Cassazione Civile, Sez. 6, 09 febbraio 2022, n. 4210 - Caduta dalla scalinata dell’istituto scolastico durante la manutenzione. Esclusa la rilevanza causale dell’adozione di ulteriori misure di protezione da parte del datore di lavoro



Presidente: DORONZO ADRIANA
 

Rilevato che:




1. Con sentenza n. 839 depositata il 20.10.2020 la Corte di appello di Catanzaro, confermando (seppur con motivazione differente) la pronuncia del Tribunale di Crotone, ha respinto la domanda di risarcimento del danno conseguente ad infortunio sul lavoro dell’11.6.2009 di M.R.;
2. la Corte territoriale, rilevando che la dinamica dell’incidente era pacifica (caduta dalla scalinata di accesso all’istituto scolastico di cui il M.R. curava la manutenzione mentre innaffiava le aiuole collocate sul lato della scalinata), ha ritenuto insussistente una responsabilità del datore di lavoro rilevato che il dipendente era dotato di presidi antinfortunistici, in specie scarpe antiscivolo e che secondo un canone di probabilità logica la predisposizione di strisce antiscivolo e di un corrimano centrale non avrebbe scongiurato l’evento;
3. avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore deducendo due motivi di censura, illustrati da memoria; la Provincia di Crotone è rimasta intimata;
4. veniva depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.
 

Considerato che:


1. il primo motivo di ricorso denunzia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) posto che gli artt. 40 e 41 c.p., di carattere generale, impongono in ambito civile lo standard di certezza probabilistica del “più probabile che non” ed avendo trascurato, la Corte territoriale, elementi che verosimilmente avrebbero scongiurato l’infortunio, in assenza di un comportamento abnorme del lavoratore;
2. con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo dimostrato, la prova testimoniale e quella documentale (fotografica), la carenza di dispositivi di sicurezza presso l’istituto scolastico;
3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;
4. nella fattispecie, la Corte territoriale ha escluso la nocività dell’ambiente di lavoro rilevando che il dipendente indossava scarpe antinfortunistiche, non potendosi supporre – considerate le modalità dell’infortunio - che la caduta sarebbe stata evitata dalla presenza delle fasce antiscivolo sugli scalini o dal corrimano centrale, né potendosi pretendere misure c.d. nominate posto che la normativa antinfortunistica esige tali misure (in particolare l’uso di graticolato) solamente in assenza di idonee calzature impermeabili, presidio che invece rappresentava uno strumento di tutela più efficace perché dotato di una peculiare funzione antinfortunistica;
5. si tratta, evidentemente, di apprezzamenti di merito sulla misura di diligenza ritenuta esigibile dal datore di lavoro che non possono essere oggetto di rivalutazione in questa sede di legittimità;
6. debbono, dunque ribadirsi i consolidati principi elaborati dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. n. 312 del 1996 con particolare riguardo alla esigibilità di misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondano ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti) nonché da questa Corte, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, sicchè incombe al lavoratore ex art. 2697 cod.civ. (che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute) l'onere di provare l'esistenza di tale danno e la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'una e l'altra (cfr. da ultimo Cass. n. 56 del 2021, Cass. 32381 del 2019), non configurando, l’art. 2087 cod.civ., una responsabilità oggettiva ma richiedendo un profilo di colpa del datore di lavoro, mentre spetta poi al datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia o l’infortunio del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (cfr. da ultimo, Cass. n. 24742 del 2018, Cass. n. 29909 del 2021);
7. in particolare, nel caso in cui si discorra di misure di sicurezza cosiddette "innominate", ex art. 2087 cod.civ., la prova liberatoria a carico del datore di lavoro risulta generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorchè non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (v. Cass. n. 12445 del 2006; Cass. n. 3033 del 2012; Cass. n. 15082 del 2014; Cass. n. 4084 del 2018; Cass. n. 27964 del 2018; Cass. n. 10319 del 2019; Cass. n. 12041 del 2020);
8. se, dunque, va ribadito che l'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene protetto dall'art. 41, secondo comma, Cost. (Cass. n. 6337 del 2012, Cass. nn. 10819 e 14468 del 2013), nel caso di specie, la Corte territoriale ha ricostruito – in concreto – le modalità in cui l’infortunio si è determinato ed ha escluso, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, la rilevanza causale dell’adozione di ulteriori misure di protezione (cfr., con riguardo ad un caso analogo ed alla valutazione della diligenza del datore di lavoro che, in concreto, ha effettuato il giudice di merito, Cass. n. 22827 del 2014);
9. è, infine, inammissibile altresì la censura di cui al secondo motivo diretta a dedurre dalle dichiarazioni testimoniali la nocività dell’ambiente lavorativo perchè, alla stregua della nuova formulazione dell'art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (e, come correttamente rilevato dal ricorrente, interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte, sentenza n. 8053 del 2014), è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella motivazione "apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione, profili che non sono riscontrabili nella sentenza impugnata;
10. in conclusione, il ricorso è inammissibile; nulla sulle spese in assenza del controricorrente;
11. in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
 

P. Q. M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, addì 11 gennaio 2022.