Cassazione Civile, Sez. 6, 18 novembre 2021, n. 35384 - Clima di ostilità e di denigrazione ritenuto subìto dal lavoratore. Ricorso inammissibile


 

Rilevato che


1. Con sentenza n. 189 depositata il 29.5.2020 la Corte di appello di Torino ha respinto l’appello proposto da G.A. nei confronti di A. s.a.s. di Giordano & Pautré & c., INAIL e Generali Italia s.p.a., confermando la pronuncia del Tribunale di Alessandria che (a seguito di conciliazione giudiziale concernente la domanda di impugnazione di licenziamento) aveva accolto la domanda del lavoratore relativa al pagamento di differenze retributive per lo svolgimento di lavoro straordinario e respinto le ulteriori due domande attinenti al pagamento di danni da mobbing e alla erogazione, da parte dell’Istituto previdenziale, di un indennizzo per inabilità permanente, e del relativo danno differenziale a carico del datore di lavoro.
2. La Corte territoriale, per quel che interessa, ha rilevato che correttamente il giudice di primo grado aveva interpretato la domanda attorea quale accertamento del danno fisico-biologico conseguente all’infortunio sul lavoro del 14.3.2015 (escludendo che fosse stata avanzata altresì domanda di danno in relazione alla malattia professionale progressivamente insorta per il periodo di lavoro presso la società A., settembre 2012-marzo 2015), militando a favore di questa interpretazione l’intero contenuto del ricorso (“considerando quindi non soltanto le conclusioni ma anche i fatti esposti e le considerazioni svolte nella parte motiva dell’atto”), anche alla luce delle precisazioni formulate nel corso del giudizio e in generale del comportamento processuale del ricorrente; invero, l’ambiguità riscontrabile nella parte motiva del ricorso (ove da una parte si deduceva il danno rilevato dal consulente tecnico di parte, che aveva incentrato la propria indagine esclusivamente sull’evento infortunio, e dall’altra veniva dedotta una malattia professionale conseguita all’eccessivo carico di lavoro), doveva ritenersi chiarita dalle precisazioni rese dal difensore del lavoratore nel corso della prima udienza (che circoscriveva al danno da infortunio la domanda rivolta nei confronti dell’INAIL, risultando – dalle conclusioni del ricorso – che il danno differenziale chiesto al datore di lavoro costituiva la parte residuale dell’indennizzo richiesto all’Istituto previdenziale) nonché dall’assenza di rilievi concernenti il quesito posto, alla presenza del difensore del ricorrente, al consulente tecnico d’ufficio (quesito che riguardava esclusivamente i danni riportati dall’infortunio sul lavoro, senza alcun riferimento a malattie professionali). Riguardo ai richiesti danni da mobbing, la Corte territoriale ha sottolineato l’assenza di prova circa l’elemento oggettivo e quello soggettivo di tale fenomeno, a fronte della mancata conferma giudiziale di molte circostanze allegate in ricorso e dell’accertato contesto scherzoso nel quale altri comportamenti (lancio di teste di fiori ed epiteti) si erano verificati, fra l’altro anche in modo reciproco da parte del lavoratore stesso.
3. Contro la sentenza, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi; la società A. s.a.s., l’INAIL, la società Generali Italia s.p.a. hanno resistito con rispettivi controricorsi.
4. La proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata.
In prossimità dell'adunanza, il ricorrente e la società Generali Italia hanno depositato memoria.
 

Considerato che


1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. 112, 113, 132, comma 2, n. 4 c.p.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., avendo, la Corte territoriale, violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e fornendo una motivazione contraddittoria ed illogica ove ha ritenuto che la domanda del lavoratore fosse circoscritta al danno conseguente all’infortunio sul lavoro e non anche alla malattia professionale ingenerata dalle gravose modalità di prestazione dell’attività lavorativa, come chiaramente si evinceva dalle conclusioni del ricorso, dai fatti esposti e dalla memoria autorizzata di primo grado, nonché dalla comparsa di risposta del datore di lavoro.
2. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. 2087, 2729, 113, 115, 116, 132, comma 2 nonché omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. in quanto le evidenze processuali della fase di merito, l’accertamento di un orario di lavoro esorbitante, le conclusioni del consulente tecnico di
parte (che evidenziava un danno psichico esistenziale riconducibile alla situazione lavorativa avversativa) dimostravano la sussistenza di una fattispecie di mobbing, mentre la Corte territoriale ha erroneamente ricondotto le condotte riferite dai testimoni a episodi “scherzosi”.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l'inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all'art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l'esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione... " ( Cass. n. 17125 del 2007 e negli stessi termini Cass. n. 20652 del 2009).
3.1. Nel caso di specie difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non si è limitata ad analizzare gli atti depositati dal ricorrente originario (che, anzi, ha definito effettivamente ambigui), ma – in ossequio all’orientamento espresso da questa Corte - ha effettuato una esegesi delle domande giudiziali anche alla luce del comportamento processuale della parte.
3.2. Le censure non colgono la ratio decidendi perché il ricorrente insiste sulla mancata considerazione delle argomentazioni spese nel ricorso originario e nella memoria autorizzata di primo grado (nonché nella comparsa di costituzione della società A.) ma nulla deduce sulla interpretazione del ricorso offerta dalla Corte territoriale anche alla luce del comportamento processuale della parte.
4. Inoltre, la Corte territoriale, al fine di motivare la propria decisione (in senso conforme al giudice di primo grado), ha estesamente riportato brani del ricorso originario e dei verbali di udienza; non sussiste, dunque, l'invocata apparenza della motivazione che - potendosi parificare alla motivazione inesistente, censurabile ai sensi dell'art. 132 n. 4 c.p.c. - si verifica nel caso in cui essa «benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232): solo in questi casi si può parlare di assenza di una motivazione percepibile realmente come tale.
4.1. Né ricorre l’ipotesi di omessa pronuncia denunciabile ai sensi dell'art. 112 c.p.c. che consiste invece nella mancanza di presa di posizione del giudice rispetto ad una domanda od eccezione, nulla avendo a che vedere con la mera carenza motivazionale, in una delle sue possibili manifestazioni.
5. Inammissibile risulta, infine, l’invocato paradigma dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), ricorrendo, nel caso di specie, la fattispecie della c.d. pronuncia doppia conforme e non avendo, il ricorrente in cassazione, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. nn. 26774 del 2016, 5528 del 2014).
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si sostanzia, anche laddove denuncia la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
6.1. Come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l'errore interpretativo, cioè con l'erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta; al contrario, l'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo quest'ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.
6.2. Nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto delle deposizioni testimoniali e della consulenza tecnica di parte, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto al clima di ostilità e di denigrazione ritenuto subìto dal lavoratore) non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nonché della preclusione derivante – come già rilevato - dalla pronuncia c.d. doppia conforme.
7. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
8. In considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P. Q. M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole, a favore di ciascun controricorrente, in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 12 ottobre 2021.