Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2022, n. 8420 - Infortunio mortale del dipendente di una ditta subappaltatrice schiacciato dall'autobetoniera. Mancanza di specchi c.d. guarda avanti 


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 12/11/2021
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Torino il 4 luglio 2019, in parziale riforma della sentenza, impugnata dall'imputato, con cui, per quanto in questa sede rileva, il Tribunale di Cuneo il 6 febbraio 2015, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto S.B. responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 21 marzo 2011, in conseguenza condannandola, con l'attenuante del risarcimento del danno stimata equivalente all'aggravante, alla pena di giustizia, invece, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e valutate le stesse, unitamente alla già riconosciuta attenuante di cui all'art. 62, num. 6, cod. pen., prevalenti rispetto all'aggravante, ha rideterminato, riducendola, la pena.

2.Il fatto, in sintesi, come ricostruito concordemente dai giudici di merito.
S.B. è stata riconosciuta responsabile, quale socio accomandatario della s.a.s. Omissis e datore di lavoro, della morte di I.L., dipendente di una ditta subappaltatrice di attività di scavo e di manufatti all'interno dello stesso cantiere allestito per la costruzione di un cavalcavia in autostrada in cui operava la società S.B., essendo stato I.L., mentre transitava vicino al paraurti anteriore destro dell'autobetoniera della soc. S.B., nell'occasione guidata dall'autista dipendente C.B.A. (imputato nel medesimo processo, condannato in primo grado e prosciolto per prescrizione in appello), era stato schiacciato dalla ruota anteriore destra dell'autobetoniera stessa ed era morto per le gravi lesioni riportate.
Secondo le emergenze istruttorie riferite nelle sentenze la vittima si trovava al momento dell'investimento in un "punto cieco", non visibile dal conducente del mezzo, mezzo che è risultato regolarmente omologato e revisionato.
Si è addebitato alla donna di avere messo a disposizione del conducente un'autobetoniera priva di specchi grandangolari frontali di categoria VI di cui alla direttiva comunitaria 2007/38/CE, direttiva pacificamente successiva alla costruzione ed alla omologazione del mezzo (effettuata nell'anno 1998) e recepita dal d.m. 11 gennaio 2008, specchi atti a migliorare la visibilità della zona anteriore del veicolo da parte del conducente seduto al posto di guida, così - si è ritenuto - non eliminando tutte le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti derivanti dall'utilizzo dei mezzi di lavoro ed omettendo di adottare tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori, adeguandosi alle innovazioni via via introdotte dalla scienza e dalla tecnica e quindi violando gli artt. 2087 cod. civ. e 70-71 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, anche in riferimento al par. n. 2.6. dell'allegato V al d. lgs. n. 81 del 2008.

Le parti civili sono state risarcite (p. X della sentenza del Tribunale).


3.Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputata, tramite difensore di fiducia, affidandosi ad un unico motivo con il quale denuncia violazione di legge (arttt. 2087 cod. civ., 40-42 cod. pen. e 25 Cost.).
Premesso che S.B. è stata tratta a giudizio in veste di legale rappresentante della ditta s.a.s. S.B. per non avere dotato l'autocarro che era condotto dalla vittima uno specchio di categoria VI, detto "guarda avanti", che avrebbe consentito, se presente, di vedere anche nel "punto cieco", e che la Corte di appello ha ritenuto responsabile l'imputata alla luce della interpretazione del combinato disposto degli artt. 2987 cod., civ. e 70-71 del d. lgs. n. 81 del 2008, si sottopone la decisione a serrata critica.
Si sottolinea che la stessa sentenza impugnata dà atto che quando il mezzo era stato immatricolato, nell'anno 1998, non era normativamente prevista l'installazione dello specchio di categoria VI, poi introdotta dalla normativa europea recepita dal d.m. 11 gennaio 2008, e che lo stesso era stato sempre regolarmente revisionato, e ciononostante ha condannato l'imputata pur nella conclamata assenza di un obbligo di legge che imponesse l'installazione dello specchio di categoria VI.
Si tratterebbe, in realtà, di una condanna per responsabilità oggettiva, in violazione degli artt. 25 Cost. (per indeterminatezza della condotta esigibile) e 42 cod. pen. (che pone a base della responsabilità penale una condotta addebitabile dal punto di vista soggettivo), che trascura che la Corte costituzionale con la sentenza n. 312 del 25 luglio 1996 ha precisato (sub n. 3 del "considerato in diritto") quanto segue:
«La sola via per rendere indenne l'art. 41, primo comma, del d.lgs. n. 277 del 1991 dalla denunciata violazione dell'art . 25 della Costituzione è, allora, quella di fornirne, in sede applicativa, una lettura tale da restringere, in maniera considerevole, la discrezionalità dell'interprete. Tutto ciò nella consapevolezza che, attesa la scelta del legislatore di sanzionare penalmente il generale dovere di protezione della sicurezza dei lavoratori, che trova nell'art. 41 della Costituzione il suo fondamento, il principio di determinatezza incide sulla fattispecie penale, di necessità, in maniera peculiare.
Tale principio viene ad essere, invero, soddisfatto non già attraverso la descrizione dettagliata dei comportamenti penalmente vietati, ma con un restringimento della discrezionalità dell'interprete, la quale, rispetto a norme che impongono la realizzazione di risultati (minimizzazione del rischio di esposizione al rumore o, se si preferisce, massimizzazione della sicurezza), è, per la struttura di queste, bensì riducibile, ma non sopprimibile. E il modo per restringere, nel caso in esame, la discrezionalità dell'interprete è ritenere che, là dove parla di misure "concretamente attuabili", il legislatore si riferisca alle misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto e al momento, delle diverse attività produttive. Ed è in questa direzione che dovrà, di volta in volta, essere indirizzato l'accertamento del giudice: ci si dovrà chiedere non tanto se una determinata misura sia compresa nel patrimonio di conoscenze nei diversi settori, ma se essa sia accolta negli standard di produzione industriale, o specificamente prescritta.
L'art. 41 della Costituzione e il pregnante dovere, che da esso è desumibile, di protezione dei lavoratori, potrebbe, è vero, pretendere dall'imprenditore assai di più e giustificare una raffigurazione legislativa che assegni all'impresa il compito di realizzare innovazioni finalizzate alla sicurezza, nella quale il ruolo di impulso fosse assegnato al giudice civile d alla pubblica amministrazione. Ma la scelta di sanzionare penalmente, con una norma generale e onnicomprensiva, tutte le fattispecie in cui l'imprenditore si sottragga a questo ruolo, ha di necessità il suo contrappeso costituzionale, che è dato da/l'esigenza di restringere, in una interpretazione costituzionalmente vincolata, le potenzialità della disposizione, per non vanificare il canone di determinatezza della fattispecie penale».
Partendo da tale fondamentale puntualizzazione, secondo la quale - si evidenzia - l'imputato potrà essere ritenuto colpevole solo se non avrà attuato una determinata misura accolta negli standard di produzione industriale ovvero specificamente prescritta, si sottolinea che sull'imputata non incombeva un preciso obbligo giuridico di installare il presidio in questione, che mai in occasione delle revisioni ciò le era stato suggerito e che non esisteva una prassi tecnica in base alla quale la betoniera dovesse essere provvista dello specchio supplementare.
Si evidenzia che nella relazione scritta del consulente del P.M., ing. Roberto Storace, dell'8 novembre 2012, si legge che "essendo stato [il mezzo] immatricolato il 25.08.1998, non vige l'obbligo del D.M. 11.01.2008, di attuazione soltanto per gli autocarri immatricolati dal 1.01.2000, di installare specchi grandangolari anteriormente al mezzo per eliminare la zona cieca" e che in quella del consulente della Difesa, perito industriale Antonio M., del 22 luglio 2014 si legge che il d.m. 11 gennaio 2008 si riferisce esclusivamente agli specchi di categoria IV e V, non già VI.

Lo stesso Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (acronimo: S.P.R.E.S.A.L.) della A.S.L. intervenuto ha individuato la responsabilità dell'imputato unicamente nella - pretesa - violazione della normativa comunitaria (direttiva n. 97 del 2003) recepita con D.M. 19 novembre 2004, che vieta la omologazione di nuovi veicoli privi di specchi parabolici categoria VI a partire dal 2007: si tratta - sottolinea il ricorrente - di normativa di ordine primario che va ad integrare il, generico, disposto degli artt. 2087 cod. civ. e 70-71 d. lgs. n. 81 del 2008 e si sottolinea che, ove il legislatore avesse voluto prevedere il contrario, lo avrebbe potuto e dovuto fare.
Si chiede, in conclusione, l'annullamento della sentenza impugnata.

4. Il P.G. della S.C. il 7 ottobre 2021 ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Diritto

 


1.Il ricorso è fondato, per le seguenti ragioni.

2.Occorre prendere le mosse dalla tradizionale l'affermazione, alla quale occorre senz'altro dare continuità, secondo cui «L'obbligo di "ridurre al minimo" il rischio di infortuni sul lavoro (art. 71, D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) impone al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti (art. 71, D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza» (Sez. 3, n. 46784 del 10/11/2011, Lanfredi, Rv. 251620)
Essa è fondata sulla costantemente affermata esistenza degli obblighi, fondati sui valori costituzionali di solidarietà sociale e di tutela della salute (artt. 2 e 32 Cost.) e sul dettato dell'art. 71 del d.lgs. n. 81 del 2008, da parte del datore di lavoro di verificare che le macchine siano prive di rischi e sicure per i lavoratori (ex plurimis, Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007, dep. 2008, Mantelli e altro, Rv. 238959; v. già Sez. 4, n. 1122 del 15/06/1990, Beretta, Rv. 185064) e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire, appunto, la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 2630 del 23/11/2006, dep. 2007, Mogliani e altro, Rv. 236012).

3. Tuttavia, onde evitare condanne per responsabilità di tipo sostanzialmente oggettivo, non può prescindersi dalle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 312 del 25 luglio 1996 (n. 3 del "considerato in diritto"), richiamata nel ricorso, di cui si richiama la parte centrale del ragionamento:
«La sola via per rendere indenne l'art. 41, primo comma, del d.lgs. n. 277 del 1991 dalla denunciata violazione dell'art. 25 della Costituzione è, allora, quella di fornirne, in sede applicativa, una lettura tale da restringere, in maniera considerevole, la discrezionalità dell'interprete. Tutto ciò nella consapevolezza che, attesa la scelta del legislatore di sanzionare penalmente il generale dovere di protezione della sicurezza dei lavoratori, che trova nell'art. 41 della Costituzione il suo fondamento, il principio di determinatezza incide sulla fattispecie penale, di necessità, in maniera peculiare.
Tale principio viene ad essere, invero, soddisfatto non già attraverso la descrizione dettagliata dei comportamenti penalmente vietati, ma con un restringimento della discrezionalità dell'interprete, la quale, rispetto a norme che impongono la realizzazione di risultati (minimizzazione del rischio di esposizione al rumore o, se si preferisce, massimizzazione della sicurezza), è, per la struttura di queste, bensì riducibile, ma non sopprimibile. E il modo per restringere, nel caso in esame, la discrezionalità dell'interprete è ritenere che, là dove parla di misure "concretamente attuabili", il legislatore si riferisca alle misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto e al momento, delle diverse attività produttive. Ed è in questa direzione che dovrà, di volta in volta, essere indirizzato l'accertamento del giudice: ci si dovrà chiedere non tanto se una determinata misura sia compresa nel patrimonio di conoscenze nei diversi settori, ma se essa sia accolta negli standard di produzione industriale, o specificamente prescritta.
L'art. 41 della Costituzione e il pregnante dovere, che da esso è desumibile, di protezione dei lavoratori, potrebbe, è vero, pretendere dall'imprenditore assai di più e giustificare una raffigurazione legislativa che assegni all'impresa il compito di realizzare innovazioni finalizzate alla sicurezza, nella quale il ruolo di impulso fosse assegnato al giudice civile ed alla pubblica amministrazione. Ma la scelta di sanzionare penalmente, con una norma generale e onnicomprensiva, tutte le fattispecie in cui l'imprenditore si sottragga a questo ruolo, ha di necessità il suo contrappeso costituzionale, che è dato dall'esigenza di restringere, in una interpretazione costituzionalmente vincolata, le potenzialità della disposizione, per non vanificare il canone di determinatezza della fattispecie penale».

Ebbene, nella vicenda in esame, posto che l'impiego di un determinato tipo di specchi c.d. guarda avanti non era prescritto al momento dell'immatricolazione del veicolo, che peraltro negli anni successivi è stato oggetto di regolare manutenzione e revisione (v. p. IV della sentenza di primo grado e p. 3 di quella di appello), occorre prendere atto che dall'istruttoria svolta, secondo le informazioni fornite dai giudici di merito, non è emersa (impiegando le parole della Corte costituzionale) la omissione di cautela da parte dell'imputata in "applicazioni tecnologiche generalmente praticate e [...in] accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti", né si è accertato se i sistemi aggiuntivi in effetti già adottati prima del fatto (gli specchi grandangolari e di accostamento: p. 4 della sentenza impugnata e p. VIII di quella del Tribunale) fossero comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza (secondo le precisazioni di Sez. 4, n. 3616 del 14/01/2016, Alfano, Rv. 265738, e di Sez. 4, n. 41944 del 19/10/2006, Laguzzi, Rv. 235538). Non potendo, dunque, affermarsi nel caso di specie la comprovata "deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto" dell'attività svolta, come puntualizzato nella richiamata sentenza della Consulta, occorre adottare la soluzione in dispositivo.


 

P.Q.M.
 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Così deciso il 12/11/2021.