Cassazione Civile, Sez. 6, 18 novembre 2021, n. 35386 - Postumi derivanti da due infortuni sul lavoro. Ricorso dell'Inail


 

Rilevato che
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Ancona, confermando la pronuncia del Tribunale di Pesaro, ha accolto la domanda di O.M. proposta nei confronti dell’INAIL per l’accertamento di postumi permanenti derivanti da due infortuni (del 20.3.2012 e del 10.9.2014) e la condanna al pagamento del trattamento economico di cui all’art. 13, comma 2, del d.lgs. n 38 del 2000.
2. La Corte territoriale, sulla scorta della consulenza tecnica d’ufficio rinnovata in sede di appello, rilevava che l’infortunio del 2012 aveva provocato una contusione ossea rotulea (all’epoca non visibile alla radiografia convenzionale e alla TC) che aveva senza dubbio comportato un peggioramento algo disfunzionale, anche a causa delle concorrenti patologie artrosiche e del processo degenerativo del menisco; l’incidenza del trauma subìto a seguito del primo infortunio, sulla funzionalità del ginocchio destro era pari al 3% di aggravamento rispetto al generale quadro artrosico-degenerativo preesistente e tale percentuale – integrata con calcolo riduzionistico equitativo al 15% preesistente -, determina un danno complessivo pari al 17%;
3. avverso la sentenza l’INAIL ha proposto ricorso, articolato in tre motivi, illustrato da memoria, e l’assicurata è rimasta intimata;
4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’articolo 380 bis cod.proc.civ.;
 

Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 83 T.U. n. 1124 del 1965 (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per avere, la Corte territoriale, confermato la sentenza di primo grado e, per l’effetto, riconosciuto l’aggravamento per danno biologico con decorrenza dall’infortunio del 2012 nonostante che l’aggravamento sia stato determinato dall’infortunio del 2014, come si evince chiaramente dalla relazione del CTU (di cui ampi stralci sono trascritti nella sentenza impugnata).
2. Con il secondo motivo si denunzia nullità della sentenza per contrasto nella motivazione e tra motivazione e dispositivo (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, affermato, dapprima, che l’aggravamento non era presente alla data dell’infortunio del 2012 e poi che “il CTU ha riconosciuto un’incidenza del trauma, subìto dalla ricorrente a seguito di primo infortunio del 2012, sulla funzionalità del ginocchio dx pari al 3% di aggravamento”; inoltre, nella parte motiva la sentenza impugnata ha rilevato un grado di menomazione permanente pari al 17% e poi, nel dispositivo, ha confermato la sentenza di primo grado (che aveva riconosciuto un danno biologico pari al 16%).
3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 91 cod.proc.civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) per avere, la Corte territoriale, condannato l’istituto previdenziale al pagamento integrale delle spese del grado di appello e al versamento del doppio contributo nonostante l’Istituto aveva, incolpevolmente, in sede di revisione, accertato l’assenza di postumi permanenti, poiché, alla luce delle strumentazioni disponibili al momento dell’accertamento, l’aggravamento non era diagnosticabile, come rilevato dalla stessa Corte;
4. il primo motivo è inammissibile per violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto della sentenza di primo grado potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.proc.civ.
Invero, la sentenza impugnata non indica la data (2012 o 2014) dalla quale il Tribunale ha fatto decorrere l’obbligo del pagamento della prestazione previdenziale e il ricorso per cassazione non trascrive il pronunciamento di primo grado. A fronte di tale carenza di specificità e considerato che il CTU nominato dalla Corte territoriale ha indicato quale danno complessivo la percentuale del 17%, la censura appare costituire un mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (Cfr. Cass. n. 1652 del 2012, n. Cass. n. 3816 del 2013, Cass. n. 21742 del 2020, Cass. n. 9234 del 2021).
5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto è volto non tanto a far valere una difformità tra dispositivo e motivazione quanto ad ottenere la valutazione della diversa qualificazione del fatto, in primo e in secondo grado, nonché a superare il limite della non spendibilità del motivo del 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., a fronte di una pronuncia c.d. doppia conforme, la cui configurazione non è valutabile da questa Corte in assenza della trascrizione della pronuncia del Tribunale (cfr. Cass. 2453 del 2018, Cass. n. 15367 del 2014, Cass. S.U. n. 8077 del 2012; Cass. n.23420 del 2011).
Inoltre, nel rito del lavoro soltanto il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo; tale insanabilità deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga; in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere il contrasto tra dispositivo e motivazione (cfr. Cass. n. 21618 del 2019).
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte, in tema di spese processuali, ha ripetutamente affermato che la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall'art. 91 cod. proc. civ., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea, mentre in ogni altro caso e in particolare ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, abbia compensato le spese o al contrario le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l'espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l'assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato, senza che al riguardo siano configurabili dubbi di illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 111 Cost. (cfr. Cass. n. 5174 del 1997, Cass. n. 17692 del 2003, Cass. n. 17953 del 2005, Cass. n. 5828 del 2006).
Invero, la valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa. Cfr. Cass. n. 3272 del 2001).
Nel caso di specie, verificando l’esito complessivo della lite, l’Istituto previdenziale è risultato totalmente soccombente sia in primo che in secondo grado.
7. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile; nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, in assenza della controparte.
8. Poiché il ricorso per cassazione è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002; provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
 

P. Q. M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 12 ottobre 2021