Cassazione Civile, Sez. 6, 05 novembre 2021, n. 32141 - Risarcimento per danno differenziale a seguito di infortunio sul lavoro. Errore revocatorio


 

Presidente: LEONE MARGHERITA MARIA Relatore: MARCHESE GABRIELLA
Data pubblicazione: 05/11/2021

  

 

Rilevato che


S.S. ha proposto ricorso, ai sensi dell'art. 391 bis cod.proc.civ., avverso la sentenza nr. 21462 del 2019, con la quale la Corte di cassazione ha respinto il ricorso ordinario proposto dal medesimo, datore di lavoro, nei confronti di H.S., lavoratore;
dinanzi alla Corte di legittimità, era stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Messina che aveva accolto la domanda del lavoratore di risarcimento per danno differenziale, a seguito di infortunio sul lavoro;
per il solo profilo che qui rileva, la Corte dopo aver osservato, con riferimento ai primi due motivi di ricorso, che la responsabilità datoriale nella causazione dell'evento era stata accertata anche in sede penale e che «quanto alla prova del danno biologico» i giudici di appello avevano correttamente operato «valutando il quantum invalidante a mezzo di consulenza tecnica» e proceduto alla relativa liquidazione, ha dichiarato («poi») inammissibile, per difetto di specificità, il terzo motivo di ricorso con il quale la parte assumeva parziali pagamenti;
per la Corte, la prospettazione dell'avvenuta effettuazione di tali pagamenti, in esecuzione di un accordo, era circostanza genericamente dedotta; i termini dell'accordo erano rimasti del tutto imprecisati «non essendo stato lo stesso trascritto nel ricorso né allegato allo stesso nelle forme prescritte dall' articolo 369 cod proc civ (non risultando reperibili, nel fascicoletto, neppure i documenti indicati come allegati 14 e 15 nel relativo motivo di ricorso) e non essendo stato neppure chiarito se fosse stato prodotto nel giudizio di appello[ ...]»;
al giudizio di revocazione, ha resistito, con controricorso, la parte in epigrafe;
la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
la parte ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che


a sostegno del ricorso, parte ricorrente prospetta errore di fatto revocatorio nell'avere la Corte escluso il fatto (id est: la prova del pagamento della somma di Euro 57.830,00 ed il relativo titolo) invece positivamente accertato sia attraverso «l'acquisizione del fascicolo trasmesso dalla Corte di appello di Messina sia attraverso il deposito di apposito fascicoletto ex art. 369 cod.proc. civ.»;
in definitiva, il ricorrente censura la statuizione di inammissibilità del motivo ed assume che la Corte, tra gli atti interni al giudizio, avrebbe avuto tutti i documenti necessari a dimostrare l'avvenuto pagamento;
in linea generale, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (tra le tante, Cass. nr. 442 del 2018, Cass. nr. 6405 del 2018; Cass. nr. 4456 del 2015; in motiv., Cass., sez. un., nr. 5906 del 2020);
l'errore revocatorio deve, inoltre, avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve, altresì, essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l'errore la pronuncia sarebbe stata «con certezza di segno opposto» (nei termini, Cass. nr. 5197 del 2002; successivamente, ex plurimis, in motivaz. Cass. nr. 19240 del 2011; Cass. nr. n.4050 del 2016);
l'errore di fatto, invece, non è mai ravvisabile nell'ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento degli atti processuali ed è, quindi, esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (tra le molte, Cass. nr. 6405 del 2018 cit.; Cass. nr. 22171 del 2010; in motiv., Cass., sez.un., nr. 8984 del 2018);
in questa prospettiva, è stata esclusa la ricorrenza di un errore revocatorio, nel preteso errore sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (Cass. nr. 11657 del 2006), nel preteso errore in punto di individuazione delle questioni oggetto dei motivi del ricorso (Cass. nr. 5086 del 2008), nel preteso errore nell'interpretazione dei motivi (Cass. nr. 9533 del 2006) o nella lettura del ricorso (Cass. nr. 5076 del 2008), così come, infine, nel preteso errore sull'esistenza, o meno, di una censura (Cass. nr. 24369 del 2009);
con specifico riferimento al giudizio di ammissibilità dei motivi di ricorso, espresso in relazione agli oneri di specificazione desumibili dal combinato disposto degli artt. 366, comma 1, nr. 6 e 369, comma 2, nr. 6 cod.proc.civ. -che qui in particolare rileva-,
l'impossibilità di configurare «errore revocatorio [ ...] sulla violazione del "principio di autosufficienza" in ordine a uno dei motivi di ricorso»
(v. Cass. nr. 14608 del 2007; conf. Cass. nr. 9835 del 2012; Cass. nr. 20635 del 2017) è stata sostenuta osservando che «eventuali errori o incompletezze della menzionata attività di disamina [ ...] attengono (sempre) [...] alla valutazione ed al giudizio in ordine al contenuto del ricorso [ ...] non [ ...] oggetto del rimedio straordinario della revocazione concesso solo per errori di fatto propriamente detti» (in motivazione, Cass. nr. 14608 cit);
alla stregua di tali riassuntive indicazioni, emerge chiaramente come la parte ricorrente non faccia valere alcun errore percettivo nel senso chiarito dalla giurisprudenza e cioè con riferimento a un «fatto» risultante in modo incontrovertibile dagli atti o da essi positivamente escluso. Il ricorrente critica piuttosto il giudizio reso dai giudici di legittimità in ordine alla compiutezza del ricorso. La Corte ha giudicato non adeguata la trascrizione, nel ricorso ordinario, del documento posto a fondamento delle censure mentre la parte, ancora nella memoria depositata ai sensi dell'art. 380 bis cod.proc.civ., si dilunga sul principio di «autosufficienza» e sul valore del Protocollo d'Intesa siglato il 17 dicembre 2015; segno come sia in discussione proprio la valutazione espressa in ordine al contenuto del ricorso e, quindi, una questione che esula dalla logica del rimedio revocatorio;
segue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
sussistono, altresì, i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, del doppio contributo, ove dovuto;
 

P.Q.M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 20 maggio 2021