Cassazione Civile, Sez. 3, 21 marzo 2022, n. 8999 - Domanda risarcitoria in relazione alla morte del coniuge caduto all'indietro da un trabattello mentre era intento nello smontaggio/montaggio delle condotte dell'aria condizionata


 


Presidente: FRASCA RAFFAELE GAETANO ANTONIO Relatore: GUIZZI STEFANO GIAIME
Data pubblicazione: 21/03/2022
 

Fatto
 



1. E.V. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 2830/18, del 4 dicembre 2018, della Corte di Appello di Firenze, che - nel decidere sul gravame dalla stessa esperito, in via di principalità, avverso la sentenza n. 1277/16, dell'11 giugno 2016, del Tribunale di Lucca, che ne aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta in relazione al decesso del coniuge G.G. - ha dichiarato il mezzo inammissibile, ai sensi dell'art. 342 cod. proc. civ.
2. In punto di fatto, la ricorrente riferisce che in data 24 agosto 2002 suo marito G.G., dipendente della società Same S.r.l., rimaneva vittima, perdendo la vita, di un infortunio sul lavoro presso il cantiere della società Kedrion S.p.a., in località Bolognana-Gallicano. Riferisce, altresì, che la vittima lavorava alle dipendenze della Same, in virtù di un contratto di collaborazione occasionale, trovandosi presso il cantiere della società committente a seguito di una catena di contratti di appalto e subappalto, che vedeva coinvolte, oltre alla società datrice di lavoro, pure le società Inso S.p.a. e F.C. S.r.l., nelle rispettive qualità di appaltatrice e subappaltatrice dell'opera. Deduce, inoltre, la E.V. che l'evento mortale si verificava a seguito della caduta del G.G. da un trabattello, posizionato ad un'altezza di circa quattro metri dal suolo, ove l'uomo stava procedendo allo smontaggio di condotte di aria condizionata.
Svoltosi processo penale innanzi al Tribunale di Lucca, per il reato di omicidio colposo contestato a carico di R.C., quale datore di lavoro e responsabile della predetta cooperativa Same, lo stesso si concludeva con la condanna dell'imputato alla pena della reclusione di otto mesi, nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con l'assegnazione di una provvisionale in favore della sola  E.V.. Il Tribunale penale rigettava, invece, le domande proposte nei confronti dei responsabili civili.
In forza dell'accertamento operato dal giudice penale, la E.V. - con citazione del 13 maggio 2010 - adiva il Tribunale di Lucca in sede civile, affinché fosse riconosciuta la responsabilità nella morte del proprio congiunto anche a carico della società F.C., della società in Inso, quale capogruppo mandataria dell'associazione temporanea d'impresa Inso-Steril, nonché della Kedrion, con condanna di tutte le convenute a risarcire, eventualmente anche in via solidale, il danno cagionato all'attrice.
Nel giudizio intervenivano, su chiamata di parte, anche le società Generali S.p.A. e Milano Assicurazioni S.p.a. (poi divenuta Unipolsai Assicurazioni), assicuratrici, rispettivamente, di Inso e F.C..
Il giudizio di primo grado si concludeva con il rigetto della domanda della E.V. (non essendosi ravvisata responsabilità in capo alle società convenute), il cui gravame - come detto - era dichiarato inammissibile dal giudice di appello.

3. Avverso la decisione della Corte fiorentina ricorre per cassazione la E.V., sulla base di due motivi.

3.1. Il primo motivo denunzia "violazione dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. in relazione all'erronea declaratoria di inammissibilità dell'appello pronunciata ai sensi dell'art. 342 cod. proc. civ.".
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma - nel qualificare come inammissibile, per difetto di specificità, il gravame esperito dalla E.V. - che l'allora appellante ebbe a svolgere "una esposizione generica in diritto tradottasi in una mera ricognizione normativa, senza menzionare e confrontarsi con nessuna parte della motivazione della sentenza".
Assume, per contro, la ricorrente che il proprio atto di gravame, già nelle prime battute, specificava e individuava i motivi di doglianza rivolti nei confronti della sentenza, nonché le parti della pronuncia oggetto di gravame. In particolare, per quanto concerne la posizione della società Inso, l'allora appellante censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto "non esistenti i profili di responsabilità nonostante siano esplicite le clausole contrattuali attributive della responsabilità nel settore della sicurezza sul lavoro, assumendo semplicemente che i nominati responsabili della sicurezza «erano assiduamente presenti sul luogo con funzione di vigilanza»". Con riferimento, poi, alla posizione della società F.C., l'appellante aveva censurato la pronuncia del Tribunale lucchese per aver ritenuto che "l'astratta determinazione pattizia vale a dimostrare l'ingerenza del subappaltante e, quindi, l'assenza di autonomia del subappaltatore". L'appellante, invece, evidenziava che la presenza assidua degli incaricati alla sicurezza di Inso non valeva in astratto, così come ritenuto dal Tribunale, ad escludere la responsabilità della società appaltatrice, che avrebbe dovuto, in virtù di precisi obblighi contrattuali, sorvegliare sul rispetto della normativa antinfortunistica da parte dei subappaltatori. Veniva precisato poi, sempre nell'atto di appello, che il legislatore impone degli obblighi specifici in materia di sicurezza, in applicazione degli artt. 1176 e 2087 cod. civ., sia al datore di lavoro che al committente e che tra questi rientrano "non solo la più elementare attuazione delle misure di sicurezza, bensì anche l'esigere l'osservanza delle norme e soprattutto l'uso dei mezzi di protezione, a nulla servendo l'adempimento della mera distribuzione del «foglio di istruzione» della ditta costruttrice e il controllo sul parziale innalzamento dei mezzi utilizzati, unica attività di vigilanza posta in essere dalle società coinvolte nel caso di specie, come risulta dagli interrogatori svolti in sede di processo penale richiamati anche in sentenza".
L'atto di appello censurava, inoltre, quanto affermato dal Tribunale di Lucca circa l'assenza di responsabilità del committente Kendrion, essendosi indicata sia normativa che giurisprudenza dalla quale emerge, a chiare lettere, la responsabilità dell'imprenditore che non abbia provveduto, avendone la possibilità, all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento dei lavori. In buona sostanza, nell'atto di appello si evidenziava come il Tribunale non avesse valutato adeguatamente la posizione del committente, il quale, in presenza di macroscopiche violazioni della normativa antinfortunistica, doveva immediatamente intervenire per ovviare alle omissioni degli appaltatori in punto di sicurezza sul luogo di lavoro e così evitare gli infortuni. In particolare, si chiariva come il trabattello impiegato al momento del sinistro presentava la non regolarità dell'altezza dei parapetti, risultando, inoltre, non montato regolarmente, mancando della campata terminale e delle tavole fermapiede. Si richiamava, altresì, la deposizione di un teste, secondo cui il G.G. stava, addirittura, lavorando su una struttura mobile, essendo la stessa priva della staffa stabilizzatrice e del livellatore a vite, evidenziandosi, infine, come al momento della caduta non risultassero nemmeno presenti, sul trabattello, le cinture di sicurezza.
Sottolinea, conclusivamente, l'odierna ricorrente che l'appello è un mezzo di gravame volto ottenere non il controllo della decisione del giudice di primo grado, bensì una nuova pronuncia sul diritto fatto valere con la domanda originaria, di talché, proprio in ragione di questo suo fine ultimo, deve essere valutato il requisito della specificità dei motivi.

3.2. Il secondo motivo denunzia "violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. in relazione all'art. 92, comma 2, cod. proc. civ., per come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018".
La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, nel liquidare le spese di lite, ha assunto quale unico parametro quello della soccombenza, senza tener conto che, in virtù della citata sentenza della Corte costituzionale, è stato dichiarato incostituzionale l'art. 92, comma 2, cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, anche qualora sussistano altre analoghe "gravi ed eccezionali ragioni" (oltre quelle indicate dalla norma stessa), da identificarsi, nella specie, in ragioni di equità.

4. Hanno resistito, con distinti controricorsi, all'avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o in subordine il rigetto, le società F.C. S.r.l., Kendrion S.p.a. e Generali S.p.a.

5. Sono rimaste solo intimate le società Inso-Sistemi per le infrastrutture sociali S.p.a. e Unipolsai Assicurazioni S.p.a.

6. La ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
 

Diritto


7. Il ricorso va accolto.

7.1. Il primo motivo è, infatti, fondato.

7.1.1. Al riguardo, deve premettersi che il presente motivo di ricorso - con cui si censura la decisione del giudice di appello di ritenere privi di specificità, ex art. 342 cod. civ., i motivi di gravame della E.V. - soddisfa la condizione di ammissibilità prescritta dall'art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Difatti, chi censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di chiarire, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, non potendo limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma dovendo riportarne il contenuto - come avvenuto, appunto, nel caso che qui occupa - ancorché solo nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. Sez. 5, ord. 29 settembre 2017, n. 22880, Rv. 645637- 01; in senso analogo, di recente, Cass. Sez. 1, ord. 6 settembre 2021, n. 24048, Rv. 662388-01).

7.1.2. Ciò premesso, il presente motivo, oltre che ammissibile, è pure fondato.

7.1.2.1. Al riguardo, infatti, occorre muovere dalla premessa che l'art. 342 cod. proc. civ., come pure il successivo art. 434 dello stesso codice di rito, vanno "interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice", fermo restando, però, come a tal fine non "occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di «revisio prioris instantiae» del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata" (Cass. Sez. Un., sent. 16 novembre 2017, n. 27199, Rv. 645991-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 30 maggio 2018, n 13535, Rv. 648722-01). Invero, "il richiamo, contenuto nei citati artt. 342 e 434, alla motivazione dell'atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio", giacché quanto "viene richiesto - in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata - è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili" (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 27199 del 2017, cit.).
D'altra parte, poi, la "specificità dei motivi di appello presuppone la specificità della motivazione della sentenza impugnata" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 24 aprile 2019, n. 11197, Rv. 653588-01), nel senso che la prima va sempre "commisurata all'ampiezza e alla portata delle argomentazioni spese dal primo giudice" (Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2016, n. 15790, Rv. 641584-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 26 luglio 2021, n. 21401, Rv. 662214-01), sicché l'appellante "che intenda dolersi di una erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare «ex novo>> le prove già raccolte e sottoporgli le argomentazioni difensive già svolte in primo grado, senza che ciò comporti di per sé l'inammissibilità dell'appello", e ciò in quanto, sostenere il contrario, "significherebbe pretendere dall'appellante di introdurre sempre e comunque in appello un «quid navi» rispetto agli argomenti spesi in primo grado, il che - a tacer d'altro - non sarebbe coerente col divieto di <<nova» prescritto dall'art. 345 cod. proc. civ." (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 8 febbraio 2018, n. 3115, Rv. 648034-01; nello stesso, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 4 novembre 2020, n. 24464, Rv. 659759-01).
Più in particolare, "ai fini della specificità dei motivi d'appello richiesta dall'art. 342 cod. proc. civ., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l'allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice" (Cass. Sez. 2, ord. 28 ottobre 2020, n. 23781, Rv. 659392-01; Cass. Sez. 1, sent. 12 febbraio 2016, n. 2814, Rv. 638551 - 01).
Inoltre, deve rilevarsi - per concludere sul punto - che allorché il ricorrente censuri la sentenza con cui il giudice di merito ha affermato l'inammissibilità dell'appello per mancanza di specificità dei motivi, oggetto del giudizio di legittimità "non è la sola argomentazione della decisione impugnata, bensì sempre e direttamente l'invalidità denunciata e la decisione che ne dipenda, anche quando se ne censuri la non congruità della motivazione; di talché in tali casi spetta al giudice di legittimità accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l'esame diretto degli atti, indipendentemente dall'esistenza o dalla sufficienza e logicità dell'eventuale motivazione del giudice di merito sul punto" (Cass. Sez. 5, sent. 1° dicembre 2020, n. 27368, Rv. 659696-01).

7.1.2.2. Orbene, alla luce delle considerazioni che precedono deve ritenersi che, nel caso in esame, le censure formulate dalla E.V., avverso la sentenza del Tribunale lucchese, non difettassero affatto del requisito della specificità.

7.1. 2.2.1. La pronuncia resa dal primo giudice - della quale questa Corte è abilitata a prendere visione, essendo stato evocato con il ricorso un "error in procedendo", rispetto al quale essa è giudice del "fatto processuale" (cfr., tra le altre, Cass. Sez. Lav., sent. 5 agosto 2019, n. 20924, Rv. 654799-01) - perveniva, per vero, al rigetto della domanda risarcitoria sulla base del seguente iter argomentativo.
Essa, innanzitutto, riconosceva non essere contestata la dinamica del sinistro, ovvero che il G.G. "è caduto all'indietro da un trabattello mentre era intento nello smontaggio/montaggio delle condotte dell'aria condizionata", soggiungendo che "il piano di lavoro si trovava a 3,20 metri di altezza" e che "l'impalcatura non era dotata del parapetto della misura prevista", risultando, inoltre, "sprovvisto della campata terminale di protezione". In altri termini, il Tribunale accertava "deficienze del sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro".
Su tali basi, tuttavia, pur riconosciuta - anche sulla base delle pattuizioni contrattuali richiamate dall'attrice, che prevedevano l'assunzione di specifici obblighi, a carico della società committente (e di quelle appaltatrice e subappaltrice), in relazione alla sicurezza sul lavoro - "l'astratta responsabilità di tutte le imprese che hanno partecipato alla catena degli appalti sub/appalti nel caso di specie, ossia la Kendrion s.p.a. quale committente originario e titolare del cantiere, la Inso s.p.a. e la F.C. s.r.l., quali appaltatori a loro volta appaltanti", il giudice di prime cure rigettava la domanda risarcitoria. Esito al quale perveniva sul rilievo che Kendrion avesse fornito la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare l'infortunio, avendo "provveduto alla redazione dei piani di sicurezza e coordinamento", nonché "a presidiare con assiduità il cantiere"; con specifico riferimento, poi, al trabattello - del quale pure era stata accertata la non rispondenza alla normativa antinfortunistica - l'esonero da responsabilità è stato fondato sulla seguente, duplice, constatazione.
Per un verso, infatti, si è sottolineato come trabattelli sarebbero sempre stati montati correttamente, in quanto i dipendenti di Same "avevano anche il foglio di istruzione" (né essendovi state specifiche segnalazioni circa il loro non corretto montaggio); per altro verso, poi, si è evidenziato che essi costituissero "strumento di lavoro proprio dell'opera da eseguirsi da parte della Same". Quest'ultima circostanza, ovvero la disponibilità esclusiva dei trabattelli in capo alla società datrice di lavoro del G.G., ha condotto all'esclusione della responsabilità anche delle società Inso e F.C., quantunque gli stessi, benché "controllati quasi giornalmente", ben "difficilmente rispondevano alla normativa di sicurezza perché gli operai, per questione di praticità, smontavano alcune parti".

7.1.2.2.2. Orbene, a fronte di tale motivazione, l'appellante ha, innanzitutto, censurato "la supposizione" secondo cui, "solo allorquando vi sia l'esplicita omissione dei controlli" - relativi alla sicurezza del luogo di lavoro - sussisterebbe "responsabilità" di soggetti diversi dal datore di lavoro (pur impegnatisi contrattualmente in tal senso), sicché, per converso, la mera "assidua presenza" dei preposti a tali controlli starebbe a denotare "una vigilanza diligente e regolare". Già tale affermazione, che si trova - pagina 3 dell'atto di appello - quale "incipit" dei motivi di gravame, vale a chiarire la "cornice" entro la quale si collocava l'iniziativa impugnatoria della E.V..
Essa investiva, infatti, l'affermazione secondo cui, ai fini dell'esonero della responsabilità della società committente (e delle altre convolte nella catena degli appalti) - responsabilità pur ritenuta dal Tribunale "astrattamente configurabile" - potesse bastare il rilievo che i loro addetti alla sicurezza avessero provveduto "a presidiare con assiduità il cantiere", eseguendo verifiche che investivano gli stessi trabattelli, "controllati quasi giornalmente". A tali affermazioni, infatti, l'appellante - nell'immediato prosieguo del proprio atto di gravame - contrapponeva il rilievo secondo cui, "in caso di ispezione e controllo, qualora si accerti una violazione, più o meno grave, delle norme sulla prevenzione e sicurezza sul lavoro, i responsabili possono e devono sospendere i lavori"; rilievo, chiaramente, riferito alla constatazione (pure operata dal primo giudice) che trabattelli "difficilmente rispondevano alla normativa di sicurezza perché gli operai, per questione di praticità, smontavano alcune parti".
Difatti, ulteriormente sviluppando le ragioni poste a base del proposto appello, la E.V. evidenziava, proprio con riferimento ai controlli eseguiti sui trabattelli, come l'art. 2087 cod. civ. - applicabile non al solo datore di lavoro, secondo quanto, del resto, già riconosciuto dal Tribunale di Lucca - esiga "l'osservanza delle norme e soprattutto dei mezzi di protezione", sicché, per ritenere adempiuti gli obblighi da esso imposti, non poteva ritenersi sufficiente la "mera distribuzione del <<foglio di istruzione>> della ditta costruttrice e il controllo sul parziale innalzamento dei mezzi utilizzati", ovvero "le uniche attività di vigilanza poste in essere dalle società coinvolte nel caso di specie".
Non a caso, infatti, l'appellante si richiamava, subito dopo, alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, il compito del datore di lavoro - e comunque dei soggetti ad esso equiparati, quanto al rispetto della normativa relativa alla sicurezza del luogo di lavoro (era citata, sul punto, Cass. Sez. 4 Pen., sent. dep. 5 gennaio 2016, n. 16) - "non si esaurisce nella formale predisposizione del piano di sicurezza, nella consegna ai lavoratori dei mezzi di prevenzione e nell'attuazione statica delle misure necessarie, essendo tenuto ad accertarsi che le disposizioni impartite vengano nei fatti eseguite", nonché ad "intervenire per prevenire il verificarsi di incidenti, attivandosi per far cessare eventuali manomissioni o modalità d'uso pericolose da parte dei dipendenti, quali la rimozione delle cautele antinfortunistiche o il mancato impiego degli strumenti di prevenzione messi a disposizione" (veniva richiamata Cass. Sez. 4 Pen., sent. dep. 4 luglio 2014, n. 29276).
Ad ulteriore corredo delle censure formulate - e con chiaro riferimento alla circostanza dello smontaggio dei trabattelli, e, soprattutto, al fatto che essi "difficilmente rispondevano alla normativa di sicurezza" (come constatato in occasione dell'incidente che costò la vita al G.G., visto che la "l'impalcatura non era dotata del parapetto della misura prevista", risultando, inoltre, sprovvista "della campata terminale di protezione") - l'appellante si è richiamata ad un principio più volte affermato da questa Corte. Ovvero, quello secondo cui, "le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso", donde la responsabilità del datore di lavoro - e dei soggetti ad esso equiparati - "sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente" (veniva richiamata, in particolare, Cass. Sez. Lav., sent. 4 dicembre 2012, n. 27127, Rv. 629176-01).
Tanto premesso, questa Corte ritiene - secondo il già descritto "modus operandi", che impone al giudice di legittimità di verificare, più ancora che la correttezza della motivazione con cui il giudice di appello abbia escluso la specificità del motivo di gravame, direttamente la conformità dello stesso alla previsione di cui all'art. 342 cod. proc. civ. - che le argomentazioni, in fatto e in diritto, svolte dalla E.V. nel proprio atto di impugnazione consentissero di cogliere la critica rivolta alla decisione del Tribunale di Lucca, specie ove si consideri (come già rilevato) che essa può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l'allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini, come avvenuto nella specie, una critica adeguata e specifica della decisione impugnata.

7.1.3. In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto (con assorbimento del secondo, relativo alle spese di lite, dal momento che il giudice del rinvio dovrà provvedere ad una loro rinnovata, totale, regolamentazione alla stregua dell'esito finale della lite; Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2016, n. 4887, Rv . 639295-01), disponendo, per l'effetto, la cassazione in relazione della sentenza impugnata e il rinvio alla stessa Corte di Appello di Firenze, sebbene in diversa sezione e composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche del presente giudizio.

 

P.Q.M.




La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa sezione e composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche del presente giudizio.
Così deciso in Roma