Cassazione Penale, Sez. 4, 19 gennaio 2022, n. 2182 - Infortunio con la pressa per lo stampaggio di materie plastiche. Estinzione del reato per prescrizione


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 12/01/2022
 

 

FattoDiritto




1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato limitatamente al trattamento sanzionatorio, riducendo la pena a mesi uno di reclusione e sostituendola con la corrispondente pena pecuniaria di euro 7.500 di multa, la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Bergamo il 15 giugno 2017 nei confronti di A.G., ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, in relazione all'art. 583, comma 1 n.1, cod. pen. per avere cagionato, nella sua qualità di legale rappresentante della società, a G.R., operaia dipendente della Cospa S.p.A., l'amputazione della falange distale del secondo dito della mano sinistra per colpa generica nonché per inosservanza di norme in materia di sicurezza sul lavoro, (art.70, comma 2, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81) avendo omesso di programmare la pressa per lo stampaggio di materie plastiche in modo che gli estrattori agissero solo a cancello chiuso, avendo omesso di dare all'operaia adeguata informazione e di dotarla di un attrezzo per afferrare il pezzo senza interessare con le mani la zona operativa dello stampo. Fatto commesso in Vertova (BG) il 15 maggio 2014.

2. Il fatto è stato così ricostruito nelle fasi di merito: il giorno dell'infortunio la dipendente G.R. aveva ricevuto le consegne dal collega M.F., il quale le aveva mostrato come estrarre il pezzo di plastica appena stampato dalla pressa a iniezione, sulla quale era stato impostato un nuovo stampo; in particolare, il pezzo avrebbe dovuto essere estratto, una volta apertosi il cancello, con la mano destra in modo da afferrarlo frontalmente; la lavoratrice aveva, invece, usato la mano sinistra, cosicché il dito era venuto a contatto con gli estrattori in fase di rientro, che l'avevano schiacciato; M.F. aveva precisato di non aver avvisato la collega del pericolo rappresentato dal movimento degli estrattori; la lavoratrice, trovatasi in ritardo rispetto al ciclo di funzionamento della macchina, aveva recuperato il pezzo «di corsa» con la mano sinistra; il teste , responsabile delle campionature, aveva riferito di aver programmato per quella mattina l'inizio, su quella pressa, della sperimentazione del nuovo stampo che, in quanto tale, doveva essere frequentemente spruzzato con silicone per favorire il distacco del pezzo, con conseguente necessità che la macchina lavorasse a cancello aperto.

3. La Corte di appello, premessa una sintetica descrizione della macchina (pressa a iniezione nella quale il materiale plastico viene immesso in uno stampo perché si solidifichi secondo la forma dello stampo stesso per poi essere estratto), ha ritenuto provato che la macchina potesse essere regolata, a seconda delle necessità, in modo che il movimento degli estrattori avvenisse a cancello chiuso ovvero a cancello aperto. Tale modalità era prevista dal costruttore e poteva essere giustificata da particolari esigenze produttive, tanto che nessun rilievo era stato svolto in sede di ispezione successiva all'infortunio. Nonostante la lavoratrice non avesse seguito le istruzioni che le erano state fornite, pensando che la macchina funzionasse come la settimana precedente, la Corte ha ritenuto che l'infortunio si fosse verificato a causa di un deficit di informazione in merito ai rischi che la procedura indicatale era destinata a prevenire. I giudici di appello hanno ascritto all'imputato una insufficiente valutazione del rischio, desumibile dal fatto che solo dopo l'infortunio tale rischio fosse stato preso effettivamente in esame mediante adeguamento della postazione di lavoro e utilizzo di robot per la presa dei pezzi. I giudici di appello hanno escluso la prova di una delega valida a escludere la posizione di garanzia del legale rappresentante della società e hanno negato la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen.

4. A.G. propone ricorso per cassazione deducendo, con il primo e secondo motivo, vizio di motivazione per omessa risposta a quanto dedotto nell'atto di appello con riferimento al punto decisivo inerente all'addebito di colpa per omessa informazione del lavoratore, nonché per contrasto della motivazione con quanto emergente dalle testimonianze rese al tribunale dalla persona offesa, dal teste M.A. e dal teste M.F.. Nell'atto di appello si era evidenziato come l'istruttoria avesse consegnato la prova che G.R. fosse stata resa edotta della procedura, essendo affissa a bordo macchina la scheda di lavorazione, che indicava come i pezzi dovessero essere prelevati, e che la lavoratrice fosse altresì a conoscenza del rischio che la procedura era finalizzata a evitare; la sentenza di appello ha omesso la motivazione sul punto.
4.1. Con il terzo e quarto motivo deduce erronea applicazione degli artt. 43 e 590 cod. pen. in riferimento al disposto dell'art. 36, comma 2, d. lgs. n. 81/2008 con riguardo all'addebito di omessa informazione sul rischio, nonché violazione degli artt. 41,43 e 590 cod. pen. in merito alla ritenuta insussistenza di un comportamento abnorme della lavoratrice. Secondo la difesa, la formazione e informazione originarie fornite alla lavoratrice in merito ai rischi connessi alla violazione delle procedure esoneravano il datore di lavoro da ulteriori specifiche comunicazioni; in ogni caso, l'adozione di una nuova modalità della stessa procedura era stata indicata alla lavoratrice e l'obbligatorietà della procedura da seguire costituiva prescrizione idonea a eliminare il rischio, non essendo obbligo del datore di lavoro riformulare in sede di esecuzione di ogni singola operazione la comunicazione dei rischi specifici connessi alle varie attività alle quali il lavoratore è adibito. La lavoratrice, nel caso in esame, aveva consapevolmente scelto di non seguire le indicazioni fornite.
4.2. Con un quinto e sesto motivo deduce vizio di motivazione per omessa risposta alle deduzioni contenute nell'atto di appello in tema di complessità dell'organizzazione aziendale nonché per contraddittorietà con le emergenze istruttorie attestanti tale complessità, documentata con produzione inerente alla struttura del gruppo Scarne e all'organigramma della società Cospa s.p.a.
4.3. Con un settimo motivo deduce violazione degli artt. 40, 43 e 590 cod. pen. in riferimento agli artt.16 e 299 d. lgs. n.81/2008 in quanto nella sentenza impugnata è stata erroneamente individuata la figura del garante nelle strutture aziendali complesse laddove vi siano soggetti che svolgono di fatto funzioni di responsabili. La Corte di appello, si assume, ha omesso di valutare l'organigramma aziendale, fornendo motivazione in merito all'assenza di delega scritta senza considerare che la difesa intendeva provare il potere di fatto esercitato in tema di sicurezza sul lavoro da soggetto delegato e inserito come responsabile di area nell'organigramma aziendale.
4.4. Con l'ottavo e nono motivo ha dedotto erronea applicazione degli artt.43 e 590 cod. pen. e vizio di motivazione sia perché la colpa dell'imputato è stata desunta sulla scorta di valutazioni ricavate ex post, sia perché la motivazione contrasta con la consulenza tecnica prodotta dalla difesa, affermando che l'imputato fosse consapevole del rischio sebbene tale elemento sia stato smentito documentalmente dall'accertamento tecnico in atti.
4.5. Con un decimo e undicesimo motivo ha dedotto vizio di motivazione per omessa risposta a quanto dedotto nell'atto di appello con riferimento all'addebito di colpa per indimostrate carenze tecniche del macchinario.
4.6. Con i motivi dal dodicesimo al quindicesimo ha dedotto vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla denegata applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. sulla base di un'erronea valutazione della nozione di abitualità.

5. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto dell'art. 16, comma 2, decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, entrato in vigore il 31 dicembre 2021, è comparso il solo Procuratore generale che ha assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.

6. Il ricorso supera il vaglio di ammissibilità, non essendo stati proposti motivi aspecifici né motivi manifestamente infondati. Ciò impone, preliminarmente, di rilevare l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione. Trattandosi di delitto commesso in data 15 maggio 2014, in relazione al quale trova applicazione la disciplina dettata dalla legge 5 dicembre 2005, n.251, il termine massimo di prescrizione per tale reato deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi, in virtù del combinato disposto degli artt. 157,160, comma 3, e 161, comma 2, cod.pen. Va, quindi, osservato che, alla data odierna, è venuto a maturare il termine massimo prescrizionale previsto dalla legge per il reato contestato, compiutosi in data successiva alla pronuncia della sentenza di appello. Al predetto termine, in particolare, non trova applicazione la sospensione dei termini per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall'art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n.18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, ove si consideri che nessuna udienza del presente processo è stata fissata nel periodo compreso tra il 9 marzo e 1'11 maggio 2020; considerato, inoltre, che l'atto di appello era stato proposto nell'anno 2017 e che il decreto di citazione in appello è stato emesso in data 30 settembre 2020, nessun termine processuale al quale applicare la suindicata sospensione era decorrente nel predetto periodo (Sez. U, n.5292 del 26/11/2020, dep.2021, Sanna, Rv. 28043202).

7. La delibazione dei motivi sopra indicati fa escludere l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza del ricorrente. Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427501). Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129, comma 2, cod.proc.pen., l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato, impone l'applicazione della causa estintiva.

8. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione.
 


P.Q.M.

 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 12 gennaio 2022