Cassazione Penale, Sez. 4, 04 marzo 2022, n. 7859 - Fumus del reato di sfruttamento della manodopera impiegata e dell'approfittamento dello stato di bisogno


 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 11/11/2021
 

 

Fatto




1. Con decreto del 22/5/2020, il G.i.p. presso il Tribunale di Castrovillari, in accoglimento della richiesta del P.M., ha disposto il sequestro preventivo dell'azienda agricola di F.G., ravvisando in atti il fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. ipotizzato a carico del predetto nella richiesta avanzata dal P.M. presso la Procura di Castrovillari. Il sequestro era disposto a fini di confisca ai sensi dell'art. 603-bis 2 cod. pen.
Il Tribunale del Riesame di Cosenza, in data 22/7/2020, su impugnazione del F.G., annullava il decreto di sequestro preventivo, escludendo la ravvisabilità in atti del fumus del reato in ragione della mancanza di indici sintomatici di uno sfruttamento della manodopera impiegata e dell'approfittamento dello stato di bisogno.
2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza.
Dopo avere richiamato l'imputazione elevata a carico del ricorrente, evidenzia come l'attività di utilizzazione della manodopera nelle ipotizzate condizioni di sfruttamento si sia realizzata attraverso la intermediazione illecita di OMISSIS. La valutazione della posizione di costoro, coindagati nel medesimo procedimento, si legge nel ricorso, è imprescindibile per la piena comprensione della vicenda.
Le indagini avevano infatti rivelato come i predetti fossero a capo di una organizzazione avente lo scopo di reclutare manodopera bracciantile che, in condizione di sfruttamento, era posta al servizio di molteplici aziende agricole .
Il tribunale del riesame, lamenta l'Accusa, ha sottovalutato gli elementi indiziari risultanti dalle indagini, pervenendo ad una decisione lacunosa, in cui ha scelto deliberatamente di ritenere insussistenti i gravi indizi di reato nei confronti dell'indagato.
Dopo avere riepilogato gli elementi di fatto a sostegno della richiesta accolta dal giudice della cautela, richiamando il contenuto di numerose telefonate intercorse tra gli indagati, evidenziando le risultanze dei servizi di osservazione effettuati dalla P.G. e richiamando le dichiarazioni rese dai lavoratori, ha articolato i seguenti motivi di ricorso.
I) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 603-bis cod. pen. e della contrattazione territoriale della provincia di Matera per gli operai agricoli, richiamata dall'art . 603-bis, comma 3, cod. pen .
Rammenta come la norma incriminatrice contestata punisca oltre al reclutatore anche gli imprenditori che utilizzano la manodopera in condizioni di sfruttamento, prima esenti da penale responsabilità. Evidenzia come la norma incriminatrice vigente, da ultimo novellata dalla I. 29 ottobre 206 n. 199, oltre ad avere esteso il suo ambito di applicazione , ha escluso che sia necessario l'esercizio di una condotta violenta, minacciosa o intimidatoria nei confronti dei lavoratori.
La norma, si legge, è chiara nel distinguere le condizioni di sfruttamento dall'approfittamento dallo stato di bisogno; nel ritenere integrato l'elemento dello sfruttamento sulla base della ricorrenza di una sola delle condizioni elencate; nel ritenere integrato il reato anche in presenza di un solo lavoratore reclutato e utilizzato.
Il tribunale del riesame, in palese violazione del testo della norma, avrebbe, nonostante l'esplicito tenore della norma, considerato l'approfittamento dello stato di bisogno una circostanza aggravante del reato e non un elemento costitutivo dello stesso.
Nel valutare il caso in esame avrebbe considerato rilevante l'esposizione a pericolo del lavoratore, sebbene nella formulazione della disposizione vigente sia stato espunto tale riferimento.
Di qui la sussistenza di un vizio strutturale nel ragionamento seguito dal tribunale, il quale è giunto ad escludere la sussistenza del fumus alla luce della vecchia formulazione dell'art. 603-bis cod. pen., operando peraltro un'indebita commistione tra elementi costitutivi del reato del tutto autonomi e distinti.
Il tribunale avrebbe deliberatamente scelto di obliterare tutte le emergenze investigative attentamente vagliate dal G.i.p., sintomatiche della ricorrenza di una utilizzazione, mediante attività d'intermediazione altrui, di manodopera bracciantile in condizioni di sfruttamento ed approfitta mento dello stato di bisogno dei lavoratori.
Ove il tribunale avesse valutato il contenuto delle numerose conversazioni registrate e gli esiti dei servizi di osservazione predisposti dal personale di polizia, elementi del tutto negletti, sarebbe dovuto pervenire al riconoscimento degli indici di sfruttamento elencati nella norma di legge.
II) Violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per mancanza assoluta di motivazione, motivazione meramente apparente, omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto.
Il ricorrente lamenta che la motivazione del provvedimento impugnato avrebbe natura apparente, dissimulando la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, ciò in ordine ai diversi elementi componenti il quadro indiziario esistente a carico dell'indagato in relazione agli indici di sfruttamento e allo stato di bisogno dei lavoratori (orari di lavoro, retribuzione, riposo settimanale, condizioni alloggiative degradanti).
Il tribunale non avrebbe minimamente preso in considerazione il contenuto dell'accusa cautelare, obliterando plurimi elementi investigativi decisivi e sbrigativamente licenziando una parte soltanto di essi, con incedere apodittico e assertivo.
Le affermazioni contenute in motivazione sarebbero del tutto apodittiche ed ogni profilo lungamente e dettagliatamente valorizzato ne! provvedimento applicativo della misura, riguardante l'orario di lavoro, il riposo settimanale, l'assenza di dispositivi di protezione individuale e lo stato di bisogno dei lavoratori, sarebbe stato negletto o sminuito nella ordinanza impugnata .
III) Con un terzo motivo il P.M. ricorrente lamenta inosservanza degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. anche in relazione all'art. 603-bis 2 cod. pen.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti senza limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, ma anticipando la decisione di questioni di merito.
Non avrebbe operato alcun vaglio giudiziale degli elementi indiziari di valenza accusatoria esistenti in atti.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art . 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore dell'indagato.
La difesa dell'indagato, Avv. Roberto Laghi, con memoria difensiva del 25/10/2021, ha chiesto che il ricorso del P.M. di Cosenza venga dichiarato inammissibile o rigettato.
Il difensore del ricorrente deduce anche la tardività del ricorso per cassazione sul rilievo che le comunicazioni al PM ricorrente del provvedimento impugnato sono state inoltrate il 6/7/2020 e che il ricorso del P.M., depositato il 20/7/2020, sarebbe intervenuto oltre il termine previsto di 10 giorni.
Rileva inoltre come l'impugnazione sia stata proposta per motivi non consentiti, attinenti a vizi motivazionali che involgono il merito della vicenda. Rammenta in proposito come l'art. 325 cod. proc. pen. preveda che avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo o probatorio il ricorso per cassazione sia ammesso soltanto per violazione di legge. Viene evidenziato che i lavoratori utilizzati dall'azienda del F.G. indicati in imputazione (OMISSIS) sono stati tutti regolarmente retribuiti con buste paga che vengono depositate in atti. Si aggiunge che nel capo di imputazione sono indicati anche OMISSIS, i quali non hanno mai lavorato nell'azienda del F.G..
 

Diritto
 



1. Il ricorso è inammissibile.
2. Preliminarmente occorre evidenziare come l'impugnazione risulti essere stata proposta nei termini. Questa Corte ha più volte chiarito che il termine per proporre ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen. avverso le ordinanze emesse dal tribunale all'esito di appello o di riesame nei confronti di provvedimenti in materia di misure cautelari reali non è quello di dieci giorni previsto dall'art. 311, co. 1, cod. proc. pen., che si riferisce esclusivamente alla materia delle misure cautelari personali e non viene richiamato dal successivo art. 325 cod. proc. pen., ma quello ordinario di quindici giorni di cui all'art. 585, co. 1, lett. a), cod. proc. pen. stabilito per le decisioni adottate in camera di consiglio, decorrente, secondo il disposto del successivo comma 2, lett. a), della medesima disposizione, dal momento della comunicazione o notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza (così Sez. 4, n. 51345 del 9/10/2018, S., Rv. 274007; conf. Sez. 3, n. 13737 del 15/11/2018, dep. 2019, Ficarra, Rv. 275190 che ha precisato che detto termine si applica anche qualora nel dispositivo dell'ordinanza fosse precisato che il deposito della motivazione è riservato nel termine di trenta giorni; Sez. 2, n. 49966 del 15/09/2015, Miccichè, Rv. 26 5559 ).
2. Occorre ancora premettere che in tema di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione si devono ricomprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U; n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 - 01).
Con riferimento all 'ultim o profilo, si è precisato che, in subiecta materia, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto in caso di motivazione apparente o inesistent e. Motivazione assente è quella fisicamente mancante (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o quella graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi). Motivazione apparente, invece, è solo quella che «non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di ricorso a clausole di stile ovvero quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione; o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Anche l'omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l'emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011).
Ciò premesso, nella motivazione espressa dal Tribunale del riesame di Cosenza non sono riconoscibili le connotazioni di una motivazione soltanto apparente o inesistente. Neppure è sostenibile che il Tribunale abbia omesso di esaminare aspetti decisivi inerenti all'accertamento del fatto portato alla sua attenzione, sui quali si fondava il provvedimento di sequest ro. Contrariamente a quanto prospettato dalla Procura ricorrente, invero, la decisione poggia su una disamina esauriente del materiale probatorio, che è stato ritenuto dai giudici insufficiente a fondare il convincimento del fumus commissi delicti.
I rilievi del ricorrente, pur se articolati con diffuse argomentazioni, dietro l'apparente prospettazione del vizio di violazione di legge, si soffermano sulla valutazione operata dai giudici di merito del compendio indiziario, sollecitando una non consentita rivisitazione delle argomentazioni poste a fondamento del decisum. Le censure prospettate diffusamente in tutti i motivi di ricorso, nelle parti in cui è avversata la valutazione espressa dal Tribunale in ordine alla ricorrenza dei diversi indici di sfruttamento della manodopera impiegata dalla indagata, risultano quindi inammissibili.
3. In ordine alle censure in diritto riconoscibili nel primo motivo di ricorso si osserva quanto segue.
Nel primo motivo di doglianza la parte ricorrente, dopo avere richiamato le modifiche al testo normativo intervenute con la novella contenuta nella l. 199/2016, si duole del fatto che il tribunale, in taluni passaggi motivazionali, facendo riferimento alla esposizione a pericolo dei lavoratori, all'approfittamento dello stato di bisogno quale aggravante del reato e allo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, abbia erroneamente considerato, nel valutare la ricorrenza della fattispecie in contestazione, la formulazione della norma antecedente alle modifiche apportate dalla I. 199/2016.

Il rilievo non ha carattere decisivo. Sebbene risultino tali incongrui riferimenti nel corpo della motivazione della ordinanza, le linee portanti del ragionamento illustrato nel provvedimento, rivelano che i giudici, nella valutazione del caso, abbiano inteso riferirsi alla formulazione attuale della fattispecie in esame.
Il Tribunale ha invero esaminato gli aspetti riguardanti gli indici di sfruttamento su cui si era soffermato il G.i.p. nel provvedimento cautelare imposto ed il requisito dell'approfittamento dello stato di bisogno, pervenendo a risposte congrue in relazione alla fattispecie in contestazione.
Non risulta che i giudici abbiano operato una indebita commistione tra gli elementi costitutivi del reato di sfruttamento della manodopera e l'approfittamento dello stato di bisogno, ritenendo insussistente il primo - nonostante l'evidente ricorrenza degli indici di cui all'art 603-bis, comma 3, cod. pen. - sulla base della ritenuta insussistenza del secondo, e di avere disapplicato la norma incirminatrice nella parte in cui punisce chi utilizza, assume o impiega manodopera anche mediante l'attività di intermediazione di cui al n. 1) della citata fattispecie.
Per offrire adeguata risposta alle doglianze espresse occorre rammentare come il legislatore non definisca lo "sfruttamento", condizione che deve caratterizzare tanto l'attività di reclutamento (art. 603 bis, comma 1, n. 1 cod. pen.), quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera (art. 603 bis, comma 1, n. 2), preferendo indicare alcuni indici di sfruttamento elencati al terzo comma della disposizione, così individuati: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto al!a quantità e qualità del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
La formulazione del testo della norma rivela come sia sufficiente la ricorrenza di una sola delle circostanze sintomatiche per integrare lo sfruttamento, ma anche che, in relazione alla violazione dei contratti collettivi in tema di salario e delle disposizioni relative all'orario (siano esse di natura pattizia o normativa), è necessaria la "reiterazione" della condotta. Ciò per distinguere il mero ed isolato inadempimento, non rilevante, dallo sfruttamento, che invece vale ad integrare la fattispecie incriminatrice. Il testo normativo suggerisce, non individuando il numero minimo dei lavoratori in relazione ai quali debbono realizzarsi comportamenti integranti sfruttamento, che la condotta sia punibile ancorché riguardi un solo lavoratore.
L'elencazione contenuta nella norma non può ritenersi esaustiva delle condizioni che integrano lo sfruttamento, potendo il giudice individuare anche altre condotte suscettibili di dare luogo al requisito della condotta di abuso del lavoratore, posto che esse costituiscono appunto "indici" del fatto tipico.
Dallo sfruttamento deve tenersi distinto l'approfittamento dello stato di bisogno, presupposto necessario perché la condotta di sfruttamento sia punibile: l'uso della congiunzione nella dizione della norma (" ...sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno...") implica che alle condizioni di sfruttamento debba accompagnarsi l'approfittamento dello stato di bisogno per la sussistenza del reato.
In ordine alla nozione di stato di bisogno questa Corte ha precisato che essa non si identifica "con uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo e, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405).
4. Quanto ai rapporti tra utilizzatore della manodopera e colui il quale svolga attività d'intermediazione, il ricorrente sostiene che il tribunale sia incorso nella disapplicazione della norma, avendo trascurato di considerare che il titolare dell'azienda si era avvalso della intermediazione di soggetti dediti all'illecito reclutamento della manodopera.
Secondo quanto si prospetta nel ricorso, la condotta di reclutamento con approfittamento dello stato di bisogno posta in essere dall'intermediatore, di cui l'utilizzatore si sia avvalso al fine di utilizzare il lavoratore nella propria azienda, integrerebbe, ipso facto, la fattispecie incriminatrice anche a carico del datore di lavoro. Invero, non sarebbe corretta la scissione operata tra la posizione di colui il quale si occupa della intermediazione di manodopera in condizioni di sfruttamento ed il titolare dell'azienda che utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione altrui, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
L'assunto non è fondato.
Il testo della norma introdotto con legge 29 ottobre 2016, n. 199, che ha modificato l'art. 603-bis cod. pen. previgente, distingue l'ipotesi di intermediazione illecita, il cd. caporalato, da quella di utilizzazione del lavoro, condotta caratteristica ma non esclusiva del datore di lavoro, equiparandole sul piano sanzionatorio. La struttura del primo comma dell'art. 603 bis -come articolata nelle ipotesi di cui ai nn. 1) e 2), riguardanti soggetti che svolgono attività diverse - consente di affermare che il reclutatore, da un lato, e colui che utilizza, assume o impiega, dall'altro, sono figure differenti e non sovrapponibili.
Sebbene l'inciso "anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1)", possa ingenerare fraintendimenti sul punto, !'impiego della congiunzione "anche" fortifica l'interpretazione che la modalità dell'utilizzo della intermediazione del reclutatore oltre a non essere necessaria non implica la sovrapposizione delle due figure.
Da quanto precede discende che non è inesatta la distinzione operata da! giudice del gravame della cautela tra la figura dell'utilizzatore e quella dell'intermediario di manodopera, perché essa è contenuta nel testo della norma. La ratio dell'intervento legislativo del 2016 è stata, infatti, proprio quella di prevedere quale soggetto attivo del reato, oltre al caporale, il datore di lavoro.
5. Il tribunale del riesame dà conto in motivazione di non avere individuato indici di sfruttamento e di approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori dal compendio captativo e dagli altri elementi d'indagine risultanti a carico dell'indagato.
Si legge in motivazione che tali requisiti non sono desumibili dagli atti d'indagine esaminati e che gli elementi indiziari riportati nel provvedimento impositivo della misura in ordine alla inadeguatezza della retribuzione, alla sicurezza e all'orario di lavoro non sono sufficienti a fondare l'ipotesi accusatoria .
Ha quindi considerato, in modo puntuale, le concrete risultanze processuali, esprimendo valutazioni non censurabili in questa sede, riguardanti l'aspetto della retribuzione, quello della mancata dotazione di dispositivi di sicurezza in relazione ai lavori a cui erano adibiti i braccianti, quello dell'orario di lavoro e lo stato di bisogno ("al di là degli spunti investigativi emergenti dalle intercettazioni telefoniche, rimane del tutto pretermesso un approfondimento sulle effettive condizioni di lavoro cui venivano sottoposti i braccianti ovvero sulla ricorrenza di situazioni di degrado o di violazione della disciplina sulla sicurezza sul lavoro.
In primo luogo appare doveroso evidenziare la neutralità delle conversazioni intercettate ed intercorse tra F.G. ed E., nel corso della quale emerge esclusivamente la volontà del primo di assumere regolarmente alcuni braccianti, a tempo determinato, per la raccolta di fragole, dato assolutamente incontrastato, laddove, con riferimento alle conversazioni intercorse tra la E. e terzi interlocutori (al di là della valenza accusatoria del contenuto delle stesse), non si può non notare l'equivocità dei riferimenti nominativi ivi presenti, ove si menziona tale Pi., dato chiaramente non dirimente, atteso che la E., in altre occasioni, conversa anche con tale M.G. ed G.A.. Ciò posto, non si può non rilevare, a tal proposito, come la sussistenza di tali indici sintomatici non si possa rinvenire dagli esiti dei servizi di OCP, che consentivano esclusivamente di verificare la presenza dei braccianti suindicati sui terreni del F.G., impegnati nella raccolta delle fragole, dato giammai smentito dalla difesa e semmai cristallizzato nella stessa documentazione prodotta.
Parimenti la sussistenza di condizioni degradanti o di significative alterazioni del rapporto sinallagmatico non si evince dalle dichiarazioni rese dagli stessi braccianti, i quali confermavano il dato retributivo indicato anche dai soggetti escussi dal difensore in sede di investigazioni difensive (euro 34,00 a giornata), dato assolutamente in linea con le tariffe contrattuali vigenti; i medesimi braccianti nulla riferivano in merito al godimento di ferie e riposo settimanale"; "Con precipuo riferimento alla violazione delle norme in materia di orario di lavoro, di ferie e riposi festivi, occorre a!tres; precisare che si trattava di lavoro stagionale, limitato a due soli mesi all'anno e, segnatamente, a 15/20 giorni per ogni mese (come riferito dalle dipendenti escusse e come risultante .dalle buste paga), di talché appare oltremodo lampante l'assenza di qualsivoglia profilo di censurabilità; l'eventuale svolgimento di attività lavorativa durante una giornata festiva (volontario e non frutto di coercizione, profilo non emerso dalle intercettazione) veniva evidentemente compensata dal riposo in altro giorno.
Nessun elemento obiettivo è emerso, altresì, dal compendio intercettivo o dall'attività investigativa espletata, in merito alla protrazione dell'attività lavorativa dei braccianti oltre le 6 ore e 45 minuti (tetto giornaliero massimo secondo i vigenti contratti. Chiaramente insussistente, inoltre, il profilo afferente la violazione della normativa sulla sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, trattandosi di mera attività di raccolta di fragole che non necessitava di dispositivi di protezione o presidi particolari, ad eccezione dei guanti che venivano regolarmente fomiti dal datore di lavoro").
Si tratta di valutazioni di merito del tutto insindacabili nella presente sede, supportate da una motivazione esistente e non certo apparente, nella quale non compaiono gli errori di diritto lamentati nel ricorso.
5. Quanto all'ultimo motivo di doglianza, relativo ai limiti del sindacato del tribunale del riesame in tema di misure cautelari reali, non è condivisibile l'impostazione della Procura. Si registra, infatti, la graduale tendenza della giurisprudenza di legittimità a valutare con maggiore rigore i presupposti che giustificano l'adozione del sequestro preventivo: si richiede che il giudice verifichi la sussistenza del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione obiettiva e seria di elementi dimostrativi, sia pure sul piano oggettivamente indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato. Superata, quindi, la tesi, autorevolmente sostenuta, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, ai fini della verifica del requisito del fumus, sarebbe sufficiente accertare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193118), si è affermato che il giudice del provvedimento cautelare reale debba individuare il presupposto del sequestro preventivo nella concretezza degli elementi di reato, pur escludendosi la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, Rv. 257816 - 01: «Ai fini dell'emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca il giudice deve valutare la sussistenza del "fumus delicti" in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l'esistenza del reato configurato, in quanto la "serietà degli indizi" costituisce presupposto per l'applicazione delle misure»; Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Rv. 274693 - 01: «li tribunale del riesame, in sede di controllo sui presupposti per l'adozione di una misura cautelare reale, deve verificare non solo la astratta configurabilità del reato, ma anche, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali e, quindi, sia gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, sia le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato»).

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso.
In Roma, così deciso in data 11 novembre 2021