilità del datore di lavoro, avuto riguardo all'insegnamento per cui, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (cfr. Sez. 4, n. 27787 del 08/05/2019, Rv. 276241; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Rv. 253513). Sul punto, in effetti, nulla è stato dedotto dalla ricorrente in tema di eventuale sua incolpevole mancanza di conoscibilità e prevedibilità dell'esecuzione dei lavori; né questa è la sede deputata per un ulteriore approfondimento di merito della vicenda.

4. Il terzo motivo è manifestamente infondato, essendo evidente come la costituzione di parte civile sia stata eseguita nei confronti dell'imputata, quale responsabile in proprio per gli obblighi risarcitori conseguenti al reato, restando invece diverso il profilo risarcitorio della società quale (eventuale) responsabile civile.

5. Quanto al quarto motivo, in merito al trattamento sanzionatorio, è appena il caso di rilevare che la pena irrogata non supera la media edittale, per cui nel caso trova applicazione il costante principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 27124301).

6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo. Va anche disposta la condanna generica dell'imputata in favore delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

 

P.Q.M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Palermo con separati decreti di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso il 18 giugno 2021