Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Unite, 3 dicembre 2021, n. 38361 - Esclusione dal finanziamento a causa di una condanna del legale rappresentante in materia di sicurezza sul lavoroEccesso di potere giurisdizionale


 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 03/12/2021
 

FattoDiritto


1. S.M. ha impugnato dinanzi al TAR Friuli Venezia Giulia il provvedimento del 18 gennaio 2019 di esclusione dalla procedura selettiva, indetta dall'INAIL, per il finanziamento di interventi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, provvedimento fondato sulla mancanza del requisito previsto dall'art. 7 dell'avviso pubblico ISI 2017 Friuli Venezia Giulia, categoria "Agricoltura", Asse 5.1, secondo cui al momento di presentazione della domanda il titolare o il legale rappresentante non doveva aver "riportato condanne con sentenza passata in giudicato per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, salvo che sia intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale o il reato sia dichiarato estinto (art. 167 c.p.) con provvedimento del giudice dell'esecuzione".
Al momento della partecipazione alla procedura, il ricorrente aveva dichiarato, a norma del DPR n. 445 del 28/12/2000, "di non aver riportato condanne con sentenza passata in giudicato per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro".
Tuttavia, in sede di verifica del possesso dei requisiti, l'INAIL aveva accertato che a carico del ricorrente risultava, invece, una condanna emessa dal Tribunale di Gorizia ex art. 444 c.p.p. in data 3 aprile 2012, per lesioni personali colpose gravi ex art. 590 c. 2 c.p., nonché per la violazione delle norme in materia di tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro ex art. 71, comma 4, lett. a) del d.lgs. n. 81/2008.
In sede procedimentale il ricorrente aveva sostenuto che tale condanna non avrebbe dovuto essere indicata in quanto il reato si sarebbe estinto per decorrenza del termine quinquennale, ai sensi dell'art. 445 c.p.p., non avendo egli commesso altri reati, ma tale prospettazione difensiva era stata disattesa dall'INAIL che aveva disposto la sua esclusione in applicazione dell'art. 7 dell'avviso pubblico.
Il TAR adito, con la sentenza n. 169/2019, ha accolto il ricorso ritenendo l'avviso ambiguo, e sottolineando che, nel caso delle sentenze di patteggiamento, secondo la giurisprudenza penale non vi sarebbe alcuna necessità di una espressa dichiarazione di estinzione, operando essa ipso iure, come peraltro affermato dal giudice dell'esecuzione di Gorizia con provvedimento del 29/1/2019. Inoltre, l'ambiguità della clausola avrebbe ingenerato l'affidamento in capo all'interessato ed avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione ad un approfondimento istruttorio, accertando l'intervenuta estinzione del reato con conseguente mancata esclusione dalla procedura.
Avverso tale sentenza ha proposto appello l'INAIL cui ha resistito l'appellato.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1629 del 5/3/2020, ha accolto l’appello, rigettando il ricorso del S.M., previa compensazione delle spese del doppio grado.
Nel merito, evidenziava che secondo la giurisprudenza costante della propria sezione resa in materia di appalti, ma applicabile anche al caso di specie, sussiste l'obbligo di dichiarazione della condanna patteggiata in quanto l'estinzione del reato (che consente di non dichiarare l'emanazione del relativo provvedimento di condanna), sotto il profilo giuridico non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non interviene tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di "reato estinto" ed il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell'intervenuta condanna (Cons. Stato, Sez. III, 13 febbraio 2020 n. 1174; Cons Stato, sez. V, 12 dicembre 2018 n. 7025; Cons. Stato, Sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548; Cons. Stato, III, n. 4118/2016; Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2015, n. 4848, Cons. St., Sez. V, n. 3105/2015, n. 3092/2014 e n. 4528/2014).
Inoltre, il Consiglio di Stato si era già pronunciato su una vicenda analoga (Cons. Stato, Sez. III, 5 novembre 2018 n. 6243) ritenendo che, ai fini amministrativi, l'estinzione di un reato non opera ipso iure.
La clausola dell'art. 7 dell'avviso pubblico di cui alla vicenda in esame era analoga a quella richiamata nel citato precedente, in quanto prevedeva che solo in caso di riabilitazione, ovvero in caso di estinzione ex art. 167 c.p., la parte avrebbe potuto esimersi dal dichiarare la condanna penale: ne conseguiva che in presenza di una condanna patteggiata - peraltro senza la formale declaratoria di estinzione - sussisteva chiaramente l'obbligo di dichiarazione.
Non poteva, poi, condividersi la tesi dell'appellato secondo cui, in base alla clausola, sarebbe stata necessaria la declaratoria di estinzione da parte del giudice (a norma dell'art. 167 c.p.) solo nel caso del decorso dei termini di sospensione condizionale della pena, con la conseguenza che, in caso di patteggiamento, tale formale declaratoria non sarebbe stata necessaria, in quanto l'inapplicabilità della previsione relativa all'estinzione del reato ex art. 167 c.p. comporta la riconducibilità della fattispecie alla disciplina generale, e cioè all'esenzione dall'obbligo di dichiarazione della condanna nel solo caso della riabilitazione, alla quale avrebbe potuto essere equiparata l'estinzione ex art. 445 c.p.p. che, comunque, presuppone la formale declaratoria giudiziale.
La clausola, quindi, non presentava alcun margine di ambiguità né tantomeno consentiva all'Amministrazione di obliterarla ammettendo alla procedura un soggetto che - alla data di presentazione della domanda - non disponeva dei requisiti di partecipazione, in quanto il provvedimento di estinzione era stato conseguito solo il 29/1/2019, ben oltre la scadenza del termine di partecipazione alla procedura selettiva.
2. Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato S.M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 10 novembre 2020, sulla base di un unico motivo.
L’INAIL ha resistito con controricorso.
In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato memorie.
3. Con il motivo di ricorso si denuncia l’eccesso di potere per invasione della sfera di attribuzione riservata al legislatore ex art. 110 c.p.a. ed art. 111 Cost.
Assume il ricorrente che la decisione gravata avrebbe ecceduto dal proprio potere giurisdizionale nella parte in cui ha affermato che l‘estinzione del reato conseguente al maturare delle condizioni poste all’art. 445 c.p.p., a seguito dell’emissione di una sentenza di patteggiamento, non è automatica, ma presuppone la formalizzazione in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione penale.
Il Consiglio di Stato è pervenuto a tale conclusione facendo richiamo a propri precedenti giurisprudenziali, omettendo di considerare il ben diverso orientamento della Cassazione penale, che ha invece reiteratamente affermato che ai fini dell’estinzione del reato ex art. 445 c.p.p. non è necessaria alcuna pronuncia del giudice dell’esecuzione penale.
Ne deriva che la diversa conclusione del giudice amministrativo determina un superamento dei limiti esterni della propria giurisdizione.
4. Il ricorso è inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 29082/2019) non è configurabile l'eccesso di potere giurisdizionale da parte del giudice speciale, censurabile in Cassazione, quando sia contestato un "error in iudicando", atteso che, come chiarito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 6 del 2018, l'eccesso di potere giudiziario, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, deve essere riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento) ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; ne consegue che il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze cui pur si contesti di essere abnormi o anomale ovvero di essere incorse in uno stravolgimento delle norme di riferimento (conf. Cass. S.U. n. 32175/2018, a mente della quale l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete; Cass. S.U. n. 16974/2018 che ribadisce che la mancata o inesatta applicazione di una norma di legge da parte del giudice amministrativo integra, al più, un "error in iudicando", ma non dà luogo alla creazione di una norma inesistente, comportante un'invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 362, comma 1, c.p.c.).
Non ricorre quindi l’eccesso di potere giurisdizionale quando il giudice amministrativo si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto, non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dar luogo, tutt'al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice speciale (Cass., Sez. U., 1° febbraio 2016, n. 1840; Cass., Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7157; Cass., Sez. U., 27 marzo 2017, n. 7758; Cass., Sez. U., 10 aprile 2017, n. 9147; Cass., Sez. U., 20 aprile 2017, n. 9967; Cass., Sez. U., 4 luglio 2017, n. 16417; Cass., Sez. U., 24 luglio 2017, n. 18175; Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437; Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16957; Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16974; Cass., Sez. U., 30 luglio 2018, n. 20168).
Tale principio è stato poi ancor più di recente confermato da Cass. S.U. n. 27770/2020, nella cui motivazione, oltre a ricordare che il controllo del limite esterno della giurisdizione, che l'art. 111, ottavo comma, Cost., affida alla Corte di cassazione non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errores in iudicando o errores in procedendo (Cass. S.U. n. 19168/2020), ha concordato con le conclusioni del Procuratore Generale, rese in quel procedimento, a mente delle quali l’eccesso di potere giurisdizionale, idoneo ad essere denunciato per la assunta invasione della sfera del legislatore, deve rappresentare una «evenienza estrema e al contempo marginale nell'esperienza del diritto, che è nella legge ma anche nell'applicazione ed interpretazione che ne danno i giudici»; ragion per cui se il giudice amministrativo ha compiuto un'attività ricostruttiva del sistema interpretando la norma in un certo senso, l'eventuale errore dallo stesso commesso potrà, al più, ridondare in un error in iudicando, ma non trasmodare nell'eccesso di potere che abilita le Sezioni Unite ad intervenire.
E’ stato altresì precisato come su tale conclusione non può avere incidenza la rimessione alla Corte di giustizia che queste Sezioni Unite hanno compiuto con l’ordinanza 18 settembre 2020, n. 19598, posto che le questioni interpretative che il Giudice europeo è stato chiamato ad affrontare riguardano il più ristretto ambito del diritto dell'Unione europea, che esula dal caso odierno.
4.1 La contestazione che il motivo pone attiene alla corretta interpretazione della previsione di cui all’art. 445 c.p.p., quanto ai presupposti perché si determini l’estinzione del reato, ed in particolare in merito alla necessità o meno di una statuizione espressa del giudice dell’esecuzione.
In assenza di un’univoca indicazione da parte della norma, il Consiglio di Stato, nel fornire l’interpretazione della norma stessa, ha optato per la tesi più rigorosa, che appunto ritiene necessario un ulteriore intervento dell’autorità giudiziaria, dissentendo in tal senso dalle contrarie conclusioni cui sono invece pervenute le sezioni penali di questa Corte.
Trattasi però, ove anche ritenuto sussistente, di un error in iudicando, frutto dell’attività interpretativa devoluta all’autorità giurisdizionale, per il quale occorre ribadire l’impossibilità di suo sindacato, tramite il controllo del limite esterno della giurisdizione affidato a queste Sezioni Unite.
5. Il ricorso è quindi inammissibile.
6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
7. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
 

P.Q.M.
 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2021.