Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2021, n. 46145 - Perdita del carico e sinistro mortale. Pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia da parte di terzi, non si realizza un esonero di responsabilità del titolare effettivo


 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 13/10/2021
 

 

Fatto
 



l. La Corte di Appello di Venezia in data 24.02.2020 confermava la sentenza del Tribunale di Rovigo del 30.05.2020 che condannava C.L. in qualità di amministratore di fatto della Eurocom Inerti Trasporti S.r.l. alla pena di anni due mesi sei di reclusione mentre rideterminava la pena in anni uno mesi dieci di reclusione nei confronti di F.C., in qualità di legale rappresentante della suddetta società per il reato di cui agli artt. 113, 61 c. 3, 589 c.1, 2 e 4 c.p. perché, agendo in cooperazione colposa e con previsione dell'evento anche con E.P., dipendente con funzioni di autista (giudicato separatamente), in violazione delle norme sulla circolazione stradale (artt. 143 e 148 CdS) e per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 20 co. 1 e 2, art. 28, co. 2, lett. a, 71 co. 4 d.lgs. n. 81/2008), avevano cagionato la morte di D.S., il ferimento dei suoi familiari che viaggiavano con lui nonché lesioni personali a B.A., costituitosi parte civile. Ad E.P. era invero contestato di avere effettuato, con un camion della ditta, il trasporto di un carico di ghiaino senza pulire il cassone del semirimorchio dai residui di materiale che si trovavano in corrispondenza della guarnizione usurata e deformata, impedendo la corretta chiusura della sponda del veicolo che, pertanto, perdeva parzialmente il carico lungo la strada provocando un sinistro stradale tra il veicolo del D.S. che, frenando sul ghiaino, invadeva l'opposta corsia impattando con l'autocarro condotto dal B.A. con le conseguenze sopra indicate, nonostante entrambi viaggiassero ad una velocità inferiore al limite consentito.
Veniva confermata, inoltre, la condanna degli imputati al risarcimento del danno patito da B.A. da liquidarsi in separato giudizio civile, in solido con il coimputato in procedimento connesso E.P. nonché l'estensione agli stessi del pagamento della provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di euro 20.000.
2. La Corte territoriale innanzitutto riconosceva prive di pregio le censure proposte con l'atto di appello concernenti l'affermazione di penale responsabilità degli imputati, i quali non avevano contestato la dinamica dell'incidente bensì assumevano che questo fosse ascrivibile esclusivamente all'E.P. il quale, regolarmente informato degli obblighi su di lui gravanti in qualità di autista mediante le "norme di comportamento per gli autisti" da lui sottoscritte, non aveva compiuto le necessarie operazioni di pulizia impedendo la corretta chiusura della paratia basculante del rimorchio. Sul punto condivideva quanto affermato dal giudice di primo grado in ordine alla essenziale omissione ascrivibile agli imputati in sede di DVR, documento mediante il quale i datori di lavoro hanno l'obbligo di valutare la prestazione lavorativa e di enucleare i possibili rischi connessi a tale attività, documento al quale la difesa non aveva fatto alcun riferimento nell'atto di appello limitandosi a riproporre la tesi secondo cui tale obbligo sarebbe stato soddisfatto mediante le norme di comportamento sopra richiamate.
Assumeva poi che il documento indicato dai ricorrenti risultava scarsamente attendibile, non solo perché rinvenuto in epoca successiva ai fatti e privo di data certa ma anche perché l'azienda ne aveva prodotti due, in fotocopie difformi, uno inviato al consulente tecnico ed un altro allo Spisal, "personalizzando" uno dei due documenti. I giudici hanno escluso che il comportamento dell'E.P., seppure improntato a colpa - tanto che questi era stato condannato in primo grado con rito abbreviato - potesse elidere il nesso di causalità tra la condotta degli imputati e l'evento costituendo, anzi, la riprova del totale disinteresse dei ricorrenti alle condizioni di sicurezza del lavoro degli autisti, nonostante in data 19.06.2014 lo stesso autista fosse già risultato destinatario di una sanzione amministrativa perché circolava in modo tale da non evitare la dispersione del carico, osservando che di tale circostanza gli imputati erano certamente edotti, atteso che il verbale di contravvenzione era stato notificato presso la sede della ditta in data 25.9.2014, antecedente il verificarsi dell'incidente de quo. Oltre alla contestazione di non aver entrambi gli imputati elaborato il DVR e non aver effettuato la valutazione del rischio specifico per gli autisti, al solo C.L. il giudice distrettuale riconosceva uno specifico profilo di responsabilità per colpa in ragione del ruolo di preposto assunto nel "gestire gli autisti sul da farsi del lavoro giornaliero", in quanto lo stesso era stato informato dall'E.P. della mancata pulizia del camion ma ciononostante aveva disposto la partenza del carico nel giorno dell'incidente, dovendosi, quindi, ritenere la sua colpa di particolare intensità.
Neppure la condotta dell'E.P. poteva assurgere a fattore causale interruttivo idoneo da solo a cagionare l'evento perché, oltre quanto affermato dal giudice di primo grado in ordine alla non abnormità - eccezionalità della suddetta condotta, trattandosi di un comportamento che si inseriva nello svolgimento di un servizio di autotrasporto - argomentazioni con cui peraltro la difesa non si era confrontata - la Corte territoriale rilevava l'esistenza di un filo diretto, mai reciso, tra le omissioni colpose degli imputati e gli eventi che ne erano derivati, di talchè la condotta dell'autista non poteva considerarsi eccentrica rispetto all'incarico affidatogli, e neppure era stato provato che la mancata immediata segnalazione del pericolo creato con la perdita della ghiaia avesse avuto incidenza sul nesso causale instauratosi tra le precedenti omissioni e gli eventi successivi, in quanto l'autista si era accorto della perdita del carico di ghiaia solo in un secondo momento.
La Corte non reputava meritevole di accoglimento neppure la censura concernente il carattere meramente formale della veste della F.C. quale amministratrice della società essendo la stessa titolare delle quote sociali nella misura dell'80%, nonché la censura secondo la quale i suoi compiti nella società attenevano a profili amministrativi contabili, incombendo sulla stessa l'obbligo di redigere il DVR con la collaborazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del medico competente - in realtà mai nominati. Assumeva pertanto il giudice distrettuale che non poteva escludersi la penale responsabilità della stessa benché il comportamento alla stessa ascrivibile doveva ritenersi caratterizzato da un minor grado di colpa rispetto a quello del C.L. e, pertanto, la Corte di Appello riconosceva a suo favore un giudizio di prevalenza delle attenuanti e rideterminava la pena. Dichiarava infine prescritte le contravvenzioni alla stessa contestate, concernenti l'omessa designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (artt. 17,co. l, lett.b) e 55 co. 1 lett. b) d.lgs. 81/2008), l'omessa designazione del medico competente per l'effettuazione delle obbligatorie visite mediche periodiche (artt. 18 co. 1 lett. a) e 55 co. 5 lett. d) d.lgs. 81/2008), nonché l'omessa valutazione di tutti i rischi antinfortunistici connessi all'attività lavorativa e, in particolare, su come e quando doveva essere effettuata la manutenzione, ordinaria e straordinaria, sui camion in utilizzo all'impresa relativa ai sistemi di bloccaggio del portellone posteriore dei semirimorchi, alla pulizia, all'idoneità della guarnizione del portellone posteriore (art. 71, Co. 4, d.lgs. 81/2008).
3. Ricorrono per Cassazione gli imputati, tramite difensore di fiducia, con ricorso articolato in tre motivi.

Con un primo motivo deducono ex art. 606, co. 1, lett. b) e c) c.p.p. inosservanza e erronea applicazione degli artt. 40 co. 2, 41 co. 2, 42, 43 co. 3 e 589 co. 1, 2 e 4 c.p. nonché degli artt. 533, 546 lett. c) c.p.p. e norme processuali collegate tra cui art. 125 co. 3, c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni contestate ai ricorrenti e l'evento lesivo e all'elemento soggettivo della colpa.
Ad avviso della difesa la Corte territoriale è incorsa in errar in iudicando allorquando ha posto alla base dell'accertamento del nesso eziologico un ragionamento ipotetico e congetturale non confrontandosi con la cd. corroborazione dell'ipotesi nel caso concreto valutando erroneamente la condotta dell'E.P. che, al contrario, deve ritenersi abnorme ed eccentrica e limitandosi, inoltre, ad una motivazione per relationem. Richiama la giurisprudenza in cui si afferma che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro la condotta del lavoratore non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento qualora sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente l'attività svolta, circostanza non ravvisabile nel caso di specie laddove la condotta dell'E.P. che, nonostante la perdita del carico non aveva provveduto a segnalarlo, doveva qualificarsi come condotta radicalmente e ontologicamente estranea, ed in nessun modo riconducibile, alle ipotizzate imprudenti scelte operate dalla parte datoriale.
3.1 Con un secondo motivo denuncia ex art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. vizio motivazionale con riferimento alla contraddizione interna del percorso logico-giuridico seguito dai giudici di merito ed alla manifesta illogicità della giustificazione fornita per attribuire l'evento lesivo alla condotta dei ricorrenti.
La difesa ravvisa una palese contraddizione tra la motivazione e i dati fattuali nonché tra le premesse del ragionamento e le conclusioni in cui sarebbero incorsi entrambi i giudici di merito, contraddizione da cui era risultata una conclusione ipotetica con violazione del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio". Lo stesso E.P., infatti, aveva ammesso di avere avuto la consapevolezza della necessità di pulire il rimorchio a sostegno della interruzione del rapporto di causalità.
3.2 Infine con un terzo motivo deduce ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. inosservanza degli artt. 110, 589 c.p.; 27 Cost. con riferimento alla sola F.C.; artt. 132, 133, 62 bis e 69 c.p. nonché vizio motivazionale in ordine al reato oggetto del giudizio relativamente al solo C.L..
Chiede l'annullamento della sentenza impugnata con riferimento all'imputata F.C. per l'assenza di qualsivoglia personale responsabilità essendo la stessa totalmente estranea rispetto alla esecuzione del viaggio. Lamenta infine il diniego opposto dalla Corte in ordine alla richiesta prevalenza delle circostanze attenuanti generiche con riferimento all'imputato C.L. ritenendo erronea e contraddittoria la statuizione sul punto perché la Corte, avendo riconosciuto la prevalenza con riferimento alla F.C. il cui ruolo è stato ritenuto di rilievo gestionale primario, avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza anche per il co-gestore.
4. La parte civile ha depositato memoria difensiva.
Sul primo motivo di ricorso rileva l'inammissibilità dello stesso sotto il profilo della presunta violazione della norma processuale per mancanza di specificità non avendo i ricorrenti fatto alcun riferimento al punto della impugnata sentenza da cui deriverebbe il vizio, ed essendo inoltre la censura in parola ammessa solo per violazioni di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. Con riferimento al richiamo all'art. 606, lett. b) la difesa di parte civile rammenta che ricorre un'ipotesi di "doppia conforme" in cui è pienamente ammissibile la motivazione per relationem non avendo, inoltre, gli imputati proposto alcuna doglianza nell'atto di appello in ordine alle contestate omissioni alle regole cautelari concernenti la corretta manutenzione, alla posizione di garanzia ad essi riconosciuta ed alla omessa previsione dei rischi inerenti alla prestazione lavorativa, essendosi incentrati in quella sede solo soffermati sulla condotta del lavoratore quale fattore interruttivo del nesso causale - censura adeguatamente affrontata e risolta dalla Corte territoriale.
Sul secondo motivo ritiene sia destituito di fondamento l'assunto dei ricorrenti. In particolare la doglianza relativa alla mancanza del nesso causale tra le condotte degli imputati e l'evento, come rilevato dalla Corte di appello in sentenza, era stata confutata già dal primo giudice, mentre i ricorrenti nei motivi di appello si erano limitati ad evidenziare il comportamento negligente del lavoratore tale da configurare un fattore causale interruttivo.
Chiede, quindi pronunciarsi l'inammissibilità o il rigetto del ricorso con conseguente conferma delle statuizioni civili.
 

 

Diritto



1. Il primo e il secondo motivo di ricorso sono inammissibili.
Preliminarmente deve rammentarsi che la vigente disciplina in materia di infortuni sul lavoro risente della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonché su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attività lavorativa, dovendosi così ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi. La identificazione dell'area di rischio e dei soggetti deputati alla sua gestione serve ad arginare la potenziale espansività della causalità condizionalistica, consentendo di imputare il fatto solo a coloro che siano chiamati a gestire il rischio. Pertanto per ravvisare l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro è necessario e sufficiente che sussista tra la violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati agli artt. 40 e 41 c.p.
Sotto altro aspetto deve ribadirsi il consolidato principio di diritto secondo il quale in caso di cd. doppia conforme, allorché la motivazione della sentenza oggetto di scrutinio sia integrata da quella della sentenza appellata attraverso ripetuti richiami a quest'ultima ovvero adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (sez. 2, n. 37295 del 12 Giugno 2019, E., Rv. 277218; sez. 3, n. 44418 del 16 Luglio 2013, Argentieri, Rv. 257595). Ciò vale certamente nella specie alla luce dell'espresso rinvio fatto dal Collegio distrettuale a specifici passaggi della sentenza di primo grado . Ne discende la manifesta infondatezza dell'eccepita erronea applicazione di legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva degli imputati e l'evento lesivo là dove, nell'illustrare il rilievo, la difesa si è limitata ad attaccare il discorso giustificativo svolto nella sentenza d'appello ed ha completamente trascurato di confrontarsi con il corredo argomentativo della decisione di primo grado cui il Collegio distrettuale ha fatto rinvio rilevando, peraltro, che neppure nell'atto di appello era stata rivolta specifica censura sulla questione concernente la mancata predisposizione del DVR.

2. Inoltre l'omesso raffronto con il complessivo apparato motivazionale rende le deduzioni mosse dai ricorrenti in sostanza aspecifiche (sez. 6, n. 20377 del 11/03/2019, Arnone e altri, Rv. 243838). La Corte di appello, infatti, nel richiamare la sentenza appellata mostra di condividere il percorso argomentativo del giudice di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto "con quasi assoluta certezza" la riconducibilità dell'evento alle omissioni contestate agli imputati. Orbene non solo la difesa nell'atto di appello non si è in alcun modo confrontata con la ricostruzione del nesso di causalità operata dal giudice di primo grado ma, avuto riguardo al corredo argomentativo delle sentenze, risulta del tutto smentita la censura avanzata in questa sede sulla mancata corroborazione dell'ipotesi concreta. Con particolare riferimento alla presunta valenza interruttiva della condotta dell'E.P. la critica proposta dal ricorrente cerca di offrire una sostanziale rilettura dei fatti di causa, concentrandosi sulla consapevolezza da parte del coimputato, giudicato separatamente, in ordine alla necessità di pulire il rimorchio. Tuttavia se da un lato può convenirsi con la difesa dei ricorrenti in ordine alla concorrente valenza eziologica della condotta dell'E.P. - tanto che il giudizio che l'ha visto imputato si è concluso con una sentenza di condanna - dall'altro lato tale condotta, così come rilevato dai giudici di merito, risulta essere priva dei caratteri di abnormità ed eccezionalità non potendo assurgere, quindi, a fattore causale idoneo da solo a cagionare l'evento. Gli imputati, infatti, non solo non avevano assolto agli obblighi di prevenzione dei rischi derivanti dalla normativa vigente in materia ma, nonostante la ditta fosse già stata destinataria di contravvenzione per situazione analoga a quella che ha causato l'incidente, neppure avevano provveduto, come un comportamento diligente avrebbe richiesto, a porre rimedio a tale situazione. Per di più l'E.P., nonostante avesse avvisato il C.L. della mancata pulizia del camion, aveva ugualmente ricevuto l'ordine di partenza a cui ha adempiuto in qualità di dipendente della ditta e che nessuna segnalazione preventiva dell'occorso sarebbe valsa a impedire il verificarsi dell'evento laddove l'E.P. si rese conto della perdita del carico in un momento che non avrebbe consentito l'intervento salvifico degli altri titolari della posizione di garanzia.
3. Depone poi per la esclusione della interruzione del rapporto di causalità, in presenza della imprudente condotta del lavoratore, la giurisprudenza che limita la responsabilità del lavoratore nella causazione dell'infortunio quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (sez.4, 17 Gennaio 2017, Meda, Rv.269255; 10 Ottobre 2013, Rovaldi, Rv. 259313; 2.5.2012, Goracci n.22044 non massimata; 7 Febbraio 2012, Pugliese, Rv.252373; 15 Aprile 2010 n. 21511, Di Vita, n.m.). Le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori (sez.4, 13.11.2011 Galante, n.m.; sez.F. 12.8.2010, Mazzei Rv.247996).
3.1 Quanto infine alla condotta imprudente o incauta del lavoratore è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o lesioni del lavoratore, che ne sia conseguito, può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento come il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, non sia neppure collegato al segmento di lavorazione risultava impegnato; in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (vedi sez.4, n. 23292 del 28 Aprile 2011, Milio, Rv.252710; n.16397 del 5 Marzo 2015, Guida, Rv.263386; n.33976 del 17 Marzo 2021, Vigo Antonio, Rv.281748). Non pare dubbio - e il giudice di appello ne ha dato conto in motivazione - che il lavoratore fosse intento alla esecuzione di un compito che rientrava nel segmento delle lavorazioni demandate e che l'evento si era verificato proprio in ragione dell'assolvimento del compito demandato, e su tale profilo il motivo di ricorso appare del tutto privo di analisi censoria delle argomentazioni indicate e di quelle richiamate dalla Corte di Appello.
4. Il terzo motivo è infondato con riferimento alla presunta contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto prevalenti le circostanze attenuanti generiche solo nei confronti dell'imputata F.C. e non, invece, nei confronti del coimputato C.L.. Giova richiamare a tal proposito che questa Suprema Corte da tempo ha chiarito che se sono più i titolari della posizione di garanzia, come nel caso di specie, ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (sez. 4, n. 46849 del 3 Novembre 2011, Rv. 252149). La Corte territoriale dopo aver rilevato che primariamente sull'imputata, in qualità di socia di maggioranza e, al contempo, amministratore e rappresentante della società, incombevano gli obblighi previsti dalla normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non ha - come sostenuto dalla difesa - relegato il ruolo del C.L. a mero "co-gestore" dell'azienda, bensì ha ravvisato in capo allo stesso un ulteriore e specifico addebito, per essere questi, tra i due dirigenti, colui che "gestiva gli autisti sul da farsi giornaliero" e che, il giorno dell'incidente, nonostante fosse consapevole dello stato di precaria manutenzione del camion e delle conseguenze che potevano derivarne (perdita del carico), aveva ugualmente disposto la partenza del mezzo. La motivazione, pertanto, risulta logica e coerente proprio in virtù dell'ulteriore posizione di garanzia ravvisata in capo al C.L., quale preposto al controllo e alla gestione del rischio concernente la sicurezza delle operazioni di trasporto, che va ad aggiungersi ai medesimi profili di colpa già ravvisati in capo ad entrambi gli imputati.
5. In relazione poi alla posizione di garanzia della F.C. alla stessa, quale amministratrice della società e maggiore azionista della stessa competeva l'obbligo di adottare le soluzioni organizzative più appropriate in ordine a temi di fondo essenziali, quali la predisposizione del Documento Generale per la Valutazione dei Rischi e la nomina di un Responsabile per la Protezione e Prevenzione degli infortuni e in generale di fornire le linee generali di direzione ed indirizzo volte a prevenire l'instaurarsi, come nella specie, di prassi lavorative contrarie alle disposizioni antinfortunistiche.
5.1 Nessun dubbio pertanto sul fatto che la F.C. abbia rivestito al momento del fatto la qualifica formale di legale rappresentante, responsabile della gestione della società EUROCOM INERTI TRASPORTI s.r.l. e pertanto essa costituiva la massima espressione della rappresentanza e della operatività dell'azienda e su di essa correva l'obbligo primario di procedere alla valutazione dei rischi e di assicurare la sicurezza e l'adozione di misure di prevenzione sul luogo di lavoro (Sez.4, 1.2.2017, Ottavi, Rv. 269133; 29.1.2019, Ferrari, Rv.276335), e conseguentemente di predisporre il documento di valutazione dei rischi. Quanto ai profili formali dell'assunzione della qualifica di datore di lavoro in materia di infortuni sul lavoro gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 26110801; SEZ.iv, 16.12.2015, Raccuglia, Rv.265947).
5.2 Appare evidente che manca nella specie qualsiasi elemento da cui inferire la presenza dei requisiti essenziali per consentire un trasferimento di una o più funzioni dal soggetto delegante, facendo totalmente difetto una delega formale volta a definire l'ambito circoscritto, o ben definito, delle competenze trasferite, risolvendosi in una mera allegazione difensiva il generico riferimento alla presenza sul cantiere di soggetti preposti alla vigilanza, alla direzione dei lavori e alla sicurezza; se da un lato tale allegazione difensiva può valere alla individuazione di ulteriori figure tutoriali, dall'altra non risulta idonea all'esonero di responsabilità in capo al soggetto che è gravato della gestione dell'impresa e unisce in sé i poteri di indirizzo, di spesa e di amministrazione. Semmai risulta accertato l'esercizio da parte di terzi della gestione esecutiva dell'attività aziendale ma, contrariamente a quanto rappresentato nel primo motivo di ricorso, non è affatto vero che il concreto atteggiarsi delle lavorazioni sfuggiva ai poteri di indirizzo e di coordinamento comunque riconosciuti all'amministratore ricorrente.
5.3 Invero il giudice di legittimità, pur distinguendo la posizione del preposto di fatto sul luogo di lavoro dalla delega di funzioni, ha ampiamente affermato che, pur in presenza di un esercizio di fatto di una posizione di garanzia all'interno del luogo di lavoro, sia essa determinata da un atto di ingerenza piuttosto che da una distribuzione di incarichi non formalizzati, giammai si realizza un'ipotesi di esonero di responsabilità del titolare effettivo della posizione di garanzia, ma semmai si costituisce una figura alternativa di garanzia, che potrebbe essere chiamata a rispondere sulla base del principio di effettività richiamato dall'art.299 D.Lgs. n. 81/2008 (sez.4, 28 Febbraio 2014 Consol rv. 259224, 18 Dicembre 2012 Marigioli rv 226339, 9.2.2012, Pezzo rv. 253850).
6. I ricorsi devono pertanto essere rigettati ed ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 Ottobre 2021