Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2022, n. 819 - Infortunio mortale con la macchina formatrice. Responsabilità del manutentore e del capo turno. Nessun comportamento abnorme


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 14/10/2021

 

Fatto
 

1. La Corte di appello di L'Aquila il 29 novembre 2019, in riforma parziale della sentenza, appellata dagli imputati e dalla parte civile, con cui il Tribunale di Chieti il 21 giugno 2018, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto E.F. e F.P. - oltre a M.A., A.A. e M.A. - responsabili del reato di omicidio colposo, condannandoli alla pena di giustizia, con rigetto della domanda risarcitoria formulata dalla parte civile G.A., invece ha assolto i coimputati (M.A., A.A. e M.A.) per non avere commesso il fatto ed ha condannato E.F. e F.P., in solido con il responsabile civile società "Molino e pastificio De Cecco", al risarcimento dei danni in forma generica alla p.c. G.A., con assegnazione di provvisionale, oltre alla refusione delle spese sostenute.

2.1 fatti, in sintesi, come ricostruiti concordemente dai giudici di merito.
2.1. Il 30 agosto 2011, alle 18.30 circa, nello stabilimento industriale "Molino e pastificio De Cecco" si è verificato un gravissimo infortunio sul lavoro: l'operaio M.B., essendosi fermata la macchina formatrice di una delle linee di produzione, macchina erettrice destinata alla formazione delle vaschette di cartone per contenere la pasta, ha infilato il capo all'interno della stessa attraverso il portellone anteriore, che era stato rimosso, ma il pistone della macchina si è mosso ed ha schiacciato la testa, con esito letale.
Era accaduto in precedenza che alle 05.30 dello stesso giorno 30 agosto 2011, a causa del malfunzionamento della macchina in questione, era stato chiamato il manutentore E.F., il quale, avendo individuato il problema ma non potendolo risolvere nell'immediatezza a causa della indisponibilità di un pezzo di ricambio che doveva essere prelevato dal magazzino, aveva disattivato l'interruttore di sicurezza di uno dei due portelloni del macchinario - quello superiore - che arrestava automaticamente la macchina all'apertura dello sportello, apponendo un cartello di circa 30 cm X 40 cm con la dicitura: "Attenzione sicurezza sportello esclusa fermare la macchina prima di aprire. Manutenzione". In conseguenza, dopo tale intervento la macchina ha continuato a funzionare malgrado l'apertura del portellone.
Nelle ore successive la macchina ha funzionato senza il blocco automatico all'apertura del portello, ma con la sola presenza del cartello di avvertimento il cui contenuto si è trascritto, e gli operai dei turni successivi non sono stati informati della situazione: verso le 18.30 M.B., che agiva con la macchina in modalità manuale, anziché automatica, si è adoperato per rimuovere l'ennesimo inceppamento di carta e, nel tentativo di fare ripartire la macchina, si è proteso dentro il vano chiuso dal portellone ma un pistone che era in alto si è abbassato all'improvviso colpendolo violentemente al collo, schiacciando il midollo spinale e provocando la morte del malcapitato.
2.2. E.F. è stato ritenuto responsabile dell'omicidio colposo in veste di manutentore, per avere consentito che la macchina potesse funzionare eludendo il sistema di sicurezza, malgrado la mancata riparazione del guasto, essendo cautela insufficiente l'apposizione del cartello di cui si è detto, in contrasto con le istruzioni contenute nel manuale di manutenzione e di uso della macchina, ove al punto n. 4 si prescrive di assicurarsi che il guasto o l'anomalia siano stati eliminati prima di riavviare l'impianto ed alla p. 4 si fa divieto di manomettere, modificare o alterare le protezioni di sicurezza.
2.3. F.P. è stato ritenuto corresponsabile quale capo turno del reparto di confezionamento nello stesso turno della vittima e di preposto alla sicurezza dello stabilimento industriale, per avere consentito che la macchina continuasse a lavorare nonostante la presenza del cartello, notato dagli operai, pur essendo stato informato dal capoturno uscente, G.F., della situazione, così esponendo M.B. a pericolo e, in generale, per non avere informato i lavoratori del rischio connesso al protrarsi della lavorazione in presenza di un guasto.
2.4. E' emerso dall'istruttoria che la macchina era provvista di tutti i presidi di sicurezza, tranne quello che era stato disattivato dal manutentore, che aveva apposto un segnale di pericolo; ed anche che non erano rari gli inceppamenti, a casa della colla impiegata per chiudere le scatole destinate a contenere la pasta, tanto che gli operai erano muniti di raschietti per rimuovere i residui di colla.
Si sono ravvisati a carico degli imputati profili di colpa generica ed anche specifica: violazione degli artt. 18, lett. m), 19, lett. e), e 71, comma 7, del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, a carico del manutentore E.F. in riferimento alla mancanza di sicurezza della postazione lavorativa ed alla mancata interruzione dell'attività produttiva; violazione dell'art. 19, lett. a) ed e), del d.lgs. n. 81 del 2008 a carico di F.P. - capo del turno del reparto di confezionamento nello stesso turno della vittima e preposto alla sicurezza dello stabilimento industriale - per non avere richiesto ai lavoratori di non proseguire nell'attività produttiva malgrado il constatato malfunzionamento della macchina.
E' stata esclusa dai giudici di merito l'abnormità dell'agire della vittima.

3. Ricorrono per la cassazione della sentenza E.F. e F.P., tramite un medesimo ricorso curato da difensore di fiducia, affidandosi a cinque motivi con i quali si denunzia violazione di legge, anche sotto il profilo della mancanza di giustificazione e della omissione di risposta a temi posti con l'appello, e vizio di motivazione.
3.1. In particolare, con il primo motivo (pp. 2-9 del ricorso) gli imputati lamentano promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della erronea applicazione del giudizio controfattuale in relazione alla dinamica degli accadimenti e mancata individuazione della specifica regola cautelare violata, oltre che omessa risposta a quesiti posti con l'atto di appello.
La Corte territoriale non avrebbe ricostruito correttamente gli eventi e la dinamica dell'incidente.
Riferito il contenuto di p. 14 della sentenza impugnata a proposito del giudizio controfattuale, si contesta la sussistenza di un valido giudizio esplicativo, essendosi i giudici di merito concentrati solo sull'aspetto del mancato fermo della macchina che ha continuato a lavorare pur in presenza della inoperatività del sistema di sicurezza, trascurando, però, alcuni aspetti che erano stati sottolineati criticamente nell'atto di appello. In particolare, si era evidenziato nell'impugnazione di merito che dall'istruttoria è emerso che la macchina, completamente segregata, è provvista di quattro sistemi di sicurezza, che erano tutti perfettamente funzionanti tranne quello relativo al portello superiore, che non esistono organi che per la loro ispezione richiedano l'inserimento del corpo o del capo sotto il pistone, «lamenta[ ...ndo] come il primo giudice avesse completamente omesso di verificare in concreto la sicurezza delle condizioni di lavoro [ ...] Invero, la presenza di un dispositivo di sicurezza pur sofisticato non costituisce di per sé presidio e garanzia di sicurezza del macchinario, se non solo in astratto, non potendo in ogni caso elidere l'imprescindibile dovere del datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere [ ...]» (così alle pp. 6-7 del ricorso). Richiamati alcuni principi in tema di sicurezza sul lavoro, si assume che la Corte di merito si sarebbe limitata a ripetere concetti già esposti dal Tribunale lasciando tuttavia «irrisolto il dubbio in ordine alla verifica della causalità della colpa in termini di concretizzazione del rischio, essendo stata del tutto trascurata ogni valutazione in ordine al funzionamento del macchinario ed al suo concreto utilizzo [...] lasciando dunque irrisolto il dubbio circa l'effettiva dinamica del sinistro posto che al di là dei dati certi [riassunti dalla Corte di appello a p. 14, n.d.e.], come l'aver posizionato la macchina in modalità "manuale" per immettere volontariamente il capo al di sotto del pistone, nulla è dato sapere in ordine ai motivi di ripartenza del macchinario » (così a p. 8 del ricorso), non potendosi convenire circa la ritenuta (dalla Corte di merito) irrilevanza se l'impulso alla macchina sia stato dato manualmente o sia stato dato in automatico, come si legge a p. 15 della decisione impugnata. Infatti l'agire della vittima è stato guidato dalla consapevolezza che quello specifico sistema di sicurezza era stato disinstallato ma che ve ne erano altri. In tale contesto la validità del giudizio controfattuale sarebbe inficiata dalla inadeguatezza del giudizio esplicativo, che difetta di certezza sulla dinamica: ne derivano dubbi, secondo la Difesa, anche sull'attitudine salvifica della condotta omessa.
3.2. Con il secondo motivo (pp. 9-26 dell'atto di impugnazione) si censura la violazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. e vizio di motivazione apparente rispetto alle prove dibattimentali, oltre che omessa riposta ai quesiti di appello.
Rammentato che la Corte di appello ha ritenuto la condotta della vittima imprudente ma non abnorme (pp. 16-18), si sottopone a censura tale valutazione, che trascura il rilievo della effettiva conoscenza da parte del lavoratore dell'avvenuto disinserimento del sistema di sicurezza relativo al portellone superiore e «che non vi era alcun motivo tecnico e soprattutto "professionale" perché il lavoratore si sporgesse [ ...] a/l'interno del macchinario posizionando il capo sotto il pistone» (così alle pp. 10-11 del ricorso), ciononostante la Corte di appello esclude la imprevedibilità, la eccentricità e/o la esorbitanza della condotta della vittima con motivazione che si stima illogica.
Richiamato testualmente il contenuto di p. 21 dell'appello, ove si sottolineava la competenza professionale dell'infortunato, la insussistenza di motivi tecnici per introdurre il capo dentro l'apparecchio e la conoscenza da parte di M.B. del non funzionamento del sistema di sicurezza del portellone superiore, si sottolinea la incongruenza motivazionale della sentenza impugnata, che (alle pp. 17-18) richiama solo parzialmente ed in maniera inesatta il contenuto delle testimonianze di alcuni dei colleghi della vittima. La sintesi dei contributi conoscitivi operata dalla Corte di merito, incentrata sugli assunti che era frequente che gli addetti alla macchina operassero al suo interno per risolvere problemi meccanici che frequentemente si creavano e che quel giorno la macchina si era inceppata più volte, per concludere che la condotta posta in essere dal lavoratore era inserita nell'ambito di mansioni svolte ordinariamente (p. 17 della sentenza impugnata), non sarebbe fedele rispetto alle effettive emergenze e sarebbe solo la trasposizione di quanto si legge nella sentenza di primo grado, omettendo di tenere conto delle doglianze difensive. In particolare, alle pp. 23-26 dell'appello si erano riferite le parole dei colleghi, che sarebbero difformi da quanto sintetizzato dai giudici di merito: in verità, non sarebbe stata consuetudine né necessità introdurre il corpo all'interno della macchina.
Richiamata la nozione di abnormità fatta proprio da recente giurisprudenza di legittimità, si ritiene l'agire della vittima imprevedibile ed eccentrico ed interruttivo del nesso causale tra la condotta del garante e l'evento lesivo.

Quanto, poi, alle affermazioni, che si rinvengono a p. 23 della sentenza impugnata, secondo cui, se il meccanismo di sicurezza non fosse stato escluso e se la macchina fosse rimasta inattiva, la morte non si sarebbe verificata, e che tale evento costituisce proprio la concretizzazione del rischio che le norme cautelari disattese miravano a prevenire, risultando integrata anche la causalità della colpa, si ribadisce la erroneità dei giudizi controfattuale ed esplicativo.
Richiamata, infatti, la nozione di causalità della colpa, anche alla stregua delle puntualizzazioni offerte dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 30328 del 10/07/2002, rie. Franzese, si sottolinea ulteriormente essere emerso che M.B. era un lavoratore formato ed informato, che non aveva nessun motivo di posizionare il capo sotto il pistone e che era sicuramente a conoscenza che era stato manomesso il sistema di sicurezza del portellone superiore: «Orbene, alla luce di tali pacifiche evenienze probatorie non può ritenersi che egli non possedesse le cognizioni necessarie per rendersi conto del rischio che correva mediante la condotta, incontrovertibilmente esorbitante, da lui posta in essere» (così a p. 24 del ricorso), sottolineandosi la estrema pericolosità, percepibile non solo dall'addetto ai lavori ma anche dal quisque de papula. In conseguenza, ad avviso della difesa, «il mancato fermo della macchina, pur ponendosi come antecedente necessario nella causazione degli accadimenti, non ha tuttavia esplicato influenza alcuna nell'ambito dell'iter eziologico sfociato nell'evento, perché il lavoratore, pur perfettamente consapevole della pericolosità del suo agire che era di immediata, intuitiva ed incontrovertibile evidenza per chiunque e ancor più per lui, che era un operatore di lunga esperienza, e senza alcuna ragione tecnica di effettuare siffatta manovra, si determinò comunque in tal senso imprimendo in tal modo alla sua condotta carattere assorbente rispetto all'evento verificatosi» (così a p. 25 del ricorso).
Si sottolinea che il macchinario era completamente segregato e che gli interventi di routine potevano essere fatti al di fuori della macchina stessa, anche agendo attraverso l'apertura dello sportellone inferiore, provvisto di sistemi di sicurezza, sicché sarebbe problematica la motivazione sotto il profilo della correlazione causale tra le condotte penalmente rilevanti e l'evento.
3.3. Tramite il terzo motivo (pp. 27-29 del ricorso) ci si duole della mancanza di motivazione in relazione al criterio della concretizzazione del rischio nell'accertamento del nesso eziologico.
Richiamate le nozioni di causalità della colpa, di concretizzazione - da valutarsi ex post - del rischio specifico che la regola cautelare mira ad evitare e di prevedibilità, da non confondersi con probabilità di produzione dell'evento, prevedibilità che è da accertarsi ex ante, si ritiene la sentenza lacunosa proprio sotto il profilo della mancanza di qualsiasi considerazione sotto il profilo della concretizzazione del rischio nel caso specifico: donde ulteriormente la necessità - si assume - di annullamento della sentenza impugnata.
3.4. Con il quarto motivo (pp. 29-39 del ricorso) i ricorrenti denunziano mera apparenza della motivazione rispetto alle risultanze dibattimentali in relazione all'accertamento delle condotte colpose ritenute penalmente rilevanti, oltre che omessa risposta ai quesiti posti dalla difesa nell'appello.
3.4.1. Quanto, in particolare, alla posizione di F.P., si rammenta che con l'atto di appello (p. 35) si era sostenuta la non conoscenza da parte del capo turno della situazione del macchinario, come riferito da alcuni testi, e la non credibilità del capo turno, per così dire, "uscente", G.F., sulla cui attendibilità si sollevavano dubbi, poiché lo stesso non avrebbe potuto riferire altro senza autoaccusarsi, in ogni caso evidenziandosi che, stando così le cose, G.F., per primo, avrebbe dovuto imporre il fermo del macchinario.
La Corte di merito nondimeno ha confermato la valutazione di credibilità del dichiarante, sottolineando che la stessa è confermata dall'apposizione del cartello e dalla presenza fisica nel reparto di F.P. (p. 20 della sentenza impugnata), senza avvedersi che i due elementi di "riscontro" avrebbero dovuto a loro volta essere verificati e che l'esistenza del cartello non ne implicava la certa visibilità: in definitiva, la sentenza impugnata si limiterebbe a ripercorrere la motivazione di primo grado (p. 12 della stessa), senza realmente affrontare le doglianze difensive, liquidate in base ai medesimi assunti che si ritengono essere distonici rispetto alle risultanze istruttorie.
In ogni caso, la illegittimità e l'ingiustizia della decisione relativa a F.P. si percepirebbe dal confronto con la valutazioni svolte a proposito del coimputato M.A., illogicamente assolto proprio sulla base del dubbio che M.A., anch'egli caporeparto, fosse effettivamente a conoscenza del fatto che un operaio stesse lavorando su un macchinario carente sotto il profilo della sicurezza, e ciò - si assume - sulla base degli stessi elementi fattuali che vengono valorizzati in chiave accusatoria per confermare la condanna di F.P.: dimensioni del reparto, mancata annotazione nel diario, informazioni rese dal capoturno uscente (pp. 21-22 della sentenza impugnata).
Insomma, «a parere della Corte di merito la mera qualifica di capoturno, e, dunque, di preposto, è per sé prova della conoscenza o conoscibilità di quest'ultimo della situazione di anomalia venutasi a creare, senza che tuttavia sul punto tale deduzione sia messa a confronto con le dimensioni dell'azienda, con la struttura gerarchica della stessa, con il sistema di vigilanza, con la qualifica ed il ruolo (in assenza di delega di funzioni) ricoperto all'interno della stessa da parte dell'odierno ricorrente» (così a p. 35 del ricorso), richiamandosi al riguardo il precedente di legittimità di Sez. 4, n. 20833 del 2019 circa la necessità di conoscenza o almeno di conoscibilità da parte del garante di prassi aziendali incaute, altrimenti giungendosi a responsabilità "di posizione".
La sentenza trascurerebbe, inoltre, che il preposto, pur garante della sicurezza, non ha poteri di gestione - in mancanza di una prova di una delega di poteri - ma solo di vigilanza.
3.4.2. In relazione alla posizione di E.F., richiamate le motivazioni della condanna, si sottolineano le diversità di valutazione rispetto agli altri manutentori (A.A. e M.A.), assolti poiché il pezzo di ricambio non era immediatamente disponibile e perché non competeva loro disporre il fermo della macchina (pp. 21-23 della sentenza impugnata), e la conseguente complessiva illogicità - si stima - della decisione, essendosi sostenuto (alle pp. 19-20 della decisione) che E.F. dovesse disporre il fermo della macchina.
In realtà - si assume nel ricorso - né E.F., che peraltro aveva riferito la circostanza al capoturno allora in servizio, P.T., né i manutentori dei turni successivi avevano il potere di disporre il blocco del macchinario: si sarebbe, dunque, in presenza di illogicità e contraddittorietà della motivazione.
3.5. Infine, mediante l'ultimo motivo (pp. 40-42 del ricorso) E.F. e F.P. lamentano violazione dell'art. 538 cod. proc. pen. e, nel contempo, vizio di motivazione in ordine all'an debeatur.
La sentenza di appello, nell'affermare, in difformità da quella di primo grado, che la aveva esclusa, l'esistenza di una relazione affettiva stabile tra la vittima e la signorina G.A. (p. 25 della sentenza impugnata), a vantaggio della quale ha riconosciuto esistente il diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile, assegnando una provvisionale, secondo i ricorrenti, non avrebbe adeguatamente motivato tale statuizione.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.


4. La difesa dell'imputato ha avanzato rituale richiesta di trattazione orale del processo.

5. La Difesa di G.A. ha dichiarato nel corso dell'udienza del 14 ottobre 2021 di revocare la costituzione di parte civile, avendo raggiunto un accordo, conformemente al contenuto della nota contestualmente depositata.
 

 

Diritto




1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati, per le seguenti ragioni.

2. Il ricorso, a ben vedere, è reiterativo delle questioni già poste con l'appello e che trovano tutte adeguata risposta nella doppia conforme di merito; l'impugnazione, che peraltro non denunzia travisamento, nell'insistere nella denuncia di esorbitanza ed abnormità, in realtà, non si misura adeguatamente con la circostanza di fatto, che è stata accertata dai giudici di merito (alla p. 17 della sentenza di appello ed alle pp. 4, 6 e 9 di quella impugnata), che si rendeva necessario pulire con dei raschietti - che erano stati messi a disposizione dei lavoratori - la colla che serviva ad incollare il cartoncino destinato a contenere la pasta e che, per sua natura, colava nel macchinario e finiva negli augelli e nel pistone: ciò costituisce lo scopo dell'agire della vittima nel momento in cui si è verificato l'infortunio mortale e costituisce azione senza dubbio riconducibile al novero delle attività riconducibili all'attività lavorativa.
Il ricorso, peraltro, in significativa parte è costruito in fatto e su letture auspicabilmente differenti, dal punto di vista della Difesa, del materiale probatorio già valutato dai giudici di merito nella doppia conforme.
Inoltre, la lamentata abnormità dell'agire del lavoratore è stata esclusa dai giudici di merito con motivazione non illogica né incongrua, che valorizza, appunto, la circostanza che il lavoratore stesse attendendo a compiti propri delle mansioni che gli erano state assegnate.
Quanto alla dedotta disparità di trattamento rispetto alla sorte dei manutentori A.A. e M.A. (assolti), il ricorrente trascura la circostanza che, come posto in luce dai giudici di merito, i due sono intervenuti nel turno dopo il E.F. (pp. 21-22 della sentenza impugnata).
Da ultimo, posto che la riforma delle statuizioni civili risulta essere stata adeguatamente giustificata (v. pp. 23-25 della sentenza impugnata, a confronto con pp. 14-16 di quella del Tribunale), non può che prendersi atto che la parte civile ha revocato la costituzione a suo tempo effettuata.

3. Consegue dalle considerazioni svolte il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge, al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Revoca le statuizioni civili.
Così deciso il 14/10/2021.