Cassazione Penale, Sez. 4, 11 gennaio 2022, n. 413 - Instabilità di una tavola metallica del ponteggio priva di fermi metallici. Responsabilità del datore di lavoro dell'impresa affidataria


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 12/11/2021
 

 

Fatto


1. La Corte di Appello di Trieste, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente S.A., con sentenza del 4/3/2020, confermava la sentenza emessa in data 30/10/2017 dal Tribunale di Udine, appellata dall'imputato e in via incidentale dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Trieste.
Il Tribunale di Udine, all'esito del dibattimento aveva condannato S.A. e il coimputato C.C. alla pena di mesi tre di reclusione ciascuno, con pena sospesa per entrambi per il reato di cui all'art. 590 commi 1, 2, e 3, cod pen., per avere:
- S.A. in qualità di presidente del consiglio di amministrazione, rappresentante della società DOMUSGAIA s.r.I. (impresa affidataria dei lavori in forza di contratto di appalto stipulato tra la stessa e il committente H.H.) ed anche di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori presso il cantiere edile sito in Tricesimo, via Manzano;
- C.C. in qualità di amministratore e datore di lavoro (verbale di assemblea straordinaria dell'1/10/ 2011 con affidamento di poteri in materia di sicurezza e salute sul lavoro) della ditta G.N. e C.C. & C. s.n.c. (impresa subappaltatrice in forza di contratto di subappalto stipulato in data 23/09/2014 tra la medesima ditta la società Domusgaia s.r.l.);
per colpa dovuta a negligenza, imprudenza ed imperizia nonché in violazione delle seguenti disposizioni di legge:
S.A. art . 97, co. 4, D. L.vo n. 81/2008, avendo omesso, in qualità di datore di lavoro dell'impresa affidataria dei lavori edili nel citato cantiere, di coordinare gli interventi di manutenzione e controllo delle attrezzature di lavoro soggette ad uso promiscuo da parte dei diversi datori di lavoro intervenuti in cantiere, in particolare con riguardo al ponteggio metallico noleggiato dall'impresa affidataria e messo a disposizione delle diverse imprese/ditte intervenute per la costruzione del citato fabbricato;
C.C. art. 95, comma I lett. d). D. L.vo n. 81/2008, per non avere provveduto a controllare, prima e durante il suo impiego, lo stato di manutenzione ed efficienza del ponteggio metallico che l'impresa affidataria le aveva messo a disposizione presso il citato cantiere, eliminando i difetti che potevano pregiudicare la sicurezza dello stesso;
procurato a S.F. lesioni personali gravi "lesione traumatica del corpo di 08 e 09" giudicate guaribili in un tempo superiore a 95 giorni fino al 27/3/2015.
In particolare, S.F., dipendente della ditta G.N. e C.C. & C. s.n.c. , a causa dell'instabilità di una tavola metallica (tavola priva di fermi metallici) del ponteggio allestito in cantiere, cadeva da un'altezza di circa due metri, procurandosi le lesioni sopra indicate.
In Tricesimo (UD), il 22/12/2014.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, S.A. Angeio, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art . 173, comma 1, disp. att ., cod. proc. pen.:
Con un primo motivo si deduce violazione di legge, vizio motivazionale, erronea applicazione dell'art. 2 co. 1 , lett. b) D. L.vo 81/2008.
Si contesta l'avvenuto riconoscimento nei confronti dello S.A. della qualifica di datore di lavoro.
Il ricorrente richiama il primo motivo di appello, sottolineando che la società DomusGaia, della quale era legale rappresentante al momento del sinistro non aveva dipendenti, né subordinati né atipici, e, pertanto, non può essere considerata datore di lavoro, al quale applicare l'art. 97 D.L.vo 81/2008.
Lo S.A. ritiene che gli obblighi previsti dal richiamato articolo siano riferibili solo al datore di lavoro dell'impresa affidataria.
Il soggetto infortunato non era dipendente della DomusGaia né di una sua articolazione, ma della G.N. e C.C. Snc, rispetto alla quale lo S.A. non aveva alcun potere decisionale o di spesa.
Erroneamente, quindi , il primo giudice, avrebbe qualificato la DomusGaia come datore di lavoro, in mancanza del presupposto di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato o atipico.
Ci si duole che la corte di appello non si sia minimamente confrontata con lo specifico motivo di appello; dando l'impressione di non aver compreso la doglianza fondata sull'impossibilità di considerare datore di lavoro chi non abbia dipendenti.
In sostanza, la sentenza impugnata avrebbe addossato alla ditta affidataria gli stessi obblighi incombenti sull'impresa esecutrice, mentre l'impresa affidataria aveva solo un compito di coordinamento e non certamente l'onere della diretta applicazione delle norme di prevenzione.
Per tali motivi , il ricorrente ripropone la censura proposta in appello.
Con un secondo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 97 co. 3 in relazione all'art. 95 co. 1 iett. d) D.L.vo 81/ 2008 , che si applica alle sole imprese esecutrici.
Si richiama il motivo di appello , proposto in via subordinata, sulla non conte­ stabilità della violazione de!l'a t . 97 comma 3 D.Lvo 81/2008, riferibile esclusivamente ai datori di lavoro delle imprese esecutrici.
Ritiene il ricorrente che l'imputazione si riferisca all'obbligo gravante sul datore di lavoro, previsto alla lettera a) della norma, di coordinare gli interventi di cui agli artt . 95 e 96.
Sarebbe stata contestata all'imputato la violazione prevista dall'art. 95 lett. d) , richiamata dalla motivazione della sentenza.
Ma, si obietta, la ritenuta violazione dell'art. 97 co. 3 in relazione all'art. 95 lettera d), sarebbe errata perché la società DomusGaia non era titolare di nessuna posizione di garanzia essendo solo l'impresa affidataria.
La motivazione resa sul punto dalla corte di appello viene definita confusa in quanto la stessa Corte territoriale non avrebbe compreso che l'impresa affidataria non deve curare la manutenzione e il controllo delle attrezzature di lavoro, ma solo coordinare le attività dirette a tale scopo, quando più imprese operano in cantiere.
La diversità di ruoli tra impresa affidataria e impresa esecutrice comporta differenti obblighi e responsabilità.
La motivazione impugnata avrebbe attribuito allo S.A. la colposa omissione di verifica dell'idoneità dell'attrezzatura nonostante tale obbligo non gli competesse, competendo, invece, alla ditta esecutrice.
Con un terzo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 97 co. 3 in relazione all'art. 95 comma 1 lett. d) D.L.vo 81/2008, che si applica solo in presenza di più imprese esecutrici.
Si richiama il motivo di appello con il quale veniva contestata la presenza di più imprese operanti nel cantiere .
Nel caso che ci occupa l'impresa operante sarebbe stata unica, non essendo state effettuate lavorazioni né da parte dell'impresa affidataria né di alcun'altra impresa.
Pertanto, lo S.A. non aveva alcun dovere di coordinamento degli interventi, non essendovi nulla da coordinare.
La circostanza contestata nel capo di imputazione che il ponteggio sarebbe stato utilizzato promiscuamente da più imprese sarebbe rimasta del tutto sfornita di prova.
Dalle risultanze processuali è emerso che nel cantiere operava unicamente l'impresa G.N. e C.C. Snc e che il ponteggio è stato utilizzato unicamente dalla stessa ditta, che era l'unica obbligata all'osservanza delle prescrizioni di cui all'art. 95 comma 1 lett. d).
Si contesta l'argomentazione contenuta nella sentenza di primo grado che deduce dalla tipologia di intervento la presenza di maestranze plurime nel cantiere, rilevando che sul punto la corte di appello pur riconoscendo, in un primo momento, il mancato accertamento della presenza o meno di più imprese esecutrici in cantiere, deduce, poi, anch'essa la lavorazione con più imprese dalla circostanza che il ponteggio era stato noleggiato nel mese di maggio 2014 mentre l'impresa G. e C.C. iniziava a lavorare nel settembre 2014.
Tale deduzione sarebbe inaccettabile , dovendo l'accusa dimostrare la presenza plurima di imprese, in maniera precisa con l'individuazione delle stesse.
Con un quarto motivo si deduce errnnea applicazione dell'art. 97 co. 3 in relazione all'art. 95 comma 1 lett. d) D.L.vo 81/2008
Si richiama il motivo di appello, dedotto in subordine, con il quale si rilevava che, in ogni caso, anche volendo ravvisare in capo alla DomusGaia l'obbligo di coordinamento previsto dagli artt. 95 e 96 richiamai dall'art. 97 co. 3, lo stesso era stato correttamente adempiuto.
Tale obbligo si sostanzia, infatti, in un dovere di alta vigilanza e verifica dell'esatto adempimento delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro dell'impresa esecutrice.
Si richiamano i principi stabiliti da questa Sezione sul punto, rilevando che la funzione di alta vigilanza è stata compiutamente assolta attraverso l'attività del socio M.M., il quale si recava in cantiere tre volte alla settimana dove non riscontrava alcun problema relativo ai ponteggi, che venivano controllati regolarmente anche dall'impresa appaltatrice.
Certamente non può configurarsi un dovere di vigilanza continuo e quotidiano, affidato dalla norma al datore di lavoro.
Entrambi i giudici di merito avrebbero trascurato la deposizione resa dalla persona offesa S.F., il quale dichiarava di non aver mai riscontrato alcuna irregolarità o cedimento del ponteggio .
Al fine di evidenziare che il ponteggio non presentava alcun problema fino al momento dell'infortunio, viene riportata testualmente la deposizione resa dalla parte offesa.
Si riporta la motivazione della sentenza impugnata sui punto, ribadendo che l'impresa affidataria non può rispondere di azioni o omissioni compiute dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice nell'ambito della sua autonomia di impresa stabilita con contratto di subappalto.
Il datore di lavoro dell'impresa affidataria deve organizzare un presidio in cantiere per verificare le condizioni di sicurezza dei lavori e l'applicazione delle norme e prescrizioni del PSC, ma non è tenuto a una costante vigilanza in cantiere.
Si sottolinea la differenza tra un infortunio che si verifica in tempi rapidi e una situazione trascinatasi nel tempo, ammettendo solo in tale ultimo caso la responsabilità del datore di lavoro dell'impresa affidataria.
Tali argomentazioni volte a distinguere gli obblighi gravanti sull'impresa affidataria rispetto a quelli dell'impresa esecutrice sarebbero state completamente ignorate dai giudici di appello.
Con un quinto motivo si deduce l'insussistenza del fatto anche in riferimento alla qualifica di coordinatore per l'esecuzione di lavori rivestita dall'imputato.
Il ricorrente è stato rinviato a giudizio oltre che nella qualità di datore di lavoro dell'impresa affidataria anche quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ma in relazione a tale ultima qualifica nessuna violazione gli è stata contestata.
In ogni caso si rileva che tale funzione si concreta in un'alta vigilanza relativa al rischio generico consistente nell'individuazione delle fonti di pericolo relative all'ambiente di lavoro e alla generale organizzazione delle attività lavorative, mentre non risponde del rischio specifico derivante dalle attività proprie delle imprese esecutrici.
Dopo aver richiamato i principi stabiliti da questa Corte sul punto, si rileva che nel caso che ci occupa l'infortunio si è verificato nell'ambito del rischio specifico inerente all'attività della singola impresa esecutrice .
Con un sesto motivo ci si duo!e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Si contesta l'affermazione contenuta nell'impugnata sentenza che al di là dell'incensuratezza dell'imputato non seno emersi elementi di rilievo per la concessione delle attenuanti generiche.
Si rileva di aver dedotto la presenza di un socio nel cantiere almeno tre volte alla settimana, denotando un atteggiamento prevenzionale attivo da parte dell'impresa affidataria che doveva essere favorevolmente valutato.
Inoltre, anche il pagamento immediato della sanzione amministrativa, pur negando ogni responsabilità, riveste rilievo a differenza di quanto affermato dai giudici di appello.
Con un settimo motivo si deduce l'eccessività della pena e l'omessa motivazione sull'entità della pena.
Ci si duole del mancato accoglimento dello specifico motivo di appello sulla base di un'affermazione sulla gravità della colpa e sulle conseguenze dannose subite dalla vittima, che costituisce una mera clausola di stile e non esaurisce l'onere di motivazione.
Si rileva infine che i giudici di appello richiamerebbero una circostanza inesistente relativa alla messa a disposizione, ad opera dell'imputato, dell'insidioso ponteggio, circostanza non vera , in quanto il ponteggio allorquando veniva fornito era perfettamente a norma.
Con un ottavo motivo si chiede la sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, senza concessione della sospensione condizionale della pena.
Il ricorrente, pertanto, così testualmente conclude (pag. 19 del ricorso):
"Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore chiede che l'Ill.ma Corte di Appello di Trieste voglia, in totale riforma della sentenza appellata:
a) assolvere l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste e/o per non aver commesso il fatto:
b) in subordine riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p. qualificate come prevalenti sull'aggravante contestata ed applicarsi la sola pena pecuniaria, in questo caso senza sospensione condizionale della pena, o, comunque, ridursi la pena inflitta;
c) in via ulteriormente subordinata applicarsi la sola pena pecuniaria, in questo caso senza sospensione condiziona le della pena, o comunque ridursi la pena in quanto eccessiva;
d) in via ulteriormente subordinata disporsi la conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, senza sospensione condizionale della pena. Con riserva di motivi aggiunti nel termine di legge".

3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore d'ufficio del ricorrente Avv. Letizia Quintiliano, che ha insistito per l'accoglimento dei motivi.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Ed invero, vengono riproposti, per espressa dichiarazione del ricorrente gli stessi motivi di appello richiedenti valutazioni di merito precluse in questa sede.
L'analisi comparativa dell'atto di appello del 31/1/2018 e del ricorso per cassazione del 24/6/2020, entrambi a firma dell'Avv. Paolo Persello, mostrano come, in buona sostanza, cambiando l'incipit ed il titolo dei paragrafi, si ripropongono le medesime valutazioni già proposte al giudice di appello, senza alcun reale confronto critico con la sentenza di secondo grado, come se quest'ultima non esistesse.
E che si richiedano valutazioni in fatto precluse in questa sede lo testimoniano le richieste di "riforma'' dei!a sentenza impugnata, assolutamente eccentriche rispetto al giudizio di legittimità, di cui alle pagg. 18-19 del ricorso.
Dunque, i motivi sono inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerentee adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalia decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. e) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv . 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparente­ mente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Carialo e altri, Rv. 260608).

3. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
Come ricorda la sentenza impugnata, la dinamica dell'infortunio occorso a S.F. il 22 dicembre 2014 non è in contestazione: lo stesso, dipendente dalla G.N. e C.C. s.n.c. con mansioni di imbianchino, stava lavorando su un ponteggio, ad un'altezza di circa due metri, intento a stendere un materiale isolante sulla facciata esterna di una casa di civile abitazione sita a Tricesimo (UD) di proprietà di H.H. , quando la tavola del ponteggio sulla quale stava camminando improvvisamente si capovolgeva e cadeva nel vuoto assieme al lavoratore che finiva a terra, tra il muro del fabbricato e l'impalcatura, riportando lesioni personali giudicate guaribili in un tempo superiore a 95 gg..
Il tecnico della prevenzione, T., intervenuto subito dopo nel cantiere per un sopralluogo, accertava che la tavola che si era rovesciata sotto il peso dell'infortunato mancava alle due estremità dei fermi che servivano a trattenerla sul traverso del ponteggio.
Il teste ha riferito che il ponteggio era molto grande e che, eseguite a quel punto le verifiche su tutto il piano di calpestio del ponteggio, si era riscontrata la presenza anche di altre tavole prive di adeguato fissaggio: ve ne erano, infatti, alcune prive di uno solo dei due fermi laterali, mentre altre due tavole, analoga­ mente a quella che si era ribaltata, mancavano di entrambi (aff. 24 trascrizioni verbale di udienza del 14 novembre 2016). Il teste ha, altresì, dichiarato che il cantiere era costituito da un'abitazione in fase di costruzione e che si trattava di un ponteggio molto più articolato, elle circondava l'intero fabbricato (aff . 15 trascrizioni).
Il proprietario dell'immobile e committente dei lavori H.H. ha dichiarato di avere intrattenuto rapporti diretti sempre e solo con la Domus Gaia s.r.l. alla quale aveva affidato i lavori ("la mia relazione diretta era con la Domus Gaia e non con le ditte subappaltate , che avevano il subappalto. Perché comunque io non avevo il tempo di seguire i dettagli, quindi la mia relazione era direttamente con il direttore dei lavori e con la Domus in persona del signor A.").

4. La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte.
Va subito detto, in premessa, che, evidentemente solo a fini illustrativi del ruolo, viene indicato in imputazione che lo S.A. era anche il coordinatore per la progettazione e l'esecuzione dei lavori, in, quanto poi tutte le contestazioni sono attinenti al suo ruolo di titolare dell'impresa affidataria degli stessi. E la relativa condanna è intervenuta in relazione a quello.
A differenza di quanto sostenuto in ricorso fu proprio la società di cui lo S. è legale rappresentate a montare il ponteggio che risultava privo dei requisiti di sicurezza in quanto le tavole del piano di calpestio erano prive di ancoraggio in più punti, come accertato dal tecnico della prevenzione della ASS locale T..
Il ponteggio era stato fornito e consegnato in cantiere dalla Albapont Edile s.r.l. in esecuzione di un contratto dì noleggio concluso con Domus Gaia s.r.l., ma è acquisito agli atti, sin dal primo grado, il primo grado il "Verbale di consegna ponteggio" del 22 maggio 2014 dal quale risulta che in quest'ultima data il ponteggio in questione era stato consegnato, dopo essere stato sottoposto alle verifiche e controlli indicati nell'allegato XIX D. Lgs. 81/2008 visivi e/o funzionali dei suoi elementi con esito positivo, al "cliente utilizzatore" Domus Gaia s.r.l. che lo prendeva in consegna, "attestando che io stesso era stato installato a regola d'arte e secondo quanto concordato tra le parti" e dichiarando di "farsi carico della no mina di un proprio preposto per l'uso del ponteggio e per la vigilanza costante dell'efficienza ed efficacia delle misure di protezione (parapetti, mantovane ecc.) delle vie di circolazione e degli impalcati".
La sentenza impugnata dà conto, a smentire la circostanza dell'unicità dell'impresa operante, che vi è in atti anche il contratto di subappalto che fu stipulato il 23 settembre 2014 tra Domus Gaia s.r.l. e la G. & C.C. s.n.c. avente ad oggetto la realizzazione del rivestimento esterno del fabbricato e, specificatamente, "l'applicazione di paraspigoli in alluminio con reste a ridosso dei serramenti con rete in PVC, la rasatura facciata esterna a due mani con annegamento di rete Jìbro rinforzata, l'applicazione di mano di isolante di fondo, stesura di rivestimento a spessore grana mm, 1,2 tinta tenue ai prezzo di euro 29,00lmq.". Il termine di inizio dei lavori era previsto per il 6 ottobre 2014 ed i lavori avrebbero dovuto essere ultimati entro il 30 ottobre 2014, anche se, in realtà, alla data del 22 dicembre 2014 erano ancora in corso.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

5. Come si diceva, con una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto, la sentenza impugnata, ha confutato uno ad uno i motivi di impugnazione oggi riproposti tout court, rilevando che:
a. l'infortunio avvenne all'interno di un "cantiere temporaneo o mobile" secondo la definizione datane dall'art. 89, co. I lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, che comprende "qualunque luogo in cui si effettuasse lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato nell'allegato X" (elenco nel quale sono inseriti anche i lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato o altri materiali);
b. Domus Gaia s.r.l. ha pacificamente assunto il ruolo di "impresa affidataria" da intendersi, secondo la definizione datane dall'art. 89, co. 1 lett. i), come "impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell'esecuzione dell'opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi", mentre la G. & C.C. s.n.c. era una "impresa esecutrice" ai sensi dell'art. 89, co. 1 lett. i-bis), ossia una "impresa che esegue l'opera o parte di essa impegnando risorse umane e materiali";
c. Domus Gaia s.r.l., quale impresa affidataria, era, quindi, a sua volta committente dei subappaltatori ai quali aveva affidato l'esecuzione dell'opera ed ai quali mise a disposizione il ponteggio da essa stessa noleggiato. Essendo il cantiere una casa in costruzione, è evidente che in esso si sono avvicendate più imprese esecutrici ai quali Domus Gaia s.r.l. ebbe a subappaltare di volta in volta, o anche in concomitanza, una parte dell'opera da realizzare: invero, nonostante non sia stato approfondito questo tema di indagini in dibattimento, non è credibile che il ponteggio fosse stato noleggiato e preso in consegna, già montato e pronto per l'uso, ancora nel mese di maggio 2014 per essere messo a disposizione dei soli dipendenti della G. & C.C. s.r1.c. con cui l'impresa affidataria concluse il contratto di subappalto appena a fine settembre 2014;
d. se Domus Gaia s.r.l. ha sostenuto gli oneri finanziari del noleggio fin dal 22 maggio 2014 significa, dunque, che quell'impalcatura era servita prima di allora anche ad altre imprese esecutrici di opere propedeutiche rispetto alla rasatura delle facciate esterne. Del resto, lo stesso H.H., proprietario dell'immobile, ha fatto riferimento non ad una, ma a ''ditte che avevano il subappalto" con le quali era DomusGaia s.r.l. ad interfacciarsi.

6. Orbene, la Corte territoriale rileva che pur non avendo dipendenti propri, è pacifico che Domus Gaia s.r.l., in quanto impresa affidataria, si poneva, rispetto ai subappaltatori, con il ruolo di committente e datore di lavoro.
Corretto appare il governo della giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità secondo cui, in materia di responsabilità colposa, la figura del committente di lavori dati in appalto (impresa appaltante rispetto all'appaltatore o appaltatore rispetto ai subappaltatori), assume un ruolo di peculiare centralità nell'attuazione ed adempimento delle misure di sicurezza, senza che questo possa comunque influire sulla perdurante esistenza di obblighi di sicurezza che gravano sull'appaltatore nella fase di realizzazione delle opere .
Ciò significa riconoscere in capo all'impresa affidataria una posizione di garanzia che riguarda i rischi di tutti quanti abbiano causa lavorativa di accesso al cantiere, del tutto identica a quella del datore di lavoro e senza riguardo all'esistenza o meno di uno specifico rapporto lavorativo tra l'infortunato ed il singolo titolare della suddetta posizione di garanzia.
A maggior ragione nel caso di specie, in cui l'impresa affidataria aveva anche messo a disposizione dell'impresa esecutrice e dei dipendenti di quest'ultima un'attrezzatura di lavoro di fondamentale importanza per eseguire la rasatura delle facciate del fabbricato, ossia proprio il ponteggio in questione che si è rivelato insidioso in quanto non era stato realizzato a norma o comunque non rispondeva alle prescrizioni in materia di sicurezza al momento dell'infortunio;
Corretto appare anche il rilievo che, al di là del lapsus calami in cui è incorso il giudice di primo grado nel riferire a pag. 4 della sentenza gli obblighi di cui all'art. 95 lett. d) del D. Lgs. n. 81/2008 ai datori di lavoro delle imprese affidatarie, anziché a quelli delle imprese esecutrici cui si riferisce la disposizione normativa in questione, la conclusione cui è pervenute il tribunale è corretta. Invero, tra gli obblighi che l'art. 97 del D. Lgs. n. 81/2008 attribuisce al datore di lavoro dell'impresa affidataria, oltre a tutti quelli antinfortunistici previsti dall'art. 26 dello stesso decreto, sono posti specificatamente a carico del medesimo al comma i l'obbligo di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento ed al comma 3 quello di coordinare gli interventi di cui agli artt. 95 e 96.
L'odierno ricorrente, quindi, quale legale rappresentante dell'impresa affidataria che, come detto, aveva anche messo a disposizione dell'impresa esecutrice il ponteggio, è sicuramente da ritenere corresponsabile dell'infortunio occorso al lavoratore in quanto l'evento dannoso è causalmente collegato anche alla sua colposa omissione di verifica dell'idoneità dell'attrezzatura fornita, avendo egli consentito che i lavori di rasatura delle facciate, affidati in subappalto ad altra impresa, avvenissero in presenza di una situazione di fatto pericolosa, in cui alcune tavole che costituivano il piano di calpestio dell'impalcatura non risultavano debitamente fissate alle estremità, con il rischio, del quale l'infortunio rappresenta la specifica concretizzazione, che camminandovi sopra e poggiando accidentalmente i piedi in prossimità del bordo esterno della tavola non ancorata, questa si ribaltasse e cadesse al suolo.
Del resto, come visto in precedenza, nello stesso "verbale di consegna del ponteggio" Albapont Edile s.r.l. si era premurata di evidenziare la necessità di una verifica periodica, rimarcando la sussistenza a carico del Preposto responsabile di cantiere di un obbligo di controllo periodico (almeno ogni 15 giorni) e straordinario (in caso di violente perturbazioni atmosferiche o prolungate interruzioni di lavoro) onde assicurarsi "dello stato degli ancoraggi; della verticalità dei montanti, dell'efficienza degli ancoraggi e delle diagonali, curando la sostituzione degli elementi di ridotta efficienza".
Da ciò conseguendone che Domus Gaia s.r.l. era ben edotta del suo dovere di verifica.


7. La Corte triestina correttamente rileva che gli obblighi di coordinamento che incombono sul committente o sul responsabile dei lavori sussistono in tutti i cantieri temporanei e mobili in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea (vedi l'art. 90 del D. Lgs. n. 81/2008).
Ebbene, nel caso in esame la costruzione di una casa di abitazione, commissionata dal proprietario H.H., ha sicuramente richiesto l'intervento, anche non in contemporanea, di più imprese esecutrici e non solo della G.N. & C.C. s.n.c., donde la sussistenza in capo a S.A. di un obbligo di coordinamento dell'operato delle varie imprese esecutrici anche nel caso che esse si fossero alternate nel cantiere, essendo pressoché certo che il ponteggio era servito a più di una di queste imprese subappaltatrici.
In sintesi, il datore di lavoro dell'impresa affidataria era tenuto a verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese subappaltatrici con le modalità di cui all'Allegato XVII del D. Lgs. 81/2008 ed a fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici del cantiere e sulle misure di prevenzione e protezione, nonché a coordinarne gli interventi dì prevenzione e protezione, cooperando alla loro applicazione e verificando le condizioni di sicurezza dei lavori ad esse affidati, tanto più nel caso concreto in cui aveva anche messo a disposizione il ponteggio, prendendolo a noleggio da un'impresa che la stessa DomusGaia s.r.l. aveva scelta ed alla quale si era affidata anche per il montaggio.
Logica appare la conclusione che la presenza, di alcune tavole del ponteggio prive di uno o addirittura di entrambi i fermi di fissaggio alle estremità nel momento in cui si verificò l'infortunio sta a significare che sia l'impresa affidataria sia l'impresa esecutrice avevano colposamente sottovalutato il rischio di caduta dei lavoratori ed omesso i necessari controlli periodici dell'attrezzatura messa a disposizione degli operai, posto che il mancato od insufficiente ancoraggio del piano di calpestio sarebbe stato facilmente visibile con le dovute verifiche, come difatti è avvenuto in occasione dei sopralluogo effettuato nell'immediatezza dell'evento dal tecnico della prevenzione. Il fatto che fino a quel momento non si fosse verificato alcun incidente ai soggetti che lavoravano sull'impalcatura è dipeso semplicemente dalla fortunata coincidenza che nessuno di loro, camminando sul ponteggio, aveva messo il piede sul bordo esterne delle tavole risultate prive di ancoraggio;

8. Manifestamente infondati appaiono anche i motivi afferenti al trattamento sanzionatorio.
Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale l'ha fondato sul rilievo che, al di là dell'assenza di precedenti penali - di per sé insufficiente per l'espresso disposto di cui all'art. 62 bis, comma 3, cod. pen. - non sono emersi altri elementi di rilievo, non potendo di certo ritenersi tale il pagamento da parte di DomusGaia s.r.l. della sanzione amministrativa che le è stata irrogata.
La pena inflitta dal primo giudice è stata poi ritenuta "senz'altro congrua e conforme ai parametri di cui all'art. 133 c.p., considerate le modalità della condotta, il grado della colpa e le conseguenze dannose subite dalla vittima", avendo rimarcato il giudice del gravame del merito che era stata propria l'impresa affidataria di cui S.A. era il legale rappresentante a mettere a disposizione quell'insidioso ponteggio all'impresa esecutrice, così da indurla in qualche modo a fare affidamento sul fatto che la conformità della struttura alle misure di sicurezza fosse già stata adeguatamente verificata, il che giustifica l'uniformità del trattamento sanzionatorio tra i due imputati, alla luce di un grado della colpa pressochè identico.
Quanto alla richiesta di conversione della pena detentiva, si tratta di tema introdotto per la prima volta in questa sede di legittimità e, pertanto, non scrutinabile.

9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost . sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e del!a somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 novembre 2021