Cassazione Penale, Sez. 4, 28 ottobre 2021, n. 38630 - Sfruttamento del lavoro


 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 05/10/2021
 

Fatto




1. Con provvedimento reso a norma dell'art. 309 codice di rito, il Tribunale di Roma ha riformato l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, con la quale era stata applicata nei confronti, tra gli altri, di F.S., F.P., F.A. e DG.A., la misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui all'art. 416, c. 1, 2 e 3, cod. pen. (capo 6), agli artt. 110 e 603-bis, (capo 2), agli artt. 110, cod. pen., 12, c. 5, 22 c. 12 e 12-bis, d. lgs. 286 del 1998 (capo 4) e agli artt. 110 e 440 cod. pen. (capo 5), sostituendo, nei confronti di F.A., la misura più afflittiva con quella degli arresti domiciliari per le tutte le ipotesi di reato contestatele, in ragione della sua condizione di madre di prole di età inferiore a sei anni, ai sensi dell'art. 275 c. 4, cod. proc. pen., e nei confronti degli altri tre indagati solo formalmente per il reato di cui al capo 4), in relazione al limite edittale di pena.

2. Avverso l'ordinanza hanno proposto ricorsi gli indagati con unico atto e medesimo difensore, formulando tre motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto inosservanza e/o erronea applicazione della legge processuale penale e vizio della motivazione, con riferimento alla valutazione di sussistenza della gravità indiziaria per il reato associativo, ipotesi che, secondo il deducente, avrebbe determinato la scelta della misura intra muraria. In particolare, la difesa ha osservato che la provvista indiziaria sarebbe stata erroneamente valutata dal giudice per le indagini preliminari - prima - e dal tribunale - dopo - e che i tentativi di quest'ultimo di colmare il gap probatorio non avrebbero sortito effetto, poiché ai fini della verifica della sussistenza dell'accordo criminoso sarebbero stati valorizzati dati neutri (quali il vincolo di parentela e l'attività aziendale).
La motivazione, inoltre, sarebbe solo apparente, avendo il Tribunale capitolino ribadito le medesime considerazioni svolte nell'ordinanza genetica.
Con un secondo motivo, la difesa ha dedotto analoghi vizi, con riferimento al quadro cautelare, assumendo la mancata valutazione personalizzata e il difetto dei requisiti dell'attualità e concretezza delle esigenze, punto sul quale ha sostenuto che i giudici territoriali si sarebbero avvalsi di argomenti del tutto ipotetici quanto alla fittizietà della cessione dell'azienda, senza individuare, quanto al pericolo di reiterazione criminosa, elementi indicativi della sua attualità e concretezza.
Infine, con l'ultimo motivo, la difesa ha dedotto analoghi vizi quanto alla valutazione della adeguatezza della sola misura infra muraria, ancora una volta censurata per ritenuta apparenza del percorso giustificativo seguito, che si assume disancorato dalla considerazione della natura di extrema ratio di tale misura, il giudizio negativo sulla personalità degli indagati essendo frutto, secondo il deducente, di congetture del tutto ipotetiche e di deduzioni del tutto implicite.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Delia CARDIA, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.


2. Il Tribunale di Roma ha esaminato la gravità indiziaria relativamente a tutti i reati, nonostante la difesa avesse sostenuto che la misura fosse stata applicata solo per quello associativo, rilevando come l'indagine avesse preso avvio dalla denuncia di un cittadino bengalese, il quale aveva descritto un sistema di sistematico sfruttamento del lavoro di connazionali, impiegati presso l'azienda agricola degli indagati. Le propalazioni accusatorie avevano trovato riscontro nelle dichiarazioni di altro connazionale e, successivamente, negli accertamenti svolti dalla P.G.
Era, così, emerso che quello descritto, lungi dal costituire episodio occasionale, costituiva un vero e proprio sistema strutturato e stabile, inteso al reclutamento e sfruttamento illegale di lavoratori stranieri, sottoposti a condizioni lavorative inaccettabili. Ne derivava l'avvio di un servizio di intercettazioni alle quali facevano seguito accertamenti mirati e il tutto aveva consentito di accertare che i congiunti ai quali era riconducibile l'azienda in questione, con la complicità del DG.A. (marito della F.A.) e di altri soggetti non ricorrenti, reclutavano manodopera straniera (in alcuni casi priva di permesso di soggiorno), destinata a lavorare, in condizioni di sfruttamento, nell'azienda, mediante approfittamento del loro stato di bisogno; inoltre, era emerso che nell'azienda era praticata la sistematica adulterazione del prodotto ortofrutticolo (ravanelli) destinato al consumo umano, mediante utilizzo di fitofarmaci pericolosi per la salute pubblica (dato, quest'ultimo, emerso dal contenuto delle intercettazioni, per stessa ammissione degli ignari conversanti, ma anche dall'accertamento svolto, in pregressa analoga attività investigativa, dall'Istituto Superiore della Sanità, e corroborato da un accertamento tecnico disposto dal pubblico ministero).
Quanto al reato di sfruttamento, peraltro, il Tribunale ne ha ritenuto sussistenti le condizioni: ai lavoratori era imposto di utilizzare modalità di trasporto organizzato, in condizioni contrarie alle regole della circolazione stradale, dal coindagato S.; in qualche caso, era impiegata manodopera sprovvista di regolare permesso di soggiorno, nella piena consapevolezza degli indagati; le retribuzioni erano palesemente difformi da quelle previste nei contratti collettivi nazionali o territoriali e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato (sul punto, il Tribunale fa rinvio al dato emerso dalle schede-lavoro per persona, grazie alle quali si è accertato un gap retributivo pari a euro 557.504,60); la remunerazione era spesso corrisposta a cottimo, mediante un sistema di controllo posto in essere dai sorveglianti con l'utilizzo di tablets; i lavoratori si trovavano in condizione di assoluta soggezione, siccome minacciati di perdere il posto di lavoro in caso di lamentele o rifiuto di sottostare a quelle condizioni.
A ciò si aggiunga che l'azienda operava in palese violazione delle regole più elementari sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, non avendo ottemperato agli obblighi di formazione dei lavoratori, mai sottoposti a visite mediche e costretti a lavorare in condizioni di carenze di tipo igienico e di sicurezza, senza che fossero stati realizzati servizi igienici o forniti dispositivi di protezione e indumenti adeguati e ciò nonostante si facesse ampio utilizzo di fitofarmaci pericolosi per la salute dell'uomo.
Il Tribunale, dopo aver riportato nella ordinanza stralci significativi delle propalazioni accusatorie, inerenti alle condizioni lavorative cui le persone offese erano sottoposte e dei dialoghi nei quali gli indagati sostanzialmente denunciavano il sistema praticato, così comprovando la propria partecipazione alla sistematica attività illegale posta in essere nell'azienda di riferimento, in molti casi manifestando anche preoccupazione per l'eventuale rinvenimento nel prodotto agricolo di tracce delle sostanze chimiche pericolose utilizzate, ha dato conto anche dei tentativi approntati da tutti gli indagati in occasione degli accessi della P.G. operante, intesi a nascondere le tracce degli illeciti in atto.
Quanto al reato associativo, poi, i giudici territoriali hanno valorizzato la stabilità dell'accordo che si era consolidato attorno alla realtà produttiva riferibile a tutti gli indagati, a vario titoli e con vari compiti impegnati stabilmente sia nello sfruttamento dei lavoratori, che nell'utilizzo di fitofarmaci pericolosi per la salute pubblica. Hanno dunque individuato il ruolo apicale del padre F.S., sempre presente in azienda, reso costantemente edotto dagli altri sodali della illecita gestione aziendale e soggetto che interveniva a salvaguardia degli interessi associativi nei momenti di fibrillazione; ma anche del figlio F.P., il quale, socio e amministratore di fatto della società, si occupava della gestione concreta insieme alla sorella F.A.. In particolare, il primo si occupava del reclutamento e della sorveglianza della manodopera tramite terze persone incaricate e dell'utilizzo dei fitofarmaci, giovandosi anche dell'ausilio di un tecnico agronomo; la seconda era una vera e propria contabile aziendale, coinvolta nella strategia produttiva portata avanti dai suoi congiunti, anche per quanto riguarda l'impiego di fitofarmaci nella produzione dei ravanelli. Anche il marito di costei, infine, aveva un ruolo specifico nel sodalizio, essendo deputato alla gestione dei braccianti, al controllo della loro produttività e ad assicurare il cottimo e lo sfruttamento illecito tramite alcuni sorveglianti, occupandosi anche, sotto le direttive di F.P., dell'impiego dei fitofarmaci nelle colture.
Quanto, poi, al quadro cautelare, quel giudice ha ritenuto sussistenti il pericolo concreto e attuale di reiterazione e di inquinamento probatorio: quanto al primo, ha valorizzato le modalità della condotta e la condizione di soggezione delle persone offese; quanto al secondo, ha svalorizzato l'argomento difensivo facente leva su una presunta cessazione dell'attività produttiva, indicando specifici elementi che denunciavano la fittizietà della cessione d'azienda (il riferimento è ai servizi di appostamento dai quali era emersa la presenza degli indagati nei luoghi della presunta cessionaria e le dichiarazioni rese da alcuni partners commerciali, i quali avevano confermato che gli ordinativi e le consegne erano stati effettuati, sino a pochi giorni prima della esecuzione delle misure cautelari, interagendo direttamente con i fratelli F. e con il DG.A.).
La misura in atto, peraltro, è stata ritenuta l'unica in grado di salvaguardare le evidenziate esigenze cautelari, da un lato, in quanto gli indagati hanno dimostrato una particolare spregiudicatezza e pervicacia, anche in corso di accertamenti degli organi investigativi, ai cui controlli hanno tentato di sottrarsi; ma anche perché unica in grado di recidere i contatti di costoro con gli attuali gestori dell'azienda agricola (peraltro legati da rapporti di parentela con F.P.), giudicati gli indagati incapaci di quell'autocontrollo che la misura domiciliare richiede.

3. I motivi sono tutti manifestamente infondati e la loro trattazione unitaria è ampiamente giustificata dal tratto che li accomuna, quello cioè della totale assenza di un vaglio critico effettivo alle argomentazioni, del tutto logiche, congrue e non contraddittorie, che sostengono il ragionamento svolto dai giudici del riesame (cfr. sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione, rappresentato indefettibilmente dal confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Quanto alla valutazione della gravità indiziaria, contestata invero solo con riferimento al reato associativo e in maniera generica per tutti gli indagati, a prescindere dal ruolo di ciascuno, di contro analiticamente individuato nel provvedimento censurato, le doglianze difensive propongono una difforme lettura del compendio indiziario, la cui natura impone intanto un rinvio ai principi di diritto ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la lettura del dato emergente dalle intercettazioni è quaestio facti, come tale sottratta al vaglio della Corte di cassazione, ove adeguatamente motivata (cfr. Sez. U. n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; sez. 2 n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea e altri, Rv. 268389).

4. Anche in punto esigenze cautelari e adeguatezza e idoneità della sola misura più afflittiva a salvaguardarle deve ribadirsi il mancato confronto del deducente con le ampie argomentazioni spese nell'ordinanza impugnata, rimandandosi, anche su tali aspetti, al diritto vivente (cfr. sez. 4 n. 47837 del 04/10/2018, Rv. 273994, in cui si è chiarito che il requisito dell'attualità deve essere inteso nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella suadimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell'accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull'esame delle sue concrete condizioni di vita e che tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una "specifica occasione" per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice; cfr. sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avo/io Mario, Rv. 277242; e, anche prima della novella di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 che ha introdotto nel testo dell'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., sez. 6 n. 24779 del 10/05/2016, Randa, Rv. 267830; sez. 2 n. 47891 del 07/09/2016, Vicini e altri, Rv. 268366; n. 53645 del 08/09/2016, Lucà, Rv. 268977; sez. 5 n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216, in cui si era già affermato che il requisito dell'attualità costituisce presupposto implicito per l'adozione della misura cautelare, in quanto necessariamente insito in quello della concretezza del pericolo, posto che l'attualità deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi).
Lo stesso dicasi quanto alla spiegazione con cui il Tribunale ha ritenuto l'idoneità contenitiva della sola misura inframuraria, valorizzando proprio la pervicacia e spregiudicatezza dimostrata dagli indagati, in uno con la necessità di recidere ogni capacità di inflitrazione nella azienda agricola.

5. Alla inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa della inammissibilità (cfr. Corte cost. n. 186/2000), con trasmissione di copia del presente provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94 c. 1 ter disp. att. c.p.p.
 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Deciso il 5 ottobre 2021.