Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 08 novembre 2021, n. 32503 - Riconoscimento dell'aggravamento della malattia professionale (ipoacusia)


 

 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CAVALLARO LUIGI
Data pubblicazione: 08/11/2021
 

Fatto


che, con sentenza depositata il 2.12.2014, la Corte d'appello di Reggio Calabria, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di A.P. volta al riconoscimento dell'aggravamento della malattia professionale (ipoacusia) per la quale gli era stata concessa rendita;
che avverso tale pronuncia A.P. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
 

Diritto


che, con i due motivi di censura, il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione di norme di diritto per non avere il CTU di seconde cure motivato le conclusioni rassegnate nel proprio elaborato e per avere la Corte di merito motivato in modo contraddittorio rispetto alle risultanze processuali e alla CTU espletata in primo grado, che, applicando le tabelle di cui a d.lgs. n. 38/2000 in dipendenza del tempo dell'aggravamento, ancorché la malattia professionale avesse decorrenza da data anteriore alla loro entrata in vigore, aveva riconosciuto l'aggravamento dell'ipoacusia in misura pari al 35%;
che è consolidato il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017, 3340 del 2019);
che, nella specie, il motivo di censura concernente la supposta violazione di legge incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione delle tabelle allegate al d.lgs. n. 38/2000, pretende di criticare l'accertamento di fatto che la Corte territoriale, avvalendosi di una CTU, ha compiuto al fine di escludere in radice il lamentato aggravamento della malattia professionale;
che del pari inammissibile, per difetto di specificità, è la censura ex art. 360 n. 5 c.p.c. (peraltro erroneamente definita in relazione al testo della disposizione vigente anteriormente alla modifica disposta dall'art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con I. n. 134/2012), non essendo stato trascritto nel ricorso per cassazione né il contenuto dell'elaborato peritale oggetto di critica né quello di primo grado né la documentazione sanitaria ivi richiamata ed essendo per contro consolidato il principio di diritto secondo cui il ricorrente, che denunci ex art. 360 n. 5 c.p.c. l'erroneità di una CTU è anzitutto onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, della trascrizione integrale nel ricorso almeno dei passaggi salienti e non condivisi della relazione (Cass. nn. 16368 del 2014, 11482 del 2016, 30488 del 2019), fermo restando che, a seguito della cennata riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c., non è deducibile per cassazione la deficienza argomentativa della decisione in punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendosi piuttosto l'indicazione delle circostanze secondo le quali quel recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia tradotto nell'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti (così Cass. n. 18391 del 2017, 14599 del 2021);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
 

P. Q. M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 3.6.2021.