• Datore di Lavoro
  • Infortunio sul Lavoro
  • Lavoratore
  •  

    Responsabilità del legale rappresentante della SO.GE.I. s.r.l., esecutrice dei lavori in subappalto relativi agli impianti presso l'Ospedale della (OMISSIS) perchè, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e per violazione delle antinfortunistiche, cagionava al dipendente della SO.GE.I. S.r.l., R.L., lesioni personali gravi a seguito della sua caduta dal terrazzo per l'improvvisa rottura dei lucernario ove si trovava appoggiato (con caduta da un'altezza di mt. 3.5); in particolare a G.R. era ascritta la condotta di non aver adottato i necessari apprestamenti atti a garantire l'incolumità delle persone addette ai lavori da eseguire sulla copertura.

    Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione -  Inammissibile.

    La Corte afferma che: "deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici."
    Aggiunge comunque che "la dedotta ingerenza della P. Costruzioni (che invece aveva adempiuto agli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro), non valeva ad esimere il diretto datore di lavoro del R., sul quale incombeva almeno l'onere di verificare che quanto necessario fosse stato attuato e mantenuto."



    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    SEZIONE QUARTA PENALE

    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente

    Dott. IACOPINO Silvana Giovanna - Consigliere

    Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

    Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere

    Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

    ha pronunciato la seguente:

    sentenza

     

    sul ricorso proposto da:

    1) G.R. N. IL (OMISSIS);

    avverso la sentenza n. 1536/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 30/06/2008;

    visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

    udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSAFRA Umberto;

    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DE SANDRO Anna Maria che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

    Udito il difensore Avv. Cerboni Roberto del Foro di Grosseto, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata.

     

    Fatto

    Con sentenza in data 30.6.2008, la Corte di Appello di Firenze confermava quella del Tribunale di Grosseto in composizione monocratica del 7.11.2006 con la quale G.R. era stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p.p., comma 3, perchè, in qualità di legale rappresentante della SO.GE.I. s.r.l., esecutrice dei lavori in subappalto relativi agli impianti presso l'Ospedale della (OMISSIS), per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e per violazione delle antinfortunistiche, cagionava al dipendente della SO.GE.I. S.r.l., R.L., lesioni personali gravi, con prognosi superiore a gg. 40, consistite in "ferita lacero contusa cuoio capelluto con cedimento polo antera superiore di D12" a seguito della sua caduta dal terrazzo ove erano posizionate le macchine al piano sottostante a causa della rottura dei lucernario ove si trovava appoggiato (con caduta da un'altezza di mt. 3.5); in particolare a G.R. era ascritta la condotta di non aver adottato i necessari apprestamenti atti a garantire l'incolumità delle persone addette ai lavori da eseguire sulla copertura, in violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70 (Accertato l'(OMISSIS)).
    Seguiva la condanna del G. alla pena di, condonata, di Euro 600,00 di multa con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita alla quale veniva, altresì assegnata una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 10.000,00.

    Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di G.R. deducendo i seguenti motivi.

    1. L'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla L. n. 241 del 2006, assumendo che era erronea l'applicazione sia della sospensione condizionale della pena (non richiesta) sia dell'indulto.

    2. Il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento delle risultanze processuali. Insussistenza della condotta criminosa.

    Assume di non aver partecipato alla riunione - alla quale erano invece presenti gli originari coimputati, L.R. e L. - per concordare la messa in sicurezza del terrazzo di copertura e di non aver assunto, di conseguenza, alcun onere nè nell'organizzazione del cantiere nè nella predisposizione ed adozione delle misure di sicurezza. Inoltre erano già presenti delle transenne unite da una fettuccia di plastica bianca e rossa che indicavano la via di percorso sul terrazzo e il pomeriggio in cui si verificò il sinistro il R. era accompagnato dal responsabile del cantiere.

    3. La contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, assumendo che le misure di sicurezza non possono essere ritenute inidonee per uno degli imputati ( G.) ed adeguate ad evitare gli infortuni per l'altro ( L.). Nè poteva sostenersi che l'infortunio si era verificato in quanto le misure di sicurezza non erano state attuate correttamente dal G., atteso che la predisposizione della corsia di sicurezza, comunque presente al momento dell'infortunio, non competeva al G. e non era stata realizzata dalla SO.GE.I. che non aveva allestito il cantiere e non aveva partecipato alla riunione dell'8/11/2001 suddetta.


    Diritto
     

    Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate e aspecifiche.

    Sub 1. La sospensione condizionale della pena (applicabile d'ufficio ex art. 597 c.p.p., u.c.) è compatibile con l'applicazione dell'indulto, poichè quest'ultimo estingue immediatamente la pena, mentre la prima estingue il reato al compimento del termine stabilito qualora il condannato adempia agli obblighi impostigli e non commetta un delitto o altra contravvenzione della stessa indole, (tra le più recenti, Cass. pen. Sez. 3, 23.6.2009 n. 38082, Rv. 244625). Era, pertanto, superflua ogni motivazione sul punto.

    Sub 2 e 3. Si tratta di censure generiche limitandosi a riproporre pedissequamente in questa sede le medesime doglianze rappresentate dinanzi al giudice del riesame e da quello disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, nemmeno adeguatamente contestata dal ricorrente che ha qui ribadito le proprie tesi.
    E deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
    Infatti la mancanza di specificità del motivo dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, "ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191, Rv 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).

    Ma tali censure sono anche manifestamente infondate dal momento che, come osservato dal Giudice d'appello, la dedotta ingerenza della P. Costruzioni (che invece aveva adempiuto agli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro), non valeva ad esimere il diretto datore di lavoro del R., sul quale incombeva almeno l'onere di verificare che quanto necessario fosse stato attuato e mantenuto.

    Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7 - 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

     

    P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

    Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2010.

    Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010