Tribunale di Roma, 08 dicembre 2021 - Logopedista sospesa dal lavoro per inadempimento dell'obbligo vaccinale


 

 

TRIBUNALE DI ROMA
Il giudice Dott.ssa Francesca Romana Pucci,
Sul ricorso ex art. 700 c.p.c. iscritto al n. RG 26698/2021
promosso da
A.P. (Con l’Avv. GALEANI STEFANO )


nei confronti del

RICORRENTE

IRCCS SAN RAFFAELE ROMA SRL (con l’Avv.TAVERNESE MARCO)
 

RESISTENTE
All’esito della riserva assunta all’udienza del 1.12.2021 osserva quanto segue.
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 12.10.2021 la A.P., dipendente dell’Istituto convenuto con qualifica di Logopedista, ha impugnato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione comunicato dal datore di lavoro ai sensi del DL 44/2021 ed ha chiesto la reintegra/riammissione nel posto di lavoro con corresponsione della retribuzione dovuta a decorrere dalla sospensione.
A sostegno del fumus boni iuris la ricorrente ha dedotto: di essere affetta da patologie che la esonerano dall’obbligo vaccinale; la violazione del comma 8 dell’art. 4 DL 44/2021 ben potendo la ricorrente continuare a svolgere la prestazione in modalità telematica, e non avendo comunque il datore lavoro ricercato altre possibili collocazioni lavorative, anche di livello inferiore. Ha poi rilevato, in diritto, l’illegittimità del DL 44/2021 sotto più profili.
Quanto al periculum in mora, la A.P. ha dedotto che l’attività lavorativa alle dipendenze dell’Istituto convenuto costituisce l’unica fonte di reddito del proprio nucleo familiare, composto dalla ricorrente e dal di lei coniuge, attualmente disoccupato, e di non possedere un patrimonio sufficiente a far fronte al mantenimento della famiglia nelle more del giudizio ordinario.
Si è costituita la convenuta che ha contestato l’avversa domanda cautelare della quale ha chiesto il rigetto.
Dalla documentazione depositata in atti emerge che:
con nota del 22.4.2021 il datore di lavoro, preso atto della mancata adesione della ricorrente alla campagna di vaccinazione, richiedeva documentazione giustificativa;
con nota in pari data la ricorrente inviava certificazione medica datata 7.4.2021 con la quale il medico di medicina generale, dott.ssa Q., attestava l’esistenza di patologie autoimmuni in trattamento con terapia immunosoppressiva e sconsigliava la vaccinazione per il Covid 19;
con nota del 11.8.2021 la ASL Roma 1, rilevato che dalla consultazione dell’Anagrafe Vaccinale e sui sistemi di prenotazione non risultava che la A.P. si fosse vaccinata o si fosse prenotata per la somministrazione del vaccino, invitava quest’ultima a produrre, entro cinque giorni, la documentazione comprovante la vaccinazione ovvero la documentazione attestata dal MMG che giustifica l’omissione o il differimento della vaccinazione ai sensi del comma 2 ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione;
in data 14.8.2021 la ricorrente inviava alla Asl Rm 1 il certificato del MMG datato 7.4.2021 della dott.ssa Q.;
con nota del 3.9.2021 la Asl Rm 1, preso atto che la ricorrente non aveva provveduto ad inviare la documentazione richiesta con la precedente nota e, segnatamente la documentazione attestata dal MMG che giustifica l’omissione o il differimento della vaccinazione ai sensi del comma 2, invitava la A.P. a presentarsi all’HUB vaccinale in data 9.9.2021 per adempiere all’obbligo vaccinale;
con certificazione del 9.9.2021 la Asl Rm 1 attestava che la ricorrente si era presenta all’Hub vaccinale ma non aveva effettuato il vaccino;
con nota del 10.9.2021 l’azienda convenuta, preso atto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, comunicava alla A.P. la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, sino all’adempimento dell’obbligo vaccinale o, al più tardi, sino al 31.12.2021, per temporanea inidoneità lavorativa e, dunque, per sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, non sussistendo mansioni vacanti e/o disponibili che non comportino il rischio di contagio.
Ciò posto in fatto, la ricorrente deduce, in punto fumus bonis iuris, l’illegittimità del provvedimento sospensivo sotto vari profili e precisamente:
a) Attuale inesistenza dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 DL 44/2021 per effetto del DL 26.11.2021 che, sostituendo l’art. 4 del DL 44/2021, imporrebbe la vaccinazione solo a decorrere dal 15.12.2021.
La tesi non appare condivisibile.
E’ noto che nelle more del presente giudizio e precisamente in data 26.11.2021, è stato pubblicato il DL n. 172, il cui art. 1 comma 1 lett. b) ha sostituito l’art. 4 del DL 44/2021.
In assenza di una disposizione transitoria, si ritiene debbano trovare applicazione i principi generali in materia di successione delle leggi nel tempo e, precisamente, stante la persistenza dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, il principio tempus regit actum.
Ad ogni buon conto si osserva che la nuova formulazione dell’art. 4 cit. stabilisce, per quanto qui rileva, che gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita, comprensiva, a far data dal 15 dicembre 2021, della somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute.
Tale norma, dunque, lungi dall’aver soppresso l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari sino al 15.12.2021, come sostenuto dalla ricorrente, ha invece introdotto, a decorrere dal 15.12.2021, l’obbligatorietà della “terza dose” per tali operatori.
b) Esonero dall’obbligo vaccinale.
La A.P. assume di trovarsi nelle condizioni di cui all’art. 4 comma 2 DL 44/2021 che, nella versione all’epoca vigente, sancisce che: Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita.
Tale condizione sarebbe attestata dal certificato rilasciato in data 7.4.2021 dal MMG Dott.ssa Q..
Invero il comma 2 dell’art. 4 cit., all’epoca vigente, non specificava il procedimento di accertamento delle condizioni di esenzione. Tuttavia la lettura combinata dell’allora comma 2 e 5 dell’art. 4, consente di ritenere che l’accertamento definitivo della condizione di esonero, cioè del “pericolo per la salute” fosse rimesso all’Asl e non già al MMG. Il comma 2 prevede infatti che il MMG attesta le specifiche condizioni cliniche documentate ed ai sensi del comma 5 l’Asl, nell’ambito del procedimento di verifica dell’obbligo vaccinale, richiede all’interessato di produrre, nel termine di 5 giorni, la documentazione attestata dal MMG che giustifica l’omissione o il differimento della vaccinazione.
Ebbene, nel caso di specie, la ricorrente si è limitata a produrre all’Asl il solo certificato del MMG datato 7.4.2021 e non già la documentazione relativa alle specifiche condizioni cliniche che il medico aveva accertato.
Correttamente, pertanto, l’Asl ha accertato l’inadempimento della A.P. all’obbligo vaccinale ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 4.
Va osservato che in data 4.8.2021 è stata pubblicata la circolare del Ministero del Salute n. 35309 che detta disposizioni in materia di “certificazioni di esenzione alla vaccinazione anti-SARS-CoV-2”, prevedendo, fra l’altro, che i soggetti deputati al rilascio di tali certificazioni sono esclusivamente: i medici vaccinatori dei Servizi vaccinali delle Aziende ed Enti dei Servizi Sanitari Regionali o i Medici di Medicina Generale o Pediatri di Libera Scelta dell’assistito che operano nell’ambito della campagna di vaccinazione anti- SARS-CoV-2 nazionale.
Tale circolare, il cui ambito di applicazione è espressamente limitato “al fine di consentire l’accesso ai servizi e attività di cui al comma 1, art. 3 del DL 23 luglio 2021, n 105, ai soggetti che per condizione medica non possono ricevere o completare la vaccinazione per ottenere una certificazione verde COVID-19”, è stata poi estesa, dapprima all’esonero dal “green pass” nel pubblico impiego (art. 1 DL 127/2021 che ha introdotto l’art. 9 quinquies al DL 52/2021) e poi all’esonero dall’obbligo vaccinale degli operatori sanitari (art. 4 comma 2 DL 44/2021 come sostituito dall’art. 1 comma 1 lett. b DL 172/2021).
Coerentemente con tali disposizioni, la circolare del Ministero del Salute n. 53922 del 25.11.2021 ha prorogato sino al 31.12.2021 la validità della circolare del 4.8.2021 e delle certificazioni di esonero già rilasciate in conformità a detta circolare.
Tale evoluzione normativa avvalora l’interpretazione ermeneutica esposta dal giudicante circa l’originario comma 2 dell’art. 4 DL 44/2021.

Se è vero infatti che sin dal 4.8.2021 al fine di essere esonerati dall’obbligo del “green pass” per usufruire dei servizi e delle attività ricreative (ristoranti, concerti, palestre ecc.) è necessario che la certificazione di esonero abbia determinati requisiti e sia rilasciata, non già da ogni MMG, ma solo dai MMG che operano nell’ambito della campagna vaccinale, non appare ragionevole che l’esonero degli operatori sanitari – cioè quei soggetti maggiormente esposti al rischio di contagio e trasmissione –, sino all’entrata in vigore del DL 172/2021, potesse essere accertato in via esclusiva e definitiva, dal MMG (per inciso si osserva che le patologie riportate nel certificato rilasciato alla A.P. dalla Dott.ssa Q. non rientrano – prima facie - fra le patologie “controindicate” di cui alla circolare del 4.8.2021).
Concludendo sul punto, dunque, non si ritiene sussista allo stato la prova che la ricorrente sia esentata dall’obbligo vaccinale.
Non appare al riguardo compatibile con la cautela azionata l’istanza istruttoria di parte ricorrente volta all’accertamento mediante CTU medico-legale dell’esistenza delle condizioni di esonero di cui al comma 2 cit., tanto più in considerazione del fatto che la ricorrente si è volontariamente sottratta al procedimento amministrativo dettato dal legislatore per l’accertamento di tale esonero.
c) Violazione dell’obbligo datoriale di valutazione di un impiego alternativo
La ricorrente assume la violazione del comma 8 dell’art. 4 cit. (nella versione all’epoca in vigore) - che prevedeva l’adibizione del lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Ebbene la A.P. assume innanzitutto che il datore di lavoro avrebbe potuto consentirle di svolgere l’attività di logopedista da remoto; modalità già praticata dalla ricorrente dal 2020 sino al provvedimento di sospensione impugnato.
E’ in atti tuttavia l’attestazione del Direttore Medico del Centro di Riabilitazione San Raffaele, dott.ssa F., circa l’esaurimento dei pazienti in carico in modalità da remoto e delle ragioni della scelta aziendale di non operare più con tale modalità - ragioni identificate sia con il rifiuto di tale modalità da parte dei pazienti, sia con l’evidenza scientifica della miglior efficacia terapeutica della modalità in presenza.

Va al riguardo evidenziato che a differenza del comma 10 – che attiene ai sanitari esonerati dall’obbligo vaccinale – il comma 8 non fa riferimento, neppure implicito, all’onere datoriale di apportare modifiche all’assetto organizzativo onde consentire il reimpiego del sanitario inadempiente all’obbligo vaccinale, prevedendo invece, il comma 8 l’adibizione a mansioni diverse solo “ove possibile”.
Esclusa dunque allo stato la possibilità di adibire la ricorrente allo svolgimento dell’attività sanitaria da remoto, la A.P. deduce che comunque il datore di lavoro non avrebbe offerto alcuna prova circa l’impossibilità di una diversa collocazione lavorativa.
Ebbene, premesso che chiaramente la diversa collocazione non potrebbe afferire a prestazioni di tipo sanitario, bensì esclusivamente di tipo amministrativo, questo giudice non condivide l’impostazione di parte della giurisprudenza di merito che estende all’obbligo datoriale di cui si discute il regime probatorio dell’obbligo di repechage.
Le due fattispecie non appaiono infatti sovrapponibili: un conto è il licenziamento ed altro un provvedimento di temporanea sospensione; da un lato si tratta di valutare le ragioni aziendali che determinano la cessazione del rapporto di lavoro e dall’altro le ragioni di tutela della salute dei dipendenti (tutti) e degli utenti in un periodo di emergenza sanitaria, che impongono una sospensione temporanea del rapporto per una scelta volontaria dell’operatore sanitario dipendente.
Esclude pertanto questo giudice che all’onere probatorio previsto dal comma 8 all’epoca in vigore debbano applicarsi i principi giurisprudenziali in materia di obbligo di repechage, dovendosi piuttosto ritenere che, in assenza di specifiche allegazioni attoree circa l’esistenza di posti compatibili e disponibili, l’onere datoriale sia comunque temperato e possa ritenersi assolto mediante presunzioni, tanto più nell’odierno contesto cautelare.
A confortare la tesi esposta vi è la significativa circostanza che l’obbligo datoriale previsto dall’originario comma 8 è stato eliminato dal legislatore con la riscrittura dell’art. 4 ad opera del DL. 26.11.2021.
Pertanto, in assenza di specifiche allegazioni attoree, ritiene il giudicante che possa allo stato ritenersi accertata la dedotta inesistenza di posizioni disponibili che comunque non implicano rischi di diffusione del contagio, posto che, come rilevato dalla convenuta, le attività amministrative richiedono attività di front office e/o comunque implicano il necessario contatto con l’utenza all’interno della struttura sanitaria.

d) Violazione del Regolamento Europeo 935/2021
La ricorrente assume dette la contrarietà dell’art. 4 D.L. 44/2021 alla normativa europea, ed in particolare al Regolamento indicato.
Si osserva tuttavia che la materia degli obblighi vaccinali non costituisce in sé oggetto di una disciplina dell’Unione, e rispetto ad essa ogni Stato mantiene nell’ordinamento interno ampio margine di autonomia, come è agevolmente verificabile dall’assenza di uniformità tra gli Stati membri in merito alla previsione di vaccinazioni obbligatorie.
Secondo la costante giurisprudenza della CGUE, i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse.
Anche la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato, a partire dalla sentenza n. 80 del 2011 sino alla sentenza n. 194 del 2018, che “le disposizioni della Carta sono applicabili agli Stati membri solo quando questi agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione” (sentenza n. 63 del 2016 e nello stesso senso sentenza n. 111 del 2017).
La Corte di cassazione, dal suo canto, si è sempre allineata a dette posizioni, affermando ripetutamente l’irrilevanza della Carta dei diritti fondamentali nelle materie non regolate dal diritto UE, al fine di respingere sia istanze di rinvio pregiudiziale, per evidente irrilevanza del richiamo rispetto alla controversia, sia richieste di disapplicazione di norme interne, per presunta contrarietà a diritti e principi riconosciuti nella Carta.
Pertanto: non rientrando la materia degli obblighi vaccinali tra quelle di competenza dell’Unione, va escluso che l’art. 3 CDFUE sia una norma che possa da sola legittimare la disapplicazione di una normativa interna che imponga un obbligo di vaccinazione.
Il Regolamento 2021/953/UE approvato dal Parlamento e dal Consiglio il 14 giugno 2021, invocato dalla ricorrente, è intervenuto in materia di libera circolazione (campo di elezione del diritto europeo in quanto pilastro fondamentale nel processo di integrazione e per l’esercizio di altri diritti fondamentali) al fine di agevolare la libera circolazione sicura dei cittadini nell’UE durante la pandemia, ed ha introdotto il certificato Covid digitale quale strumento di facilitazione della libertà di spostarsi entro lo spazio europeo.
Al considerando 6 del Regolamento 2021/953/UE il legislatore dell’Unione ricorda che gli Stati membri possono limitare il diritto fondamentale alla libera circolazione per motivi di sanità pubblica e che tutte le restrizioni alla libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione, attuate per limitare la diffusione del SARS-CoV-2, dovrebbero basarsi su motivi specifici e limitati di interesse pubblico, quale è la tutela della salute pubblica, ed essere applicate conformemente ai principi generali del diritto dell'Unione, quali la proporzionalità e la non discriminazione.
Con riferimento alla discriminazione, il considerando n. 36 dello stesso Regolamento chiarisce che, essendo necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, “il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l'uso di uno specifico vaccino anti Covid-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto”. Si stabilisce inoltre che “il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati”.
Posto tale dato normativo, ed a prescindere dall’efficacia o meno della rettifica alla prima versione pubblicata in Gazzetta in cui era stato omesso l’inciso “hanno scelto di non essere vaccinate”, non sembra che da tale considerando possa desumersi l’introduzione di un nuovo fattore di discriminazione protetto, quale “la scelta di non essere vaccinati”.
A parte il rilievo che l’indicazione in questione è contenuta in un “considerando” che, come chiarito dalla Guida pratica alla redazione degli atti normativi europei, hanno la funzione di motivare le norme contenute nei testi legislativi ma, a differenza degli articoli, “non contengono enunciati di carattere normativo” - come evidente dall’utilizzo nello stesso testo del condizionale “dovrebbe” che non ha evidentemente natura precettiva -, lo stesso articolato precisa che non rientra nell’oggetto del Regolamento l’introduzione di un diritto o obbligo ad essere vaccinati e che la discriminazione determinata dal possesso o meno di una certificazione di vaccinazione va evitata “per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto.”
Così circoscritto l’ambito applicativo della previsione, si ritiene che nulla impedisca agli Stati membri di introdurre, per ragioni di sanità pubblica, condizioni più restrittive, che abbiano una finalità legittima e siano con tale finalità proporzionate, in ambiti che, quale quello di specie, non sono oggetto di disciplina unionale.
Ritiene pertanto il giudicante che la norma in esame non contrasti con il Regolamento UE 2021/953.
Si ritiene altresì di dover escludere che l’introduzione dell’obbligo vaccinale in ambito lavorativo di cui all’art. 4 cit, possa costituire una discriminazione “per convinzioni personali” di coloro che sono per scelta contrari alla vaccinazione, vietata dall’art. 1 del d.lgs. 9 luglio 2003 n. 216 che ha dato attuazione alla direttiva antidiscriminatoria 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro dei lavoratori dipendenti e autonomi.
Ai sensi dell’art. 3, comma 3, dello stesso decreto (di attuazione dell’art. 4 comma 1 della direttiva 2000/78/CE), nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non sussiste discriminazione quando le differenze di trattamento sono dovute a caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività lavorativa, per la natura stessa dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata.
Nel caso del personale sanitario, non appare dubitabile che l’obbligo di vaccinazione anti Covid-19, nell’attuale contesto pandemico, costituisca un requisito essenziale per quella specifica attività lavorativa, introdotto per una finalità legittima, quale la tutela della salute dei pazienti ed anche della salute e della sicurezza delle condizioni di lavoro degli stessi lavoratori, e che tale misura risulti ragionevole e proporzionata, in quanto di natura temporanea oltre che sanzionata, in caso di inadempimento, con una mera sospensione del rapporto, coerente con l’essenzialità e temporaneità del requisito.
Da ultimo: è bene vero che la Risoluzione n. 2361 del 27 gennaio 2021 del Consiglio d’Europa suggerisce una campagna vaccinale non obbligatoria e di “garantire che nessuno sia discriminato per non essere vaccinato, a causa di potenziali rischi per la salute o per non voler essere vaccinato”, ma è altresì vero che tali indicazioni confermano che, nell’ambito dell’esercizio del margine di apprezzamento riconosciuto a ciascuno Stato – che in assenza in materia di una disciplina europea interamente condivisa, assume una particolare ampiezza –, ogni limitazione imposta dagli ordinamenti nazionali a coloro che non intendano vaccinarsi contro il Covid-19, va ritenuta compatibile con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo se sussiste una giustificazione oggettiva e ragionevole che ne escluda la natura di discriminazione illegittima ai sensi dell'art. 14 CEDU, esclusione che per la legislazione italiana può individuarsi nelle stesse ragioni innanzi evidenziate in riferimento alla disciplina dell’Unione.
e) Violazione dell’art. 32 Cost.
Ancora: la ricorrente assume che l’art. 4 DL 44/2021 contrasterebbe con l’art. 32 Cost. e, richiamata al riguardo la pronuncia n. 5/2018 della Corte Costituzionale, sostiene che l’art. 4 non rispetterebbe i requisiti indispensabili enunciati dalla Consulta in materia di trattamenti obbligatori in quanto: la vaccinazione inciderebbe negativamente sulla salute dell’obbligato; si tratterebbe di una vaccinazione sperimentale; non sarebbe previsto alcun indennizzo in favore dei danneggiati.
Sul punto si ritiene di dover richiamare le argomentazioni di Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 7045 del 20 ottobre 2021 che, con ampia motivazione del tutto condivisa da questo giudice, ha rigettato il ricorso proposto da alcuni sanitari evidenziando che:
- si deve confutare e respingere l’affermazione secondo cui i vaccini contro il Sars- Cov-2 siano “sperimentali” in quanto approvati senza un rigoroso processo di valutazione scientifica e di sperimentazione clinica che ne abbia preceduto l’ammissione, perché la CMA è una procedura in cui la maggiore rapidità e la parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione - cd. fast track/partial overlap - consentono di acquisire dati sufficientemente attendibili, secondo i parametri proprî della medicina dell’evidenza, in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci, che nulla toglie al rigore scientifico e all’attendibilità delle sperimentazioni che hanno preceduto l’autorizzazione;
- l’efficacia dei vaccini contro il Sars-Cov-2 è confermata dall’evidenza dell’ultimo bollettino sull’andamento dell’epidemia emesso dall’ISS, mentre la sicurezza è documentata dall’ultimo rapporto ad oggi disponibile, pubblicato il 12 ottobre 2021 sul sito dell’AIFA, da cui risulta che gli eventi avversi conseguenti alla somministrazione del vaccino devono ritenersi rispondenti ad un criterio di normalità statistica;
- mentre il margine di incertezza dovuto al c.d. ignoto irriducibile, che la legge deve fronteggiare in un’emergenza pandemica tanto grave, non può giustificare, né sul piano scientifico né sul piano giuridico, il fenomeno della esitazione vaccinale, ben noto anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio nei medici e nel personale sanitario, la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 risponde ad una chiara finalità di tutela non solo del personale sanitario sui luoghi di lavoro, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà, che anima la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza;
- la vaccinazione in questione rientra a pieno titolo, tra quelle previste dall’art. 1 della L. n. 210 del 1992; non è perciò necessaria un’espressa previsione dell’indennizzo nel testo dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021;
- pertanto la previsione rispetta tutti i requisiti fissati dal nostro ordinamento, e ribaditi da ultimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 2018 per configurare un trattamento sanitario obbligatorio legittimo, in quanto: i vaccini sono sicuri ed efficaci; il carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria non è discriminatorio ma giustificato dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili rispetto al quale non può prevalere il diritto all’autodeterminazione del singolo; la previsione dell’indennizzo completa il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali.
Anche tale censura attorea va dunque disattesa.
f) Sul consenso informato
Non si comprende francamente quale sia la doglianza attorea relativa al “consenso informato” (pagg. 9 e 10 del ricorso), allorquando è notorio che prima di sottoporsi alla somministrazione del vaccino venga richiesto il consenso informato; cosa che nel caso di specie è anche documentata dalla stessa ricorrente che, infatti, si è rifiutata di prestare il relativo consenso.
g) Sullo stato di emergenza
La ricorrente deduce infine l’illegittimità dell’art. 4 DL 44/2021 in quanto sarebbe illegittima la dichiarazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020.
Anche tale doglianza non appare condivisibile, non comprendendosi il legame fra la dichiarazione dello stato di emergenza e la previsione di legge di cui si discute.
La tesi attorea potrebbe avere un fondamento astratto laddove l’obbligo selettivo vaccinale fosse stato previsto con DPCM. Viceversa la disciplina è stata dettata con decretazione d’urgenza, la cui legittimità appare innegabile in un contesto di copertura vaccinale insoddisfacente nel presente e incline alla criticità nel futuro rientrando “nella discrezionalità - e nella responsabilità politica - degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire, alla luce dei nuovi dati e dei fenomeni epidemiologici frattanto emersi, anche in nome del principio di precauzione che deve presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione” (così Corte Costituzionale sentenza n. 5 del 2018 par. 6.4).
Il riferimento temporale al 31.12.2021 non discende quindi direttamente dalla dichiarazione dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020, bensì dalla scelta discrezionale del legislatore di individuazione del termine che, sulla scorta anche delle evidenze statistiche disponibili al momento della decretazione, potesse essere ragionevolmente ritenuto congruo per il bilanciamento degli interessi in gioco.
A riprova di ciò vi è la significativa circostanza che tale termine è ora slittato al 15.6.2022 (art. 4 comma 5 come modificato dall’art. 1 comma 1 lett. b DL 172/2021).
In forza delle argomentazioni sin qui esposte, ritiene il giudicante l’insussistenza del fumus bonis iuris, con ciò rimanendo assorbito ogni rilievo circa il requisito del periculum in mora.
Le spese di lite si compensano fra le parti, tenuto conto: della novità di alcune delle questioni trattate, della sopravvenuta modifica dell’art. 4 DL 44/2021 (che ha orientato l’interpretazione dell’originario art. 4) e della non uniformità degli orientamenti di merito circa l’obbligo datoriale di ricercare altra collocazione del sanitario inadempiente.
 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso; compensa le spese di lite. Si comunichi
Roma 8.12.2021 Il Giudice F. R. Pucci