Cassazione Civile, Sez. Lav., 02 novembre 2021, n. 31138 - Caduta dall'alto nel cantiere edile. Rapporto di subordinazione lavorativa e risarcimento del danno differenziale


 

Presidente: TRIA LUCIA
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI
Data pubblicazione: 02/11/2021
 

 

Rilevato che


1. con sentenza 29 settembre 2017, la Corte d'appello di Roma condannava G.S.A. s.r.l. al pagamento, in favore di C.D. a titolo di danno differenziale, della somma di € 211.666,48, oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande del lavoratore di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti dal giugno 2005 all'8 ottobre 2009 con qualifica di operaio edile e di condanna della società datrice al pagamento, in suo favore, della somma di € 49.282,93 per differenze retributive e di€ 1.402.000,00, a titolo risarcitorio per danni patrimoniali e non, conseguenti all'infortunio subito sul lavoro;
2. esclusa la prova del rapporto di subordinazione lavorativa per l'allegato periodo quadriennale sulla scorta delle testimonianze, confuse e per lo più de relato, assunte dal Tribunale, la Corte territoriale lo riteneva tuttavia dimostrato, in base alle scrutinate risultanze istruttorie (anche acquisite dal processo penale), per il giorno (8 ottobre 2009) di verificazione dell'infortunio, circa alle ore 12, quando il lavoratore, inviato dal responsabile della società nel cantiere edile presso un condominio in Roma­ Ostia Lido per il montaggio di una struttura metallica per il posizionamento di un ascensore, utilizzando come base d'appoggio una tavola di legno e in assenza di dispositivi di protezione, precipitava a terra dal quarto piano (dove stava lavorando alla formazione della struttura) all'altezza di circa dodici metri, a causa del cedimento della tavola, procurandosi lesioni gravissime;
3. tanto accertato, in evidente connessione causale con la violazione dell'obbligazione di sicurezza della società datrice e pertanto ritenutane la responsabilità, ai sensi dell'art. 2087 C.c., essa la condannava al risarcimento del danno differenziale, per la configurabilità nell'infortunio di lesioni personali colpose, pari al danno biologico (unica voce di danno risarcibile, in assenza di prova di un danno patrimoniale in riferimento a spese mediche non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale, né di specifici danni ulteriori rispetto all'assicurazione Inail) non indennizzato dall'Inail, che liquidava con il criterio tabellare del Tribunale di Roma per l'anno 2017 e personalizzazione del danno (nei suoi diversi profili morale, esistenziale, alla vita di relazione et similia) nella complessiva somma di € 478.706,79, da cui detraeva il valore capitale della rendita Inail pari alla somma di € 267.040,31, così riconoscendo quella suindicata;
4. con atto notificato il 22 febbraio (23 marzo) 2018, la società ricorreva per cassazione con sette motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 380bis1 c.p.c., cui il lavoratore resisteva con controricorso;

 

Considerato che
1. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 434 c.p.c, per inammissibilità dell'appello del lavoratore in difetto di specificità dei motivi, sotto il profilo dell'omessa indicazione delle parti del provvedimento oggetto di impugnazione, delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto e delle circostanze rilevanti da cui derivanti le violazioni: vizio rilevabile d'ufficio dalla Corte d'appello, che avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile pure in assenza di un'espressa eccezione di parte (primo motivo);
2. esso è inammissibile;
3. la questione è nuova ed implica un evidente accertamento in fatto, sia pure processuale: soltanto in un secondo tempo da ricondurre ad un principio di diritto; essa, infatti, non è stata trattata dalla sentenza e, non avendo la ricorrente indicato l'atto nel quale l'avrebbe dedotta davanti al giudice di merito, comporta l'inammissibilità del mezzo (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28482; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804);
3.1. inoltre, esso difetta pure di specificità, in violazione della prescrizione dell'art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., non avendo la ricorrente (non dispensata dall'onere di specificazione, pure nella deduzione di un errar in procedendo, quale nella sostanza quello denunciato, che legittima l'attivazione dell'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito da parte di questa Corte, quale giudice appunto del fatto processuale) debitamente trascritto gli atti processuali, in particolare la sentenza di primo grado e l'atto di appello, così da consentire la verifica in concreto del paradigma delineato dagli artt. 342 e 434 c.p.c., in relazione alla specificità delle censure articolate (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 4 febbraio 2019, n. 3194; Cass. 23 dicembre 2020, n. 29495), che devono essere tali da contrapporsi, in virtù di compiute argomentazioni, alla motivazione della sentenza impugnata, mirando ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. s.u. 9 novembre 2011, n. 23999; Cass. 22 settembre 2015, n. 18704; Cass. 15 giugno 2016, n. 12280);
4. la ricorrente deduce poi violazione degli artt. 2087, 2094, anche in combinazione con l'art. 2697 c.c., per la preclusione di imputazione di una responsabilità datoriale di violazione dell'obbligo di sicurezza, in assenza di un rapporto lavorativo subordinato, non correttamente accertato, per giunta per il solo giorno dell'infortunio, sulla base di principi di prova (dichiarazioni del subappaltatore C.P., tesserino con la foto del lavoratore e il nome di altro dipendente, contratto di appalto tra la committente e la ricorrente recante il divieto di subappalto), neppure in riferimento agli elementi di essenziale individuazione della sussistenza di un tale rapporto (secondo motivo);
5. esso è inammissibile;
6. la Corte territoriale ha accertato, in riferimento al giorno dell'infortunio subito da C.D., la sussistenza di un rapporto di lavoro tra le parti. E ciò, in esito ad una valutazione delle risultanze istruttorie, adeguatamente argomentata (per le ragioni indicate ai p.ti 7 e 8 di pgg. 4 e 5 della sentenza), sugli essenziali elementi dell'invio del predetto dal responsabile di G.S.A. s.r.l. (incaricata del montaggio di una struttura metallica in un condominio di Roma - Ostia Lido per il posizionamento di un ascensore) nel cantiere edile, in cui il primo ha potuto accedere in virtù di un tesserino identificativo della società con la sua fotografia, ancorché con le generalità di altro suo dipendente regolarizzato (così al p.to 6 di pg. 4 della sentenza);
6.1. ora, è indubbio che requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, sia il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative; che l'esistenza di tale vincolo vada concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo; e che in sede di legittimità sia censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici - la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale (Cass. 21 novembre 2001, n. 14664; Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728);
6.2. l'accertamento della Corte capitolina, ha valorizzato l'invio del lavoratore da parte del responsabile della società e la dotazione del lavoratore medesimo, sempre da parte della società, di un proprio tesserino (ancorché di altro dipendente, ma cui applicata una fotografia del predetto) così da consentirne l'accesso al cantiere nella sua disponibilità, ed evidente correlativa responsabilità, per compiere il lavoro ad essa commesso in appalto, nell'esecuzione del quale poi è occorso l'infortunio; ebbene, tali elementi probatori sono riconducibili, per corretta sussunzione della fattispecie concreta nell'ipotesi normativa astratta in base ad una corretta attività ermeneutica nella ricostruzione della portata precettiva delle norme, che esclude la ricorrenza dell'errar in iudicando denunciato (Cass. 31 maggio 2006, n. 12984; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 27 marzo 2019, n. 8593), alla soggezione del prestatore al potere direttivo dell'imprenditore, avuto riguardo al suo concreto atteggiarsi (Cass. 16 novembre 2018, n. 29646), che solo ne ha consentito l'accesso al cantiere e giustificato il compimento dell'attività sotto la sua direzione: così realizzandone, come sintomaticamente rivelato dal tesserino, l'inserimento nella sua organizzazione (Cass. 22 dicembre 2009, n. 26986);
6.3. pertanto, essendo in sede di legittimità censurabile la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, ma non - occorre ribadire - l'accertamento di fatto, se sorretto, come nel caso di specie, da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici, resta insindacabile da questa Corte la valutazione delle risultanze processuali che abbiano indotto il giudice ad includere o meno il rapporto controverso nello schema contrattuale della subordinazione (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728; Cass. 4 maggio 2011, n. 9808, con principio affermato ai sensi dell'art. 360bis, primo comma c.p.c.), posto che la sussistenza di tale elemento nell'ambito di un contratto di lavoro è il risultato di suddetto accertamento (Cass. 10 luglio 2015, n. 14434);
7. la ricorrente deduce quindi omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti, quale la sussistenza del rapporto di subordinazione del lavoratore nei confronti di C.P. secondo le dichiarazioni del lavoratore medesimo, in linea con quelle dello stesso C.P. e dei testi assunti in primo grado (terzo motivo); omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti, quale l'abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore, secondo le dichiarazioni rese da C.P. e dal medesimo lavoratore, in ordine alla sua arbitraria assunzione di un compito non assegnatogli, quale il montaggio del castello, estraneo a quello di scarico di materiali commessogli (quarto motivo);
8. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
9. non è configurabile il vizio denunciato, per mancato rispetto del suo paradigma deduttivo, posto che l'art . 360, primo comma, n. 5 c.p.c., riformulato dall'art. 54 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (perché, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): ma è evidente che non sia questo l'oggetto della censura, quanto piuttosto la valutazione delle risultanze istruttorie, al di fuori del vizio denunciato (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), non potendo con il ricorso per cassazione la parte rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, essendo preclusa in sede di legittimità la revisione di tali accertamenti di fatto (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. 30 ottobre 2020, n. 24024; Cass. 28 maggio 2021, n. 14981);
10. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 246 c.p.c, per incapacità a testimoniare di C.P., del quale la ricorrente aveva chiesto la chiamata in garanzia quale subappaltatore datore di lavoro di C.D. e parte nel giudizio civile da questi promosso davanti al Tribunale di Roma, sospeso in attesa di definizione del presente in quanto pregiudiziale: con erronea valorizzazione, al contrario, delle sue dichiarazioni nell'immediatezza alla P.G., rispetto alle deposizioni dei testi assunti in giudizio (quinto motivo);
11. anch'esso è inammissibile;
12. è noto che la valutazione della sussistenza o meno dell'interesse che dà luogo ad incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è rimessa, così come quella inerente all'attendibilità dei testi e alla rilevanza delle deposizioni, al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. 19 gennaio 2007, n. 1188; Cass. 28 luglio 2007, n. 17630; Cass. 4 gennaio 2019, n. 98), come appunto nel caso di specie (per le ragioni indicate sub p.to 8, al terz'ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza), nei più circoscritti limiti di devoluzione prescritti dal novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis;
13. la ricorrente deduce violazione degli artt. 414, n. 4, 420, 329 c.p.c., per utilizzazione dalla Corte territoriale, ai fini della formazione del suo convincimento, di un documento (tesserino di G.S. con foto del lavoratore e generalità di altro dipendente) tardivamente prodotto in primo grado e non ammesso dal giudice, con formazione di giudicato sul relativo capo della sentenza non impugnato, in ogni caso pure disconosciuto (sesto motivo);
14. esso è inammissibile;
15. la ricorrente ha denunciato che la Corte territoriale abbia utilizzato, a fini di formazione del proprio convincimento, un documento che la sentenza di primo grado aveva dichiarato inammissibile, alla stregua di errar in iudicando sotto il profilo di violazione del giudicato interno, in riferimento alla parte di detta sentenza riguardante "ogni richiesta produzione documentale del ricorrente in sede di deposito di note conclusive ... considerata tardiva e, pertanto, rigettata" (così ai primi tre alinea di pg. 21 del ricorso), anticipata dalla ritenuta tardività della produzione documentale in questione all'udienza del 15 ottobre 2002 (agli ultimi due alinea di pg. 20 del ricorso);
15.1. il vizio denunciato non si configura, posto che la nozione di "parte della sentenza", alla quale fa riferimento l'art. 329, secondo comma c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le "statuizioni minime", costituite dalla sequenza di fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell'ambito della controversia: con la conseguenza che l'impugnazione, motivata con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull'intera questione che essa identifica (Cass. 28 settembre 2012, n. 16583; Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217; Cass. 26 giugno 2018, n. 16853): ciò che è avvenuto nel caso di specie, per effetto del riesame dell'accertamento di ricorrenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, nel quale il profilo istruttorio si inserisce, senza evidentemente integrare la suddetta statuizione minima idonea al giudicato
interno;
15.2. peraltro, la doglianza si appunta sull'impiego dalla Corte territoriale di un documento tardivo, in virtù di un non corretto esercizio dei propri poteri officiosi ai sensi dell'art. 437 c.p.c.: ma esso integra, non già un errar in iudicando, ossia di interpretazione della norma, ma un vizio di attività processuale rilevante ai fini dell'accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all'ammissibilità del documento e pertanto un errar in procedendo, (Cass. 25 gennaio 2016, n. 1277; Cass. 8 febbraio 2017, n. 3309), comportante la nullità del procedimento, che tuttavia non è stato denunciato;
16. infine, la ricorrente deduce violazione degli artt. 1656, 1418 e.e., 112 c.p.c. in combinata disposizione, per la ritenuta nullità del contratto di subappalto tra la ricorrente e C.P., atteso il divieto di subappalto nel contratto di appalto tra la committente E. e G.S. (quale argomento probatorio per la ravvisata sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti), per la natura relativa della nullità, rilevabile dalla sola parte interessata e non d'ufficio dal giudice, in ogni caso superata dal comportamento concludente della committente, consenziente ad esso, per la sua consegna di materiale da assemblare direttamente al subappaltatore (settimo motivo);
17. anch'esso è inammissibile;
18. la censura non coglie la portata dell'affermazione della Corte territoriale in ordine alla (in)validità del contratto di subappalto in questione, che non approda ad alcuna statuizione di nullità dello stesso (in ordine alla quale potrebbe eventualmente configurarsi l'errar in iudicando denunciato), piuttosto rilevando alla stregua di mera argomentazione di chiusura di un ragionamento probatorio (all'ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza), rispetto alla quale la questione posta è inconferente;
19. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, distrazione in favore del difensore antistatario secondo la sua richiesta e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella Adunanza camerale del 9 giugno 2021