Cassazione Civile, Sez. 3, 10 dicembre 2021, n. 39257 - Investimento mortale dell'addetto alla manutenzione di tratti autostradali


 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: MOSCARINI ANNA
Data pubblicazione: 10/12/2021
 

Fatto


1. S.F., dipendente della società Intergeos srl, addetta alla manutenzione di tratti autostradali, il giorno 29/6/2007, dopo aver svolto attività di manutenzione e pulizia su un tratto della bretella autostradale lungo la Milano-Varese, in prossimità di uno svincolo, mentre si apprestava a raggiungere l'automezzo di servizio parcheggiato dall'altra parte della carreggiata, venne investito da un automezzo Mercedes Axor, di proprietà della società Trasporti Industriali srl, con rimorchio di proprietà della società Logistica Europa Italia srl, condotto da D.N. ed assicurato da Generali Italia SpA. A seguito dell'investimento il S.F., data la gravità delle lesioni, trasportato in ospedale decedette.
2. G.F., P.F., R.F. quest'ultima anche nell'interesse della "figlia, in qualità di eredi di S.F., convennero davanti al Tribunale di Varese D.N. , la Società Trasporti Industriali srl, la Logistica Europa Italia srl, Generali Assicurazioni SpA, la Società Autostrade per l'Italia, la Intergeos srl e S.M. e R.G., rispettivamente direttore tecnico e capocantiere della Intergeos srl per ottenere la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni patìti dal loro congiunto.
Nel contraddittorio con i convenuti il Tribunale adito, assunte prove testimoniali e rigettata la richiesta ammissione di una CTU cinematica, con sentenza del 1/6/2016, ritenendo che il sinistro fosse avvenuto al centro della carreggiata e che la responsabilità del medesimo fosse da ascrivere al comportamento imprudente della vittima che aveva improvvisamente attraversato il tratto autostradale, rigettò la domanda compensando le spese.
3. Gli eredi S.F. proposero appello lamentando, tra le altre doglianze: a) che il giudice non avesse ricostruito con certezza la dinamica del sinistro limitandosi a valorizzare il contenuto della prova testimoniale del teste oculare S., senza considerare la presenza di elementi contrastanti con la ricostruzione offerta dal teste (presenza di danni alla pedaliera destra del veicolo investitore, assenza di danni sulla fiancata sinistra, rottura di una mascherina sulla parte destra, mancata reazione dell'investitore) atti ad avallare la tesi che l'investimento fosse avvenuto, non come ritenuto dal giudice di prime cure al centro della carreggiata, ma sul margine destro della stessa; b) che, proprio in ragione di queste discrasie, il giudice aveva omesso erroneamente di disporre una CTU cinematica che potesse chiarire l'eziologia del sinistro. -
4. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 835 del 22/2/2019, ha ritenuto che il giudice del primo grado non abbia fatto buongoverno della prova cd. "diretta" ed "indiretta" di cui all'art. 2054 c.c. omettendo di valutare in modo adeguato concorrenti profili di responsabilità dei convenuti e, pur ribadendo la responsabilità del S.F. per avere attraversato l'autostrada in modo repentino ed incauto, ha accertato la concorrente responsabilità dell'investitore, che aveva tenuto una velocità superiore a quella consentita e non aveva posto in atto manovre atte a scongiurare il sinistro, e della Integeos s.r.l e, per essa, del direttore tecnico della società, per aver tenuto un comportamento omissivo e negligente consistito nel non aver adeguatamente segnalato la presenza di operai al lavoro lungo la strada. Ciò posto, la Corte del gravame, ritenuto assorbito il terzo motivo di appello con riferimento alla responsabilità delle altre parti convenute e rigettato il quinto motivo di appello con il quale si chiedeva di ammettere una CTU cinematica volta a chiarire le discrasie presenti tra il contenuto della testimonianza oculare e gli elementi di prova raccolti in giudizio, ha applicato l'art. 2055 c.c. ripartendo in egual misura la responsabilità del sinistro tra la vittima stessa, il conducente del mezzo investitore, il direttore tecnico del cantiere ed il responsabile del medesimo e dunque decurtando il quantum risarcitorio liquidato sulla base delle tabelle milanesi, nella misura di un terzo in ragione della confermata corresponsabilità della vittima nella produzione dell'evento dannoso.
5. Avverso la sentenza RF., G.F. e P..F. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. Hanno resistito con distinti controricorsi Generali Italia SpA, d'un lato, e Intergeos srl S.M. e R.G., dall'altro. Questi ultimi hanno altresì proposto tre motivi di ricorso incidentale cui gli eredi S.F. hanno resistito con autonomo controricorso.
6. La causa è stata fissata per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. in vista della quale i S.F., d'un lato, e Intergeos srl S.M. e R.G., dall'altro, hanno depositato memoria..
 

Diritto


1. Con il primo motivo del ricorso principale, articolato in due sub-motivi, i ricorrenti impugnano la sentenza per non aver dato conto della presenza di elementi incompatibili con la prova testimoniale e per aver negato l'ammissione di una CTU cinematica, in violazione degli artt. 112, 115, 116, 132 e 352 c.p.c. e per aver condotto un ragionamento presuntivo che avrebbe omesso di valutare fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
In sostanza i ricorrenti lamentano che il giudice abbia condotto un ragionamento inferenziale limitandosi a considerare la sola vicenda circolatoria, quale acclarata in prime cure, senza esaminare le diverse circostanze di fatto acquisite in giudizio ed incompatibili con il contenuto della prova testimoniale; che abbia motivato in modo apparente nel ritenere assorbito il terzo motivo di appello e nel rigettare il quinto con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado per non aver ammesso una CTU cinematica.
1.1 Il Collegio ritiene che il motivo sia fondato.
I ricorrenti avevano formulato puntuali censure alla ricostruzione della cinematica dell'incidente operata dal giudice di prime cure, ponendo in evidenza una serie di elementi tra cui la presenza di reperti organici sul veicolo non nelle zone laterali ed anteriore sinistro, come sarebbe stato logico attendersi nel caso di investimento al centro della carreggiata, ma sulla parte destra, con particolare riguardo alla pedaliera sul fianco destro e alla mascherina frontale; la presenza di fratture delle costole sul danneggiato; la mancata prova di tentativi di frenata o di spostamento del veicolo da parte del conducente) che contrastavano in modo evidente con la ricostruzione dei fatti quale operata dal giudice di prime cure. Tali fatti avallavano la tesi di un investimento del danneggiato non - come ritenuto dal giudice di prime cure- al centro della carreggiata ma sul margine destro della stessa, con la conseguente necessità di rivedere, attraverso la ricostruzione della cinematica e l'ausilio di una CTU, la ricostruzione della dinamica e valutare poi le diverse responsabilità di tutti i soggetti convenuti. A tal fine gli appellanti avevano, in particolare, insistito nel censurare la sentenza di primo grado là dove aveva omesso di ammettere una CTU cinematica che, sola, avrebbe potuto chiarire e confermare gli elementi comunque emersi in giudizio e consentire di valutare i medesimi anche alla luce della prova testimoniale dell'unico teste oculare.
La Corte ritiene che la motivazione con la quale la Corte d'Appello ha ritenuto di sbarazzarsi, in particolare,del quinto motivo di appello, con il quale si faceva rilevare la carenza di motivazione della sentenza in relazione al rigetto dell'istanza di CTU cinematica, sia davvero apparente. La sentenza si limita a ritenere non condivisibile la tesi della non attendibilità delle dichiarazioni rese dal teste S. -che la CTU sarebbe stata chiamata a contrastare- ad escludere di poter ammettere una CTU cinematica sulla scorta di una relazione tecnica di parte tardivamente prodotta in giudizio, e di escluderla perché i fatti che la CTU cinematica sarebbe stata chiamata a contrastare sarebbero stati ricostruiti in modo coerente ed attendibile. Dunque la Corte ha, sostanzialmente, ribadito che l'etiologia dell'evento fosse quella ricostruita dal giudice di prime cure senza motivare sulla incongruenza della sola prova testimoniale acquisita con i numerosi elementi di fatto con essa contrastanti. La Corte non si è conformata all'insegnamento di questa Corte secondo il quale, a fronte della richiesta delle parti di disporre una consulenza tecnica cinematica, il giudice ha l'obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta, fornendo dimostrazione di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione senza potere, per converso, disattendere l'istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato (Cass., 3, n. 88 dell'8/l/2004: "In tema di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio - che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche - è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del;divieto di servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata dimostrazione - suscettibile di sindacato in sede di legittimità - di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato"; in senso conforme anche Cass., L, n. 10784 del 7/6/2004). Il silenzio mantenuto dal giudice su siffatta tematica è la prova provata della violazione delle regole processuali cui il giudice deve rigorosamente attenersi e per le quali nella motivazione della sentenza d'appello il generico richiamo alla soluzione adottata dal giudice di primo grado costituisce puro e semplice recepimento acritico della stessa e non è idoneo ad assolvere alla funzione di revisione prioris instantiae propria della sentenza di secondo grado.
2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la sentenza per aver applicato l'art. 2055 c.c. ripartendo la responsabilità tra tre gruppi di soggetti in modo del tutto paritetico senza motivare adeguatamente sulle diverse cause petendi dedotte ab origine come la responsabilità per il neminem ledere circolatorio, quella promanante dal rapporto di lavoro dipendente con la società appaltatrice dei lavori stradali, quella discendente dalla violazione dell'obbligo di garanzia del preposto e quella infine del capocantiere verso l'operaio di 1° livello soggiacente al suo controllo. Nel ritenere che i tre gruppi di soggetti fossero tutti genericamente corresponsabili della morte del pedone-lavoratore S.F., in quote del tutto coincidenti, la Corte d'Appello avrebbe violato l'art. 132, 2° co. n. 4 c.p.c. e 111 Cost. omettendo di illustrare il criterio giuridico seguito. In secondo luogo la Corte non si sarebbe fatta carico di applicare il criterio positivo del secondo comma dell'art. 2054 c.c. e dunque il criterio della gravità delle colpe e dell'entità delle conseguenze, limitandosi a prevedere l'applicazione dell'art. 2055, ult. co. c.c. con il criterio paritetico previsto per i condebitori in solido con una motivazione sostanzialmente perplessa e apparente.
·2.1 Anche questo motivo é fondato. Non è dato comprendere, infatti, in base a quale ragionamento logico-giuridico la Corte di merito, dopo aver premesso che la responsabilità del sinistro fosse addebitabile a più concause tutte concorrenti alla produzione dell'unico evento, abbia omesso di vagliare le singole causae petendi ed abbia, incomprensibilmente, posto tutte le singole concause sullo stesso piano applicando l'art. 2055 ult. co. c.c. tra la vittima del sinistro, il conducente del mezzo investitore in solido con le società proprietarie del veicolo e del rimorchio e con Generali Assicurazioni S.p.A. nonché con il Direttore tecnico di Intergeos s.r.l., il responsabile del cantiere e la stessa Intergeos s.r.l. appaltatrice dei lavori.
La Corte non spiega affatto - a fronte delle cinque condotte considerate (della vittima, del camionista, della società datoriale, del direttore tecnico della società e del capo cantiere)
- per quale motivo le concause del sinistro siano state divise in tre gruppi in modo equivalente, senza considerare i diversi profili di diligenza violati ed i diversi apporti casuali nella produzione del danno. Particolarmente critica appare la motivazione là dove accerta l'equivalenza "anche" in conseguenza dell'applicazione dell'art. 2055 c.c., 3 co., scritta per il diverso caso del regresso tra condebitori solidali. Tale disposizione è stata irragionevolmente applicata ad una fattispecie del tutto diversa da quella del regresso tra condebitori in solido e caratterizzata dalla possibile coesistenza di cinque distinte ed autonome contribuzioni causali in ordine alla produzione dell'evento, la cui rilevanza, ove fosse stata considerata, avrebbe eventualmente condotto a ripartire per cinque le concause dell'evento e dunque a ridurre di un solo quinto e non anche di un terzo l'importo risarcitorio dovuto agli eredi per effetto dell'accertato valore di concausa del comportamento del danneggiato.
La motivazione risulta, dunque, anche secondo questo profilo, meramente apparente e la sentenza deve essere, in parte qua, cassata.
3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce errar in iudicando per malgoverno delle norme che presiedono la causalità giuridica tra più corresponsabili del medesimo fatto dannoso per aver affermato la corresponsabilità di tre gruppi di soggetti e non anche di cinque e per non aver valutato il diverso apporto causale di ciascuno nella produzione del sinistro.
I ricorrenti censurano la sentenza per aver pronunciato solo sul profilo della responsabilità derivante da circolazione stradale e non anche sul profilo della responsabilità datoriale per non aver messo in sicurezza il luogo di lavoro e sulla responsabilità del gestore autostradale per non aver controllato il tratto de quo. La censura è in particolare formulata con riguardo all'art. 1227 co. c.c. per non avere la Corte territoriale svolto un bilanciamento della diligenza violata dalla vittima e del singolo reo all'interno di ciascun rapporto giuridico, degli artt. 40 e 41 c.p.c. sulla causalità giuridica e degli artt. 20555 e 2056 c.c. illegittimamente ritenuti applicabili dalla Corte d'Appello.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione della regola per ·1a quale nel caso di incertezze irrisolte nella cinematica di un investimento pedonale, la colpa del conducente investitore è presunta ed è quella del 100% e può essere ridotta ex art. 1227 co. 1 c.c. solo in presenza di una ricostruzione puntuale e completa delle fasi dell'investimento avendosi cura di indagare sull'avvistabilità del pedone sulla sede stradale e sulle possibilità di ricorrere a manovre eversive, specie quando il punto d'urto fosse stato individuato in prime cure al centro della carreggiata e durante l'attraversamento fosse accertabile l'esistenza di un tempo utile per manovre di emergenza inspiegabilmente nemmeno abbozzate di tal che l'incertezza su tali fattori avrebbe dovuto portare la Corte a confermare la prova presuntiva di integrale rispondenza come insegnato da Cass., 24472/2014 (violazione degli artt. 1227 co. 1, 2056, co. 2 e art. 2054 co. 1 c.c. in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.).
5. Con il quinto motivo si deduce error iuris per la mancata adozione del principio di diritto di cui a Cass., 24469 del 2014 per il quale in tema di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli a motore, l'applicazione del principio solidaristico di rilievo sovranazionale "vulneratus ante omnia reficiendus" impone in sede sostanziale l'interpretazione delle norme di legge che disciplinano l'assicurazione r.c.a ed il codice civile in modo coerente con la finalità di tutela della vittima e comporta in sede processuale che il giudice debba compiere ogni sforzo, nei limiti del principio dispositivo e dei poteri attribuitigli dall'ordinamento per l'accertamento della verità e la liquidazione del danno patito dalla vittima, di tal che la negazione della CTU cinematica costituiva specifica violazione anche della suesposta regula iuris.
6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione del principio di diritto per il quale il datore di lavoro, se non provvede alla messa in sicurezza del luogo di espletamento della prestazione lavorativa, è interamente responsabile dei danni riportati dal dipendente, quand'anche cagionati da una imprudenza, quest'ultima così da derubricarsi a mera occasione dell'evento (errata sussunzione della condotta dell'operaio nel raggio d'azione della norma di cui all'art. 1227 co. 1 c.c. non applicabile agli incidenti sul lavoro come quello de quo in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.). Censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di poter accertare la concorrente responsabilità del danneggiato nella produzione del sinistro in presenza di una accertata responsabilità del datore di lavoro per non aver creato condizioni di sicurezza nell'espletamento della prestazione lavorativa.
3-4-5-6 I motivi restano assorbiti dall'accoglimento dei primi due.
 

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Sul ricorso incidentale di Intergeos srl S.M. e R.G..
1. Con il primo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione degli artt. 342 e 346 c.p.c. in relazione all'art. 324 c.p.c. per avere la Corte di Appello omesso di pronunciare sul passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di R.G. nel senso del rigetto di ogni profilo di responsabilità nei suoi confronti.
1.1 Il motivo non appare correlato alle rationes decidendi dell'impugnata sentenza la quale ha ritenuto, d'un lato, che il Tribunale avesse omesso di pronunziarsi sulla responsabilità del R.G., come su quella di tutti gli altri potenziali responsabili dell'incidente tranne il danneggiato stesso, sicchè sul punto non poteva dirsi formato alcun giudicato; in secondo luogo la Corte d'Appello ha ritenuto che l'atto di appello dovesse considerarsi nel suo complesso evidenziando, al di là dell'omissione materiale del nominativo del R.G., l'intenzione degli attori di mantenere ferma la richiesta di condanna solidale in uno al datore di lavoro Intergeos s.r.l. e al S.M.. Il R.G., nell'insistere sulla tesi del passaggio in giudicato, non ha preso posizione sulle due rationes decidendi sicché il motivo deve considerarsi inammissibile.
2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale - violazione e falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c. nel testo formulato dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83 convertito in L. 7/8/2012 n. 134 in relazione alla mancata dichiarazione di inammissibilità dell'appello nei confronti di R.G. S.M. ed Intergeos srl - i ricorrenti lamentano che la Corte d'Appello non abbia dichiarato inammissibile il gravame relativo alla posizione dei responsabili ai quali il danneggiato era legato da rapporti di lavoro.
2.1 Il motivo è infondato. La sentenza di primo grado aveva omesso di prendere in considerazione le vicende afferenti il rapporto di lavoro del de cuius e la mancata messa in sicurezza del posto di lavoro, in quanto aveva deciso la causa valorizzando la sola condotta del soggetto danneggiato ed escludendo qualsiasi concorso di colpa dei soggetti convenuti. Era inevitabile che l'impugnazione dei S.F. si rivolgesse esclusivamente nei confronti dei capi di sentenza nei quali era stato affrontato e deciso l'incidente stradale mentre con riguardo alla causa petendi lavoristica - non esaminata e ritenuta assorbita dalla rilevanza della questione circolatoria- era sufficiente averne richiamato l'esistenza per non volerla abbandonare trattandosi di thema sul quale il Tribunale si era astenuto dal pronunciare. Dunque la pretesa di rinvenire, nel sedicente giudicato verso le causae petendi lavoristiche, una ragione di inammissibilità dell'appello contro i soggetti rientranti nell'alveo di quelle, è priva di ogni fondamento.
3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. in relazione agli artt. 116 e 117 c.p.c. e 2697 c.c. nonché errata valutazione delle prove, delle regole di comune esperienza, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla affermata sussistenza di nesso causale tra la mancata adozione della segnalazione circa la presenza di operai lungo la strada e la causazione del sinistro - omesso esame di un fatto decisivo - testimonianza resa da Filippo R. e Stefano S. - la cui esistenza risulta dagli atti processuali che ha costituito oggetto di discussione tra le parti (art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c.). .
I ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui avrebbe ammesso la responsabilità della società datrice di lavoro senza considerare: 1) che l'attività degli operai Intergeos doveva svolgersi al di fuori della sede stradale; 2) che nessun obbligo di segnalazione competeva alla società datoriale o ai suoi preposti per segnalare agli utenti della strada la presenza dei lavori al di fuori del margine stradale; 3) che il S.F. avrebbe dovuto restare al di fuori della sede stradale.
3.1 Il motivo è inammissibile sia perché non censura adeguatamente la ratio decidendi in base alla quale la responsabilità di Intergeos s.r.l. e di M.S. per aver tenuto un comportamento omissivo e negligente nel non aver adeguatamente segnalato la presenza di operai al lavoro era da affermarsi con riguardo all'art. 121 del Codice della Strada, sia perché nella motivazione della sentenza non è dato rintracciare alcuna omissione di fatti decisivi. La Corte d'Appello ha ritenuto non controverso il fatto che l'impresa appaltatrice si fosse limitata a posizionare sulla parte posteriore del furgone in uso agli operai una freccia con richiami luminosi, non visibile dai veicoli procedenti dalla direzione da cui giungeva l'automezzo condotto dal D.N. e ciò appare motivazione del tutto adeguata ai sensi dell'art. 360, co. 1 n. 5 c.p.c.
 

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Conclusivamente la Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri, rigetta il ricorso incidentale, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile del 16 luglio 2021