Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 18 novembre 2021, n. 42110 - Arto tranciato dalla macchina spargisale. Responsabilità degli amministratori della società rivenditrice


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 21/10/2021
 

 

Fatto


1. La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed ha ridotto la pena a mesi 2 di reclusione, confermando la condanna, ivi compresa quella al risarcimento del danno a favore della costituita parte civile, di G.D. e L.G., nella qualità di soci ed amministratori della società rivenditrice di una macchina spargisale, per il reato di cui agli artt. 113 e 590 cod.pen. (per avere cagionato, con colpa consistita nella violazione dell'allegato, punto 1.4.3, del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, mettendo in commercio una macchina priva del dispositivo di sicurezza che impedisse a chiunque di raggiungere gli elementi mobili in movimento, lesioni gravissime, consistenti nell'amputazione della mano destra, ad A.F., il quale, pur non essendo dipendente del figlio M.F., si avvicinava a tale macchina e, nel tentativo di rimuovere un grosso pezzo di sale posto sul fondo della tramoggia, rimaneva impigliato nel rimescolatore, che gli tranciava l'arto, in data 30 novembre 2013).
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati che hanno dedotto: 1) la mancanza di motivazione in ordine alla prima censura di appello, con cui si è allegata l'interruzione del nesso di causalità tra la contestata violazione e l'evento lesivo, determinata dalla condotta imprevedibile di volontaria esposizione al rischio di A.F., atteso che su tale aspetto la Corte territoriale si è limitata ad affermare, in modo apodittico, che "i riferimenti contenuti nell'atto di appello al datore di lavoro, alla sicurezza nel luogo di lavoro, al terzo estraneo all'ambiente di lavoro che si espone volontariamente al rischio, alla condotta abnorme ed imprevedibile di A.F. non sono pertinenti ed dirimenti per escludere il nesso di causalità e responsabilità"; 2) la violazione degli artt. 40, 41 e 590 cod.pen. in considerazione della ritenuta esclusione dell'interruzione del nesso causale, in quanto, nel caso di specie, la persona offesa, del tutto estranea all'organizzazione dell'impresa, non ha semplicemente subito la pericolosità del luogo di lavoro, ma si è intromessa nelle operazioni produttive e si è volontariamente esposta al rischio, con una iniziativa in concreto imprevedibile ed estemporanea, ponendo in essere una acrobazia al fine di arrivare a toccare l'albero rotante, nonostante fosse consapevole delle istruzioni contenute nel manuale di uso (evidenziate anche con appositi pittogrammi sull'esterno dello spargisale), secondo cui le operazioni di manutenzione dovevano essere effettuate, con una serie di precauzioni (rispetto della distanza di sicurezza e divieto di rimescolare il sale con le mani), da personale specializzato ed a macchina spenta (mentre, nell'episodio in esame, la macchina era accesa ed a velocità elevata); 3) la violazione degli artt. 42, 43 e 590 cod.pen. in relazione all'art. 4 del d.lgs. n. 17 del 2010, essendo stata ritenuta pericolosa la macchina, che presentava una distanza tra tramoggia e parti mobili pari a 92cm, tale da impedire fisicamente il contatto accidentale con le parti in movimento, nonostante la dichiarazione di conformità CE e nonostante il rispetto della normativa unificata UNI EN 13857 in tema di distanze di sicurezza, senza tenere conto che l'apposizione di una griglia ne avrebbe reso disagevole e addirittura impedito il buon funzionamento e che, di fatto, nel periodo di immissione nel mercato tutti gli spargisale ne erano sprovvisti, in considerazione dello stato dell'arte (come dimostrato dalla produzione documentale del 22 febbraio 2018, trascurata dalla Corte territoriale, del libretto riferibile alla macchina acquistata da M.F.) - stato dell'arte superato solo successivamente, con compromissione delle esigenze di corretta utilizzazione, secondo le risultanze dell'istruttoria.
3. La Procura Generale presso la Corte di cassazione e la parte civile hanno concluso per l'inammissibilità del ricorso.
I ricorrenti hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.
 

Diritto


1.I ricorsi sono inammissibili.
2. I primi due motivi, aventi ad oggetto l'omessa motivazione in ordine alla prima censura dell'appello (relativa all'interruzione del nesso di causalità in considerazione della condotta abnorme della vittima) e la violazione degli artt. 40, 41 e 590 cod.pen., sono inammissibili.
Le motivazioni delle due sentenze di merito, essendo conformi, si integrano sul punto, per cui non si ravvisa la prospettata lacuna motivazionale. A ciò si aggiunga che il giudice di appello, richiamando le argomentazioni del giudice di primo grado, ha ricostruito tutti i passaggi della vicenda, individuando con precisione gli elementi che inducono ad escludere che la condotta della vittima abbia interrotto il nesso di causalità, ed ha affermato, in modo esplicito, la non pertinenza rispetto alla fattispecie esaminata degli orientamenti di giurisprudenza richiamati dai ricorrenti nell'appello.
Neppure si configura alcuna violazione di legge, atteso che l'introduzione di un terzo, estraneo all'organizzazione aziendale, nel ciclo produttivo e la conseguente prestazione, da parte sua, di una qualsiasi forma di collaborazione, anche laddove non sollecitata dall'imprenditore o dai suoi preposti e dipendenti, integra una ipotesi che, sebbene irregolare, non si presenta come eccezionale (soprattutto nelle piccole imprese e nelle realtà familiari) ed è, quindi, del tutto prevedibile, salvo che non avvenga all'insaputa e contro la volontà del datore di lavoro.
Invero, nella sentenza di primo grado il Tribunale ha correttamente premesso che, in tema di prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché ove in tali luoghi si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, è configurabile l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., con conseguente perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., purché sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi (Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, S. e altro, Rv. 258436). Si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché, ove in tali luoghi si verifichino, a danno del terzo, i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista, tra siffatta violazione e l'evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico (così Sez. 4, n. 32178 del 16/09/2020, Dentamaro, Rv. 280070).
Proprio alla luce di tali principi, la decisione risulta corretta, atteso che, come già evidenziato, la prestazione di un aiuto nella pulizia dello spargisale da parte del padre dell'imprenditore non ricade nell'orbita dell'eccezionalità, inserendosi nelle ordinarie attività collegate al ciclo produttivo ed all'uso stesso della macchina in esame, che così come possono essere poste in essere da lavori inesperti, allo stesso modo possono essere effettuate da soggetti non legati da un rapporto di lavoro all'imprenditore, su sua richiesta o, comunque, con la sua tolleranza e senza la sua reale (e non solo nominale) opposizione.
A ciò si aggiunga che, nei confronti del produttore o rivenditore della macchina, l'abnormità può effettivamente configurarsi solo di fronte ad uso improprio e del tutto anomalo della macchina e non certo nell'ipotesi di un uso proprio della stessa, collegato proprio alla sua funzione.
Pure corretta la decisione dei giudici di merito nell'escludere che la condotta della persona offesa, che ha effettuato operazioni di pulizia con la macchina accesa, a velocità elevata, ponendo in essere una manovra pericolosa (secondo la difesa, acrobatica), possa interrompere il nesso di causalità tra la violazione della norma cautelare contestata e l'evento lesivo, in quanto tali imprudenze non esulavano dai rischi valutabili. Difatti, anche recentemente la Corte di cassazione ha ribadito che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un rischio eccentrico, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242). Come tutta la disciplina anti-infortunistica, anche tale principio opera necessariamente pure nei confronti del terzo estraneo all'organizzazione aziendale, ma coinvolto, sia pure saltuariamente ed occasionalmente, nel ciclo produttivo.
Parimenti, il comportamento, seppure irresponsabile, dell'utilizzatore di una macchina non può considerarsi abnorme o eccentrico e non interrompe, pertanto, il nesso di causalità tra la violazione, da parte del produttore e/o venditore, della specifica norma cautelare, finalizzata proprio a prevenire quella tipologia di imprudenza, e l'evento lesivo - nel caso di specie, la violazione del punto 1.4.3 del primo allegato del d.lgs. n. 17 del 2010, secondo cui i dispositivi di protezione, la cui mancanza o il cui guasto deve impedire l'avviamento o provocare l'arresto degli elementi mobili, devono essere progettati e incorporati nel sistema di comando in modo tale che la messa in moto degli elementi mobili non sia possibile se l'operatore può raggiungerli e che le persone non possano accedere agli elementi mobili in movimento.
3. La terza censura, con cui si è denunciata la violazione degli artt. 42, 43 e 590 cod.pen. in relazione all'art. 4 del d.lgs. n. 17 del 2010, è inammissibile.
In primo luogo, nella prospettazione di tale motivo, i ricorrenti insistono nel riproporre una ricostruzione dei fatti diversa da quella dei giudici di merito, i quali, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, hanno ritenuto che: 1) nel manuale di istruzione di cui era dotata la macchina in esame (sequestrato in occasione del sinistro, sia pure in una versione non coincidente con quella prodotta dalla difesa, in cui risultano anche istruzioni diverse in ordine ai divieti e pericoli), era indicata la tramoggia con apposita griglia di protezione, per cui la griglia era una delle misure di sicurezza previste già al tempo della vendita; 2) l'introduzione della griglia non è incompatibile con il corretto funzionamento della macchina, come confermato dallo stesso consulente della difesa (sentenza di primo grado p. 4), che ha menzionato problematiche solo nell'ipotesi dell'apposizione di maglie di particolari dimensioni (e, cioè, inferiore a 40 cm); 3) senza la griglia il rimescolatore del sale (un cilindro di acciaio con spuntoni) era facilmente raggiungibile, per cui era prevedibile che l'arto di una persona potesse rimanervi impigliato (sentenza di primo grado p. 3). In particolare, i ricorrenti continuano a insistere, senza neppure denunciare un vizio motivazionale della sentenza impugnata, nella loro versione difensiva, secondo cui la macchina non era pericolosa rispettando la normativa Uni En 13857 in materia di distanze, il libretto di istruzione sequestrato non coincideva con quello consegnato al momento della vendita, potendo essere stato sostituito con altro di epoca successiva e più aggiornato, e l'apposizione della griglia comportava problemi di funzionamento. Va, però, ribadito che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Per quanto concerne, infine, la marcatura CE e la dichiarazione CE di conformità dei macchinari, l'art. 4 d.ls. n. 17 del 2010 è rubricato "Presunzione di conformità e norme armonizzate", sicché, pur facendosi riferimento, in modo esplicito, alla presunzione solo al comma 2, deve ritenersi che anche il comma 1 di tale disposizione ricolleghi alle macchine, provviste della marcatura CE e accompagnate dalla dichiarazione CE di conformità, una mera presunzione iuris tantum di corrispondenza alla legge - presunzione che, nel caso di specie, i giudici di merito hanno superato con una motivazione esaustiva e ragionevole.
Inoltre, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati e risponde, pertanto, dell'infortunio occorso a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" valga ad esonerarlo da responsabilità (cfr. Sez. 4, n. 6566 del 2020, Vitrano, non massimata, in cui è escluso l'esonero di responsabilità del datore di lavoro per un infortunio che ha coinvolto un suo dipendente in cui il macchinario che aveva causato le lesioni era provvisto di marchiatura CE; cfr. Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi e altro, Rv. 241020, in cui la Corte specifica che il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità). Tale orientamento va necessariamente esteso anche nei confronti del produttore o rivenditore della macchina, in quanto l'interpretazione di una disposizione legislativa non può differenziarsi nei confronti dei diversi destinatari, sicché se la presunzione di conformità alla legge del macchinario con marcatura e dichiarazione CE è superabile rispetto al datore di lavoro, non operando quale causa di esenzione da responsabilità, lo è anche rispetto al produttore o venditore, i quali, peraltro, hanno maggiori possibilità di controllo del macchinario.
4. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili ed i ricorrenti condannati, ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo alcuna ragione di esonero ai sensi della sentenza della Corte cost. n. 186 del 2000, al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo determinare in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile e liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile A.F., che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2021